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Giulio Cavalli

A proposito di Penati

Aveva promesso di rinunciare alla prescrizione e poi non l’ha fatto. Ora dice che le richieste del magistrato che ne chiede 4 anni di condanna è “preconfezionata”. Ma quello che è peggio è che alla fine Penati sembra che non lo conosca più nessuno. Mi ricordo (ero in quel Consiglio Regionale) gli atteggiamenti servili e invece ora Filippo Penati è diventato una “questione privata”. A posto così. 

Il dolore (di una madre) quando decide di restare da solo: Patrizia Aldrovandi

Ho la fortuna di avere conosciuto Patrizia Aldovrandi e immagino lo spessore degli occhi mentre ha scritto questa lettera. Se il perdono avesse una forma appuntita avrebbe la forma di questa lettera qui:

moretti-patrizia-poster-foto-federico-aldovrandi-ansa--258x258Perché rimetto le querele contro Paolo Forlani, Franco Maccari e Carlo Giovanardi

Ho perso Federico che aveva 18 anni la notte del 25 settembre di dieci anni fa per l’azione scellerata di quattro poliziotti che vestivano una divisa dello stato, e forti di quella divisa hanno infierito su mio figlio fino a farlo morire. Non avrebbero mai più dovuto indossarla.

I giudici hanno riconosciuto l’estrema violenza, l’assurda esigenza di “vincere” Federico, e una mancanza di valutazione – da parte di quei quattro agenti – al di fuori da ogni criterio di senso comune, logico, giuridico e umanitario.

Non dovevano più indossare quella divisa: nessuno può indossare una divisa dello stato se pensa che sia giusto o lecito uccidere.  O se pensa che magari non si dovrebbe, ma ogni tanto può succedere, e allora fa lo stesso, il tutto verrà ben coperto. Con la speranza che il sospetto di una morte insensata, inutile e violenta scivoli via fra la rassicurante verità di carte col timbro dello Stato, di fronte alle quali tutti si dovrebbero rassegnare. E poi con quella stessa divisa si continuerà a chiedere il rispetto di quello stesso Stato: che però sarà inevitabilmente più debole e colpevole. Come un padre ubriaco che ha picchiato e ucciso i suoi figli.

Il delitto è stato accertato, le sentenze per omicidio emesse. Invece le divise restano sulle spalle dei condannati fino alla pensione. Fine del discorso.

L’orrore e gli errori, con la morte e dopo la morte di Federico. La mancanza di provvedimenti non guarda al futuro, non protegge i diritti e la vita: non tutela nemmeno l’onestà delle forze dell’ordine.

Alla fine del percorso giudiziario che ha condannato gli agenti tutto ciò ora mi è ben chiaro: ed è il messaggio che voglio continuare a consegnare alla politica e all’amministrazione del mio Paese.

Dopo la morte di Federico, abbiamo dovuto difendere la sua vita vissuta e la sua dignità assurdamente minacciate. Era pazzesco, sembrava il processo contro Federico.

Ho chiesto risposte alla giustizia e la giustizia ha riconosciuto che Federico non doveva morire così.

Il processo è stato per me, mio marito Lino e mio figlio Stefano una fatica atroce, ma era necessario prendervi parte e lottare ad ogni udienza: ci ha sostenuti l’amore per Federico.

Su quel processo e da quel processo in tanti hanno espresso un’opinione. E’ stato un modo per crescere.

Alcuni hanno colto l’occasione per offendere me, Federico e la nostra famiglia. Qualcuno l’ha fatto per quella che ritengo gratuita sciatteria e volgarità, altri per disegni politici volti a negare o a sminuire la responsabilità per la morte di Federico.

Avevo chiesto alla giustizia di tutelarci ancora. In quel momento era l’unica strada, e non me ne pento.

Sono passati due anni dai fatti per cui ho sporto querela. Ci sono state le reazioni pubbliche e anche quelle politiche. Però poi non è cambiato niente.

Ho riflettuto a lungo e ho maturato la decisione di dismettere questa richiesta alle Procure e ai Tribunali: non perché non mi ritenga offesa da chi ha stoltamente proclamato la falsità delle foto di mio figlio sul lettino di obitorio, di chi ha definito mio figlio un “cucciolo di maiale”, o da chi mi ha insultata, diffamata e definita faccia da culo falsa e avvoltoio.

Non dimenticherò mai le offese che mi ha rivolto Paolo Forlani dopo la sentenza della Cassazione: è stati lui, sconosciuto e violento, ad appropriarsi degli ultimi istanti di vita di mio figlio. Le sue offese pubbliche, arroganti e spavalde le ho vissute come lo sputo sprezzante sul corpo di mio figlio. E lo stesso sapore ha ogni applauso dedicato a quei quattro poliziotti. Applausi compiaciuti, applausi alla morte, applausi di morte. Per me non sono nulla di diverso.

Rappresentano un modo di pensare molto diverso dal mio.

Non sarà una sentenza di condanna per diffamazione a fare la differenza nel loro atteggiamento.

Rifiuto di mantenere questo livello basato su bugie e provocazioni per ferirmi ancora e costringermi a rapportarmi con loro. Io ci sto male, per loro – credo di capire – è un mestiere.

Forlani e i suoi colleghi li lascio con le loro offese e i loro applausi, magari ad interrogare ogni tanto quella loro vecchia divisa, quando sarà messa in un cassetto dopo la pensione, sull’onore e la dignità che essa avrebbe preteso.

Un onore che avrebbero minimamente potuto rivendicare se da uomini, cittadini, pubblici ufficiali e servitori dello Stato, coloro che hanno ucciso mio figlio e coloro che li hanno sostenuti avessero raccontato la verità su cosa era successo quella notte, e non invece le menzogne accertate dietro alle quali si sono nascosti prima, durante e dopo il processo, cercando di negare anche l’esistenza di quella mezzora in cui erano stati a contatto con Federico prima dei suoi ultimi respiri.

Da Forlani e dai suoi colleghi avrei voluto in quest’ultimo processo solo la semplice verità, tutta.

Chi ha ucciso Federico sa perfettamente quale strazio sta dando ad una madre, un padre e un fratello privandoli della piena verità dopo avergli strappato il loro figlio e fratello. Nessun onore di indossare la divisa dello stato, nessun onore.

E nessun onore neanche a chi da dieci anni cerca nella morte di mio figlio l’occasione per dire che in fondo andava bene così: i poliziotti non possono aver sbagliato, in fondo deve essere stata colpa di Federico se è morto in quel modo a 18 anni.

Costruite pure su questo le vostre carriere e la vostra visibilità. Dite pure, da oggi in poi, che il mio silenzio è la vostra vittoria. Muscoli, volantini, telecamere, libri, convegni e applausi. Per dire che non c’è stato nessun problema il 25 settembre 2005. E per convincere voi stessi e il vostro pubblico che il problema l’hanno creato solo Federico Aldrovandi e sua madre Patrizia Moretti.

Vi esorto soltanto, da bravi cattolici quali vi dichiarate, a ricordare il quinto comandamento: non uccidere.

Non spenderò più minuti della mia vita per queste persone e per i loro pensieri. Mi voglio sottrarre a questo stillicidio: una fatica soltanto mia che nulla aggiungerebbe utilmente e concretamente a nessuno se non alla loro ansia di visibilità. Trovo stancante anche pronunciare i loro nomi. Inutile commentare le loro dichiarazioni pubbliche.

A dieci anni dalla morte di Federico per il mio ruolo di madre, ma anche per le mie aspirazioni e per la mia attuale visione del mondo, penso che il dedicare anche solo alcuni minuti a persone che disprezzo sia un’imperdonabile perdita di tempo. Non voglio più doverli vedere né ascoltare o parlare di loro.

Perciò ritirerò le querele ancora in corso.

Non lo faccio perché mi è venuta meno la fiducia nella giustizia, ma dieci anni sono troppi, ed è il momento di dire basta.

Non è il perdono, d’altra parte nessuno mi ha mai chiesto scusa, ma prendere atto che per me andare avanti nelle azioni giudiziarie rappresenta soltanto un doloroso e inutile accanimento.

Ritiro le querele perché sono convinta che una sentenza di condanna non potrebbe cambiare persone che  – da quanto capisco – costruiscono la loro carriera sull’aggressività e sul rancore.

Non ci potrà mai essere un dialogo costruttivo, perciò addio.

Questo non significa che verrà meno il mio impegno di cittadina per contribuire a rendere questo paese un po’ più civile, e questo impegno mi vedrà come sempre a fianco dell’associazione degli amici di Federico per l’introduzione del reato di tortura e ogni altra forma di trasparenza e giustizia.

C’è molta strada da fare: confronti, discussioni, leggi giuste. Bisogna affrontare il problema degli abusi in divisa in modo costruttivo.

Le parole e le espressioni contro Federico, contro me e la nostra famiglia le lascio alla valutazione in coscienza di chi ha avuto il coraggio di dirle. E soprattutto alla valutazione di chi se le ricorda. Io ne conservo solo il disprezzo.

Per me l’onore è un’altra cosa.

L’onore appartiene a chi ha cercato di capire, a chi ha ascoltato la coscienza e a chi ha fatto professionalmente il proprio dovere, a chi ha messo il cuore e l’arte oltre quel muro di gomma costruito attorno all’omicidio di Federico, a tutti coloro che gli dedicano un pensiero, un rimpianto, gli mandano un bacio.

Sono queste le persone che ringrazierò sempre, è grazie a loro che Federico è stato restituito al suo onore di figlio, fratello, amico, ragazzo che voleva vivere, e tornare a casa.

Patrizia Moretti

A Roma un pezzo di metropolitana costa come tutta l’Autostrada del Sole

Tra le fortune di fare il mio lavoro c’è anche quella di dedicarsi, di tanto in tanto, agli approfondimenti. Ci sono storie infatti che ci sfiorano per qualche minuto e poi magari riaffiorano dopo anni: durante l’immersione spesso si nascondono le pieghe del malaffare. E allora tocca riprendere tutto il filo dall’inizio e ricomporre la vicenda secondo logica. E’ un lavoro che spesso (purtroppo) non porta i grandi numeri delle notizie shock ma mi lascia sempre una grande soddisfazione farlo.

Oggi ci siamo occupati della Linea C delle metropolitana di Roma. Una scandalo antico. Potete leggerla qui.

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Emiliano nomina assessori a loro insaputa

Michele-EmilianoGiuro che ho sperato fino all’ultimo che fosse uno scherzo. E invece no. Michele Emiliano ha nominato assessori tre consiglieri regionali del M5S senza interpellarli. “Così nessuno può avere il sospetto di qualche inciucio”, ha dichiarato. E allora penso davvero che il neo governatore pugliese creda che siamo tutti un popolo di imbecilli, come se non sapessimo cosa ci sta dietro alla composizione delle liste, come funziona la politica (anche quella buona, delle mediazioni vere e utili).

Insomma anche Emiliano come il suo gran capo Renzi pensa che agli italiani la democrazia basta fargliela annusare.

Complimenti Michele, l’inizio è proprio dei peggiori.

 

Un post-it per Salvini: gli italiani all’estero crescono più degli immigrati

Pensa se ce li rimandassero tutti indietro. Qui l’articolo di Redattoresociale.it:

Vivere-estero-cosa-significa-per-italianiROMA – Gli italiani all’estero crescono più degli immigrati: è la prima volta in 20 anni, ovvero da quando negli anni ’90 l’immigrazione in Italia ha avuto una forte crescita. Lo rivela il Dossier statistico immigrazione 2015, la cui presentazione è prevista in autunno. I dati presi in considerazione nel nuovo rapporto a cura del centro studi Idos si riferiscono al 2014. “Un anno particolare – spiega il presidente di Idos Ugo Melchionda – che ha visto aumentare i cittadini italiani residenti all’estero (4.637.000, 155 mila in più rispetto all’anno precedente), rispetto a quello dei cittadini stranieri residenti in Italia (5.014.000), aumentati solo di 92 mila unità”. Invece, nei due anni precedenti lo stock degli stranieri residenti in Italia era aumentato di diverse centinaia di migliaia e quello degli italiani residenti all’estero di 155 mila unità nel 2013 e di 141 mila nel 2012. È aumentato anche il numero degli italiani che durante l’anno si sono cancellati dai loro comuni per andare a risiedere all’estero (89 mila nel 2014).

Questi cambiamenti, che non mancheranno di richiamare l’attenzione degli Stati Generali dell’Associazionismo italiano nel mondo, convocati a Roma per il 3 e il 4 luglio, hanno alla loro origine diversi fattori. Anche il 2014, come quello precedente, è stato un anno privo di quote di ingresso di lavoratori dall’estero, ad esclusione delle poche migliaia previste per il settore stagionale o per la conversione di permessi di soggiorno già in vigore in nuovi permessi per motivi di lavoro. Sono continuate, invece, le domande di visti per ricongiungimento familiare (60 mila), seppure in diminuzione rispetto al passato (76 mila nel 2013). Bisogna tenere conto anche dell’elevato numero di stranieri che hanno acquisito la cittadinanza italiana: da 60 mila casi nel 2012 si è passati a 100 mila nel 2013 e a 130 mila nel 2014, a quanto pare in circa 4 casi su 10 riguardanti minori che hanno ricevuto la cittadinanza per trasmissione automatica dai genitori stranieri divenuti italiani e a diciottenni nati in Italia che hanno richiesto la cittadinanza.

La popolazione complessivamente residente in Italia alla fine del 2014 (60.796.000) è caratterizzata da un’età media diventata più elevata (44,4 anni) e dall’aumentata incidenza degli ultrasessantacinquenni (21,7%), superiore anche a quella che si riscontra tra gli italiani all’estero (19,9%). Inoltre, il consistente saldo negativo tra nuovi nati e morti (rispettivamente 503.000 e 598.000) trova un equivalente solo in quello degli anni 1917-1918, allora effetto della prima guerra mondiale. Gli immigrati costituiscono un parziale temperamento a questo processo di invecchiamento perché sono mediamente più giovani degli italiani, incidono per circa un sesto sulle nuove nascite (75 mila nuovi nati da entrambi i genitori stranieri nel 2014).

Un altro notevole cambiamento è riferibile all’impennata del numero di profughi (170 mila), arrivati via mare dall’Africa e dall’Asia, seppure in buona parte interessati a raggiungere altri paesi esteri. In pratica, questi arrivi stanno sostituendo la politica delle quote in ingresso per motivi di lavoro. Si è di fronte a un vero e propriofenomeno epocale, da riferire agli sconvolgimenti in atto nei paesi di origine e alla loro transizione demografica (in Africa, nel 2050, è previsto il raddoppio della popolazione fino a 2,4 miliardi di persone). Tale fenomeno, da un lato investe le responsabilità degli organi decisionali dell’Ue e dei singoli Stati membri, e dall’altro rischia di far trascurare le prospettive di integrazione dei 5 milioni di immigrati già residenti in Italia e di favorire derive xenofobe.

Questi sono alcuni dei temi che verranno ampiamente sviluppati nel Dossier statistico immigrazione 2015. Permane la collaborazione con l’Unar, Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali presso il dipartimento Pari opportunità della presidenza del Consiglio dei Ministri e viene attivata quella con i redattori della rivista interreligiosa “Confronti”. Il Fondo Otto per Mille della Chiesa Valdese (Unione delle Chiese Valdesi e Metodiste) contribuisce al finanziamento del Dossier.

Franco Pittau, che nel 1991 fu l’ideatore del Rapporto, continuerà per il 25° anno a fornire il suo contributo, occupandosi della parte dedicata alle singole regioni. Coordinatori del rapporto saranno Ugo Melchionda, nuovo presidente di Idos, e Claudio Paravati, direttore della Rivista Confronti, mentre il direttore generale dell’Unar, consigliere Marco De Giorgi, oltre a mettere a disposizione diversi esperti per trattare i temi riguardanti le discriminazioni, con la propria rete sarà di supporto alla presentazione del Dossier, in contemporanea in tutte le Regioni all’uscita dell’annuario e, quindi, in occasione degli eventi successivi: nel 2014 ne sono stati realizzati più di 170 con il concorso degli enti locali e dell’associazionismo di ispirazione laica e religiosa.

Lo “spiegone” sul CARA di Mineo

Cara-Mineo-2015-400x215La corruzione nel nostro paese offre notizie sempre fresche ai quotidiani, e lo fa con estrema generosità. E’ utile fermarsi un attimo e precisare la storia di alcuni tra i principali attori delle inchieste in corso. Cominciamo dal CARA di Mineo.

Giornalisticamente lo chiamiamo “spiegone” ed è per chi ama approfondire. Lo trovate qui.

Lasciamo le icone (antimafia) dove stanno

Certificato-Antimafia-2012-300x300L’ultimo è il Senatore Lorenzo Diana, indagato per presunti legami con la Camorra. Il Circo dell’Antimafia è composto da professori saccenti, ombre dappertutto e una produzione seriale di simboli alla bisogna.

Eppure forse il problema sta proprio nella nostra postura di fronte alle icone. Perché essere “boss” dell’antimafia è una contraddizione in termini.

Vale la pena oggi leggere Antonio Murzio qui.

Lo spaventatore ora è spaventato. E occhio al colpo di coda.

45erAlla fine il referendum ha detto “no”. E anche se in molti stanno profetizzando scenari futuri la declinazione politica di questo risultato si vedrà solo nei prossimi giorni. Certo l’Europa ha toccato con mano quanto sia distante dal consenso e difficilmente possono convivere una maggioranza di popolo con un metodo che è minoranza reale, forte solo perché la maggioranza è invisibile.

Ora mi spaventano i colpi di coda che amplificheranno la paura. Ne ho scritto per Fanpage qui.