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Giulio Cavalli

Strage Borsellino: il depistaggio si fa Stato

scarantino-675.jpgIo non riesco a capire perché il falso pentito Scarantino (che in questi giorni sta rilasciando delle deposizioni incredibili sugli uomini di Stato che l’hanno costretto a dichiararsi colpevole per l’omicidio del Giudice Paolo Borsellino) passi sotto tutto questo silenzio. Non riesco davvero a capire perché un’Antimafia di Governo che si strilla in faccia per De Luca finga di non vedere e di non sapere che la verità sulla morte di Falcone e Borsellino finora non è altro che la sabbia di una menzogna di fango. E nemmeno le grandi associazioni antimafia, quelle che non lesinano una parola di comprensione a nessuno pur di essere onnipresenti, alzano la voce. Questo è un Paese che non riesce a cercare la verità. Nemmeno adesso che dovrebbe essere molto più semplice e invece si continua a stare zitti. E quando lo Stato sta zitto sulle mafie significa che è ancora ricattabile da loro. E questa cosa, lo confesso, mi fa volare via dalla rabbia e dalla disperazione perché significa che le radici del potere sono sempre le stesse.

Ecco l’articolo de Il Fatto:

“Lo sapevano tutti che ero un falso pentito. Lo dicevo anche ai pm che io, con l’omicidio del dottor Borsellino, non c’entravo nulla”. L’esame di Vincenzo Scarantino nel Borsellino Quater è andato avanti per tre giorni, con pazienza gli inquirenti stanno ricomponendo un puzzle impossibile. E’ la fotografia di un clamoroso depistaggio di Stato ciò che per 20 anni si è nascosto dietro la strage di via D’Amelio.

L’ex picciotto della Guadagna racconta che l’allora procuratore generale di Caltanissetta, il dottor Giovanni Tinebra, provava a lenire il suo senso di colpa spiegandogli che avrebbe dovuto prendere la sua falsa collaborazione come un lavoro, mentre la dottoressa Anna Maria Palma lo consolava spiegandogli che i nomi che lo spingevano a fare, nella fantasiosa ricostruzione della strage, erano comunque colpevoli di altri crimini. Dichiarazioni pesanti, a Scarantino trema la voce, ma è stanco di mentire, è stanco di fingere e più volte in aula scoppia a piangere. “Mi sento addosso 130 anni. Credetemi, ho visto di tutto nella mia vita, imploro pietà, vorrei solo essere lasciato in pace”. Enzino dice di aver paura, lascia intendere di subire ancora pressioni, ma su domanda specifica, dopo un lungo silenzio, con un filo di voce aggiunge “è meglio che non parliamo di queste cose”.

Allora si parla d’altro, si torna indietro nel tempo e dei suoi rapporti con gli uomini del gruppo Falcone-Borsellino. “Il dottor Bo voleva che mi accollassi anche un duplice omicidio. Ricordo che era stato ucciso un poliziotto insieme alla moglie in cinta”. E’ l’omicidio, tutt’oggi avvolto nel mistero, di Nino Agostino e della sua giovane sposa. Una dichiarazione che completa ciò che il papà di Agostino, appena un anno fa aveva pubblicamente denunciato. “Nella disperata ricerca di Faccia da Mostro, nel 1990 il dottor Arnaldo La Barbera mi ha convocato diverse volte in questura per mostrarmi delle fotografie dei possibili autori dell’omicidio di mio figlio. Tutte le volte puntava il dito su un tipo biondino che non avevo mai visto prima. Solo dopo la strage di via D’Amelio, quando vidi in televisione il volto del pentito cardine di quel processo riconobbi che si trattava di Scarantino”.

Un fantoccio perfetto, ignorante, emarginato e ricattabile. Pronto all’uso per qualsiasi crimine da insabbiare, mistificare o depistare. E’ questo il profilo di Scarantino che emerge dall’ultima udienza del Borsellino quater. “Mi facevano studiare sul libro di Buscetta per imparare a essere un bravo collaboratore di giustizia, prima degli interrogatori mi dicevano cosa dovevo dire”, riprende Scarantino dopo una lunga pausa. “Ci risulta che lei fosse in possesso dei verbali da lei stesso resi prima ancora che venissero depositati, chi glieli dava?” chiede il pm Gabriele Paci commentando che “questo è il teatro dell’assurdo”. Glieli dava la dottoressa Palma tramite il funzionario di polizia Mattei, spiega Scarantino, “faceva parte del mio indottrinamento perché a volte sbagliavo e bisognava correggere il tiro per far collimare le mie dichiarazioni con quelle degli altri due pentiti, Candura e Andriotta”.

In fondo all’aula, ad ascoltare le dichiarazioni di Scarantino c’è Tanino Murana, un povero cristo che ha scontato 19 anni di 41bis per colpa delle false dichiarazioni di Enzino. Non si è perso neanche un’udienza, è parte civile e in ballo c’è la sua vita. Il pentito farlocco gli chiede perdono, ma Tanino l’ha perdonato da un pezzo. “Enzo è una vittima, proprio come me”.

Il prossimo 19 luglio saranno passati 23 anni dalla morte del giudice Borsellino e degli uomini della sua scorta. C’è solo da augurarsi due cose: che nella vetrina di via D’Amelio nessuno si batterà più il petto dicendo che quella stage è orfana della verità e che la dottoressa Palma, di recente trasferita alla procura generale di Catania, faccia un passo indietro quando alla sua Procura verrà chiesto di revisionare il Borsellino bis.

PS Siamo in dirittura d’arrivo del nostro crowdfunding per il mio prossimo spettacolo e libro. Se volete darci una mano potete farlo qui. E passatene parola. Se potete e se volete. Grazie.)

#LEFT di questa settimana, cosa ci abbiamo messo dentro

20150605_LeftN21-800x600La sharing economy è diventata famosa per il caso di Uber-Pop, l’app che mette in contatto con i passeggeri una rete di autisti occasionali. Di recente, come la Germania, anche l’Italia l’ha bloccata per competizione sleale nei confronti dei tassisti che, a differenza di quelli dell’app, devono sottostare a regole precise per la tutela della qualità del servizio.

Ma non c’è solo Uber. Servizi analoghi di condivisione sorgono come funghi nell’affitto delle case e degli appartamenti con Airnb mentre per video e musica in streaming “esplodono” i vari Netflix, Spotify, Pandora e Gamefly. Addirittura esistono sistemi di affitto di capi d’abbigliamento di alta moda, come FashionHire. L’economia della condivisione, della cooperazione e della collaborazione, che potrebbe essere una valida risposta alla crisi con finalità etiche, accanto alle luci nasconde però alcune ombre. Ed è quanto mette in evidenza la storia di copertina di Left in uscita sabato. Dietro la patina dell’innovazione tecnologica si profila lo sfruttamento del lavoro e la sistematica elusione della regole. Insomma, c’è chi specula sulla sharing economy.

Left affronta anche il tema delle elezioni regionali cercando di dare risposte alle numerose domande che sorgono dopo i risultati del voto, segnato come non mai dall’astensionismo. La luna di miele tra Renzi e gli italiani è ormai finita.

Per le inchieste, la seconda puntata di “Strade nostre” racconta lo scempio dell’ambiente a Sabaudia e dintorni: il cemento e gli abusivismi che soffocano uno dei gioielli naturalistici dell’Italia, il Parco Nazionale del Circeo.

In Calabria c’è un ragazzino di 17 anni che vorrebbe fare il calciatore. La sua storia è particolare: si chiama Steeven, è fuggito dal Camerun assediato dai terroristi di Boko Haram e ora, al compimento dei 18 anni rischia di non poter rimanere in Italia. Left racconta la sua vita, i suoi pensieri e il suo sogno: quello di incontrare il grande Eto’o.

Negli Esteri lo scrittore Hanif Kureishi intervistato da Left racconta l’Inghilterra di oggi e il fallimento del melting pot, mentre gli altri temi affrontati sono le elezioni in Turchia con Erdogan che vuole blindare il risultato con la repressione, il diario dall’assedio di Kobane e la “frantumazione”, con l’Is che avanza, della Libia.

In Cultura Left presenta i nuovi narratori della collana L’età delle febbre: undici scrittori under 40 che con stili diversi narrano l’inquietudine dell’Italia di oggi, mentre Wu Ming 1 presenta un nuovo progetto collettivo. E ancora: la riscoperta del codice etico di Mario Rigoni Stern, la nuova storia delle origini dell’uomo che emerge dal ritrovamento di pietre scheggiate oltre tre milioni di anni fa e una intervista a Paola Turci che festeggia trent’anni di carriera. Buona lettura!

La verità sul sequestro Sgarella. Con 14 anni di ritardo.

161036129-1568eba8-c1a1-45ae-b09b-425485059ca9Un’intercettazione per raccontare la verità sul rapimento di Alessandra Sgarella, uno dei più oscuri nella drammatica epoca dei sequestri di persona. Parole che confermano una volta di più l’importanza della trattativa Stato-mafia, svelando il nome del boss che in cambio di robusti favori carcerari decise di liberare l’ostaggio. Un’intercettazione registrata più di 14 anni dopo la notte del 3 settembre 1998 quando l’imprenditrice fu liberata e ritrovata in un frazione del comune di Locri.

Molto tempo dopo, nell’estate del 2012, a bordo di una Citroen C2, Michele Grillo e Agostino Catanzariti iniziano a parlare del sequestro. Loro sanno, lo c’erano, loro sono tra i fondatori della ‘ndrangheta in Lombardia. Fanno il nome di Giuseppe Barbaro detto Peppe u Nigru classe 1948. E’ lui, secondo la loro ricostruzione, “l’autorevole personaggio” che si adoperò per la liberazione. U Nigru, morto nel 2012, durante il sequestro si trova in carcere a Melfi. Originario di Platì, all’epoca del rapimento rappresenta uno dei boss più carismatici e potenti di tutta la ‘ndrangheta. Fino a oggi il suo nome era rimasto ben custodito dietro agli omissis delle informative. Ora lo svela Catanzariti in una lunga intercettazione messa agli atti dell’inchiesta Platino che nel 2014 ha chiuso il cerchio attorno ai nuovi eredi della potente cosca Papalia. Dice Catanzariti: “Del vero responsabile non ne hanno parlato mai. Adesso, se noi sappiamo che Michele andava con lui, io so vita e miracoli”. Il reggente del clan (condannato a 14 anni per mafia con rito abbreviato) si riferisce a Michele Grillo, il quale, durante il periodo del rapimento, si trova ristretto nello stesso carcere di Peppe u Nigru. “Sì che andavo con lui – spiega Grillo – . Quando l’hanno chiamato, io ero alla matricola. A me, sai cosa m’aveva detto lui? Se non potevamo vedere. Chiedeva: secondo te, chi ce l’ha? Come, quando. Parlammo di questo. Gli ho detto: che ne so, uno può chiedere. Avevano arrestato ai cosi, là i Canotti (Lumbaca, ndr)”.

La complessa storia del sequestro Sgarella inizia l’undici dicembre 1997 in via Caprilli, Milano, zona San Siro. Qui viene sequestrata, portata in un covo di Buccinasco e quindi trasferita in Calabria. Subito partono le ricerche. Ma sono tentativi vani. L’Aspromonte è un impero inespugnabile. San Luca, Bovalino, Natile, Platì, sono avamposti di una ‘ndrangheta all’epoca ancora poco esplorata. Il 26 giugno 1998 finisce nella rete il clan Lumbaca (i Canotti di cui parla Grillo nel 2012). Tutti saranno condannati per il sequestro. Ma quando scattano le manette la signora Sgarella è già stata trasferita in un altro covo. Da quel momento in poi tutto tace. Sono settimane di angoscia e di terribile silenzio. Si legge nella sentenza del tribunale di Milano: “Nell’assenza assoluta di spunti, gli investigatori si misero alla ricerca di ogni possibile appiglio”. Vennero attivate “tutte le fonti confidenziali possibili”. Sentito come teste in aula un investigatore spiega: “Decidemmo di avviare contatti con fonti inserite in certi tipi di ambienti criminali per poter riprendere un filo investigativo interrotto con l’arresto dei Lumbaca”. Il canale sarà attivato con profitto. E solo grazie a questa trattativa la signora Sgarella potrà essere liberata.

Torniamo, allora, all’intercettazione del 2012. All’epoca, Alessandra Sgarella è morta da poco più di un anno a causa di un male incurabile. Si spegnerà la sera del 27 luglio 2011. Nello stesso giorno per il sequestro della donna viene catturato Francesco Perre. Era latitante dal 1999. Dice Catanzariti: “Noi sappiamo le cose dalla A alla Z. Che poi, nominandolo a luogo buono, dispiace perché per me è stato un amico Peppe. Io sono convinto ancora tutt’oggi che Peppe non se l’è cantata, per dire, che: i responsabili sono…”. Catanzariti parla con rispetto di Barbaro. I due sono storicamente molto legati. Entrambi a Milano hanno iniziato i primi sequestri di persona. Ha ragione Catanzariti: u Nigru si è occupato solo della liberazione della Sgarella, i sequestratori non sono stati venduti ma sono caduti nella rete degli investigatori. Che Peppe u Nigru sia la vera fonte, Catanzariti lo desume anche da alcuni atteggiamenti tenuti dal clan Papalia durante il maxi-processo milanese Nord-sud. “U ‘Nginu (Rocco Papalia) e ‘Ntoni (Antonio Papalia) l’hanno sputtanato spudoratamente”. E lo hanno fatto pubblicamente dicendo: “Pare che mio cugino non viene al processo: si vergogna a farsi vedere con noi e loro”. E poi ci sono particolari inediti rispetto alla liberazione, particolari rimasti nelle pieghe delle informative. Come il fatto che la Sgarella non trovò la cabina che le era stata indicata e s’infilò in un’abitazione in località Moschetta di Locri. “Che lei – spiega Catanzariti – non aveva trovato la cabina”. Questo provocò un’inevitabile discovery delle indagini. “Lì si è sputtanato tutto”. Il caso della cabina, infatti, già all’epoca svelò in parta la trattativa di cui nel 2012 parlano i due uomini della ‘ndrangheta. Spiega Catanzariti: “Dice che ha bussato lì, alla porta”. Il tramite tra u Nigru e lo stato fu l’avvocato del boss. “Allora, l’avvocato Speziale (difensore della famiglia Barbaro, ndr) disse: ispettore se sapevo di più glielo avrei detto!”. L’accordo operativo fu: “Se sei tu (inteso il legale) che t’interessi, questo è il numero. Quando la liberi fatti sentire”. E infatti quando la Sgarella fu portato al commissariato di Siderno aveva un taccuino con annotato il cellulare di un investigatore. Lo stesso cellulare che contattò dalla casa nella Locride.

In cambio del suo aiuto Peppe u Nigru ottenne di essere trasferito dal carcere di Melfi a quello di Locri. Trasferimento, rimasto sconosciuto fino a oggi, che avvenne il 31 luglio 1998, pochi mesi prima della liberazione e subito dopo l’accordo raggiunto con lo Stato. Non solo. Secondo Catanzariti, la sua collaborazione nel sequestro gli valse anche l’assoluzione nel rapimento di Evelina Cattaneo. Spiega Catanzariti (condannato per la Cattaneo): “Non ci potevano assolvere a tutti per il sequestro. Non potevano per linea di logica. Quando si fa un accordo”. Peppe u Nigru, nonostante il pentito Saverio Morabito lo collocasse nel luogo dell’azione, fu assolto per non aver commesso il fatto. “Quando Alberto Nobili – spiega Catanzariti – ha chiesto la condanna per me, l’ha chiesta per Nino ‘u Pistacchio e l’assoluzione per Ciccio ‘u Surici e per Ciccio ‘u Mbilla”. Mentre “per quanto riguarda Giuseppe Barbaro u Nigru” Catanzariti cita le parole dell’allora pm “lascio il parere alla Corte”. Quindi commenta: “Più chiaro di questo come cazzo lo doveva dire”.

Con il boss fu un dare e avere. La ‘ndrangheta ebbe altri grossi favori. In particolare, spiega Catanzariti nel lungo dialogo con Michele Grillo, ottennero sconti i Barbaro detti Spariti. Si tratta di due fratelli, Giuseppe e Rocco. “Adesso – dice Catanzariti – ma che nicche e nacche, ‘u Sparitu e i coglioni e il cazzo, sappiamo le cose”. Sconti consistenti di pene. Tanto che nel 2003 Rocco Barbaro finisce in carcere e dopo che l’Appello gli diminuisce drasticamente la condanna a 30 anni del primo grado torna libero nel 2012. Si trasferisce a Buccinasco. Catanzariti lo definisce “il capo di tutti i capi di quelli che stanno qui (al nord)”. U Sparitu oggi vive a Platì da uomo libero. Catanzariti, invece, sta in carcere. Lui, il boss dalla bocca troppo larga, che tra una chiacchiera e l’altra, oltre alla Sgarella, ha fatto riaprire un caso di omicidio mandando a processo il superboss Rocco Papalia blindandolo nuovamente in carcere a pochi mesi dalla sua liberazione dopo oltre vent’anni di galera.

(clic)

Lo faremo anche per loro

musica12Confesso di avere riscritto il titolo al post: avevo pensato “lo faremo alla faccia loro” e invece mi sono corretto perché voglio costringermi a non appiattirmi sulle rivendicazioni, soprattutto di questi tempi in cui la vendetta (perlomeno verbale) sembra diventata un diritto e una buona prova di forza. Quindi lo spettacolo L’AMICO DEGLI EROI lo faremo anche per tutti quelli che in questi mesi hanno sperato che non si facesse, quelli per cui il “teatro civile” vale per i piccoli boss sparsi per l’Italia ma “meglio non impelagarsi nella politica”. In fondo già con L’INNOCENZA DI GIULIO (sia con lo spettacolo sia con il libro uscito per CHIARELETTERE) abbiamo toccato con mano quanto sia diffusa l’antimafia che si definisce “apolitica” per potere essere “parapartitica”.

Comunque ci siamo: nonostante tutto siamo alla fine del nostro #crowdfunding (mentre scrivo se non sbaglio mancano duecento euro) che ci permette di andare in scena (e in stampa con un “libretto di sala” che in realtà è un libro) con una fila lunga di quasi 200 produttori. E duecento persone che decidono di “investire” su uno spettacolo teatrale che ha come “protagonista” quello stesso Marcello Dell’Utri che in tanti hanno voluto seppellire (nella memoria, almeno) sono anche il senso di un mondo fatto di persone migliori. Dei nostri dirigenti, dei nostri intellettuali e dei nostri “opinion leader”.

E se è vero che ora l’aspetto finanziario è quasi praticamente concluso, la nostra idea di produzione sociale ci impone di cimentarsi nella “consultazione” dei coproduttori anche nella stesura del copione e nell’allestimento dello spettacolo. Ovvero: vorremmo (e lavoreremo per) tenere “insieme” tutti anche nei momenti che precedono la messa in scena. Non sarà facile per niente (già qualcuno mi ha fatto degli “amichevoli appunti” sul titolo, per dire) e se ci pensate per il pensiero comune è anche poco conveniente visto che il teatro oggi, quasi dappertutto, ha l’unica preoccupazione di rendicontare i soldi ricevuti come se questa sia l’unica priorità nel rapporto di produzione. Insomma: non scriveremo una nuova epoca ma sicuramente decidiamo di mettere in discussione con forza il rapporto tra il teatro e la produzione spostando l’assistenzialismo in partecipazione. E essendo oggi gran parte degli Enti Pubblici incapaci (o disinteressati) alla partecipazione abbiamo deciso di affidarci al pubblico. Cambia una vocale ma c’è tutto un mondo, in mezzo.

Ah, per gli ultimi posti disponibili basta andare qui.

 

De Luca: impresentabile anche nei modi

 “Questa campagna di aggressione politico mediatica sviluppata per mesi contro di me sarà ricordata nei prossimi anni come la più infame delle aggressioni personali subita da un personaggio politico. Ma state tranquilli: chi vince, governa”.

e poi

“No, per me non conta la vittoria. Conta far ringoiare cose ignobili che sono state dette. Quando si parla dell’onorabilità di una persona bisogna misurare le parole. Impresentabili? Questa è un’altra grande imbecillità inventata in un Paese che ha bisogno di inventarsi una palla a settimana. Mentre qualcuno si baloccava con gli impresentabili inventati e finiti, i tangentisti e i ladri veri come vediamo in queste ore continuano a rubare. Ma per qualcuno l’importante è avviare dibattiti epici sugli impresentabili, la Severino, le palle e le pippe. Con la Bindi non c’è nessuna rissa. C’è l’onorevole Rosaria Bindi, detta vezzosamente Rosy, che ha ritenuto di adoperare espressioni che vanno al di là delle sue competenze, espressioni che io ritengo diffamatorie e che configurano a mio parere in modo clamoroso un abuso di potere e una violazione dei diritti costituzionali”.

Cosi parla un uomo (un altro) che ha fatto della prepotenza il proprio tratto distintivo.

Una bella osservazione sulla scempiaggine di Franceschini

“Faremo la Biblioteca Nazionale dell’Inedito. Un luogo dove raccogliere e conservare per sempre romanzi e racconti di italiani mai pubblicati”

Quando il Ministro Franceschini ha twittato così ieri ho pensato che fosse un’uscita senza senso, vuoi per i pochi caratteri che il social ci lascia a disposizione o vuoi per una sintesi frettolosa di un progetto veramente più vasto e più spesso. E invece no.

E siccome il web è pieno di opinioni (spesso troppe e troppo sparse) non ne aggiungo ma vi ripropongo lo scritto di Christian Raimo qui.

Mafia Capitale capitolo secondo: l’ordinanza completa

172826636-4a9faf2f-10ab-4ef6-b071-8ec4839cb9a0Siccome già questa mattina fioccano gli editoriali sugli arresti di ieri a Roma e siccome ancora una volta sono tutti colpevoli e tutti innocenti (come dopo i risultati elettorali) vale la pena leggere, studiare e analizzare per capire.

L’ordinanza completa in PDF è qui.

#OccuPAY cose così ovvie e così rare

Nasce OccuPAY. In un Paese normale non esisterebbero. In un Paese normale:

CGjaaknUYAEe_b6.png:largeCHI

OccuPAY è un gruppo di lavoratori dell’editoria – traduttori, autori, redattori, editor, agenti –  aperto alla collaborazione con tutte le figure professionali coinvolte nella filiera del libro.


COSA

Vogliamo creare un canale di comunicazione e scambio di informazioni, per raccogliere e diffondere nuovi modelli di buona pratica editoriale.
Vogliamo far fronte comune nei casi di abusi e malcostume perché in futuro il rispetto degli impegni contrattuali e dei diritti dei lavoratori della filiera sia la regola, e non l’eccezione.

COME

1. Facendo rete tra i lavoratori dell’editoria;

2. Mettendo insieme informazioni e idee e agevolandone lo scambio;

3. Incoraggiando il dialogo e la collaborazione tra editori e lavoratori dell’editoria;

4. Facendo in modo che autori, traduttori e collaboratori editoriali abbiano maggiore consapevolezza dei propri diritti e la capacità di esercitarli.

5. Informando i lettori su tutti i passaggi della filiera del libro e del mercato editoriale.

(PS Siamo in dirittura d’arrivo del nostro crowdfunding per il mio prossimo spettacolo e libro. Se volete darci una mano potete farlo qui. E passatene parola. Se potete e se volete. Grazie.)

Indovina chi viene in piazza per la festa della Repubblica? la X MAS.

Rigurgiti a Nettuno:

182939380-b8472dde-37dd-4347-8729-ddd1ee27d1c5Polemiche alla cerimonia del 2 giugno per ricordare il 69esimo anniversario della nascita della Repubblica a Nettuno, cittadina a sud di Roma. Durante le celebrazioni, si è presentato anche un gruppo di combattenti della X Mas con la bandiera del fascio littorio e sono immediatamente scattate le proteste dei rappresentanti dell’Anpi, l’associazione nazionale dei partigiani.

“Abbiamo manifestato il nostro disappunto per la loro presenza invitando i rappresentanti locali a cacciarli – spiegano dall’Anpi di Roma – Ma ci è stato risposto che si erano presentati spontaneamente, ma non vi era alcuna intenzione di allontanarli. A quel punto, davanti alla mancata presa di posizione delle autorità, abbiamo deciso di lasciare noi la piazza”.

(l’articolo completo qui)

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