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Giulio Cavalli

In Campania Gomorra è in lista con il PD (lo dice Saviano)

Roberto Saviano risponde netto sulle liste dei democratici in Campania:

Ti rispondo senza giri di parole: assolutamente sì. Nel Pd e nelle liste c’è tutto il sistema di Gomorra, indipendentemente se ci sono o meno le volontà dei boss. Il Pd nel Sud Italia non ha avuto alcuna intenzione di interrompere una tradizione consolidata. E cioè alla politica ci si rivolge per ottenere diritti: il lavoro, un posto in ospedale… Il diritto non esiste. Il diritto si ottiene mediando: io ti do il voto, in cambio ricevo un diritto. Il politico non dà visioni, prospettive, percorsi, ma dà opportunità in cambio di consenso. E De Luca, in questo, è uno che ci sa fare. La politica dovrebbe essere tutt’altro. Dovrebbe ottenere consenso in cambio di trasformazioni complesse e complessive della società. Invece dando il proprio voto l’elettore rinuncia a chiedere progetto e trasformazione in cambio di una e una sola cosa.

L’intervista completa è qui.

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Matteo Bonaparte: #Left in edicola sabato, cosa ci abbiamo messo dentro

Un numero intenso. Abbiamo provato a capire, scovare e capirci su quello che succede a sinistra. Ci chiamiamo LEFT mica per niente. Ho intervistato Giuliano Pisapia e mi sono permesso di ricordare Gigi Meroni.

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Left n. 17 | 9 maggio 2015

FA TUTTO MATTEO.
PERSINO RIUNIRE LA SINISTRA
!

di Luca Sappino

GIULIANO PISAPIA: ALLA SINISTRA NON BASTA PIÙ IL SOLITO LEADER
di Giulio Cavalli

 

Società Left

 

no expo
ECCO PERCHÉ ERAVAMO IN PIAZZA A MILANO
testo e foto di Michela A.Iaccarino

istruzione
LA SCUOLA PUBBLICA PIEGATA ALL’AZIENDA
di Donatella Coccoli

migranti
NEI PANNI DI UN SOPRAVVISSUTO
di Tiziana Barillà

 

Esteri, Left

 

quote
I MIGRANTI DEGLI ALTRI
di Umberto De Giovannangeli

europa
I MIGRANTI ELETTI
di Ilaria Giupponi

nepal
IMMAGINI E VOCI DEL PAESE CHE TREMA
di Emily Menguzzato

kobane
IO, DONNA, COMBATTO L’OSCURANTISMO
di Mauro Pompili

la storia
UNA VITA SENZA SPRECHI
testo e foto di Nicola Zolin

graphic novel
I PESCI NON HANNO SENTIMENTI
di Michele Petrucci

 

Cultura, Left

 

editoria
I GIROTONDINI DELLA LETTURA
di Filippo La Porta

salone del libro
HEIDEGGER E SEGUACI? BERARDINELLI: «PESSIMI MAESTRI»
di Simona Maggiorelli

scienza
CHI HA PAURA DEI VACCINI?
di Pietro Greco

musica
SOGNA PIÙ FORTE. CON IL REGGAE DI VALERIO JOVINE

di Tiziana Barillà

il personaggio
GIGI MERONI, UN EROE BELLISSIMO
di Giulio Cavalli

“una cultura iper-maggioritaria che è di fatto unica e servile”

indexGoffrefo Fofi ha scritto un libro (Elogio della disobbedienza civile) che vale la pena di leggere e tenere nel cassetto:

La cultura

La cultura […] è diventata la merce fondamentale della distrazione, e chi ne vive accetta molto tranquillamente il proprio stato di sudditanza, contento che lo si lasci scrivere e fare cose inoffensive nella sostanza – le seconde perfino più delle prime, senza rapporto, si direbbe, con le idee dichiarate. Peraltro, si viene eletti e si va al governo grazie alle diverse forme di pubblicità che il potere mette in campo, e di questo noi italiani dovremmo saperne molto, reduci da trent’anni prima craxiani e poi berlusconiani – con la sinistra che è andata assumendo gli stessi modelli e di fatto si è suicidata, divenendo né più né meno che una fiacca variante della destra.

La cultura, anche quella che si vuole migliore, perfino elitaria, è ridotta a merce, a intrattenimento e a mero consumo […] La sua funzione emancipatrice è da tempo una mera finzione – così come quella della scuola nei suoi vari ordini.

La cultura non è mai stata super partes, tutt’altro – ci sono sempre state una cultura dei ricchi e una dei poveri, una di destra e una di sinistra, una religiosa e una laica, una maschile e una femminile, una bianca e una nera eccetera –, ma oggi lo è meno che mai, ed esiste una cultura iper-maggioritaria che è di fatto unica e servile, oppressa e negata dalla sua stessa superficiale varietà, dalla sua onnipresenza e, alla prova dei fatti (dei comportamenti di chi la consuma), dalla sua inconcludenza, ché un’idea vale l’altra, ed è ben raro che a un’idea buona consegua una qualche pratica “antagonista”. La cultura universitaria si morde la coda dentro a un suo limbo isolato, tra norme astruse e carriere esecrabili, e tutto fa fuorché emancipare i suoi studenti, anche se qualche professore riesce ancora a rispettarli e a proporre antidoti alla stupidità dilagante – favorita invece da pressoché tutta la cultura giornalistica, che ha finito, seguendo il modello offerto dalla televisione, per non depositare in nessuna coscienza la comprensione della gravità dei tempi e per fare invece di tutto, anche delle nostre paure, spettacolo e merce. E la televisione è, per lo meno in Italia, la fogna della cultura. È almeno dal trentennio in questione che non si vedono differenze sostanziali tra i suoi programmi, né si trovano tra i suoi dirigenti persone rispettabili e di libero pensiero,  né tra i suoi dipendenti qualcuno che sembri rendersi conto delle proprie responsabilità, e tanto meno delle proprie colpe – anche se molti di loro sapevano una volta che uccidere le possibilità di intelligenza e di sensibilità presenti in ognuno non è meno grave che uccidere i corpi. Il giornalismo in genere (quotidiani e settimanali, mensili e riviste specializzate), assumendo gli stessi modelli della comunicazione televisiva, ha proposto al più nuovi divi e divetti della “cultura”, imbonitori del “popolo dei lettori” – e di quello degli spettatori e degli ascoltatori – la cui funzione è sempre di tranquillizzare e mai di inquietare.

Gli inizi

La disobbedienza civile è uno strumento a cui tutti i cittadini possono ricorrere. Nel 1946, Gandhi lesse Thoreau e individuò molto chiaramente quale dev’essere il fulcro di ogni azione di disobbedienza:

“Ogni violazione di una legge comporta una punizione. Una legge non diviene ingiusta semplicemente perché io lo affermo, tuttavia a mio parere essa rimane ingiusta. Lo stato ha il diritto di applicarla finché è contemplata nei codici, io devo resistere a essa in modo nonviolento. E lo faccio violando la legge e sottomettendomi pacificamente all’arresto e all’imprigionamento”.

Come aveva accettato di fare Thoreau nella sua breve esperienza, molti decenni prima.

Il nodo della questione è tutto qui, ieri come oggi. Riguarda sia Thoreau che Gandhi ed è un nodo di civiltà che il ’900 ha voluto disattendere nella duplice convinzione – infine unificata sotto il dominio della seconda – dell’“assoluto dello Stato” e dell’“assoluto del benessere”, secondo la distinzione di Capitini, e che il 2000 sembra semplicemente ignorare, nelle ideologie unificanti e nello stesso sistema “globale” di dominio che caratterizzano i nostri anni, cui si contrappongono soltanto fondamentalismi non meno oppressivi.

È il nodo, in definitiva, del rapporto dell’individuo con lo Stato, che, oltre alla presenza di Stati particolarmente oppressivi, contempla la contemporanea importanza delle ragionidi Antigone e di quelle di Creonte: della irrinunciabilità, contro lo Stato che non li rispettasse, dei diritti-doveri che appartengono alla sfera della morale e dell’umanità e di cui ogni individuo dovrebbe essere partecipe e difensore; e dell’adesione dell’individuo a quelle leggi che, riguardando tutti, permettono nei fatti un’armonica convivenza, nel rispetto di regole comuni stabilite con il concorso delle maggioranze pensanti e non manipolate, per il rispetto e la difesa degli interessi comuni. Anche se una “minoranza di uno” può e deve, se così ritiene, ribellarsi a una legge particolare.

Una soluzione definitiva a questo dilemma non esiste. In uno Stato che si rispetti, il conflitto tra Antigone e Creonte non può che ripetersi all’infinito, ma un modo di avvicinarsi a una soluzione dovrebbe poter stare proprio nel rigore morale con cui Antigone e Creonte assumono i propri ruoli, si assumono le proprie diverse responsabilità.

Si può scegliere la parte di Antigone o la parte di Creonte, a seconda delle proprie più profonde convinzioni morali ma, appunto, esse devono essere davvero morali. E rispettare il diverso punto di vista, la diversa scelta e convinzione. Diceva Guido Calogero richiamandosi a Socrate (su un numero del Mondo del 1960) che si tratta di “scegliere fra il dovere di obbedire e il dovere di insorgere”, e che questa scelta è sempre “grave e perenne”. Non è detto che ciò non sia avvenuto, o non possa avvenire, in un deciso confronto tra le ragioni dell’obbedienza e quelle della rivolta, anche se è certamente difficile, ed e` oggi più difficile che mai, per due opposte constatazioni:

1) la crescente miseria morale dello Stato, sempre più, sia pure con forme diverse, un terreno occupato dai grandi potentati economici. In quasi tutti i paesi e anche nel nostro.

2) la crescente miseria intellettuale e morale dei popoli, trasformati in generici consumatori dai potentati economici e dai loro servitori (la politica e i media).

Il libro è acquistabile qui
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Pensavo peggio!

“Pensavo peggio!”. Lo ha esclamato − radioso − Lebret, condannato per omicidio, a Rouen, ai lavori forzati a vita.

(Félix Fénéon Torino 1861 – Châtenay-Malabry 1944, Romanzi in tre righe. ‘Nouvelles en trois lignes’, su Le Matin, 1906)

Félix Fénéon Paul Signac, olio su tela, 1890 (MoMA, New York)
Félix Fénéon Paul Signac, olio su tela, 1890 (MoMA, New York)

A proposito dell’apertura sulla “Buona Scuola”

Alberto Irone ha incontrato rappresentanti del Governo per discutere della riforma della scuola. Ieri abbiamo letto di “aperture” e “consultazioni”. Ecco cosa scrive Alberto:

Durante l’incontro si sono evidenziate da più parti sia problematiche di metodo: è evidente, infatti, l’eccesso di delega al Governo sul DDL: è necessario stralciare le deleghe in quanto palesemente incostituzionali.

Ai nostri interlocutori “ritardatari” tra le questioni di merito abbiamo sollevato in maniera decisa la necessità di un’alternanza scuola lavoro di qualità fatta di tutele, l’innalzamento dell’obbligo scolastico ai 18 anni come strumento di contrasto all’abbandono scolastico che continua a crescere, l’importanza della rappresentanza studentesca e della valutazione.

L’esito dell’incontro insufficiente, sulla falsa riga delle “consultazioni” tanto sbandierate negli scorsi mesi dal Governo: l’unico punto in cui c’è stata apertura è la parte di riforma sugli organi collegiali.

Il resto è qui.

Oggi ero con Pippo (Civati)

Oggi Pippo Civati è venuto da noi alla sede di LEFT poco dopo la settimanale riunione di redazione. Sì, certo, ha rilasciato le dichiarazioni che avete già letto dappertutto e ha deciso di uscire dal PD. Ma non è di questo che volevo scrivere. No. Conosco Pippo da anni e lo considero un amico, abbiamo condiviso insieme cose molto più delicate e importanti della politica. Quindi sappiate che sono assolutamente soggettivo in questo post, dichiaratamente personale. Gli è costato molto lasciare il PD, a Pippo, perché lui il partito l’ha vissuto da sempre, come si vivevano i partiti una volta (e come credo dovrebbero tornare ad essere): una palestra di opinioni, elaborazione e innovazione. E dentro il PD Pippo ha rapporti soprattutto umani perché ha sempre avuto una visione molto umana del fare politica. Sempre. Anche quando ha sbagliato. Ma soprattutto Pippo ha fatto il passo che tanti, troppi, in questi anni hanno usato per ripararsi dietro la strenue difesa del proprio orticello: in SEL sono in molti a ripetere “se non si spacca il PD non si fa niente” e allo stesso modo le altre frammentazioni a sinistra hanno comodamente eletto Civati come elemento fondamentale per “sciogliersi e ricostruire” (dicono sempre così, l’avete notato? ma non lo fanno mai) sperando (e pensando) che Civati non facesse il passo.

Ora Pippo ha deciso e come si dice in gergo è “a disposizione”: vedrete quanti hanno finto di aspettare lui ma in realtà curavano la propria autopreservazione.

Qui il video con le sue dichiarazioni:

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