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Giulio Cavalli

Cosa dice Claudio Fava su Roma, PD e SEL

Si può essere d’accordo o meno con lui ma Claudio Fava non usa giri di parole. E il suo commento (che mi era sfuggito) merita una valutazione:

Quello che ci insegna il sacco di Roma

Se avete letto del sacco di Roma, avrete capito perché non sono entrato nel PD. E perché sono uscito da SEL.
Sul Partito Democratico, su quel suo personale politico tenuto a busta paga dal fascista mafioso Carminati, non ho molto da aggiungere. Aggiungo invece sulla reazione di Renzi, “…fa schifo!”, che andrebbe bene in una chiacchierata tra amici alla bocciofila ma non a Palazzo Chigi. Dal capo del governo mi sarei aspettato non una generica (e ruffiana) invettiva contro la politica corrotta ma un’agenda di lavoro per redimerla, per restituirle autonomia e dignità, per evitare la liturgia dello stupore quando i giudici (a Milano, a Roma, a Venezia) puntano il dito e il codice contro quello che tutti sapevano o intuivano. Avrei preferito che il segretario del PD spiegasse al suo partito quanto sia stato indecente, nel giorno in cui la Procura di Roma svelava l’assalto mafioso alla capitale, plaudire ipocritamente quei giudici e intanto negare al Senato la possibilità di utilizzare processualmente le intercettazioni a carico di due parlamentari democratici inquisiti. Mi sarei aspettato che Renzi commentasse l’inchiesta romana impegnando il suo esecutivo a mandare avanti quei punti di riforma sulla giustizia (prescrizione, falso in bilancio…) che la maggioranza ha depositato su un binario morto. Insomma, mi sarei atteso meno punti esclamativi e più verità. Per cui, resto fuori. Fuori da un PD che misura i rapporti di forza interni sul peso delle tessere, che avrebbe voluto il rimpasto della giunta Marino per piazzarci due nuovi assessori oggi finiti in galera, che voltava lo sguardo altrove mentre le seconde e le terze file del partito romano vendevano la città a una banda di fascisti, di mafiosi e di speculatori in cambio di una manciata di denari.
Sono uscito da SEL per motivi politici assai diversi ma per un comune sentimento di rimozione che PD e SEL ormai condividono. Penso al tenace, umiliante silenzio con cui gli alti dirigenti del mio vecchio partito hanno accompagnato le cronache di questi giorni. Non una parola preoccupata di Vendola sul fatto che tra gli amministratori distratti di Roma ci fossero anche quadri del suo partito. Non un accenno di autocritica rispetto alle ombre che attraversano le carte di questa inchiesta. Non un pensiero chiaro, netto, forte sui silenzi di SEL che questa città l’ha amministrata assieme e accanto al PD. Per un partito nato sull’esigenza di rimettere la questione morale al centro della propria missione (era scritto così nell’atto costitutivo che io firmai cinque anni fa) questa improvvisa timidezza, questo garbatissimo silenzio sono un segno desolante. In altri tempi, il gruppo dirigente di SEL avrebbe lanciato una campagna politica sul sacco di Roma prendendosi giorno per giorno le piazze, reclamando fino in fondo chiarezza e verità, analizzando senza sconti con nomi e cognomi il sistema di potere politico mafioso romano (che purtroppo, dicono le carte dell’inchiesta, non era una metastasi circoscritta solo alla destra). Adesso, invece, poco o nulla. Come se questa vicenda non rappresentasse per tutti una tragedia democratica, il segno di una deriva drammatica, di una politica stracciona e serva, di una pubblica amministrazione ridotta a bottino di guerra per bande e cosche mafiose.
Eppure è proprio su questo punto, sulla priorità di una questione morale non più delegata ai tribunali, che oggi a sinistra si apre uno sterminato spazio politico. Volerlo ignorare per privati pudori o per pubbliche convenienze non è solo un peccato: è una fuga. Per questo non riesco a ritrovarmi nelle forze politiche della sinistra italiana, per come sono oggi. Ma non rinuncio a credere che il dovere di ritessere – qui, a sinistra – una tela, proprio a partire dall’autonomia della politica, appartenga a tutti noi, nessuno escluso.

Posted by Claudio Fava on Lunedì 8 dicembre 2014

Quelli che non dicono niente al Papa

ox281290398287734180Tacere al Papa che una somma di 30 milioni dell’ospedale Bambino Gesù proveniente da fondi pubblici italiani sarebbe stata utilizzata per l’acquisizione dell’Idi. Lo suggerisce il cardinal Giuseppe Versaldi, ora prefetto dell’Educazione Cattolica, in una conversazione telefonica con il manager Giuseppe Profiti intercettata nell’ambito dell’inchiesta sul crac della Casa della Divina Provvidenza.

Nella conversazione del 26 febbraio 2014, Versaldi, delegato pontificio per la Congregazione dei Figli dell’Immacolata e allora anche presidente della Prefettura degli Affari economici della Santa Sede, e Profiti, presidente del Bambino Gesù e commissario straordinario della Provincia italiana dei Figli dell’Immacolata, proprietaria dell’Idi, affermano: Profiti: «Pronto! Ciao don Giuseppe!». Versaldi: «Ciao. Senti. Ci riceve stasera alle diciannove il Papa». Profiti: «Ma chi ci?». Versaldi: «Il Papa». Profiti: «Aaah! O mio Dio!». Versaldi: «Tu puoi?». Profiti: «Io certo! E ci mancherebbe!». Versaldi: «Bene. Ci troviamo…sì». Profiti: «Eh! Cosa devo…». Versaldi: «Passi…». Profiti: «…dire? Fare? Portare?». Versaldi: «No. Ma poi introduco io come delegato. E poi tu dici le cose che hai detto ieri sera». Profiti: «Ah! Cos’è che dovevo saltare? Che me ne sto andando in paranoia?». Versaldi: «Ma diceva…no! Mi pareva… mi pare no?». Profiti: «Ah!». Versaldi: «ehm…ehm…devi tacere che questi trenta milioni …». Profiti: «Sì. Sì. Sì. Sull’intervento, sì.». Versaldi: «Sono stati dati per l’I.d.i. E dire semplicemente che, come ogni anno, oltre ai cinquanta sono stati dati trenta per il Bambino Gesù, senza…ah… ah…una…» Profiti: «Vincolo di destinazione». Versaldi: «…una…una…una destinazione,no?». Profiti: «Ho capito. Ho capito». Versaldi: «Eh…eh …». Profiti: «Sì. Se no bisognerebbe spie…ah! Ecco! Tu dici che è meglio così». Versaldi: «A meno che Lui sappia, sappia diversamente». Profiti: …incomprensibile… Versaldi: «Possiamo dire così. Poi vediamo». Profiti: «Sì. Sì. Lo possiamo dire». Versaldi: «Poi puoi dire che poi è intervenuto il Presidente, sapendo che avevamo queste…ma solo se Lui chiede, no?». Profiti: «Sì, sì, sì. Se chiede..». Versaldi: …incomprensibile… Profiti: «Beh! In fondo è stato un caldeggiamento, di quello di salvare l’I.d.i, insomma». Versaldi: «Eh!». Profiti: «Posso saltare i dettagli tecnici ecco! Del colloquio col Presidente». Versaldi: «Ecco! Sì! Va bene. Puoi dire che tu… il Presidente per salvare…». Profiti: «Se te lo chiede però». Versaldi: «Sì».

(fonte)

#TifiamoScaRamouche e i Wu Ming che “regalano” libri

terracantaNon ne ho mai scritto ma li seguo da sempre. Qui in rete dove tira tantissimo fingere di avere davvero un blog con dietro una comunità i Wu Ming (per chi non sapesse di cosa sto parlando basta andare qui) sono una comunità con solo dopo dietro un sito. E in mezzo a tanta spazzatura letteraria gratuita i Wu Ming curano pubblicazioni che sono professionali. Nel senso quello bello: professare i propri valori nel proprio mestiere. Per questo credo che valga la pena leggere i quattro volumi che hanno rilasciato proprio oggi.

Sono belli, prima che gratis. E così poi magari comprate anche i libri quelli veri.

Trovate tutto qui.

La bufala degli immigrati negli alberghi (ovvero l’ennesima puntata sulle bugie di Salvini)

Schermata-06-2457190-alle-10.44.08Oggi essere buoni è una nuova forma di resistenza. In tempo di machismo che ha sdoganato bugiardi, stupidi e razzisti circolano delle bugie costruite ad arte per toccare la pancia degli indignati a tutti i costi che scaricano spesso i propri fallimenti sociali su un nemico qualsiasi. Il Post, per fortuna, ha smontato una volta per tutte la favola degli hotel di lusso che accoglierebbero i migranti secondo la fantasia popolare leghista:

Il sistema di accoglienza in Italia è articolato e complicato, e non è molto chiaro a quali strutture faccia direttamente riferimento Salvini quando parla di “hotel di lusso”. Sul sito del ministero dell’Interno si dice:

«i cittadini stranieri entrati in modo irregolare in Italia sono accolti nei centri per l’immigrazione dove ricevono assistenza, vengono identificati e trattenuti in vista dell’espulsione oppure, nel caso di richiedenti protezione internazionale, per le procedure di accertamento dei relativi requisiti».

Queste strutture si dividono in: centri di primo soccorso e accoglienza (Cpsa), centri di accoglienza (Cda), centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) e centri di identificazione ed espulsione (Cie).

I Cpsa accolgono i migranti al momento del loro arrivo in Italia. Qui vengono fornite le prime cure mediche necessarie, vengono fotosegnalati, possono richiedere la protezione internazionale e poi, a seconda della loro condizione, vengono trasferiti nelle altre tipologie di centri. I centri di accoglienza (Cda), dice il ministero, «garantiscono prima accoglienza allo straniero rintracciato sul territorio nazionale per il tempo necessario alla sua identificazione e all’accertamento sulla regolarità della sua permanenza in Italia». Chi richiede la protezione internazionale viene invece inviato nei centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara), per l’identificazione e l’avvio delle procedure necessarie. Chi non fa richiesta di protezione internazionale o non ne ha i requisiti viene trattenuto infine nei centri di identificazione ed espulsione (Cie). Va precisato che queste stesse strutture, per le quali è fissata per legge una durata massima di permanenza, vengono invece utilizzate anche come centri di accoglienza di lunga durata.

Parallelamente a queste strutture ci sono i centri del cosiddetto Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) per i richiedenti asilo, rifugiati e destinatari di protezione sussidiaria. Lo Sprar è stato istituito nel 2002 in seguito a un accordo stipulato dal ministero dell’Interno, dall’ANCI e dall’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (UNHCR), che hanno cercato di mettere ordine nei programmi di accoglienza in precedenza gestiti a livello locale. Il ministero dell’Interno emana periodicamente un bando per l’assegnazione dei posti, gli enti locali interessati – con le organizzazioni del terzo settore selezionate a livello locale – partecipano al bando e i progetti vengono approvati se “idonei” in base a una serie di parametri piuttosto rigidi. In pratica, enti locali e associazioni mettono a disposizione dei posti letto e lo Stato sceglie di quali usufruire attraverso un bando, che tiene conto dei costi e di altri criteri. Secondo i dati del ministero dell’Interno i posti finanziati per gli anni 2014-2016 sono 20.744: tra questi rientrano anche, tra le varie strutture, alcuni alberghi. Nella grandissima parte dei casi, stando alle informazioni disponibili, si tratta di strutture distanti dagli hotel in cui si passano le vacanze (tanto che i loro gestori hanno deciso di destinarle allo Sprar invece che al pubblico): ma vengono considerate comunque tra le migliori e più adeguate sistemazioni che lo Stato oggi possa mettere a disposizione di chi richiede asilo e protezione.

C’è infine un ultimo tipo di centri. Nel tempo sono nate infatti altre strutture per l’accoglienza in contesti “straordinari” che hanno assunto via via nomi differenti: ci sono stati i centri Ena per far fronte alla cosiddetta “emergenza nord-Africa” nel 2011 o, in anni più recenti, i Cas (Centri di accoglienza straordinari). Di volta in volta si è dato mandato alle prefetture di trovare strutture per l’accoglienza: palestre, alberghi, appartamenti, B&B e altri posti sparsi in tutta Italia e gestiti da cooperative, associazioni e soggetti del terzo settore.

Queste strutture “informali”, nate a fronte di un’emergenza, vengono messe a disposizione per un’accoglienza che si limita a garantire il vitto e l’alloggio e sono state molto criticate: ma non perché si tratti di strutture lussuose, bensì in molti casi per il motivo opposto. Nonostante queste strutture siano state “attivate” per un’accoglienza di emergenza, e dunque si presume di breve durata, diventano in molti casi posti in cui i richiedenti asilo trascorrono settimane senza che siano garantiti loro servizi fondamentali, come quello per esempio dell’assistenza sanitaria e legale. In molti casi, poi, si tratta di strutture inadeguate: il Tropicana, un vecchio night club a Ragusa, ne è un esempio. In questo video di Al Jazeera si vede chiaramente che non si tratta di un albergo di lusso

L’articolo completo è qui.

 

A casa loro!

Per rendere l’idea, una cartolina da “casa loro”:

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Per chi volesse informarsi basta googlare.

Un avviso importante per i coproduttori del #crowdfunding #lamicodeglieroi

(Ah, come l’avviso delle bollette: chi ha pagato non tenga conto di questo post, eh.)

Non ci credeva nessuno, anzi ci hanno anche detto che sarebbe stata una spericolatezza che avrebbe rischiato di farci fare una brutta figura e invece lo spettacolo teatrale “L’amico degli eroi” e il suo libro sono ufficialmente prodotti interamente da libere donazioni di cittadini. Nelle prossime ore invieremo il materiale su cui stiamo lavorando per sapere cosa ne pensate e dialogarne insieme. PER IL PAGAMENTO: Bonifico Bancario: IT62B0877134060000000900439 intestato a “Bottega dei Mestieri Teatrali”. Oppure con Carta di Credito attraverso Paypal cliccate (o copiate e incollate sul vostro browser) https://www.paypal.com/cgi-bin/webscr?cmd=_s-xclick&hosted_button_id=KYRGCTYCDZJ3S

Vi chiedo di inviare le ricevute dell’avvenuto pagamento a spettacoli@giuliocavalli.net

Per qualsiasi dubbio siamo a disposizione.

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Dove vanno i buoni quando non sono in stazione?

085635719-7673187f-9df7-4cc6-80e2-27bfa8e1f8d4Sono rimasto incagliato in un paio di inchieste e ho avuto poco tempo per scrivere. Ma ci sono. E la notizia che mi porto in tasca di questi giorni è la grande (quasi ingestibile) solidarietà vista a Milano e Roma per aiutare i migranti arrivati in Italia. Cibo, pannolini, vestiti, giocattoli e accoglienza in tutte le sue forme. Sarà che il nostro giornalismo ha disimparato il vocabolario della tenerezza ma molti articoli che hanno raccontato questa rivoluzione gentile sembrano quasi cigolare d’imbarazzo, come se i sinonimi dell’umanità fossero stati chiusi a chiave convinti di non doverli mai più usare.

Ecco allora io mi chiedo: dove sono tutte queste meravigliose persone? Dove sono state? Chiuse in casa non credo, non avrebbero potuto sopportare il putridume diventato talk-show. Cosa pensano di questa muscolosità lessicale che ha conquistato tutti i “leader” politici? Perché tacciono di fronte a questo razzismo ignorante e proprio perché ignorante ancora più pericoloso? Come rispondono ai luoghi comuni che strisciano negli uffici, sull’autobus, tra la gente? Ma soprattutto: cosa votano?

Perché io sono sicuro che se ci fosse una forza politica che riuscisse a rappresentare quella bontà che abbiamo incrociato fuori dalle stazioni questo sarebbe un Paese migliore. Io voglio iscrivermi al movimento di quelli lì.