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Giulio Cavalli

I numeri, i numeri, i numeri. E la riforma della scuola.

“Parlano i numeri” è una frase che renziani e renzini sventolano spesso come pietra tombale di discussioni non ben accette. I numeri impressionanti dello sciopero di oggi aprono due sole possibilità: che questo Paese abbia il 99% degli insegnati che sono imbecilli oppure che il Governo abbia proposto agli insegnanti una riforma imbecille. Tertium non datur.

Foto Daniele Leone / LaPresse 10/10/2014 Roma, Italia Cronaca Roma, Cortei degli studenti in occasione dello sciopero nazionale della scuolanella foto: momenti della mafifestazionePhoto Daniele Leone  / LaPresse10-10-2014 RomeStudent demonstration against Renzi 's governorin the picture: the demonstration
Foto Daniele Leone / LaPresse
10/10/2014 Roma, Italia
Roma, Cortei degli studenti in occasione dello sciopero nazionale della scuola.

Milanesi, tenete calde le spugne per la Pedemontana

Io non so come trovare le parole per raccontare la devastazione che sta dietro alle lingue di asfalto che sono state progettate per sfamare gli interessi cementizi. Non so se ci si rende conto che con la scusa del “servono per l’Expo” abbiamo perso chilometri di territorio non ripristinabile per decreto. Non so come ripetere ancora che Giuseppe Sala, il dominus di EXPO, ha avuto arrestati per tangenti i suoi due collaboratori più stretti. Non so se vi ricordate che la famiglia mafiosa di Carlo Cosco (colui che uccise la sua ex moglie Lea Garofalo) lavorava sulla linea 5 della metropolitana milanese e viveva tranquillamente in case ‘popolari’ come un bisognoso qualsiasi. Non so se avete avuto modo di verificare quanto poco siano state mantenute le promesse di infrastrutture nei paesi toccati da queste nuove strade, autostrade, tangenziali e autotangenziali che hanno sostituito spesso campi agricoli. Agricoltura: il tema di EXPO che si è fatta il trucco con piastre di cemento su terreni privati e che, nonostante le parole a vuoto, non si sa cosa sarà dopo.

Certo la devastazione in città fatta di fiamme e oscenità spruzzate sui muri è facile, evidente, sotto gli occhi di tutti. E certo è una risposta di dignità scendere con le spugne in mano a pulire. Certo. Ma tenete calde le spugne perché tra poco arriveranno novità dalla Procura anche sugli appalti della Pedemontana. E magari questa volta facciamo che ce ne accorgiamo. Eh?

Magari senza offenderli

Chissà se un giorno potremo davvero avere un Governo che non si preoccupi di offendere i manifestanti ma di discutere i contenuti del dissenso. Perché da noi non succede da un secolo eppure in giro per il mondo è cosa normale e democratica.

E perché, come scrive anche Pippo, nella tecnica dell’insulto preventivo destra e sinistra qui pari sono.

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Si pensano rivoluzionari ma sono solo utili idioti

Esistono solo quando spaccano. Spiace per il vuoto esistenziale che accompagna quattro vigliacchi a nascondersi dietro il nero per sfogare una violenza che punisce tutti: chi è d’accordo e chi no. Finché i movimenti (tutti) e le manifestazioni (tutte) non si porranno seriamente il tema dei violenti (da chiunque siano istruiti e chiunque sia il mandante) non si può pensare di costruire una seria opposizione culturale. Incagliarsi sulle motivazioni che spingono alla violenza (a questa violenza, animale e senza senso) significa sbagliare in modo miope: in un momento in cui ci sono decine di buoni motivi per indignarsi e resistere spaccare una vetrina significa concorrere alla banalità. Non c’è differenza tra un Salvini vandalo della dignità umana e l’imbecille che appicca il fuoco, non c’è antagonismo tra l’ottimista per servitù e l’incazzato per esistere e non c’è separazione tra il “tutto va ben” e il “solo fuoco e fiamme”: sono tutti compagni, identici utili idioti alla banalizzazione di quello che ci sta intorno. Per la gioia del re.

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Ce la cantiamo e ce la suoniamo tra di noi

Ho letto i commenti di queste ore sulla devastazione di Milano. Ho trovato (me li aspettavo) gli epigoni della violenza che hanno festeggiato, i repressori per natura che hanno potuto dare fiato alle bocche e (finalmente) l’autocritica sul fallimento di una protesta dai motivi giusti e nei modi peggiori che si potessero immaginare. Ma tra tutti vale la pena leggere Gilioli che scrive:

Ce la cantiamo e ce la suoniamo tra noi, qui o altrove a litigare di politica, mentre fuori il mondo si fa disperatamente i cazzi suoi.

Il suo post è qui.

Che fame. A Milano.


Giorgio Fontana analizza il tema della fame (che speriamo davvero possa diventare un ricco dibattito nei prossimi mesi) con un articolo ragionato e importante:

1. Livelli di un problema
Tra le tante emergenze di una metropoli, la fame è una delle più elusive. La questione di un tetto sopra la testa, nella sua priorità, ha un aspetto tracciabile: se dormi ogni sera su una panchina, evidentemente ti manca una casa; e per vedere persone sulle panchine di notte, ahimè, basta fare due passi per Milano.
Ma la fame? Come individuarla, in assenza di forme immediatamente visibili quali le immagini di una carestia in un paese povero?
Rispetto alla questione dell’alloggio, così dibattuta in questi giorni, la malnutrizione può apparire un tema molto remoto, quasi ottocentesco. A Milano si muore di freddo, ma non di fame. Eppure l’intero discorso del cibo è tutt’altro che marginale, e allo stesso tempo attraversato da livelli diversi di complessità.

C’è la fame radicale di chi non ha quasi nulla; c’è quella di chi ha qualcosa, ma non è abbastanza oppure passa uno o due giorni senza nulla nello stomaco; c’è la fame dei pensionati che arrivano a fine mese senza soldi e si recano alle file di distribuzione degli alimenti. C’è la fame di chi va dal panettiere per avere qualcosa in regalo, e quella di chi prende gli avanzi del mercato di quartiere. Ma c’è anche la fame di chi riesce a saziarsi con diete ripetitive e di scarsa qualità – i figli delle famiglie più povere, per esempio – alimentando così l’ulteriore problema della fame nascosta, la sottonutrizione dovuta a carenza di vitamine e minerali.
Il problema del cibo si inserisce quindi in un più vasto problema di difficoltà economiche e sociali che attraversa Milano come tutta l’Italia: ma in un certo senso, Milano è una buona metonimia dell’Italia – oltre che la sua città più europea e moderna, almeno all’apparenza.
Qui si può mangiare qualsiasi cosa, ovunque e più o meno a ogni ora: la retorica della cucina, così importante nel nostro paese, non tradisce. Ma la quantità e la varietà del cibo disponibile (e sprecato, continuamente sprecato) creano un evidente contrasto se pensiamo a chi non ha accesso nemmeno a quanto serve per saziarsi in maniera dignitosa.
Se ci pensiamo, certo. E più ancora: se siamo in grado di pensarci correttamente.
Quante sono infatti queste persone? Chi le aiuta a sopravvivere? Quali sono le loro speranze per il futuro? La realtà sta peggiorando o migliorando? Conoscere la vera situazione della fame nella città che sta per ospitare un’Esposizione universale dal titolo “Nutrire il pianeta” (il cui comitato scientifico si propone, tra l’altro, di “ridurre la povertà e la fame e attenuare le disparità sociali nel mondo”) appare ancora più urgente e necessario. Soprattutto se si desidera fare un discorso laico sul tema, al di là degli slogan entusiastici e delle narrazioni pacificate che stanno accompagnando il maxievento.

Il resto è qui.

In bici senza sella

Un bell’articolo di Simona Maggiorelli (sul sito di Left qui)

 

 «Vi faremo sapere» è il refrain di ogni colloquio di lavoro. Poi cala il silenzio. E si ricomincia. Liste di collocamento, disoccupazione, ingaggi a chiamata, che non arriva mai. Ma i giovani – precari, lavoratori a intermittenza, freschi di licenziamento – non ci stanno a farsi mettere al collo l’etichetta NEET, per diventare la scimmietta del sociologo di turno.

Meglio essere cervelli in fuga. In fuga sì, su una bici senza sella. Olio di ginocchia. Fantasia e una buona dose di auto ironia. Per provare a sfangarla.

Nasce così il progetto cinematografico In bici senza sella ideato da Alessandro Giuggioli che mette in rete autori da ogni parte d’Europa. Autori di talento, che sanno bene di che si parla quando si dice precarietà. «In Bici senza sella nasce due anni fa. Ero da poco tornato da un’esperienza di tre anni a Londra e avevo appena cominciato il mio lavoro di produttore», racconta Giuggioli.«Ma in Italia mi sono trovato davanti una realtà ben diversa: qui vengono date poche possibilità per realizzarsi.

Così, una sera, dopo il classico Signori e Signore buonanotte mi si è accesa una lampadina. Perché non provare a mettere insieme giovani di talento facendoli esordire insieme al cinema?». Così con Vittoria Brandi, coautrice di alcuni degli episodi del film, Alessandro Giuggioli ha chiamato a raccolta amici attori e registi. «Intorno ad un tavolo, abbiamo cominciato a scambiarci idee.

Il tema del precariato era forte per tutti, avendolo vissuto tutti i giorni sulla nostra pelle». Ma ognuno voleva affrontarlo da un punto di vista diverso. Su un punto però erano tutti d’accordo: «Non piangersi addosso, non attaccare nessuno, ma proporre una propria visione per quanto grottesca, ridendoci sopra, e soprattutto avanzare soluzioni, per assurde che siano». Ma per noi, com’è essere precario? Azzarda qualcuno: è un po’ come andare in bici senza sella, abbozza il Giuggioli. «Ci siamo guardati sorridendo, avevamo già capito. La sera dopo accendo la TV e vedo gli ultimi minuti di una gara di Mountain Bike: non volevo credere ai miei occhi, un ciclista stava tagliando il traguardo per secondo senza sella. La giornalista chiede come si fa a pedalare senza sella?. E lui: “mah, è un po’ come stare in Italia”. Senza dubbio, quello era il titolo!».

La precarietà, niente affatto immaginaria, dei registi come cambia l’opera finale?

Spero la renda più vera. Chi scrive sceneggiature sa bene che è difficile scrivere nella propria stanza. Se voglio parlare di precariato devo conoscere cosa significa essere precario. E poi credo che questa nostra condizione abbia tirato fuori un’energia creativa incredibile. Penso, solo per fare un esempio, all’episodio girato da Francesco Dafano: praticamente è muto. Con la sua sensibilità il regista è riuscito a realizzare 15 minuti di pura poesia.

Ad accendere la miccia è stato l’episodio girato da Sole Tonnini?

Tutto è cominciato dal lavoro di Sole e Gianluca Mangiasciutti. E’ stato la prima pietra. Forse la più importante. Con pochissimi mezzi e il tempo limitato ( praticamente è stato girato in una notte) hanno realizzato un piccolo gioiello. Loro due, così come gli altri sette registi, hanno le carte in regola per diventare dei grandi registi.

Quale è stata la reazione del pubblico alle anteprime nei festival?

Al festival di Trevignano avevo accanto a me Sole e l’attore Luca Scapparone, dall’altro lato Francesco Dafano. Eravamo impauritissimi. Pensavamo però di aver portato qualcosa di bello. Al buio sono partiti gli applausi, uno scroscio che non terminava più, credo di essermi commosso… io piango sempre anche davanti ai Simpson.

Così è partito il tam tam del crowdfounding?

E’ partito il 27 marzo e abbiamo tempo fino a fine maggio. Abbiamo superato i 10mila euro, ma speriamo di riuscire a raggiungere il nostro obiettivo. Dobbiamo lavorare duro, sollecitare le persone, attirare la loro attenzione. Lo strumento crowdfunding non è ancora molto conosciuto in Italia e trova delle resistenze, ma vedo che cominciano ad accorgersi di noi e ogni giorno sempre più persone ci supportano.

Qual è l’obiettivo creativo di questo progetto a più mani?

Portare al cinema questo film, farlo vedere. Poi non nascondo che l’obiettivo sia anche “politico”. Nel senso bello del termine. Mi piacerebbe che fosse un progetto pilota. Che apre la strada. E’ inutile fare le battaglie da soli. Si cerca di custodire le idee (e a volte è giusto) ma spesso porta a dire “o lo faccio io o non lo deve fare nessuno”, invece serve cercare alleanze con chi ha un modo di pensare affine. Le battaglie, sopratutto se fatte “dentro casa” non portano vittorie.

E poi…?

Vorremmo far capire che siamo tanti, che non ci arrendiamo, e che nonostante tutto abbiamo ancora voglia di ridere e far ridere. Abbiamo preso tante “sberle” in questi anni, ma forse ci hanno rafforzato. Il gruppo è importantissimo. Il nostro ha funzionato. Nel tempo poi altri si sono affiancati, penso ai ragazzi dell’AMARO (Giovanni Battista Origo, Francesco Formica, Ermes Vincenti) che stanno facendo un lavoro incredibile. Siamo una squadra, nessuno è più importante dell’altro

Nel frattempo In bici senza sella sta diventando un progetto europeo?

Il precariato non è una condizione esclusivamente Italiana, quindi certo, noi ci rivolgiamo ad un pubblico più ampio. Quando ho compiuto 19 anni siamo entrati nell’ Euro, si viaggiava con la sola carta d’identità, i miei amici sono partiti, alcuni sono tornati, altri sono rimasti. Io mi sento Italiano ma mi considero un cittadino europeo, anche se vedo una grande miopia a Bruxelles. Io spero che i governi dei singoli Paesi inizino prima o poi a collaborare per il bene comune. Io continuo a crederci, speriamo non mi facciano cambiare idea.