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Giulio Cavalli

La radiocronaca dello “spettacolino” di Renzi (nelle Università private)

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di Francesca Coin

Circondato da guardie del corpo e accolto da una folla di giovani alla ricerca concitata di un autografo, Renzi è arrivato ieri alla Luiss, l’università di Confindustria come una popstar degli anni Ottanta, una di quelle per cui le fan gridavano e si strappavano i capelli, un po’ come in quel film di Carlo Cotti, Sposerò Simon Le Bon. A guardarlo bene quel teatrino surreale non mancava di mettere una certa tristezza. Manzoni, la buona scuola e l’azzeccagarbugli, una mescolanza di argomenti privi di alcun nesso logico, tenuti insieme solo dagli occhi sedotti di una platea imbonita e dalla boria di chi parlava, mentre ad altri non rimaneva che arrendersi allo spettacolo mesto di Premier che cita mozzichi dei Promessi Sposi quasi fossero l’ultimo libro che ha letto, assaliti dalla realizzazione tragica che la linea di demarcazione tra la politica, la cultura e lo spettacolo è definitivamente venuta a mancare. Teatrini, frasi fatte, risa auto-compiaciute: non è un caso che Renzi abbia scelto la Luiss per farsi applaudire. L’ultima volta che ci ha provato in un’università pubblica, infatti, è stato contestato. Non da tutti, c’è da dire, a rigor del vero: i docenti se ne stavano seduti docili e concilianti in platea, ma gli studenti – cui l’ingresso al Politecnico era negato – dall’esterno chiedevano che se il Premier ne andasse. Così, dopo un discorso fatto ancora una volta di slogan e ritornelli, cultura-coraggio-innovazione, un po’ come i Duran Duran cantavano no-no-notorious, Livio Serra, rappresentante degli studenti, era entrato per offrire al Presidente un cappello da giullare, dicendosi indignato che il Politecnico di Torino si fosse ridotto a fare da “passerella per il Presidente del Consiglio” tanto più di fronte a un tale scempio di retorica. Che cos’è che indigna tanto, delle passerelle di Renzi? Prima di tutto quella specie di abisso che separa i riflettori, i selfies e le telecamere dal mondo vero, quello che di cotante parole non sa che farsene, anzi ne farebbe volentieri a meno perché di problemi ne ha altri. Ma di fatto c’è un problema più profondo, cioè che in quella parlata da giullare, in quel sorriso auto-compiaciuto, Renzi offusca una realtà tragica, il fatto che la sua Luiss, Università privata promossa da Confindustria il cui Presidente è Emma Marcegaglia, sta all’istruzione pubblica come le sue parole di innovazione stanno ai bisogni reali dell’Italia. Sono, cioè, baluardi di una retorica vuota e auto-referenziale, uno spettacolo di dubbio gusto che finiti i plausi e i riflettori ci riportano all’agonia ignorata di un paese stremato dall’austerità e dal declino, senza un euro per la ricerca e le borse di studio, in cui crescono i neet e la fuga dei cervelli, mentre lui e i suoi finanziatori privati sorridono, si fanno i selfies e ci salutano dalle telecamere.

(fonte)

Una lettera sulla scuola che dovrebbe esser buona

Mi arriva una lettera che volentieri condivido:

97521Onorevoli Deputati e Senatori, Siamo un gruppo di insegnanti iscritti nelle Graduatorie ad Esaurimento (GAE), che avendo preso visione del testo del DDL approvato dal CdM, seppure ancora non definitivo, ha delle forti perplessità sul Piano assunzione straordinario di cui all’art. 8. In questo ddl e’ prevista, oltre all’assunzione dei vincitori del concorso 2012, anche di coloro che sono inseriti nelle GAE, secondo dei criteri che sono esplicitati nel comma 4 dello stesso art. 8. La parte che non è assolutamente condivisibile è quella inserita nei commi 5 e 10 dell’art. 8, laddove si dice che “in caso di indisponibilità di posti per gli albi territoriali indicati, non si procede all’assunzione” e “ a decorrere dal primo Settembre, le graduatorie ad esaurimento perdono efficacia ai fini dell’assunzione con contratti di qualsiasi tipo e durata”. Di fatto così si rischia la soppressione della GAE (Graduatorie ad Esaurimento), anche se vi residueranno ancora iscritti . Questo sarebbe una palese violazione dei diritti acquisiti, ex lege, da decine di migliaia di persone che hanno seguito scrupolosamente un percorso approvato dalle leggi dello Stato Italiano! Chi è in GAE, vi si trova perchè ha superato e vinto un concorso pubblico per titoli ed esami ( es. 1999) o ha superato una durissima selezione per far parte delle Scuole di Specializzazione per l’Insegnamento (SiSS) a valore concorsuale. Chi è in GAE ha seguito le legge che gli assicurava il diritto all’assunzione, secondo lo scorrimento della Graduatoria ad Esaurimento, sia che avesse avuto o meno la possibilità di fare supplenze, vedasi art. 1 C. 605 L. 27/12/2006 n. 296, che trasformava le graduatorie permanenti in “ad esaurimento”. Se voi doveste legiferare violando tali principi di diritto, ecco quali saranno i risultati: 1) saranno calpestati giuridicamente i diritti acquisiti di migliaia di persone nonché il principio costituzionale di eguaglianza previsto dall’art. 3 della Costituzione Italiana e cioè che a parità di condizioni deve corrispondere un trattamento eguale. Chi, inserito nelle GAE, rimanesse escluso dalle assunzioni, con la conseguente soppressione delle stesse e si vedesse negato il diritto all’immissione in ruolo subirebbe una discriminazione palese nei confronti di chi avesse la “fortuna” di rientrare tra i nuovi criteri decisi dal Parlamento per la nomina in ruolo. La legge non può e non deve essere retroattiva. L’unica possibile soppressione della GAE è dopo aver immesso in ruolo tutti i docenti ivi inseriti. 2) verrebbe violato il principio del legittimo affidamento, quale corollario della certezza del diritto, riconosciuto sia a livello europeo (sin dal 1978) sia a livello nazionale; 3) si aprirebbe un inevitabile e massiccio contenzioso giudiziario tra lo Stato e decine di migliaia di docenti inseriti in GAE ed ingiustamente esclusi dal piano di assunzioni, compresi i docenti che in GAE sono iscritti con riserva; 4) i docenti che rimanessero esclusi dall’assunzione e che vedrebbero perdere l’efficacia della GAE, avrebbero così come unica possibilità di accesso al ruolo, il partecipare e vincere il concorso che verrebbe indetto nel 2016 o in futuro. Tale eventualità sarebbe inaccettabile giuridicamente, in quanto i docenti delle GAE un concorso lo hanno già fatto ( concorso del 1990, concorso a cattedra per titoli ed esami del 1999 o scuole di specializzazione avente valore concorsuale). 5) Si perderà definitivamente quel minimo di fiducia e di credibilità nello Stato e nei suoi rappresentanti. Noi proponiamo e chiediamo che vengano assunti dal primo Settembre 2015 tutti coloro che sono inseriti nelle GAE, così come era proposto nel documento La Buona Scuola, sbandierato sin dal Settembre 2014, con lo svuotamento totale della Graduatoria ad esaurimento o, in subordine, l’immissione con ruolo giuridico già dal settembre 2015 ed effetti dal primo Settembre 2016, soprattutto per coloro che rimarrebbero esclusi, in quanto residuali, dal piano straordinario di assunzioni. Per i docenti che sono in graduatoria ad esaurimento in materie c.d. obsolete, chiediamo la riconversione in ambiti affini.
Gruppo FB GAE: TUTTI E SUBITO IN RUOLO!

Disabituati alla bellezza

(Post di Gianni Biondillo e Marco Belpoliti per Nazione Indiana)

Come è andata a finire con l’Area ExEnel

di Gianni Biondillo e Marco Belpoliti

enel1Nel gennaio del 2012 su questo blog era apparso questo articolo. Altri in contemporanea ne uscirono su vari blog e quotidiani, a firma di Marco Belpoliti, Luca Molinari, Marco Biraghi, etc.

Sollevavano un problema: la costruzione nell’area di fronte al Cimitero Monumentale di Milano di due edifici fuori scala, di un albergo inutile e di un parcheggio sotterraneo di 250 posti camuffato da piazza in una zona di rispetto architettonico, con un progetto che lasciava molto a desiderare dal punto di vista estetico e urbanistico. Ne era nato un dibattito (vedi ad esempio qui) che aveva coinvolto giornali, architetti, intellettuali, politici. La questione si era trasferita, dopo varie vicissitudini e discussioni, nelle aule del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, che aveva bocciato il ricorso del gruppo di cittadini che si erano organizzati nella sigla Area Ex Enel con un suo sito.

Ora sull’intera materia si è espresso il Consiglio di Stato (Sentenza Ex-Enel.1), dando ragione ai cittadini che hanno sollevato il tema della legittimità della scelte della giunta Moratti, prima, e Pisapia, poi. Tutto questo è succintamente spiegato nella lettera che segue indirizzata a “il Corriere della Sera” che, unico giornale milanese, ha dato alcuni giorni fa con un ampio articolo notizia della sentenza, intervistando l’assessore all’Urbanistica del Comune di Milano e vice-sindaco, Ada Lucia De Cesaris, sostenitrice della scelta urbanistica e giuridica bocciata dal Consiglio di Stato. Ora che Milano è sotto i riflettori dell’intero paese per l’apertura imminente dell’Expo a maggio, vale la pena di tornare a riflettere su questo caso (60 milioni di euro investiti da privati che ora non potranno proseguire i lavori iniziati) che ripropone le questioni della gestione politica delle nostre città, della partecipazione dei cittadini e della bellezza architettonica.

***

enel2Su queste pagine giorni fa è apparso un lungo articolo sul blocco del cantiere Ex Enel. Il Consiglio di Stato ha dichiarato l’intera operazione illegittima, ha bloccato l’intero cantiere, dopo il ricorso intentato da alcuni cittadini. Quei cittadini siamo noi, ed è giusto che spieghiamo le ragioni del ricorso, e come si è arrivati a questo punto.

Scriviamo per spiegare ai lettori – ai milanesi e non solo a loro – cosa succede in città, e non tanto, come si usa in questi casi, per mandare messaggi a qualcuno.

Proviamo a raccontare brevemente la storia, per aiutare tutti a capire. L’area di fronte al Cimitero Monumentale, di ex proprietà dell’Enel, e dunque pubblica, molti anni fa fu svenduta a una società privata. Dopo lunghi anni di abbandono, e poi di occupazione da parte del centro sociale Bulk, durante l’amministrazione di Letizia Moratti, alcuni imprenditori decisero di costruire degli immobili residenziali.

Per fare questo, il Consiglio Comunale di allora (Moratti) approvò una delibera che modificava le cubature edificabili, triplicandole. In un colpo solo quel terreno, comprato per 10, valeva 300.

Per trasformarle in area residenziale, edificabile, e per aumentare le cubature consentite per legge e concedere le concessioni, l’amministrazione comunale si avvalse dello strumento del “programma integrato di intervento”, uno strumento che, nel diritto italiano, è consentito solo ed esclusivamente in casi di evidente interesse pubblico e strategico per la città.

Anni dopo la giunta Pisapia, durante un assolato agosto di quattro anni fa, tra i suoi primi provvedimenti importanti, riportò in consiglio comunale la delibera e la approvò: senza nessun comunicato stampa, e senza che la notizia venisse riportata da alcun giornale. Una procedura che, vista l’importanza dell’operazione riguardante una zona centrale della città, risultava quantomeno anomala.

Il progetto approvato prevedeva, in tre isolati situati di fronte al Cimitero Monumentale, il luogo più visitato dai turisti dopo il Duomo, tre palazzoni di più di 10 piani ciascuno, in un quartiere di edifici di 4 piani al massimo; edifici ad uso residenziale, brutti come raramente possono esserlo: talmente brutti da far apparire al confronto l’edilizia di Quarto Oggiaro come dei palazzi del Bernini.

Alla notizia di questo scempio, un gruppo di abitanti del quartiere e alcuni intellettuali, scrittori, architetti, ha provato a intervenire. Abbiamo chiesto di incontrare la proprietà, il Comune, cercando il dialogo, sostenendo che andava bene il profitto economico dei privati, ma che l’operazione avrebbe potuto essere un po’ meno spregiudicata, contenere qualche spazio pubblico, e concedere qualcosa alla qualità architettonica. Non chiedevamo di scomodare grandi architetti, semplicemente di evitare il ricorso in pieno centro storico a un’edilizia così sfacciata e imbarazzante. In sostanza chiedevamo l’adozione di una logica progettuale moderna, non tre palazzoni da edilizia speculativa.

Il Comune di Milano non ci ha voluto dare ascolto. Lo stesso atteggiamento hanno mantenuto i proprietari del terreno. Entrambi ci hanno detto soltanto di pure loro causa, che tanto l’avrebberio vinta.

Soltanto l’impresa costruttrice di una parte degli edifici si è mostrata invece disponibile, modificando le facciate di loro pertinenza in corso d’opera, e ridisegnando un piccolo parco. Da parte loro si trattava di un impegno ulteriore, che andava oltre il loro immediato interesse, e quindi da considerare assolutamente apprezzabile.

Avendo quest’unico interlocutore, ovviamente non trovammo un vero accordo. Il vero soggetto in grado di imporre un interesse pubblico all’area, vale a dire il Comune, mancò invece all’appello. Rimanendo convinti che l’operazione fosse sbagliata sotto il profilo architettonico, politico, urbanistico, e legislativo, e non riuscendo a ottenere altri risultati se non quello – comunque importante – di far riprogettare gli spazi aperti, fummo costretti a non ritirare il ricorso in tribunale.

Oggi il Tribunale di Roma ha dichiarato l’intera operazione illegittima, in quanto priva del presupposto di un interesse strategico e pubblico. Ci ha dato ragione. Una pessima notizia, a ben vedere. Non soltanto perché ora il progetto è diventato un problema, ma soprattutto perché non eravamo e non dovevamo essere noi i paladini dell’interesse della città.

Non debbono essere i privati cittadini a vigilare sulla legittimità delle operazioni immobiliari, sulla qualità architettonica e sul rispetto delle norme urbanistiche. È un ruolo che spetta alle istituzioni.

Avere ragione non ci interessa: ci interessa, così come sin dall’inizio, che si costruisca bene, in modo sensato, intelligente, corretto, restituendo alla città vivibilità e bellezza.

Ci interessava allora, e ci interessa ancora di più adesso. Adesso che c’è un “buco” nel cuore della città, e non vediamo l’ora che questa sia l’occasione per dare a questa zona importante della città una soluzione degna di Milano. Soprattutto alla luce dei numerosi fallimenti urbanistici di questa città.

Ora non possiamo che augurarci che questo “buco” sia l’occasione per ripartire da una logica diversa, con un piglio diverso, con un orizzonte progettuale più alto e di più ampio respiro. L’orizzonte legittimamente alto e ambizioso di disegnare e pensare la città.

Si tratta di un compito arduo, che spetta in primo luogo al Comune di Milano. Speriamo che questa volta ci provi.

Marco Belpoliti
Gianni Biondillo
Marco Biraghi
Paola Lenarduzzi
Roberto Marone
Luca Molinari
Alberto Saibene

(pubblicato precedentemente su Il Corriere della Sera – Milano, il 22 marzo 2015. Questo post è da oggi on line anche su DoppioZero. Le vignette sono un regalo di Guido Scarabottolo)

Lo stato #verybello dei cantieri per #expo2015. Astenersi ottimisti per servilismo.

 

Non c’è dubbio che tra scandali giudiziari, infiltrazioni mafiose, traduzioni che fanno impallidire Google Translate e un assortimento verybello di catastrofi comunicative, per Expo 2015 sia stata durissima arrivare fino a qui. Ma ormai manca poco più di mese al taglio del nastro.

Il 13 marzo 2015 il primo ministro Matteo Renzi ha fatto un sopralluogo all’interno del Grande Cantiere, tra i circa tremila operai che lavorano giorno e notte per portare a termine l’impresa. “Siete l’anima e il cuore di questo cantiere,” ha detto tra un selfie e una stretta di mano. “Dovete lavorare con l’orgoglio di chi sta costruendo una grande cattedrale laica. Ce la faremo come è sempre nel nostro dna, magari facendo un po’ di corse alla fine.”

Lo stesso giorno, Expo ha caricato sul proprio canale YouTube l’ultimo episodio di “Belvedere in città,” una serie di video ripresi da un drone per mostrare l’erezione della “cattedrale laica” che dovrebbe essere presa d’assalto da venti milioni (o forse dieci?) di visitatori da ogni angolo del globo, pronti a spendere a più non posso e inondare Milano di soldi.

La realtà, tuttavia, è decisamente meno ottimista di quanto dia a intendere Renzi e di alcuni articoli apologetici che definiscono il cantiere uno “straordinario laboratorio di costruzione” che cresce con una “vertiginosa rapidità.”

Il resto qui.

Ecco quanto ci costeranno le scuole paritarie.

Luca ha fatto i conti per noi su L’Espresso:

Costerà 66,4 milioni di euro l’anno, la detrazione che il governo vuole assicurare alle famiglie che iscrivono i figli alle scuole paritarie. Lo mette nero su bianco una bozza della relazione tecnica firmata dai dirigenti del ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, che accompagnerà il disegno di legge che il consiglio dei ministri farà arrivare in parlamento, probabilmente al Senato, una volta chiuso il cerchio.

La relazione fa i conti in tasca alla riforma, calcolando soprattutto l’onere derivante dalle stabilizzazioni degli insegnanti precari. Il numero di docenti stabilizzati non è quello inizialmente promesso, come noto, ma per coprirlo serviranno comunque, a regime, oltre 2 miliardi di euro.

Meno di quanto previsto dalla Flc Cgil, ma comunque molto a giudicare dalla difficoltà con cui palazzo Chigi sta chiudendo il fascicolo coperture. 50 mila assunzioni dovrebbero esser fatte per coprire i posti già esistenti e vacanti, coperti finora dai precari. Altri 50 mila dovrebbero servire per comporre il cosiddetto organico funzionale. Sono, o meglio sarebbero, 100 mila insegnanti in tutto che comportano un onere complessivo, anche considerando che la maggioranza sono già in forza alla scuola pubblica, di 544 milioni nel 2015, 1 miliardo e 853 milioni nel 2016, e su a crescere, fino ai 2 miliardi e 233 milioni nel 2025. È con questo punto, che Renzi mette il parlamento di fronte a un testo prendere o lasciare, e a un calendario che dovrà essere velocissimo, per arrivare in tempo rispetto al prossimo anno scolastico.

Chissà quanto si potrà discutere, dunque, di uno dei punti dolenti della riforma, l’articolo 17 del testo, che si occupa delle «misure per la sostenibilità delle scuole paritarie». La norma, fortemente voluta dall’alleato di governo Ncd ma difesa anche da pezzi del Pd, tra cui l’ex ministro Luigi Berlinguer, prevede la detraibilità del 19 per cento delle spese sostenute per la frequenza di scuole dell’infanzia, delle elementari e delle medie. Rispetto alla prima bozza della legge (quando ancora il governo pensava di fare un decreto) sono stati esclusi i licei. E anche la cifra massima si è ridotta a un decimo di quanto inizialmente previsto: l’importo annuo detraibile sarà di massimo 400 euro: alla fine, un risparmio di circa 75 euro l’anno.

Il ministero, stando sempre a questa bozza, ha facilmente calcolato il costo complessivo dell’operazione. Nell’anno scolastico 2013/2014 al Miur sanno che gli alunni iscritti a una scuola paritaria sono stati circa 874 mila: 622 mila ad una scuola dell’infanzia, 186 mila ad una primaria e 66 mila alle medie. Esclusi, come detto, i 119 mila iscritti alle superiori. «Considerando il tetto massimo di spesa detraibile prevista dalla norma pari a 400,00 euro ad alunno» scrivono i tecnici nella relazioni, «si stima un ammontare totale di detrazione di circa 66,4 milioni euro». Che raddoppiano, nel 2016, se la norma dovesse realmente entrare in vigore già per il 2015: bisognerebbe allora prevedere un meno 116,2 milioni di euro di Irpef.

Contentissimo il sottosegretario all’Istruzione, l’alfaniano, Gabriele Toccafondi: «È una rivoluzione culturale» dice, «a quindici anni dalla legge sulla parità scolastica, per la parità giuridica, finalmente si compie un primo passo per la parità economica». Il primo passo però non basta invece a Roberto Gontero, presidente nazionale dell’Associazione nazionale genitori scuole cattoliche: «La montagna non ha partorito neppure il classico topolino, ma addirittura una formica» dice, «parlare di un tetto di 400 euro a un genitore che affronta una spesa decisamente superiore ha un po’ il sapore della beffa». Gontero vorrebbe proprio che lo stato pagasse le rette per intero, a chi non può permetterselo, «garantendo così un reale diritto di scelta».

Si dice contrario, ma per opposte ragioni, Raffaele Carcano, segretario dell’Uaar: «Non bastavano» dice, «le già cospicue risorse che ogni anno escono dalla casse dello Stato per il finanziamento delle scuole paritarie, non bastavano i quasi 700 milioni di euro erogati dalle amministrazioni locali, non bastava l’esenzione Imu-Tasi! Ora ci toccherà aggiungervi anche il costo delle detrazioni per le famiglie che decidono di mandare i propri figli alle private». Non è però sorpreso, Carcano: «D’altronde» continua, «non dovremmo sorprenderci: ben 44 parlamentari della maggioranza che sostiene il governo hanno scritto al premier Renzi nei giorni scorsi per chiedergli un intervento in questo senso. Ed è ben nota la simpatia della ministra dell’Istruzione, Stefania Giannini, per la “causa” delle scuole paritarie».

La senatrice di Sel, Alessia Petraglia all’Espresso conferma la stima del Miur: «La cifra corrisponde grosso modo a quella che abbiamo stimato noi» dice la senatrice che nota, e con lei i colleghi del movimento 5 stelle, come manchino ancora indicazioni specifiche sulle coperture economiche. «Quando finalmente avremo il testo definitivo potremo aprire un confronto di merito su questo e su altri aspetti più che controversi della riforma» continua Petraglia, «intanto posso però dirmi contrarissima alla detrazione per le paritarie. Chi sceglie di iscrivere il proprio figlio ad una scuola privata è liberissimo di farlo, ma lo deve fare senza gravare su tutti gli altri. Se troviamo delle risorse da spendere in detrazione perché non darle allora a chi, nella scuola pubblica, si trova comunque a far fronte a continue spese e sottoscrizioni? Dal contributo volontario che volontario non è più, al videoproiettore comprato con una colletta, alla carta igienica: potrei fare a Renzi un lungo elenco di spese che devono affrontare i genitori».

L’ammucchiata di Agrigento

Sempre peggio:

Forza Italia e Pd correranno insieme alle amministrative di Agrigento. Il nuovo sindaco, dunque, sarà il risultato di un accordo che stringeranno democratici e berlusconiani. L’intesa si è concretizzata dopo un incontro al quale ha partecipato anche il presidente della Regione Sicilia Rosario Crocetta e Riccardo Gallo Afflitto, vicesegretario regionale di Fi, ritenuto un fedelissimo di Marcello Dell’Utri. Non solo: la circostanza quasi inedita è che anche i berlusconiani parteciperanno alle primarie di coalizione per scegliere il candidato sindaco. Da una parte dunque quello che i vertici di Fi schifano a livello nazionale (le primarie, sul quale c’è il grosso dello scontro tra Berlusconi e Fitto) va bene a livello locale, dall’altra per il Pd pare non imbarazzare l’accordo con i forzisti. Il segretario regionale Fausto Raciti lo spiega con il fatto che il candidato che correrà alle primarie sarà solo “sponsorizzato” da Forza Italia e dunque sulla scheda non si vedranno di fianco i simboli di Pd e Fi. “Ad Agrigento il simbolo del Pd convive con delle liste civiche e non con Forza Italia – spiega il segretario regionale democratico Fausto Raciti – Non ci vedo nulla di scandaloso o di incredibile”. Per Raciti, dunque, non c’è un accordo diretto con Forza Italia, ma un’intesa con alcuni “movimenti civici tra cui Patto per il territorio che al suo interno ha anche ex esponenti di Forza Italia, ma che hanno deciso di aderire a quel progetto”. Agrigento nei mesi scorsi era stata al centro delle polemiche per lo scandalo sulla proliferazione delle commissioni consiliari: 1133 sedute nel 2014, costate al Comune 285mila euro ed una serie di indagini della Procura. A inizio febbraio i consiglieri comunali avevano rassegnato le dimissioni provocando la decadenza dell’assemblea.

Anche Rosario Crocetta si affretta a precisare che “non c’è nessun accordo tra il Pd e Forza Italia” e che “si tratta di liste civiche che servono a isolare la Lega”. Il riferimento alla candidatura di Marco Marcolin, deputato del Carroccio, che sarebbe sostenuto dalla lista Noi con Salvini, che il segretario del Carroccio ha già lanciato nelle settimane scorse. E Agrigento sente da vicino, per esempio, il problema dell’immigrazione.

In una situazione del tutto rovesciata succede poi che sia l’Udc a tirarsi fuori dal maxi-accordo. I centristi non hanno partecipato all’incontro e presenteranno un loro candidato, Calogero Firetto, l’attuale sindaco di Porto Empedocle. “Avrebbero voluto anche me in questo calderone – spiega Firetto all’AdnKronos – ma ho detto no. In provincia di Agrigento non ci saranno primarie tranne ad Agrigento città e guarda caso Forza Italia correrà con la coalizione di centrosinistra”. Secondo Firetto è un “già visto” tanto che fa una previsione sul risultato delle primarie: “Vi dico che vincerà con assoluta certezza il candidato di Riccardo Gallo, Silvio Alessi – dice – Vedrete che ho ragione. Dunque il candidato del Pd sarà un esponente di Forza Italia”.

All’incontro che ha sancito l’intesa oltre a Crocetta hanno partecipato Giuseppe Zambito, segretario provinciale del Pd, la vicepresidente della Regione e assessore alla Formazione della Sicilia, Mariella Lo Bello, Maria Iacono, l’ex assessore alla Formazione Nelli Scilabra, oggi nella segreteria di Crocetta, il deputato Angelo Capodicasa, Salvatore Cascio, Piero Macedonio, Riccardo Gallo Afflitto, vicesegretario regionale di Forza Italia in Sicilia, vicinissimo a Vincenzo Gibiino (Forza Italia). Non c’era Marco Zambuto, presidente del Pd regionale ed ex sindaco di Agrigento, ma è tra coloro che hanno caldeggiato l’accordo Pd-Fi.

In questo frittatone succede poi che non si sa cosa farà invece il Nuovo Centrodestra, visto che Agrigento è la città del leader del partito Angelino Alfano. Ad Agrigento le primarie si terranno il 22 marzo. Saranno 4 i candidati: Silvio Alessi, uomo di Riccardo Gallo Afflitto, numero due di Forza Italia in Sicilia e vicino a Michele Cimino, Epifanio Bellini, esponente del Pd, Piero Marchetta, ex assessore provinciale, e Peppe Vita, outsider di sinistra. Crocetta non nasconde la sua soddisfazione per questo accordo e parla di un “progetto di cambiamento forte per la città di Agrigento”. Ma i mal di pancia nel Pd sono solo all’inizio e la partita è ancora lunga.

(fonte)

Lo dice anche il Ministero: la Broni-Mortara è uno scempio

timthumb.phpProsegue la tardiva ma coerente demolizione del progetto infrastrutturale padano del centrodestra (e non solo) da parte del principale quotidiano. Corriere della Sera Lombardia, 22 marzo 2015

Dopo nove anni di «tragicommedia» — così l’ha definita qualcuno l’altra sera a Pavia durante l’affollata assemblea dei comitati contrari — l’autostrada Broni-Mortara arriva al suo capitolo finale. Lo scempio che dovrebbe sconvolgere la Lomellina, creando un muro (la nuova arteria sarebbe tutta in rilevato alto mediamente 5 metri, con l’impiego mostruoso di 19 milioni di metri cubi di ghiaia) lungo 67 chilometri è stato bocciato dalla Commissione ministeriale di valutazione dell’impatto ambientale che, con una serie articolata di argomentazioni, l’ha definita in sostanza inutile e dannosa, basata su calcoli sbagliati, con un consumo altissimo di suolo in una zona dal delicatissimo equilibrio. E, soprattutto, la Commissione del ministero ha ribadito l’illegalità della procedura sin qui seguita, poiché non si tratta di un’autostrada regionale, dal momento che il tratto Castello d’Agogna-Stroppiana è in territorio piemontese.

Forse è presto per cantare vittoria, ma l’altra sera nella riunione cui hanno partecipato anche una ventina di sindaci, si percepiva un cauto ottimismo sull’esito finale dell’inter autorizzativo che dovrebbe concludersi a giugno. Infrastrutture Lombarde, l’ente proponente, ha intanto preparato una serie di integrazioni al progetto che saranno presentate in Regione la prossima settimana. Ma si tratta di modifiche che, a quanto pare, non incidono suoi rilievi più significativi emersi dal documento del ministero con cui è sancita l’incompatibilità ambientale dell’opera. In sostanza la Sabrom, società controllata da Impregilo-Salini che ha la concessione per la progettazione, la costruzione e la gestione dell’autostrada, avrebbe ridimensionato l’interconnessione con la A-7 a Gropello, spostato l’attraversamento del Terdoppio (avvicinandolo tra l’altro all’abitato di Alagna Lomellina) ed eliminato due svincoli, quello di Tromello e quello di Mortara.

Di fronte alla bocciatura del progetto, contro cui ormai si è creato un fronte compatto di sindaci e associazioni del territorio, la Regione mantiene un imbarazzato silenzio. Proseguire o no nel piano di costruzione di autostrade lombarde dopo il flop della Brebemi e della finanza di progetto, in tempo di scandali sulle grandi opere e di esborsi non previsti (come i 60 milioni messi dalla giunta Maroni per la Brebemi in aggiunta ai 300 dello Stato), mentre la viabilità ordinaria è al collasso?
Il punto è che quei progetti erano stati strenuamente sostenuti da Formigoni e dalla giunta di cui faceva parte anche la Lega. Ora manca una exit strategy, per cui è inutile chiedere a Palazzo Lombardia che cosa intende fare. L’assessore alle Infrastrutture, Alessandro Sorte, fa sapere che non sa che cosa dire, l’entourage del presidente Maroni prende tempo, poi annuncia un comunicato che non arriva mentre i telefoni suonano ripetutamente a vuoto.

E’ evidente che continuare a sostenere i faraonici progetti dell’era del Celeste appare un po’ difficile. Ma anche abbandonare tutto implica problemi rilevanti. La Sabrom ha già fatto sapere che se la costruzione della Broni-Mortara dovesse saltare, Palazzo Lombardia dovrebbe pagare i costi di progettazione che ammontano a 70 milioni di euro. Gli errori rilevati dal ministero sul progetto sono tanti (da un’errata stima del traffico futuro al calcolo del Pm 10 prodotto, sino al riferimento a leggi ormai abrogate). E questo, dice qualcuno, potrebbe aprire una controversia tra Sabrom e Regione. Ma è anche vero che quel progetto fu interamente approvato e condiviso da Infrastrutture Lombarde. Un bel rebus.

L’incapacità di coniugarsi al plurale. E’ questo che ci ammazza.

esordienti2Loredana coglie in una sola frase quello che cerchiamo di dire (e fare) da tempo:

In secondo luogo, c’è la scarsa propensione di  molti scrittori italiani a sentirsi parte di un discorso comune. Più volte ho parlato della Gilda degli scrittori americana e di quanto si è battuta e si batte in difesa dei colleghi più deboli in tempi resi difficilissimi dall’avvento di Amazon e dalla crisi dell’editoria. Su questo punto, in Italia, le iniziative collettive sono state rarissime. Ed è solo un esempio, perché si potrebbero citare decine di altre occasioni dove la solidarietà non solo umana, ma politica, è stata obiettivamente carente.
In terzo luogo, è invece fortissima la propensione al cicaleccio da social: per cui sarà molto più facile vedere unito un gruppo di scrittori a spettegolare su Elena Ferrante che coinvolgerlo in una iniziativa di solidarietà. Non è colpa dei singoli: se il senso comunitario cala fino ad azzerarsi in un paese, chi di quel paese è espressione narrativa si comporterà di conseguenza. Con le dovute eccezioni, come sempre e naturalmente.
Detto questo, il secondo augurio è che le cose cambino. Ma vorrei anche dire una cosa: trovo molto più esecrabile il comportamento di chi si appropria della mancata solidarietà a Erri De Luca per agire pro domo propria. Per vendicarsi del silenzio sui propri libri usando un nome più noto e una battaglia molto più nobile dell’autopromozione, per poter accusare la “casta” di parlare soltanto di sè. Questo, a mio parere, significa che silenzio e tentativo di spostare l’attenzione su se stessi hanno la stessa radice. L’incapacità di coniugarsi al plurale.
E’ questo che ci ammazza.

Il post intero è qui.

Non vanno d’accordo antimafia e imprese

Un gran pezzo di Riccardo Orioles:

220px-Riccardo_Orioles“Fior di viola, splendente,
vivi nei canti, Atene,
tu che hai difeso l’Ellade, tu ardita,
tu città degli dei…”

Ma insomma, come faccio a distin­guere l’antimafia fasulla da quella di cui fidarsi? Facilissimo: quella povera è quella vera. L’antimafia, difatti, è gra­tis. Perciò non puoi farci soldi o carrie­ra. Puoi rischiare la pelle, questo sì, puoi farti emarginare dap­pertutto, puoi – ovviamente – restare senza lavo­ro, puoi anche fare la fame se occorre. Tutte queste belle cose puoi fare, e altre ancora. Ma soldi e carriera no.

Ci spiace, ma non l’abbiamo messa noi questa regola. A noi piacerebbe di più ricevere – in un paese civile – soldi, onori, car­riere felici e tranquille, e magari qualche buona parola.

Ci piace­rebbe anche di più poter pro­mettere tutte queste belle cose ai ra­gazzi che, un anno dopo l’altro, arrivano freschi e decisi: “Vo­glio dare una mano all’anti­mafia”. Ma, in un paese civile.

In questo, la prima cosa che insegnamo è: “Ragazzi, l’antimafia si paga”. Eppure, non restia­mo mai soli.

Al servizio dei grandi imprenditori

La mafia, in Sicilia, nasce storica­mente al servizio dei grandi imprendi­tori del comparto agricolo e successiva­mente in­dustriale. Già nel 1920, a Paler­mo, giu­stiziò per loro conto il sindacalista Fiom Giovan­ni Or­cel; negli anni ’40-’60, per conto dei lati­fondisti, venne assassina­to un centi­naio di dirigenti contadini.

“Impren­ditore”, in Sicilia, non è una gran bella pa­rola, e co­munque con l’anti­mafia ha sem­pre avuto poco a che fare. Così, de­sta poca sorpresa la “scoperta” che le pro­clamazioni di questo o quell’ esponente dell’imprenditoria “anti­mafia” andavano in realtà prese cum gra­no salis.

In realtà, la vera sorpresa è data dalla facilità con cui tutta una serie di perso­naggi del genere ha potuto essere presa sul serio dall’antimafia“perbene”, quella almeno di provenienza non popolare.

I motivi son tanti. Primo, l’approssima­zione politica di gran parte della nuo­va anti­mafia, dove la ripetizione di buoni princi­pi sostituisce spesso la lucidità delle analisi e la radicalità delle azioni. Secon­do, è molto più facile pren­dere a interlo­cutori (finché non sma­scherati) i vari Montante e Haeg che non gli Umber­to Santino, i Pino Maniaci o i Siciliani. I primi han­no denari da mettere nei vari “rinnovamen­ti”, e i se­condi no; i primi non minacciano in alcun modo l’assetto sociale “perbene”, e i se­condi sì. Ma così va il mondo; e noi per­doniamo volentieri agli amici perbene quella che non è certo ma­lafede ma solo disattenzio­ne e pigrizia.

Noi, all’antimafia dei simboli, preferia­mo quella palpabile e concreta. Che fare dei beni confiscati? Affidarli ai Montante o magari (come gl’immigrati) ai Castiglione? Questo, or­mai è pacifico, non si può fare più. Metterli all’asta, come dice il capo della com­missione “anti­mafia” siciliana, Musume­ci? Allora tanto varrebbe ridarli diretta­mente ai mafiosi.

Invece bisogna farne beni sociali, distri­buirli con equità, farne economia sana. Que­sto è ciò che so­stiene Libera da metà anni ’90, e noi da dieci anni prima. E fra il buon ele­fante e le formichine, sarà ben difficile per le be­stie feroci – gattopardi e iene – ri­mettere le zampe sulla preda.

Que­sta è la nostra antimafia. Antimafia utile a tutti, anti­mafia vera. Certo: alla tv e sui giornali non la troverete, trove­rete quella urla­ta. I vari Buttafuoco e Mer­lo (sempre amici dei Berlusconi e dei Cian­cio, e ora improvvisamente grandi antima­fiosi) hanno molta più udienza, las­sù, dei no­stri poveri Giacalone, Ester Ca­stano e Ca­pezzuto. Ma ha davvero impor­tanza? I punti si contano alla fine, diceva­no i mae­stri di tres­sette, e a Sedriano e a Trapani la borghe­sia mafiosa, grazie ai nostri croni­sti, i suoi bravi colpi li ha pur presi.

La vera antimafia è “politica”

Quest’antimafia è politica: in un sistema dove i poteri mafiosi sono tanto inseriti nell’economia, è ovvio che la vera lotta alla mafia sia condizione primissima per cambiare qualcosa. Avete già sentito ‘sta tiritera, se siete vecchi lettori dei Siciliani.

Non si può dire che abbia avuto molto successo: la destra, ovviamente, ha avuto ben altro da fare. Il centrosinistra, col suo partito-nazione, in queste settimane sta re­clutando generali e soldati di tutto il vec­chio Sistema non esattamente antimafio­so. E la sinistra “pura”, gli alternativi? Non sembra che il potere mafioso (e in Si­cilia abbiamo avuto due presidenti di fila o condannati o inquisiti) sia esattamente in cima ai suoi pensieri. Con belle e lode­voli eccezioni, certamente: ma certo non proprio al centro della strategia.

Perciò per noialtri monotoni all’improv­viso, è stata una bella sorpresa vedere che qualcun altro cominciava a percepire que­ste cose. Che lo scontro, in Italia, non è più tanto politico quanto sociale. Che è la società civile, non i partiti e partitini, a dovere portar­lo avanti.

Parliamo, come avrete capito, di Libera, di Emergency, della Fiom, della “coalizio­ne sociale” a cui, con gran diffidenza, vor­remmo affidare una speranzella, dar fidu­cia in qualcosa.

La diffidenza nasce (oltre che dalle ca­tastrofiche esperienze con altri sindacali­sti: vedi Cofferati) dal fatto che per “so­cietà civile” s’intendono ancora solo le grosse e un po’ verticistiche organizzazio­ni. La speranza, dal fatto che tutta ‘sta ba­racca nasce fra gli operai. La (moderata) fiducia dalla modestia e dai limiti fissati dai promotori. “Fare altri partiti? – dicono – Dio ce ne scansi. Vogliamo una rete so­ciale, mettere in comunicazione. Noi sia­mo la società, quella vera. Non c’interessa il Palazzo. Noi siamo semplicemente il Quarto Stato”.

E’ un bel progresso rispetto alle inge­gnerie precedenti (arcobaleni, azione civi­li, fors’anche altreurope) che si presenta­vano con bellissimi progetti chiavi-in-mano, cer­cando disperatamente di farli gestire in­sieme da tutte le vecchie sette precedenti (carbonari, giacobini, seguaci degli statuti di Spagna e narodniki) le quali, per loro natura, difficilmente pote­vano invece accordarsi su qualcosa. “Invece ri­partiamo dalle origini, dai soggetti so­ciali”. Questo, secondo noi, comincia a essere buonsenso.

Il governo reale? Marchionne

Anche dall’altra parte ragionano nudo e crudo, senza tante illusioni. Hanno fatto governi (tre, uno dopo l’altro, tecnici, più tecnici ancora e infine “riformatori”) che – a parte la fuffa mediatica – non hanno go­vernato granché. Hanno coperto, in so­stanza, l’emergere del governo reale, quel­lo direttamente “sociale” – ma della parte alta della società, dei Marchionne. E sono stati attentissimi, agendo sul corpo socia­le, a smantellare via via proprio i ceti so­ciali che potevano fargli opposizione.

Prima è toccato agli operai, privati di sindacati e statuti, sospinti (tatcheriana­mente) nelle curve sud e abilmente divisi, con opportune campagne mediatiche e le­ghiste, dai loro omologhi neri, che dopo anni d’Italia non sono che operai come tutti gli altri. Adesso stanno attaccando l’altra colonna della vecchia Repubblica, la scuola. Il preside-comandante, i prof soldati semplici ai suoi comandi, non sono solo un rigurgito degli Anni Trenta. Sono un progetto abilissimo e preciso, di­struggere ogni luogo sociale e lasciarci ciascuno solo davanti alla sua tv o al suo monitor. Se i Landini e i don Ciotti lo capiranno, potranno contare su molte forze ora sparse e divise.

Il laboratorio-Sicilia

In Sicilia, nel paese-laboratorio in pro­vincia di Messina, la sindaca “antimafio­sa” di due anni fa, la Maria Teresa Colli­ca, è stata buttata giù dalle forze congiun­te dei vecchi padroni di destra e nel “nuo­vo” Pd (escluso, a suo onore, un diri­gente che s’è ribellato). A Messina, lo stesso gioco si va preparando per Accorinti.

Nè lui né la Collica, in questi due anni, sono stati all’altezza del ruolo: simbo­lismi moltissimi, tutti belli e civili e degni di gran lode. Ma politique d’abord, mobilita­zione dei bisogni della gente, fiacca e poca. Nè i “compagni” li hanno granché educati, né sostenuti: ap­plausi ma non cri­tiche all’ini­zio, maledi­zioni ma non mano tesa alla fine – cioè adesso.

* * *

Il Sud, il Mediterraneo, il mondo pove­ro intanto vanno avanti. La Grecia (altro che calimeri) affronta la trattativa coi ge­nerali tedeschi, i Brest-Livotsk, e la sta af­frontando bene. Fra gl’islamici splende, per la prima volta nei secoli, la libertà del­le donne, delle ragazze-partigia­ne di Ko­bane, in prima linea col fucile. Fermano i nazifascisti di Isis, abbandonate dall’Occi­dente ipocrita, ma vittoriose.

 

REATO DI MIMOSA

Le “Mamme No Muos” l’otto marzo l’han­no festeggiato con un corteo a Niscemi, alla base Us Navy del Muos, recentemen­te dichiarata il­legale dal­le compe­tenti au­torità italiane. Alla fine del corteo hanno deposto delle mi­mose sul cancello d’ingresso della base. Ora sono indagate per reati vari, con l’accusa di aver tagliato un pezzetto della rete di recinzione della (illega­le) base stra­niera.

 

Promemoria

Dieci obiettivi dell’antimafia sociale

● Abolire il segreto bancario;

● Confiscare tutti i beni mafiosi o frut­to di corruzione o grande evasione fi­scale;

● Assegnarli a cooperative di giovani lavoratori; aiuti per chi le sostiene;

● Anagrafe effettiva dei beni confiscati;

● San­zionare le delocalizzazioni, l’abuso di pre­cariato e il mancato ri­spetto dello Statu­to dei Lavoratori o di accordi di lavoro.

● Separazione di capitale finanziario e in­dustriale; tetto alle partecipazioni nell’edito­ria; To­bin tax;

● Gestione pubblica dei servizi pubbli­ci es­senziali (scuola, università, difesa, ac­qua, energia, strutture tecnologiche, credi­to in­ternazionale);

● Progetto nazionale di messa in sicurez­za del territorio, come volano eco­nomico so­prattutto al Sud; divieto di altre cementifi­cazioni; divieto di industrie inquinanti; ri­strutturazione di quel­le esistenti e bonifica del territorio a spese di chi ha inquinato;

● Controllo del territorio nelle zone ad alta in­tensità mafiosa.

● Applicazione dell’articolo 41 della Costi­tuzione.

Costituzione della Repubblica Italiana

Art. 41 – “L’iniziativa economica privata è li­bera. Non può svolgersi in contrasto con l’utili­tà socia­le o in modo da recar­e dan­no alla si­curezza, alla li­bertà, alla di­gnità uma­na. La legge determi­na i pro­grammi e i con­trolli opportuni perché l’atti­vità econo­mica pubblica e priva­ta possa essere indi­rizzata e coordinata a fini so­ciali”.

(fonte)

Signor Presidente, si sbaglia

ciancio-mattarellaLa lettera pubblicata su I Siciliani Giovani, che condivido:

Signor Presidente,

il quotidiano La Sicilia non è “la voce delle forze impegnate nella legalità”; Lei sbaglia a dirlo. La Sicilia non è stata af­fatto, e non è tuttora, voce d’impegno civile, ma esattamen­te l’opposto.

Ha combattuto Scidà, ha esaltato i Cavalieri, ha in­timidito penti­ti, ha insultato Beppe Montana e Giuseppe Fava. Ha ospita­to dei boss, sulle sue pagine e fisicamente. E in questo preciso momen­to essa è inquisita – in persona del suo proprietario – per eventua­le collusione con mafiosi. È inquisita da magistrati che di­pendono dal Csm, di cui Lei – signor Presidente – è il massi­mo garante. Son giudici coraggiosi, devoti all’ordine, e non ter­ranno conto delle Sue parole. Ma se non lo fossero sta­ti? Se esse, senza volerlo, avessero poi contribuito a salvare un reo?

Se sotto indagine fosse stato un santo, Lei avrebbe do­vuto esi­tare a parlare – in bene o in male – di questo santo: per scrupo­lo, per timor d’influire anche minimamente nel giudicato. E qua non si trattava d’un santo, come Catania sa bene.

Scriviamo queste parole non con polemica, non col tono che avremmo usato per un Napolitano o un Cossiga, ma – signor Presidente – con dolore. Lei non è uno dei tanti politici, Lei è dei nostri. Di noi che per decenni abbiamo combattuto – ma que­sto è il meno – e che abbiamo dovuto chiamare generazioni di giovani a lottare e a soffrire insieme a noi, chiedendo sacrifici e offrendo pericoli, con l’unica ricompensa di servir fedelmente ciò a cui Lei, salendo alla nostra Repubblica, ha giurato.

Mai più, signor Presidente. Mai più di questi dolori.