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Giulio Cavalli

Toh, i miei monologhi sparsi in giro per il web

Lupin01Sto preparando una nuova trasmissione web per Fanpage in cui torno a fare il monologhista. non ne avevo parlato perché stiamo ultimando il progetto (la prima puntata avrebbe dovuto essere questa che poi la cronaca ci ha “costretto” a rilasciare in fretta e furia più con la forma del servizio). Un progetto a cui tengo molto perché, tra le altre cose, le riprese di Sacha Biazzo hanno un che di “teatrale” anche stando nel web.

Tutto questo lungo cappello introduttivo, stile riassunto delle puntate pecedenti, per dire che molti dei monologhi programmati (per ora siamo a quota “sette” e ringrazio i miei collaboratori curiosi) li abbiamo ritrovati sparsi per il web. Proprio loro. Addirittura un cristianissimo settimanale ha pubblicato parola per parola, mentre qualcun altro ne ha messo una versione addirittura precedente alla finale. Per farla breve: i monologhi che erano inseriti nel progetto di spettacolo “L’apologia dei secondi” (mai andato in scena ma evidentemente fruito) sono sparsi per il web. Ed è un peccato: prima di tutto perché ci tocca muovere gli avvocati ma, soprattutto, perché perdiamo tempo. E perché si presta il fianco ancora una volta ai detrattori del “web”. Quando in realtà si tratta di idioti che sono idioti anche nella vita reale.

Vabbeh. Torniamo al lavoro. Su.

Un libro non succede. Sgorga.

CAVALLIChe bello accorgersi di condividere l’attesa. Un libro in uscita è un “sabato del villaggio” di qualche settimana e succede che per chi l’ha scritto, credo che succeda a tutti ma di sicuro succede a me, adesso, in fondo è un libro finito: la differenza tra il mio fare teatro e un libro, che è una differenza che amo percorrere, è che se uno spettacolo non sale sul palco, nel senso che salga con me e io con lui, per farlo, uno spettacolo finché non sale su un palco non esiste, è solo un progetto mentre un libro prima che sia pubblico è già stato scritto.

Certo, si potrebbe dire che anche lo spettacolo è pronto perché finito, finito pronto per andare in scena ma per la mia esperienza, che è un’esperienza solipsistica facendo solo monologhi, cioè per quello che è sempre successo a me, uno spettacolo cambia per il pubblico, cresce con il pubblico e diventa spettacolo quando ormai ha tutti gli ingranaggi oliati dalle volte che è andato in scena. E io sono lì, a cambiare con lui.

Invece un libro quando finisce di essere scritto poi se ne va da solo. Si sistema in libreria, finisce in borsa, in tasca oppure spillato in digitale. Come se io gli servissi poco o niente. Forse magari non sono nemmeno io che lo faccio succedere, un libro, mica come un monologo. Sgorga.

(Ah: esce il 17 settembre, eh.)

Poi magari un giorno

201604119-45fb3fc2-8e8b-41a1-a15e-4fad1af21507Qualcuno riuscirà a spiegarmi come ha fatto a diventare assessore a Milano Franco D’Alfonso. Perché la sua ultima uscita più che un “colpo di caldo” mi sembra perfettamente in linea con la miseria politica del personaggio.

Lucia Borsellino, una buona notizia

Partendo dal fatto che considero il falso scoop de L’Espresso (con tanto di sacerdote antimafia che invocava le dimissioni) uno dei momenti più bassi della politica, del giornalismo e tutto il resto e considerando che da queste parti non si lesinano le critiche, penso che la nomina di Lucia Borsellino all’agenzia per i servizi sanitari regionali per occuparsi di anticorruzione sia un’ottima notizia.

E non perché abbia un cognome importante o perché vada risarcita, no: perché ha dimostrato di avere la schiena diritta. E noi abbiamo tanto bisogno di persone con la schiena diritta in mezzo a quel magma che è la nostra classe dirigente.

Buon lavoro, Lucia.

Due euro all’ora

27 euro al giorno: la “busta paga” di Paola Clemente, morta da bracciante il 13 luglio in mezzo all’uva. Stesse storie, stessa estate, questa volta sono italiani sia la vittima che gli aguzzini. Come racconta suo marito in un’intervista a Repubblica il compito di Paola era  quello di togliere “gli acini più piccoli per fare bello il grappolo”.

Fare bello. Ha detto proprio così.

Acinellatura-Rossese

Tre brevi racconti d’estate (di Yanis VAROUFAKIS)

Si vede che la fregola dei racconti, quando si tratta di piena estate, alla fine prende un po’ tutti. Più o meno è la stessa cosa che abbiamo pensato in redazione a LEFT quando abbiamo deciso di dedicare al racconto il nostro numero straordinariamente quindicinale (a proposito potete comprarlo in digitale qui oppure nella vostra edicola). E le storie dell’ex ministro greco (che sono piccole e che sono tre) raccontano anche un Paese. La traduzione è del blog EssereSinistra. Eccoli qui:

di Yanis VAROUFAKIS

Da bambino, ero affascinato dai racconti di mia madre, e di sua madre, del 1940, e in particolare dalle loro storie di vita sotto l’occupazione nazista. Forse non è un caso che i libri per bambini di una volta sono pieni di racconti macabri di omicidi, smembramenti e orrori assortiti.

La maggior parte di quei racconti erano disperati tentativi da parte delle donne della mia famiglia di trasmettere a un giovane, bambino viziato l’orrore  delle loro esperienze, il valore del pane, la memoria della solidarietà e della capacità di resistenza in un ambiente di schifo e paura opprimente.

L’inverno del 1941 era così impresso nella mia mente, quasi completamente con le immagini in bianco e nero, che il racconto di mia madre aveva prodotto, di carri trainati da cavalli che facevano il loro giro mattutino per le strade di Atene, raccogliendo i cadaveri di coloro che erano morti di fame la notte prima. Fuori da questo drappo di dolore, spuntava un racconto.

Ciò che rendeva questo particolare racconto un qualcosa che si conficcava nella mia mente non era un atto di eroismo poco appariscente o un tradimento indicibile (ce ne erano un sacco in quelli delle altre storie), né una tragedia che la mia mente giovane aveva trovato particolarmente atroce.

No, era un semplice racconto di una settimana passata su qualche spiaggia del Peloponneso, nell’estate del 1943. Mia madre era stata malata di tubercolosi e mia nonna pensava che sarebbe d’aiuto se avesse trascorso qualche tempo vicino l’acqua di mare, lontano dal pozzo nero di dolore e malattia che era Atene occupata. Le storie liriche di mia madre dei piccoli piaceri che hanno apprezzato su quella spiaggia soleggiata, nonostante le loro pance vuote e il buio che avvolgeva la nazione, ha assunto un significato immaginario della mia infanzia che è ancora con me.

Agosto 2013. Sto trascorrendo, mentre scrivo questo, gli ultimi giorni di estate, prima di tornare negli Stati Uniti, a Egina – la nostra isola santuario greco. Non è il 1941, non è il 1943. Il ronzio dei ristoranti è il consueto ronzio di mezza estate, il mare è blu come non mai, i traghetti trasportano i turisti fugaci. E tuttavia, la Grecia è nella morsa di una calamità che chi ha vissuto il 1940 pensava che non avrebbe mai dovuto vivere di nuovo. Ma devo desistere. Questo non è il posto per analisi e argomentazioni in relazione alla nostra catastrofe greca contemporanea. Questo è un pezzo di brevi racconti estivi. Quindi, mi permetto di raccontarvi tre storie del genere.

Confisca

Dimitri è un costruttore di imbarcazioni a Egina che fa un lavoro di manutenzione e cura di piccole imbarcazioni. E’ l’angelo custode del nostro zodiaco, di noi che che ormeggiamo al porto di Egina accanto al suo magnifico motoscafo; un super slick, nave di 8 metri super-veloce che i suoi magri guadagni non avrebbero mai potuto comprargli e che lui ha effettivamente costruito con le proprie mani. Ieri l’ho incontrato sulla banchina. Meno gioviale del solito, il suo volto mi ha invitato a chiedergli “che cosa c’è che non va”. “E’ la guardia costiera”, ha risposto. Due giorni prima hanno confiscato la sua barca temporaneamente. Perché? Perché proprio il motoscafo della Guardia costiera non partiva, in quanto non era stato curato per due anni a causa della mancanza di fondi. Così, hanno preso la barca di Dimitri per la sua velocità , l’hanno armata fino ai denti, in risposta a qualche rapporto di un atto di pirateria tra Egina e l’isola di Poros. Sono tornati due giorni dopo, a mani vuote e, per la disperazione di Dimitri, anche con il serbatoio vuoto. Cinquecento euro di benzina ad alto numero di ottani erano andati. “Non ti hanno rimborsato?», ho chiesto ingenuamente. “Non essere sciocco», è stata la sua risposta. “Come potevano rimborsarmi quando il bilancio del guardacoste di Egina non può nemmeno permettersi di acquistare una pompa ad aria per il loro gonfiabile?” Dimitri, è stato abbondantemente chiaro, e non portava alcun risentimento verso gli ufficiali della guardia costiera.

La sua tristezza era un semplice riflesso della tristezza media del Greco alla vista di uno stato fallito, che è costretto ad espropriare quel poco che viene lasciato ai suoi cittadini.

Poseidon

Parlando di combustibile, negli ultimi due mesi le stazioni di servizio di Egina sono regolarmente a corto di benzina. Per giorni e notti di fila, i turisti li avvicinano in previsione di riempire i serbatoi dei loro veicoli in affitto, in modo tale da essere sul loro luogo ameno di vacanza, solo per scoprire che le pompe non stanno pompando. Ancora peggio, gli yacht in affitto nel porto di Egina, che trasportano i turisti che hanno pagato migliaia di dollari al giorno per il privilegio di navigare nelle nostre acque blu, vanno poi a scoprire in banchina che la pompa diesel è asciutta. La prima volta che è successo a me ho immaginato che fosse responsabile qualche controversia di lavoro; dei dipendenti della pompa di benzina, dei gestori della cisterna di benzina, di qualche grana sindacale lungo la catena di distribuzione. Pochi giorni dopo qualcuno mi ha spiegato la vera ragione: “E’ la crisi, amico mio», ha detto, chiaramente godendo del fatto che stava per spiegare qualcosa sulla crisi a un esperto analista della crisi. Quello che è successo è che la più grande delle due compagnie di navigazione che condividono il franchising Egina-Pireo (Hellenic Seaways) ha ridotto il numero di navi che mantiene sulla rotta da otto a tre. Uno di questi, dal nome maestoso di ‘Poseidon’, è destinato a trasportare i camion cisterna di carburante a Egina una volta alla settimana, come parte di un accordo con lo Stato (le norme statali vietano all’azienda il trasporto di passeggeri quando si trasportano grandi quantità di combustibile). Fuori stagione questo accordo consente un bel po’ di lavoro per Hellenic Seaways e Poseidon mantiene Egina completamente alimentata. Ma, durante i due mesi estivi, quando il turismo cresce, l’azienda guadagna più soldi dai traghetti di turisti rumorosi che dallo sbarcare navi cisterna di carburante. Così, la corsa del carburante settimanale diventa un bi-settimanale, o anche un tri-settimanale, di rito; impoverendo l’isola, e i suoi turisti, di forniture energetiche essenziali. Quando ho chiesto a un funzionario della compagnia ragguagli sulla razionalità della questione, lu mi ha risposto: “Nessuno vi impedisce di utilizzare il Poseidon per portare l’automobile al Pireo, dove ci sono un sacco di stazioni di servizio per riempirla.” Tragicamente, invece di maledirlo, ho cominciato a scorgere un punto di vista interessante nel suo consiglio …

Hellenikon

I lettori di questo blog non hanno bisogno di ricordare l’emergenza umana nel sistema sanitario pubblico della Grecia, dopo il fallimento dell’apparato statale. E neppure sono inconsapevoli della corruzione che affligge il nostro servizio sanitario. Quello di cui non possono aver sentito parlare, tuttavia, è la storia ‘dall’altra parte’: quello eroica. (Sì, c’è sempre una!).

Hellenikon, che significa ‘greco’, è un sobborgo meridionale di Atene, il luogo del vecchio aeroporto di Atene. A Hellenikon si può incontrare il volto benevolo della crisi. Diversi medici del settore pubblico, infermieri e operatori hanno istituito un centro medico dove trascorrono il loro tempo libero, gratuitamente, per la fornitura di servizi medici gratuiti a tutti coloro che arrivano e ne hanno bisogno. Il centro sta guadagnando una reputazione eccellente per la velocità nelle cure mediche e per un vero spirito umanitario. Carovane di greci, di migranti, i locali e le persone di altre città vengono a Hellenikon per il trattamento, per farmaci che non possono permettersi altrimenti, e anche per conforto. Sorprendentemente, anche se il centro cerca il sostegno di chiunque abbia voglia di assistere, rifiuta a bruciapelo le donazioni in denaro.

Se volete aiutare, c’è che vi darà un elenco dei farmaci di cui hanno bisogno; che pubblicherà on line una richiesta di toner per le loro stampanti e fotocopiatrici; per chiedere alle persone di aiutare i pazienti nel trasporto in macchina o forse per dare loro un mini-bus. Ma non accetteranno contanti come un segnale al mondo che la loro è una forma di atto incontaminata di pura solidarietà. I medici e gli operatori responsabili di questo miracolo di umanità sono, comunque, profondamente premiati. Uno di loro mi ha detto, quasi in lacrime, di una telefonata ricevuta.

Veniva da una donna il cui marito era appena morto di cancro. La sua richiesta? Che qualcuno dal centro fosse andato a casa sua a prendere i suoi farmaci chemio. “Lui non avrebbe voluto che questi fossero buttati ai rifiuti, quando così tanti malati di cancro non possono permetterseli”, ha detto.

[traduzione dal suo blog di Three brief Greeck summer talesAgosto 2013]

Intanto sparano a Buscate

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Carmine Cristello

Sta succedendo qualcosa nella ridefinizione delle cosche a Buscate. L’uomo che è stato gambizzato qualche tempo (Francesco Cristello, proprietario anche di un bel bar in paese) fa è molto vicino alla cosca Giampà ed è conosciuto dalle forze dell’ordine. Il fatto che la notizia sia stata data con qualche giorno di ritardo potrebbe indicare che si sia ritenuto di essere molto vicini ad una soluzione.

Probabilmente la morte del padre, Carmine Cristello, ha lasciato qualcosa in sospeso.

Ah tutto questo in provincia di Milano. Per dire.