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Giulio Cavalli

Marco Biagi è morto? no: prescritto

Nel Paese delle scorte baldanzose, rilasciate per qualche amicizia giusta con un trovarobe di qualche Prefettura oppure usate nel fare compere per l’amante del potente di turno, in questo Paese qui dove basta avere avuto una settimana di scorta per diventare sacerdoti del coraggio, Marco Biagi invece, pur temendo per la propria vita mentre collaborava con il Governo per una delicata riforma del lavoro, è stato ucciso e non scortato. Niente. Anzi: per il Ministro e il Capo della Polizia di quel tempo (Scajola, sotto processo per avere aiutato la latitanza del mafioso Matacena e il sempre presente De Gennaro) Marco Biagi era “un rompicoglioni”, uno che frignava perché avrebbe voluto la scorta, un mitomane, insomma.

La storia (che non ha tempo per seguire gli alterchi tra potenti) ci ha consegnato il cadavere di Marco Biagi e oggi anche la prescrizione per i responsabili della sua sicurezza, Scajola e De Gennaro. Quindi Biagi è morto ma è morto troppo tempo fa, insomma. E forse davvero come mi diceva un famigliare di una vittima di un incidente aereo (ho le sue parole tatuate a mente): “dove non ci sono i colpevoli allora i colpevoli sono i morti”. Chissà che allenamenti con la propria coscienza, per esercitarla alla prescrizione.

Il luogo dell'omicidio

 

Che splendore il coraggio di essere buoni (e gentili)

10903292_582351018575768_1196153856_nQuando ne avevo scritto ieri (qui) era già qualche giorno che pensavo a com’è triste un Paese che trova fuori moda essere buoni e, giustamente mi hanno fatto notare, anche essere gentili. L’esplosione di risposte nei commenti e che mi sono arrivate via mail conferma comunque che ci vuole coraggio oggi ad essere buoni perché significa essere controcorrente. E questa corrente (quindi cattiva) noi l’abbiamo lasciata scavare per anni senza nemmeno accorgerci che si ingrossava ogni anno di più, ad ogni alzata di tono dei politici, ad ogni sparata di pseudointelletuali e dopo ogni risultato di pubblico per la rivisitazione (culturalmente pericolosissima) di eroi negativi, sì, ma meravigliosamente negativi. E come mi scriveva qualcuno di voi non stupisce vedere quanto alcuni temi (come l’immigrazione ma non solo) risultino comodi a chi piuttosto che preoccuparsi della propria inumanità si è impegnato a scovare una buona scusa che ovviamente gli è stata servita su un vassoio d’argento da politici avvoltoi.

Eppure la forza delle persone buone (che come giustamente mi hanno  segnalato vengono scambiate per “sprovvedute”) è la vera rivoluzione culturale e politica (nel senso più ampio) che potrebbe segnare un significativo cambio di passo per questo Paese.

Ma come hanno seminato il culto della cattiveria? Certamente lavorandoci ai fianchi per renderci il più possibile acritici e quindi malleabili (e la scuola, la scuola, la scuola ha un ruolo fondamentale in questo percorso); inoltre una qualità che sempre più spesso è valutata solo sui risultati (e quindi quantità e qualità diventano solo confuse sorelle omozigoti) ha trasformato la meritocrazia in “quanticrazia”, in produttività a tutti i costi: è stato quindi facile incensare gli eticamente “spericolati” e duri che spremono risultati migliori.

E hanno ragione quelli che mi scrivono che oggi alla fine buono è un sinonimo di buonista. Anzi: difficilmente si scrive dell’essere buono quanto piuttosto ci si accusa di “fare” i buoni. Essere buoni non è un opzione praticabile. E l’argomento secondo me è ricco, ricchissimo e per questo vi sto leggendo tutti e ad uno ad uno sto rispondendo alle vostre mail. Potete rispondere nei commenti o scrivendomi qui.

Chissà che non ne venga fuori qualcosa. Credo proprio di sì.

PS Siamo in dirittura d’arrivo del nostro crowdfunding per il mio prossimo spettacolo e libro. Se volete darci una mano potete farlo qui. E passatene parola. Se potete e se volete. Grazie.

Anche la ‘ndrangheta ha le sue vacche sacre

41b223d2-f7fb-11e4-821b-143ba0c0ef75La Calabria riprova a sbarazzarsi delle sue «vacche sacre» e a spezzare una sudditanza rurale e malavitosa che prosegue indisturbata da decenni. Il prefetto di Reggio Calabria Claudio Sammartino ha disposto infatti con un’ordinanza l’abbattimento di tutti i capi bovini che vagano indisturbati per i campi, le strade, le proprietà private della provincia ma che nessuno osa toccare perché quegli animali appartengono a boss locali della ‘ndrangheta. E chi fatica a credere che non si tratti di una leggenda popolare priva di fondamento può ripescare le cronache degli anni passati: lì si racconta che ogni tentativo di arginare il fenomeno degli animali vaganti e riportarlo nel perimetro della legalità è fino ad oggi sempre fallito e in alcuni casi è addirittura sfociato i gravissimi fatti di sangue.

L’ordinanza del prefetto Sammartino firmata l’otto maggio scorso dispone che le «vacche sacre» siano catturate e abbattute «nel caso in cui dovessero creare situazioni di pericolo concreto per l’incolumità delle popolazioni e per la sicurezza della circolazione sia stradale che ferroviaria». Non una caccia indiscriminata, insomma, ma interventi mirati solo nei casi in cui il pascolo anarchico delle mucche metta repentaglio la vita e le proprietà altrui. Il dato più ingombrante e immediato è infatti questo: questi animali «intoccabili», che invadono all’improvviso le strade o i binari della ferrovia, sono spesso all’origine di gravi incidenti. C’è poi l’aspetto economico, rappresentato dai danni che le «vacche sacre» lasciano invadendo campi coltivati o giardini. Il provvedimento prefettizio incarica le forze di polizia, a partire dal Corpo Forestale, della cattura e dell’abbattimento dei bovini, dettaglio che dovrebbe scongiurare quanto avvenuto in passato, quando non si trovarono ditte private disposte a portare a termine la medesima incombenza. Ultimo particolare»: Sammartino a specificato che le carni delle bestie abbattute dovranno essere donate ad associazioni di volontariato e mense per indigenti.

Il prefetto reggino non è il primo che tenta di porre fine all’omertosa usanza. Un suo predecessore, Goffredo Sottile, firmò un provvedimento analogo nel 2003 senza grandi risultati, visto che gli esemplari che vagabondano per la piana o sull’Aspromonte sono ancora oggi circa 2mila. Nel 2005, un oculista dell’ospedale di Locri, Fortunato La Rosa, fu ammazzato proprio perché, stabilirono le indagini, aveva ripetutamente allontanato decine di «vacche sacre» dai suoi possedimenti di campagna. Più indietro nel tempo, i primi tentativi di opporsi al fenomeno risalgono all’inizio degli anni ‘90: il sindaco di Cittanova, appena eletto, invocò un provvedimento ad hoc da parte del governo, investendo della questione anche l’allora presidente della commissione antimafia Luciano Violante. In quegli stessi anni venne organizzata una battuta su vasta scala per la cattura dei bovini ma alla fine si riuscì ad abbatterne appena 26: tutti gli altri furono fatti fuggire nottetempo dai recinti predisposti dalla Forestale in località – in teoria – segrete.

Sull’origine del rispetto verso la «vacche sacre» di Reggio Calabria, i racconti si sprecano. Il più accreditato data l’inizio del fenomeno al 1971, quando nei paesi della piana reggina si scatenò una crudele faida tra due clan opposti, i Facchineri e i Raso. Vuoi per gli arresti, vuoi perché costretti a rimanere al riparo, i componenti delle due famiglie non ebbero più tempo di badare al bestiame di loro proprietà, con il risultato che i capi ricominciarono a vivere allo stato brado, senza che però nessuno si azzardasse a disturbarli. Per timore di ritorsioni da parte dei riveriti proprietari.

(fonte)

Come NON costruire la sinistra in dieci mosse. 1: i maestri di pensiero

Barbara-Spinelli-1024x608-1431354838Per favore, davvero, se ci riuscite, basta affidarsi alle cariatidi (in gamba, per carità) che da decenni ci convincono di essere i detentori unici dell’intellighenzia sinistra. Ad esempio evitare “candidature di bandiera” che poi in nome di chissà cosa decidono di andare in Parlamento Europeo (smentendosi) e che credono che la pubblica assemblea serva solo quando deve confermare ed applaudire i propri pensieri. Barbara Spinelli ha fatto esattamente così e oltre a non essere stata cacciata ora ha deciso di andarsene. Lei. Perché, ha detto:

“Bisogna puntare a un elettorato non esclusivamente di sinistra”

Amen.

Ci sono frontiere, dove stiamo imparando, e brucia il nostro desiderio di sapere.

Unknown“Ci sono frontiere, dove stiamo imparando, e brucia il nostro desiderio di sapere. Sono nelle profondità più minute del tessuto dello spazio, nelle origini del cosmo, nella natura del tempo, nel fato dei buchi neri, e nel funzionamento del nostro stesso pensiero. Qui, sul bordo di quello che sappiamo, a contatto con l’oceano di quanto non sappiamo, brillano il mistero del mondo, la bellezza del mondo, e ci lasciano senza fiato”.

Se non avete mai pensato a quanto ci servirebbe qualche nozione di fisica per capire il mondo e  se credete che sia impossibile una lezione che coniughi sostanza e bellezza allora leggetevi Sette brevi lezioni di fisica di Carlo Rovelli. E’ una meraviglia.

Da quando essere buoni è passato di moda

gentilezza_bTra le trasformazioni spaventose di questi ultimi anni c’è questa devozione (nemmeno poi tanto più nascosta) per i cattivi. La cattiveria è diventata sinonimo di coraggio, ingrediente fondamentale del buon condottiero e nel mentre l’esser buoni è stato assorbito come cessione alla debolezza. In pochi ci hanno fatto caso, tra analisti ed editorialisti, che oggi in Italia essere buoni significa essere colpevoli, molli, disinteressati, apatici, non all’altezza e alla fine una virtù ormai è considerata (più o meno consapevolmente) un vizio. Sto preparando in questi giorni una raccolta di pensieri e scritti per analizzare esattamente quando e per cosa la bontà qui da noi abbia cominciato a degradarsi e anche la gentilezza sia diventata (per molti) una flemma dannosa. Se avete qualche idea in proposito potete scrivermela qui sotto o al mio indirizzo mail qui.

Intanto, da parte mia, continuo sempre di più ad innamorarmi dei buoni e dei secondi.

 

A Platì dove abdica la politica

Platì, Calabria, Italia. Paese di ‘ndrangheta, qui comandano gli uomini del clan Barbaro nonostante molti di loro abbiano base nella lombardissima Buccinasco. A Platì le elezioni non si terranno: nessun candidato a sindaco. La politica abdica nei suoi territori più bui. Come si chiama: resa. Si dice resa. Ed è roba da omuncoli.

 La politica, a queste latitudini, non c’è. I partiti non esistono se non quando devono chiedere i voti per le regionali. La legge è quella della famiglia Barbaro e delle altre cosche mafiose. Il 27 marzo 1985 la ‘ndrangheta ha ucciso il sindaco Domenico Demaio. Da allora non è cambiato nulla. Le amministrazioni comunali vengono sciolte per mafia. Negli ultimi 12 anni per tre volte la prefettura ha inviato i commissari che gestiscono l’ordinario. Passano diciotto mesi e si ritorna a votare. Poco dopo, di nuovo la prefettura segnala che i boss condizionano l’attività dell’amministrazione comunale e chiedono lo scioglimento per infiltrazioni mafiose. Questa volta però è diverso. A fine maggio a Platì non si voterà. Non è stata presentata nessuna lista per le prossime elezioni comunali. La polemica riguarda il centrosinistra calabrese e, soprattutto, il Partito democratico di Renzi che, alle ultime regionali, è stato il più votato. La coalizione che ha sostenuto il governatore Mario Oliverio è arrivata al 77% dei voti mentre solo il Pd ha superato il 22%. Numeri che, in un Paese normale, avrebbero obbligato un partito a scendere in campo per dare un’alternativa a una cittadina dove i commissariamenti non hanno funzionato, una cittadina che non ha futuro se lasciata in mano a trafficanti di cocaina e famiglie mafiose.


(Fonte)

In Liguria al patto antimafia organizzato da Libera i candidati non si presentano

211035155--66208d4a-bd42-4edc-a823-367207c7ec63Inizia alle 8.45 il venerdì elettorale dei candidati alla guida della Regione.
Prima dell’arrivo di Renzi, dei comizi e delle polemiche quotidiane, in programma c’è la tavola rotonda di Libera su trasparenza e corruzione: con la presentazione degli impegni che l’associazione contro le mafie chiede ai candidati presidenti.
E però, al tavolo della legalità non siede Raffaella Paita.

La candidata del Pd preferisce una diretta tv a Mattino Cinque con Federica Panicucci e colleghi, e manda al suo posto Alessandro Terrile, segretario provinciale candidato nel listino. Non c’è neppure Giovanni Toti di Forza Italia, che alla chiamata di Libera proprio non risponde (salvo poi dichiarare in tv che «sì, occorre trasparenza nella pubblica amministrazione»: ma l’appoggio formale alla campagna non arriva).

Era presente invece il candidato (secondo Renzi “gufo” e “perdente” Luca Pastorino. C’è bisogno di aggiungere altro?

Caro Peppino Impastato, oggi Cinisi si è fatta nazione.

peppino 3 webE niente, Peppino. Mi sento infantile, forse sono anche un po’ stupido, ma tutti gli anni quando sento l’odore rancido del ricordo bollito per l’anniversario della tua morte (perché noi siamo bravissimi a celebrare i morti per non doverci preoccupare della lezione da vivi) non riesco a non pensare quanto poco siano cambiate le cose. Cambiano le facce, cambiano i modi, non cambiano nemmeno troppo i cognomi ma alla fine chissà come saresti oggi. Sicuramente proverebbero a tenerti muto: saresti un giovane idealista zittito dal pensiero conforme della maggioranza e dagli schizzi dei violenti che della maggioranza sono i migliori alleati esterni. Certo ti farebbe sorridere sapere che mentre tu lottavi contro il cemento delle strade costruite storte per poter toccare tutti i campi dei mafiosi oppure contro il cemento dell’aeroporto di Cinisi, ecco, chissà che faccia faresti a sapere che oggi il cemento, come allora, è sparso in nome del “cibo”, del “progresso” e addirittura per i treni. Manco per gli aerei, per i treni. E manco per le persone, per le merci. Forse manderebbero a processo i tuoi palloncini colorati qui dove si processano le parole, le intenzioni e si dimenticano presto i corrotti e i corruttori.

Oppure avrebbero potuto provare di farti essere un santino, coccolato finché zitto, scortato per parata e ammennicolo per fingere buone attenzioni. O forse no. No. Ancora oggi devi essere morto per contare. Mica per quello che hai fatto da vivo ma per quello a cui servi da morto.

Caro Peppino, oggi Cinisi si è fatta nazione.