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Giulio Cavalli

Le parole (sante) di Gratteri: basta soldi alle associazioni antimafia

Non ha peli sulla lingua, Gratteri, e ogni volta che parla vale la pena tenere bene a mente ciò che dice:

Tabularasa-2014-Gratteri-5-360x240«Ai ragazzi nelle scuole faccio esempi, parlo della non convenienza a delinquere. Spiego cosa rischia un corriere della droga, cosa accade in carcere o cosa accade ai familiari. Ho scelto da tempo di andare negli istituti di pomeriggio e non di mattina perché le ore di lezione sono diminuite a causa dei progetti, in particolare quelli sulla legalità. Spesso si fa entrare nelle scuole gente improbabile, che nasce dal nulla inventandosi un profilo da persona che combatte la mafia, magari dopo aver fatto da maggiordomo a qualche magistrato, facendosi vedere con lui per un paio di mesi. Iniziando a girare per le scuole si intrufola, si inventa un mestiere e comincia a chiedere dei soldi. Da un po’ di anni dico: nelle scuole andiamo di pomeriggio. E ai politici, regionali, provinciali e comunali dico di non dare soldi alle associazioni antimafia: mettetevi in rete, create un fondo comune, fate dei protocolli con i provveditori agli studi e predisponete delle graduatorie degli insegnanti precari. Durante le ore pomeridiane fate in modo che si ricominci a parlare con i ragazzi, riaccompagnandoli nel mondo reale. Mi si dice che per far questo c’è bisogno di soldi. Ma i soldi ci sono, so di progetti costati 250.000 euro. Non è etico, non è morale, non è giusto. In nome di gente che è morta, che è stata uccisa, non è giusto che si spendano 250.000 euro per una manifestazione antimafia. Ogni cosa deve avere una proporzione, un limite, un senso. Immaginate con tali cifre quanti insegnanti precari avremmo potuto assumere. Dobbiamo cercare di essere più seri e più presenti e contestare queste cose. Personalmente mi sono rifiutato di partecipare a certi convegni e a certe manifestazioni antimafia perché avevo capito anni prima che c’era qualcosa che non andava. Mi piacerebbe che la gente interagisse di più con il potere politico. La vera lotta alla mafia passa dalla formazione dei ragazzini delle elementari e delle medie. La manifestazione antimafia va fatta, certo, ma deve essere spontanea e a costo zero: per camminare con una candela non mi servono 50.000 euro».

(fonte)

Il senso della stampa per Civati

f5bfc44082f811e1ab011231381052c0_7 (1)Attenzione: lo scrivo cattivo. Un po’ perché non ho il tempo materiale per scriverlo complesso e un po’ perché basta poco per capirmi. Uno di quei pensieri che è già adulto appena è una sensazione.

Pippo Civati esce dal PD, mette in piedi un movimento che possiamo discutere per infiniti giorni ma che sicuramente non ha padri nobili (ahi quanto male hanno fatto i padri nobili!) e nemmeno padroni. Decide di fare dei referendum per mettere nero su bianco le decisioni politiche che non solo non ha condiviso ma che decide di combattere. I referendum sono qui. Un link semplice. A scriverlo ci ho messo una manciata di secondi il tempo di un copia e poi incolla.

Io me lo ricordo bene Pippo inseguito dai cronisti bavosi di Regione Lombardia e poi a Roma mentre cercavano l’articolo ostile di spalla messo nella pagina in cui si scrive del PD. Me li ricordo tutti e vi giuro che alcune volte non ho sopportato il feticismo giornalistico per il “contrario” a prescindere.

Bene. Pippo (avendo tutto da perdere) trova persone disposte a raccogliere firme per il referendum. D’estate. Piena estate. Agosto. Di questo anno così apolitico, anche.

Si può essere d’accordo o no ma tutti i servetti pronti a scrivere un editoriale sulla sua goccia di bava oggi non trovano la penna per scrivere di questa campagna referendaria. Nessuno. Se spara una battuta su Renzi allora sì. Per le iniziative politiche, per quelle, no.

La codardia uccide d’estate. Verrebbe da dire.

Pizzo: dopo vent’anni, basta.

È una bella storia quella che ci racconta su Repubblica Giuseppe Baldessarro: un imprenditore del basso jonio cataranzese decide di dire basta al pizzo, dopo averlo pagato regolarmente per vent’anni.

“Non ce la faccio più, ma non ho deciso di collaborare per me. Lo faccio per i miei figli. Non voglio che nel loro futuro ci sia la sofferenza che io ho passato per vent’anni” ha dichiarato l’imprenditore.

Esistono dei “basta” che sono importantissimi. Anche dopo vent’anni.

E ho pensato che è una fortuna bellissima quella di imparare ancora.

CAVALLIAbituato per lavoro a scrivere inchieste, articoli e spettacoli (così profondamente giornalistici, del resto) quando mi sono messo a scrivere Mio padre in una scatola da scarpe ho vissuto la bellezza dello spaesamento di chi si ritrova di fronte a così tanto spazio. Una certa agorafobia tra la testa e le dita. Una cosa così.

Ma la differenza principale mai vissuta prima è il potersi dedicare alla parola giusta, anzi il doversi dedicare alla parola giusta come se quella pagina, quella frase o quel paragrafo debba per forza avere una parola che è quella parola lì. Come se non esistessero differenti opzioni.

Poi mi succede magari che mi avvicino, la rigiro ma so che il senso è quello ma non la parola, come se parola e senso fossero la mano destra e la sinistra di un tronco che deve stare in piedi, diritto, in equilibrio.

Quando studiavo teatro, ero giovane, premuroso per lo studio e il suo senso, quando facevamo gli esercizi da attori giovani, ci dicevano sempre, cioè cercavano di insegnarci, che l’equilibrio di tutti noi sul palco, per sentirlo e abitarlo bene, funzionava se ci immaginavamo che il palco fosse la zattera e tutti noi dovessimo tenere “in bilico” la zattera.

Ecco. Mentre scrivevo il libro, che si faceva scrivere, ho avuto la stessa sensazione, lo stesso strenuo tentativo di raggiungere l’equilibrio, come se le frasi fossimo noi, giovani, premurosi di abitare nel modo più professionale possibile lo spazio di lavoro.

E ho pensato che è una fortuna bellissima quella di imparare ancora. Dopo tutti questi anni.

Quelli che trivellano il mare

Trivellare il fondo del mare alla ricerca del petrolio. Sembra l’inizio di un film pastrocchio americano di quelli sulle grandi catastrofi e invece è l’ultima perversione di governo dedicata alla Basilicata. E come al solito i compagni di partito di quelli che decidono a Roma fingono di opporsi sulle pagine dei giornali e mai una volta mai che se ne sia sentito discutere, che ne so, in una delle soporifere direzioni di partito. Legambiente e gli attivisti cercano di alzare la voce (per farsi un’idea potete andare qui) ma la discussione ormai sembra non avere le stigmate per diventare tema nazionale.

Tra l’altro i minimizzatori di professioni continuano a dirci che le trivellazioni vanno che è una meravigli in Croazia. E invece anche questa è un bugia.

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«Peppe ‘o Guaglione» latitava in spiaggia

Vacanze nostrane:

236124ac44ed0cf21e7821cd788f6b78-klAG-U1060824687726AXH-700x394@LaStampa.itPreso Giuseppe Ammendola, il reggente del clan camorristico Contini-Licciardi. Il boss era inserito nell’elenco dei 100 ricercati più pericolosi. Latitante dal 2012 Amendola è stato arrestato dagli uomini dello Sco e dalle squadre mobili di Roma e Napoli sulla spiaggia di Torvajanica.
Soprannominato «Peppe ‘o Guaglione», aveva affittato un appartamento per poi farsi raggiungere dalla famiglia. La polizia, coordinata dal vicequestore Fausto Lamparelli, lo hanno fermato in spiaggia. Ammendola, disarmato, non ha opposto resistenza. Non c’erano armi nell’appartamento in affitto. Sul suo capo pendevano due ordinanze di custodia cautelare. Dovrà rispondere di estorsione aggravata dal metodo mafioso, associazione per delinquere di stampo mafioso e riciclaggio. A seguito dell’arresto di Patrizio Bosti e di Paolo Di Mauro, Ammendola era divenuto il reggente del clan Contini, radicato nel rione Vasto ed in alcuni centrale quartieri della città. Il clan Contini è alleato con i Licciardi ed i Mallardo nel cartello dell’Alleanza di Secondigliano.

Il “panorama” di Tommaso Pincio

71Mg5nFZc4LQuindi inizio mettendola sul personale: il mio agente letterario è soprattutto un amico e in realtà non è nemmeno un agente letterario ma è un editore. Sembra difficile, lo so, seguitemi: quando ho scritto il mio libro Nomi, cognomi e infami Alberto Ibba ai tempi era il direttore editoriale della collana “Verdenero” e dopo avere “costruito” quel libro alla fine abbiamo deciso di continuare insieme. In altri luoghi. Ma insieme.

Tutta questa noiosissima prefazione per dirvi che oggi Alberto è tra i padri fondatori di una giovanissima casa editrice, NNEDITORE, che sta pubblicando bei libri in un settore non proprio felice di questi tempi. PANORAMA, di Tommaso Pincio, è quello che mi è capitato in mano in questa arsura agostana. E per fortuna.

Perché se vi dovesse capitare di avere voglia di un libro finalmente scritto bene, se vi è capitato nella vita di amarvi mentre amate qualcuno che non avete mai conosciuto o se vi capitasse di credere che avere sempre un buon libro in tasca sia un ottimo attracco a disposizione mentre navigate in mezzo al rumore di fondo allora leggetevi Pincio. C’è vita nel pianeta dell’editoria italiana, per fortuna.

Lo potete comprare qui. In ebook non esiste per volontà dell’autore, ma dentro c’è moltissimo digitale. Per dire.

Il coraggio di “essere giusti”

In larghissimo anticipo. Ma si parla del mio romanzo che sarà in libreria dal 17 settembre. L’articolo (di Rossella Mungiello) da Il Cittadino:

CAVALLICavalli e il coraggio di «essere gusti»
12 agosto 2015

«Pochi nascono eroi, molti cercano di esserlo. Ma capita a tutti l’occasione di essere giusti». Anche nelle piccole cose, in un microcosmo reso asfittico dalla paura, a Mondragone, Italia del Sud. Raccontata da una voce del Nord, come quella del lodigiano Giulio Cavalli, autore e drammaturgo, giornalista e oggi anche scrittore, in libreria da settembre con il suo primo romanzo. Mio padre in una scatola da scarpe è il titolo, edito per Rizzoli (288 pagine, 19 euro), in uscita il 17 settembre, con la prima presentazione fissata al Circolo della Stampa di Milano, segno di una commistione tra le diverse anime narrative di Cavalli, che ha all’attivo numerose collaborazioni giornalistiche e che oggi abbraccia per la prima volta la formula del romanzo. In oltre 280 pagine di racconto scorre la storia (vera) della famiglia Landa, di Michele e dei suoi sogni, quello di coltivare un orto e di vivere sereno con la sua famiglia. Aspirazioni di un uomo che non è un eroe e neppure un criminale. Speranze di chi crede nell’amore e sta al fianco di Rosalba, la «silenziosa» da quarant’anni, diventando prima genitore, poi nonno, sognando una casa grande e un albero di mele. Una vita semplice, insomma in una terra difficile, dove serve coraggio anche per vivere tranquilli. E dove Michele, che ha perso il lavoro e molti amici, vivrà la sua occasione di essere giusto, confrontandosi con gli spari, le minacce dei Torre e l’omertà dei compaesani. Dopo cinque anni di gestazione, nei quali Cavalli ha conosciuto la storia di Landa, « prima da Sergio Nazzaro e Carlo Lucarelli», poi incontrando direttamente i suoi figli, «soprattutto Angela, con cui è nata un’amicizia», arriva il tempo del debutto da romanziere per il lodigiano, sotto scorta dal 2007 per il suo impegno contro le mafie. Già autore di libri di inchiesta, comeNomi, cognomi e infami del 2010 e L’innocenza di Giulio del 2012, Cavalli è stato membro dell’Osservatorio sulla legalità e consigliere regionale della Lombardia, mentre oggi vive a Roma. «Credo che il mio lavoro sia questo – ammette – , anche se non ho mai avuto occasione di farlo. Nasco come autore e drammaturgo, poi per i casi della vita sono finito in un ruolo più giornalistico e di denuncia. È come se oggi facessi qualcosa che avrei dovuto fare dieci anni fa». Sempre con il piglio libero del cantastorie, anche se non ci tiene a commentare stile e linguaggio: «Trovo ammorbanti gli autori che commentano il proprio romanzo», chiarisce l’autore nel solco di quanto già fatto negli anni, ovvero «esercitare il mestiere della scrittura: se poi si tratta di arte, saranno i lettori a dirlo». La storia di Michele Landa ha colpito Cavalli nella drammatica semplicità, perché «è la vicenda di una persona che si ritrova a combattere una guerra che non ha mai cercato». Ma anche è e soprattutto una storia «d’amore antica, tra due persone che credono che una cosa rotta vada aggiustata, non buttata», narrata attraverso il filtro, umano, dei loro figli, che hanno raccontato all’autore, anche padre di tre bambini, la vita di famiglia. «A differenza dei mestieri dell’attore, dell’autore, del giornalista – spiega Cavalli – , quello di padre è un ruolo in cui ho sempre il terrore di essere inadeguato. Ma il terrore è positivo, testimonia di essere sulla buona strada».

Rossella Mungiello