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Giulio Cavalli

Mafia Capitale: i beni del “povero” Buzzi

mafia360ed06231_44285223_300Il nuovo provvedimento di sequestro, emesso dal Tribunale di Roma – Sezione Misure di Prevenzione, eseguito da parte del Gico del Nucleo di Polizia Tributaria, riguarda le quote societarie, il capitale sociale e l’intero patrimonio aziendale, ivi comprese le disponibilità finanziarie, della Sarim immobiliare S.r.l., con sede a Roma, in Viale Palmiro Togliatti n. 1639, operante nel settore della “locazione immobiliare di beni propri”. La società, legalmente rappresentata e partecipata (quota del 6%) da Emanuela Bugitti, anch’essa già colpita da ordinanza di custodia cautelare in data 2 dicembre 2014 e 4 giugno 2015, nonché dallo stesso Buzzi Salvatore (quota del 6%) e da Guarany Carlo Maria (quota 1%), risulta controllata dalle note cooperative “29 Giugno Coop. Sociale Onlus”, per il 48%, e “Formula Sociale a r.l. Onlus”, per il 4%, entrambe già cadute in sequestro il dicembre scorso. Il patrimonio detenuto dalla Sarim immobiliare S.r.l. si sostanzia in disponibilità finanziarie, partecipazioni societarie e, soprattutto, in una unità immobiliare di ben 2.750 mq, ubicata a Roma, in via Santa Maria di Loreto n. 35, utilizzata dalle cooperative di Buzzi quale casa di accoglienza, dedicata a categorie protette (donne, minori, rifugiati e richiedenti asilo). Il valore dei beni oggi cautelati ammonta a circa 16 milioni di euro, portando il sequestro totale dei beni cautelati nell’ambito dell’operazione “Mondo di mezzo” ad oltre 360 milioni di euro. Prosegue, ininterrottamente, da parte del Tribunale di Roma e della Guardia di Finanza, il recupero di spazi di legalità economica.

Buzzi, 59 anni e un passato nell’estrema sinistra, sarebbe, secondo i magistrati, uno dei due “boss” della presunta associazione a delinquere. Finito in carcere nel 1980 per l’omicidio di un suo socio in affari, era uscito prima del tempo, nel 1994, per via della grazia concessagli da Oscar Luigi Scalfaro. E, proprio in quegli anni di galera, aveva conosciuto l’altra persona che sarebbe a capo del presunto sodalizio criminale, Massimo Carminati, ex terrorista di estrema destra molto vicino, in passato, alla banda della Magliana. Uscito di prigione, Buzzi aveva fondato la “29 Giugno”, una cooperativa di ex-carcerati, e, nel corso degli anni, era diventato anche il direttore di un consorzio di cooperative che gestivano campi rom, centri di accoglienza per migranti e anche alcuni punti verde qualità. Buzzi e Carminati, secondo i magistrati, avrebbero ottenuto diversi appalti grazie alla corruzione di politici e amministratori.

(fonte)

L’aeroporto di Firenze e l’aggiramento delle regole

Un articolo prezioso di Paolo Baldeschi:

aereoporto-firenze-duomoLa storia si ripete, e quanto sta accadendo oggi per il progetto del nuovo aeroporto di Firenze è un film già visto. Si tratta del ‘remake’ di un soggetto scritto a più mani, così apprezzato da essere riproposto in ogni occasione utile. Ma quale è il soggetto del film? E’ la solita grande opera infrastrutturale che ahimè, per volere di ‘fastidiose leggi’ che lo Stato italiano (come d’altronde tutti gli Stati europei) ha emanato in applicazione di direttive comunitarie, deve essere sottoposta a un giudizio di compatibilità ambientale. Ma potrà mai ciò accadere per le infrastrutture che il potere ritiene irrinunciabili per lo sviluppo? Certo che no! Un sistema collaudatissimo ha prodotto un complicato ma perfetto intreccio di relazioni e competenze che garantisce alle opere di uscire vincitrici nella competizione con le valutazioni, come uno slalomista tra i paletti.

Il problema è che le ‘non valutazioni’, perché di ciò si tratta, producono spesso effetti devastanti. Ha fatto scuola in tal senso l’alta velocità – nel sottoattraversamento appenninico – dove a seguito di ripetute segnalazioni da parte dei tecnici in merito alla probabilità che la realizzazione delle gallerie ferroviarie potesse intercettare l’acquifero e alla necessità, perciò, di approfondire le conoscenze in tal senso, la politica (tutta) ha, nel supremo interesse collettivo, approvato l’opera dando mandato affinché – ed ecco le parole magiche – “nelle successive fasi autorizzative” si verificasse la sussistenza di tale criticità. Et voilà, con la semplice frase “nelle successive fasi autorizzative” si è realizzata l’intuizione capace di sovvertire l’applicazione delle regole poste a tutela dell’ambiente e della salute pubblica. Perche è bene ricordare – a riguardo – che gli acquiferi del Mugello sono stati effettivamente intercettati dalle gallerie, che fiumi, torrenti e sorgenti si sono effettivamente seccati; e, udite udite, la Regione Toscana si è costituita parte civile nel processo per disastro ambientale; sì proprio quella Regione che anni prima, in sodalizio con l’allora Ministro delle infrastrutture Matteoli, aveva approvato il progetto TAV convenendo che soltanto “nelle successive fasi autorizzative” si sarebbe dovuto verificare se avevano una base di fondatezza le preoccupazioni ambientali poste da coloro che oggi è di moda chiamare ‘gufi’.

Ma torniamo alla procedura di VIA del nuovo aeroporto di Firenze in corso. Questa sta seguendo lo stesso sistema collaudato di aggiramento delle leggi e delle regole. Il primo passo è che il proponente presenti un progetto preliminare/definitivo, operazione impossibile solo per gli ingenui. Il significato autentico è che il progetto entra nella VIA come ‘preliminare’ e ne esce come ‘definitivo’. Come? Con un secondo passo: la commissione VIA, invece di chiedere integrazioni e chiarimenti – atti ufficiali che interromperebbero la procedura e che richiederebbero risposte e approfondimenti altrettanto ufficiali – ‘contratta’ le modifiche del progetto con il proponente; e, in effetti, per quanto risulta, la Commissione Via non ha richiesto nessuna integrazione del materiale del Master Plan aeroportuale per quanto lacunoso, né lo farà la Regione, Toscana, né lo ha fatto il Comune di Firenze, ovviamente sponsor del progetto, che ha trasformato le proprie osservazioni in “prescrizioni realizzative”.

Le “prescrizioni realizzative”, un’invenzione senza alcun fondamento giuridico, spiegano il terzo fondamentale passo del “sistema”. L’amministrazione – tanto per fare un esempio – invece di chiedere le necessarie integrazioni degli studi e dei modelli di valutazione del rischio idraulico, perché basati su dati non aggiornati, dirà che “nelle successive fasi di realizzazione del progetto si dovrà approfondire l’eventuale necessità di disporre di dati più aggiornati”. E così si arriva al progetto esecutivo ‘non valutato’, con ritardi, interruzioni non previste, proteste, costi triplicati da scaricare sui contribuenti; e con il rischio di ripetere i disastri del Mugello.

Questo sistema è stato seguito dalla Commissione VIA con l’intermediazione e il patrocinio di ENAC nel corso degli anni per tutti i progetti aeroportuali soggetti a studio di impatto ambientale. E, ovviamente, nonostante l’allarme della pagina locale di Repubblica (colpo di scena! Palazzo Vecchio fa le bucce all’aeroporto!) le “prescrizioni realizzative” del Comune di Firenze sono state favorevolmente accolte dal proponente Adf che ha annunciato di volere avviare i lavori entro agosto, anticipando come favorevoli i pareri della Regione e degli altri enti interessati; e sottintendendo che le valutazioni (serie) non sono altro che un evitabile intralcio a decisioni già maturate.

Le opache e tortuose vicende del nuovo aeroporto di Firenze non fanno altro che ripetere un copione collaudato: aggiramento delle regole poste a tutela della sicurezza e della salute delle popolazioni, vanificazione dei processi partecipativi, decisioni prese dall’alto e gestite dall’alto, pubblicità sui giornali al posto di analisi serie. Il tutto con la complicità delle istituzioni e delle amministrazioni pubbliche; nel silenzio della stampa che riporta solo entusiastiche dichiarazioni a supporto del nuovo aeroporto. Non c’è da stupirsi che la ‘politica’ sia sempre più sentita come una collusione tra potenti, estranea e contraria agli interessi dei cittadini.

Per non candidare impresentabili ne eliminano la definizione. Geni.

Non avevo nessun dubbio sul fatto che qualcuno si applicasse a modificare il regolamento per cui la Commissione Antimafia (e non Rosy Bindi, come vorrebbero farci credere) stila l’elenco degli “impresentabili”. E infatti nell’ultima seduta sembra (a leggere sia Il Fatto Quotidiano che il Corriere della Sera, quindi due organi un po’ “distanti”) che a qualcuno si venuta la brillante idea di cambiare le regole per non essere costretti a cambiare le persone.

Geni. Al solito.

Quelli che esportano il sesso in cambio della democrazia. E la chiamano pace.

Puoi trovare sinonimi della parola guerra ma dentro ci sono sempre tutte le sue stesse brutture:

53DA4DBF8CB9BB88B4E68AA8C68ASesso in cambio di cibo, telefonini, scarpe e profumi: secondo un rapporto choc dell’Onu, condotto dall’Oios, i servizi di investigazione interna del Palazzo di Vetro, i caschi blu hanno commesso «in modo abituale» abusi nei Paesi in cui sono stati schierati, pretendendo prestazioni sessuali in cambio di denaro o oggetti “lussuosi”. «Le prove emerse in due missioni di peacekeeping dimostrano che le richieste di prestazioni sessuali sono piuttosto comuni ma tenute sotto traccia», denuncia il documento, che è datato 15 maggio e di cui l’Associated Press è entrata in possesso. Le denunce di abusi sessuali sono 480 in un periodo compreso fra il 2008 e il 2013 e riguardano soprattutto le missioni nella Repubblica Democratica del Congo, in Liberia, Haiti, Sudan e Sud Sudan. Secondo il rapporto, inoltre, un terzo dei casi di sfruttamento e abusi coinvolge minori di 18 anni.

Ad Haiti, ad esempio, ben 231 persone – che sono state appositamente intervistate – hanno ammesso di aver avuto «relazioni sessuali» con il personale di peacekeeping in cambio di «gioielli, scarpe, vestiti, biancheria intima, profumi, cellulari, televisioni e, in alcuni casi, laptop». Chi cercava di sottrarsi al commercio veniva ricattato. A Monrovia un’indagine su 489 donne ha svelato che più di un quarto della popolazione femminile locale ha avuto scambi sessuali con i peacekeepers. Il documento punta il dito anche contro i civili che fanno parte delle missioni Onu: malgrado rappresentino solo il 17% del personale, risultano coinvolti nel 33% delle accuse. Il rapporto finale dovrebbe essere pubblicato lunedì e arriva a circa un mese dallo scandalo dei presunti abusi commessi dai soldati francesi sui minori nella Repubblica Centrafricana, accusati di aver stuprato anche bambini di nove anni.

(fonte)

A Pogliano c’era il boss ma nessuno se n’è accorto

image“Qui non c’è pressione. Ti conoscono… ma non ti conoscono… ti vedono lavorare e non sanno quello che tu sei. Ti vedono sotto un’altra ottica”. Sono le considerazioni di Giovanni Nuvoletta, 46 anni, il presunto boss della camorra arrestato mercoledì mattina nella sua casa a Pogliano Milanese. L’intercettazione del dicembre 2013 conferma che Nuvoletta junior, figlio del defunto boss Lorenzo, storico padrino dell’omonimo cartello camorristico di Marano di Napoli, consapevole del “timbro di mafiosità” legato al suo cognome in tutta la Campania, nel 2011 si trasferisce al Nord con la famiglia per continuare i suoi affari illeciti. Sceglie la Lombardia, dove nessuno conosce la storia della sua famiglia. “In Campania sei visto male in partenza”, aggiunge Giovanni. A Pogliano quando arriva non lo conosce nessuno. Fino a mercoledì mattina, quando viene arrestato dai finanzieri del Comando Provinciale di Milano con l’accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso, traffico internazionale di stupefacenti, reimpiego di capitali illeciti e trasferimento fraudolento di valori. Qui apre il locale “AMOzzarella”, un ristorante-pizzeria con annesso caseificio, sempre molto frequentato. In paese si muove come una persona qualunque, con villa e capannone, in una delle strade del centro.

Imprenditore irreprensibile anche per il sindaco Vincenzo Magistrelli: “Quando mercoledì mattina ho appreso dagli organi di informazione la notizia dell’arresto di Nuvoletta sono rimasto senza parole – spiega – l’ho conosciuto tramite l’ufficio tecnico, quando hanno aperto la loro attività alcuni anni fa. Ci sono stati dei problemi in merito ai posteggi e all’occupazione del suolo pubblico, ma hanno messo a norma il locale nel rispetto delle Leggi senza problemi. È gente che non ha mai dato fastidio. Non abbiamo mai ricevuto segnalazioni per episodi di disturbo della quiete pubblica. A differenza di altri locali presenti sul territorio del loro ristorante mai nessuna nota negativa”. Certo. Il presunto boss della camorra non poteva permettersi di avere in giro nel ristorante controlli e polizia locale per un tavolino di troppo messo sul marciapiede e così ha «messo tutto a posto». Non sapeva che la Guardia di Finanza, invece, lo conosceva e stava indagando sui traffici di droga e su come aveva reinvestito nell’economia legale gli illeciti proventi, trasformandosi in dinamico imprenditore nel settore della ristorazione lombarda. Il locale chiuso mercoledì mattina dopo il blitz dei finanzieri ha riaperto in serata. Ma ora anche a Pogliano tutti sanno chi è Nuvoletta.

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Sarebbe onesto (a proposito di corruzione e Expo)

Renzi che (di fianco a Maroni, per dire) dichiara “guerra senza quartiere ad inefficienze e corruzione” è il protoleghismo rivestito di centrosinistra. Anche perché sarebbe bello che qualcuno ammettesse che Expo è stato pensato dalla Moratti e Formigoni (l’impreparazione e il familismo paracattolico), poi è passato sotto qualche governo “en passant” per finire poi com’è finito (con McDonald’s e Farinetti a fare le facce dell’agricoltura). Ecco: l’annuncio di Renzi di oggi (sempre con Maroni di fianco, per dire) è come l’allenatore di una squadra retrocessa che promette uno scudetto. E invece già sta giocando nel campionato di quelli che perdono meglio.

Santa Madia, la signora dell’acqua

Mentre in pochi se ne accorgono il Ministro della funzione pubblica completa il disegno di privatizzare l’acqua. Alla faccia nostra e del referendum. E così nel nostro prossimo numero di Left ci è scappata la copertina. In edicola da sabato.

Il sommario del numero è qui.

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Umberto Eco, internet, gli imbecilli e gli stupidi e io che forse sono imbecille anch’io

Sta facendo molto discutere l’uscita con cui Umberto Eco ha dichiarato che internet ha concesso il diritto di parola agli stupidi. Io personalmente conosco moltissimi scrittori scemi, antimafiosi cinici e vanesi, attori incapaci ma onnipresenti, giornalisti servi ma anche finti panettieri che sono veri ‘ndranghetisti, preti evasori, divorziati innamorati e anche coppie salde e cornificate; ho incrociato politici corrotti, professori egoisti e presuntuosi, presunti “salvatori della patria” pronti a vendere la propria madre, un tassista che rilascia tutte le ricevute ma anche un avvocato che mi ha chiesto soldi in nero e poi magistrati severissimi con gli altri (e mai con se stessi) e giudici seri in mezzo ad altri giudici molto superficiali. Ho incontrato di tutto, come tutti. E forse, semplicemente, questi hanno anche un profilo social. Forse. Mi viene da pensare. Se non sono un imbecille.

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“Vittorio Mangano portava fiumi di miliardi a Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi”

berlusconi-mangano-dellutri“Vittorio Mangano negli anni Settanta portava fiumi di miliardi da Palermo a Milano. Erano soldi del traffico di droga di cosa nostra che Mangano consegnava a Marcello Dell’Utri, poi Dell’Utri li consegnava a Berlusconi che li investiva nelle sue società, mi pare anche per Milano due”. Lo ha detto il pentito di mafia Gaetano Grado parlando, in videoconferenza, al processo sulla trattativa tra Stato e mafia, in corso all’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo. “La mafia ha bisogno di investire – continua Grado – Siccome i soldi della droga erano talmente tanti che non si sapeva più quanti fossero, Mangano esportava fiumi di denaro su a Milano”.

Il pentito aggiunge: “Li dava a Dell’Utri che li investiva nelle società di Berlusconi. Questa cosa me la disse Vittorio Mangano. Non si parla solo di alcuni miliardi ma di svariati miliardi. Mangano mi diceva che andava in macchina, ma io non chiedevo che macchina era, perché in Cosa nostra meno domande si fanno e meglio è”.

Grado spiega anche di quando conobbe Mangano, morto qualche anno fa. “L’ho allevato io Vittorio Mangano – dice – L’ho conosciuto intorno al ’69, era un poveraccio, un nullatenente, sposato con due figlie. Me lo sono messo vicino, l’ho aiutato, di tanto in tanto mi facevo accompagnare in macchina a Milano a trovare mio fratello. Quando tornavamo gli davo 1,5 milioni di lire. Si era attaccato molto a me. Lui commerciava in bestiame. Fu Girolamo Guddo a presentarmelo, insieme con Giovanni Lo Cascio. Mangano non era uomo d’onore all’epoca, lo è diventato dopo avere conosciuto me. Era una persona scaltra, aveva capito che ero un uomo d’onore. Quando andavo in giro, molta gente mi vedeva e mi faceva festa. Si era avvicinato nella speranza che venisse messo in famiglia. Poi diventò compare di mio fratello Antonino”.

(clic)

 

 

‘Ndrangheta: quel buco di Comune che è Fino Mornasco

ndrangheta-la-difesa-sminuisce-le-condanne_9f419dac-049e-11e5-8f48-00bf64dd3093_512_512_new_square_mediumLa vicenda è la tipica storia lombarda: tutti abbaiano che la mafia non esiste, si comincia accusando chi parla di mafia di delazione, si passa al “non sapevo” e si arriva al classico finale del “avevamo paura”. Il comune è Fino Mornasco e il sindaco è Giuseppe Napoli, già finito sotto i riflettori (quelli sbagliati) per alcuni contatti tra suoi uomini della maggioranza e il clan di ‘ndrangheta che a Fino detta legge, quello di Michelangelo Chindamo, per cui sono già stati chiesti 20 anni di carcere in seguito all’operazione Insubria.

A Fino c’è un bar, il bar Da vinci, riconducibile proprio agli uomini di mafia (e nonostante questo sempre ben frequentato, ovviamente) e il Sindaco Napoli  aveva deciso qualche tempo fa di emettere un’ordinanza per anticipare l’orario di chiusura di tutti i bar del comune per venire incontro alle richieste dei cittadini che lamentavano rumori molesti fino a tardi. Fin qui tutto fila. Fin qui.

Poco tempo dopo il sindaco decide di emettere una nuova ordinanza per posticipare l’entrata in vigore della precedente. Perché? Lo spiega lui stesso ai Ros:

«È vero  il timore degli uomini dei clan “ha condizionato le mie scelte. Ho deciso di procedere con la nuova ordinanza per paura. Ero terrorizzato”. E prosegue: “non che ci fossero minacce esplicite […] ma temevo che mi sarebbe successo qualcosa se avessi leso gli interessi” di persone note per essere vicine alla criminalità calabrese.»
Non contento il giorno successivo rilasci un’intervista (la trovate qui) in cui rincara la dose:
“Spari, incendi, bombe. Non avrei dovuto avere paura?”
Ora, lasciando perdere questi negazionisti che poi si ricredono e negano di avere negato, rimane il punto: ha certamente diritto di avere paura il sindaco, per carità, ma la città si merita comunque un sindaco non condizionabile. O no?
Alla Prefettura l’ardua sentenza.