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Giulio Cavalli

Expo 2015: Nando Dalla Chiesa illustra i “buchi” d’ingresso delle mafie

(dal blog del sempre attento Roberto Galullo):

UpkPfA5XLjgQ4tF9fgMfrD7r4B9WJIqintARxUP+Z5s=--expo_milanoIl 24 febbraio Nando Dalla Chiesa, direttore dell’Osservatorio sulla criminalità organizzata dell’Università degli studi di Milano, è stato nuovamente audito dalla Commissione parlamentare antimafia.

In quell’occasione ha presentato il secondo rapporto trimestrale sulle aree settentrionali, nell’ambito di un incarico della Commissione relativo a un’analisi sulle principali dinamiche di azione della criminalità organizzata e della loro evoluzione nel contesto sociale ed economico delle regioni del nord Italia.

Dalla Chiesa, ad un certo punto, descrive la situazione di Expo 2015, che tra un batter d’occhio aprirà i battenti e illuminerà il mondo della scienza italica.

Bene. La ricerca dipinge delle tappe di avvicinamento alla Esposizione mondiale che non sono propriamente costellate di petali di fiori così come le veline istituzionali puntano costantemente a farci credere.

Ci sono delle volte in cui il cronista non ha nulla da aggiungere rispetto a quanto plasticamente descritto da una ricerca (su questo umile e umido blog mi concentrerò, anche la prossima settimana, su diversi aspetti interessanti).

Leggete, quindi, cosa dichiara testualmente Dalla Chiesa di fronte ai commissari: «È interessante vedere con quali modalità e meccanismi concreti le organizzazioni mafiose sono riuscite a entrare nei lavori di Expo. Mi sembra particolarmente interessante sottolinearlo perché i lavori di Expo sono stati accompagnati da una grande attenzione a evitare l’ingresso delle organizzazioni mafiose, con riflettori che sono stati puntati dalla stampa per anni su quei lavori, la nascita di una commissione consiliare e di un comitato antimafia di esperti da parte del sindaco, un prefetto che ha svolto attività di controllo con decine e decine di interdittive nei confronti di imprese in odore di mafia.
Insomma, non si può dire che ci sia stata una disattenzione del sistema nei confronti del fenomeno mafioso. Eppure, stiamo rilevando ancora oggi, alla vigilia di Expo, delle presenze che abbiamo segnalato nella relazione dell’ultimo comitato antimafia del sindaco Pisapia e che chiedono di proporre alla Commissione parlamentare questi meccanismi che abbiamo cercato di isolare in questo modo.
Come abbiamo detto, entrano in punto di fatto, non di diritto, quindi non perché ricevono degli appalti o dei subappalti. È particolarmente interessante vedere questi meccanismi. Innanzitutto, i controlli che vengono annunciati e che sembrano tutelare pienamente lo svolgimento di quei lavori a volte non sono realizzati o non lo sono per molto tempo.
Per esempio, c’è stata un’estrema episodicità dei controlli interforze per tutta la fase degli sbancamenti, quella in cui c’è stato il movimento terra, che è verosimilmente quella della più forte presenza e attività di imprese di natura mafiosa. Ecco, la fase degli sbancamenti ha visto una presenza bassissima dei controlli interforze (solo 3 controlli nei primi sei mesi).
Vi è stata, poi, una prolungata inesistenza dei controlli elettronici agli ingressi, che erano stati annunciati dalle autorità, ma che per due anni non hanno funzionato. Ciò vuol dire che per due anni i camion sono entrati e sono usciti senza essere rilevati, con un uso parziale dei famosi Gps per seguire i percorsi fino ai luoghi di consegna del materiale. Anche in questo caso, soltanto una parte dei camion e solo da un certo punto in poi è stata seguita attraverso il sistema Gps.
Abbiamo identificato un’inefficacia dei controlli effettuati, cioè carenza di controlli notturni o sulle imprese operanti sul terreno. Anche le modalità di svolgimento dei controlli Arpa sono stati deficitari. Non ci sono state verifiche sulle cave di conferimento dei rifiuti tossici, un paio delle quali sono particolarmente a rischio. C’è un’infedeltà dei controlli praticati. Ci sono, cioè, indicazioni discrezionali del peso dei materiali in ingresso e in uscita perché le pese erano inattive o inaccessibili, quindi quanto entrasse e uscisse non era misurato da nessuno strumento di rilevazione attendibile, così come c’era una valutazione a occhio della qualità del materiale trasportato dentro e fuori dai cantieri. Come sappiamo e come è dimostrato anche dal caso Perego, spesso la terra che sta sopra il carico che viene trasportato nasconde altro.
Vi è stata, per giunta, un’insofferenza delle strutture Expo rispetto ai controlli, con il diniego anche nei riguardi del comitato Pisapia e delle richieste dei settimanali di cantiere. Questo è stato inserito nell’ambito dell’ostruzionismo burocratico, con la difficoltà per gli stessi consiglieri comunali di entrare, lo scoraggiamento delle visite della polizia locale, le domande di sbrigafaccende per le emergenze operative. Ecco, i meccanismi veri sono stati questi
».

Ora, a vostro giudizio, rispetto a questa plastica chiarezza testimoniale sulla inefficienza e scarsità dei controlli, di fronte alla limpida esposizione sulla insofferenza dei taluni apparati perfino all’ingresso di commissioni comunali (alla faccia della trasparenza e della casa di vetro), di fronte alla denuncia sulle carenze, un giornalista può aggiungere altro? Non credo.

Ma Dalla Chiesa (ergo il gruppo di ricerca che ha sapientemente tirato su e a loro va il mio grazie anche per le citazioni a miei articoli fatte nel rapporto) va oltre e fa anche degli esempi.

«Rispetto al modo in cui sono entrati, faccio soltanto due esempi che sono stati rilevati ultimamente – spiegherà infatti il professore di fronte ai commissari –. Fatti dei controlli di notte (proprio perché abbiamo imparato che bisogna controllare di notte), si è presentata sui lavori che venivano svolti un’impresa che risultava regolarmente titolare di un subappalto; gli operai avevano la targhetta dell’impresa regolarmente titolare del subappalto sulle loro tute, ma quegli operai non erano dipendenti dell’impresa regolarmente vincitrice del subappalto. Appartenevano, invece, a un’impresa che aveva nel suo consiglio di amministrazione dei pregiudicati che provenivano dai luoghi classici di provenienza delle imprese di ’ndrangheta. Come avevano fatto a essere presenti ? Ecco, questo è significativo. Avevano subaffittato il ramo d’azienda, ma questo subaffitto non era stato comunicato, quindi operavano a nome dell’azienda, ma non erano l’azienda».

Già: come avevano fatto a essere presenti? Chissà se almeno le Forze dell’ordine sono in grado di dare una risposta. Ma andiamo avanti con il racconto di Dalla Chiesa.
«Un altro caso più recente ha dimostrato, invece – ha proseguito il professore –  che l’azienda è stata acquistata dopo aver vinto l’appalto, ma naturalmente ha mantenuto la sua ragione sociale, anche se dentro c’era l’impresa di mafia. Per questo, l’orientamento a vedere nei fatti che cosa accade ci sembra più importante. In questo rapporto diciamo che c’è una realtà terrena che è fatta dai mestieri, dall’economia, dai modus operandi delle organizzazioni mafiose. Lo stesso vale per la zona grigia. A questo proposito, vi presenterei uno schema classico della corruzione perché «zona grigia» è un’espressione che viene impiegata per indicare un’area della società in cui professioni e ruoli contribuiscono al successo delle strategie delle organizzazioni mafiose in modo inconsapevole o esterno, cioè danno un proprio contributo senza far parte di questa logica».

Non c’è nulla da aggiungere se non meditare, sperare e darsi appuntamento alla prossima settimana su questo umile e umido blog con altri approfondimenti sulla ricerca dell’Osservatorio sulla criminalità organizzata dell’Università degli studi di Milano, partendo proprio dalla cosiddetta zona grigia (che per me non è mai esistita perché o si sta da una parte o si sta dall’altra, visto che per quanto i riguarda valori e principi di legalità non si possono contrattare).

La rivoluzione della “Rai” secondo Renzi: fuori la politica, dentro solo lui.

Ne scrive (bene) Riccardo Bocca (qui):

renzi-raiMa lo sapete che ho scoperto di essere visceralmente renziano?

Proprio nell’animo, nella postura, nel modo di affrontare le questioni impellenti.

Per esempio:

anch’io, come il nostro adorato premier, penso che la scuola debba essere sempre più libera, ricca e carica di contenuti importanti.

E che dire delle sue esternazioni per la trasparenza, l’etica collettiva e la gestione candida della cosa pubblica?

O ancora:

come non osannare le parole spese da palazzo Chigi riguardo a casa Rai, che «ha raccontato e costruito l’identità culturale e sociale nel nostro Paese», anche se «con gli anni la morsa della burocrazia e dei partiti ha ridotto fortemente la sua capacità di competere, soprattutto a livello internazionale, indebolendo l’azienda»?

L’unica reazione, a caldo, sarebbe quella di urlare per le strade della Capitale uno straconvinto «Matteo! Matteo! Matteo!».

Solo che poi, purtroppo, c’ è l’odioso dovere di confrontare le teorie con i fatti;

e lì sempre parte, quando di mezzo c’è Superpremier, il valzer delle fratture tra dichiarazioni e realtà.

Basti pensare al caso di viale Mazzini, e ai miglioramenti che Renzi vorrebbe al più presto apportare (dato che la politica è un cappio infame, e strangola il cuore della tv pubblica).

L’idea, sulla carta, sarebbe quella di edificare (cito la cronaca de “la Repubblica”) «un consiglio di amministrazione composto da sette persone al posto delle nove di oggi, e nominato da più fonti:

tre membri -uno dei quali sarà l’amministratore delegato – saranno scelti dal ministero dell’Economia, di fatto l’azionista di viale Mazzini», altri «tre saranno eletti dalle Camere in seduta comune», mentre l’ultimo componente «dovrebbe essere il rappresentante dei dipendenti Rai».

Quanto alla Commissione di Vigilanza, «resterebbe in vita come organismo di controllo» pur senza «i poteri di nomina attuali».

Tutto chiaro?

Trattasi, con suadenti parole e nobili premesse, di rivoluzione autolesionista.

In pratica, infatti, non soltanto la politica resterebbe padrona, ma per giunta l’amministratore galattico sarebbe espresso dal governo Renzi, che non avrebbe troppi impicci a condizionare azioni e pensieri.

Per non parlare del rappresentante dei dipendenti Rai, riguardo al quale è veramente cosa buona e giusta non farsi prendere eccessivamente in giro, e pensare che possa imporre la propria visione.

Continuo dunque ad applaudire, e osannare, e condividere a pieno il passaggio del documento di palazzo Chigi in cui si giura di voler «riformare il servizio pubblico mettendo la Rai nelle condizioni migliori per informare, educare e divertire»;

come pure seguo, con interesse sincero, l’ipotesi di tre reti ben differenziate tra loro (una generalista, una per la sperimentazione e una culturale priva di pubblicità).

Ma resta il fatto che il potere, ancora una volta, spinge e scalcia per interesse proprio:

passatempo antico, ma pur sempre attuale.

Lavoriamo male, lavoriamo in pochi, lavoriamo troppo. (Left, sabato, in edicola)

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DISOCCUPATI E WORKAHOLIC

Lavoriamo male, troppo e in pochi. Ma c’è un’alternativa.
di Marco Craviolatti

UN SINDACALISTA IN PARLAMENTO
Giorgio Airaudo, il Jobs act e la sinistra.
di Giulio Cavalli

IL BEN-ESSERE AL CENTRO
Sen, Stiglitz e Fitoussi teorizzano un indice alternativo al Pil.
di Anna Pettini

E SE DIVENTASSIMO TEDESCHI?
Cosa c’è dietro il “modello” Merkel.
di Matteo Marchetti

l’intervista
PAROLE COME PUGNI
«No Jobs act». Parla il pugile Lenny Bottai.
di Dario Giordo

giustizia
ERRORI COLPEVOLI
La responsabilità civile dei magistrati secondo il pm più temuto della Brianza.
di Salvatore Bellomo

istruzione
IL LATO OSCURO DELLA SCUOLA
Le paritarie: scarsi risultati e docenti sfruttati.
di Donatella Coccoli

società
TUTTO FUORCHÉ NOMADI
La middle class “zingara” tra casa e lavoro.
di Ilaria Giupponi

reportage
GAZA CITY NELLA CITTÀ CHE RESISTE SEI MESI DOPO
L’attacco israeliano.
di Cristina Mastrandrea

palestina
CENT’ANNI DI RICOSTRUZIONE
Analisi e dati del rapporto Oxfam.
di Umberto De Giovannangeli

conflitti
IL TEMPO SOSPESO DELL’UCRAINA
Tra i ribelli filorussi e i fedeli di Poroshenko.
di Michela A.G. Iaccarino

bolivia
IL COCALERO CONTRO L’FMI
Ecco perché Evo Morales è al terzo mandato.
di Massimo Panico

archeologia
ATTACCO ALLA CULLA DELLA CIVILTÀ
Fermare la furia iconoclasta dell’Isis con il sapere e azioni politiche. L’esperienza degli archeologi D’Agostino e Valentini.
di Simona Maggiorelli

cinema
I LEONI DEL FUTURO
Giovani e agguerriti registi sbarcano a Venezia.
di Tiziana Barrillà

TUTTI I VOLTI DEGLI UOMINI
Cosa aspettarsi dallo Short festival.
di Giorgia Furlan

scienza
I VISIONARI DI TRIESTE
La sfida di scienziati che vedevano lontano.
di Pietro Greco

Uno dei produttori della fiction “Gomorra” rischia l’arresto: ecco perché non ci servono gli idoli.

Almeno non proponeteci una fiction come “feticcio” della legalità. Almeno.

img1024-700_dettaglio2_gomorra-la-serie-skyMa che cosa dice, oggi, che la Cassazione ha accolto il ricorso della Procura di Napoli contro il “no” alle misure cautelari nei confronti di Matteo De Laurentiis, uno dei produttori della serie tv “Gomorra”, indagato per favoreggiamento al clan Gallo nell’ambito della vicenda del pagamento del “pizzo” per le riprese nella villa del boss Francesco Gallo a Torre Annunziata?

Resterebbe sempre dell’opinione che “la realtà è già oltre, non è la fiction che può indurre qualcuno a intraprendere la strada del crimine nella vita”?

Giusto per chiarire un po’ i termini della questione: la Seconda sezione penale della Suprema Corte ha annullato con rinvio al tribunale di Napoli “per nuovo esame” l’ordinanza con la quale il tribunale della libertà, il 20 novembre 2014, aveva negato le misure coercitive per De Laurentiis ed altre cinque persone.

Anche per questi ultimi, la Procura di Napoli ha reclamato in Cassazione contro il “no” all’arresto, ma questa parte del ricorso non è stata accolta dalla Suprema Corte. Riguarda il location manager della società di produzione “Cattleya”, Gennaro Aquino, il produttore Gianluca Arcopinto e tre vigili urbani di Torre Annunziata che avrebbero accettato una mazzetta di cento euro per chiudere una strada e facilitare le riprese.

De Laurentiis era stato sentito dal pm e secondo l’accusa, avrebbe svelato l’indagine sul “pizzo” al clan Gallo pregiudicando li buon esito dell’inchiesta. Ad avviso del gip, però, gli indagati avevano solo lo scopo di proseguire le riprese e mandare avanti la produzione, e non quello di favorire il clan. Per questo il gip non aveva dato il via libera alle misure coercitive giudicando questo comportamento non penalmente rilevante. Con il verdetto dei Supremi giudici, adesso, è da riesaminare la posizione del solo De Laurentiis. Che ora rischia l’arresto.

(clic)

A Roma a tavola ti serve la ‘ndrangheta

ristorante-tipico-romano-02Ci sono anche «due noti ristoranti», La Rotonda e Er Faciolaro, entrambi nella zona del Pantheon, una delle zone più belle e conosciute della Capitale, fra i beni e le attività sequestrate giovedì 12 marzo all’alba dalla guardia di finanza, nel corso di una maxi-operazione dell’antimafia contro la cosca della ‘ndrangheta che fa capo alla famiglia Piromalli. Le due attività hanno un valore stimato di 10 milioni di euro e fanno capo a Salvatore Lania, imprenditore calabrese ritenuto però dagli inquirenti un prestanome. E’ l’ennesima conferma di come i clan siano riusciti a infiltrarsi nel tessuto imprenditoriale a Roma, in particolare nel settore della ristorazione, spesso utilizzato per il riciclaggio del denaro frutto di attività criminali.
Le indagini sono partite da Reggio Calabria, nell’operazione – nel corso della quale sono state emesse undici ordinanze di custodia cautelare – è coinvolto anche un imprenditore della Piana di Gioia Tauro, titolare di un piccolo impero economico-commerciale costruito con l’aiuto del clan. L’operazione, denominata «Bucefalo», è stata eseguita dal comando provinciale della Guardia di finanza di Reggio Calabria insieme al Nucleo speciale di Polizia valutaria e dallo Scico di Roma. I reati contestati agli arrestati sono associazione per delinquere di stampo mafioso, contraffazione, frode in commercio, ricettazione e vendita di prodotti industriali con segni mendaci. L’impero che era stato costituito dall’imprenditore colluso con la cosca Piromalli è stato difeso, nel corso del tempo – rivelano gli investigatori – dalle potenziali minacce di altre cosche criminali concorrenti. Tale protezione ha consentito all’imprenditore colluso di imporsi sul mercato agendo da assoluto monopolista. I beni sequestrati, tra cui dodici società, hanno un valore complessivo di circa 210 milioni di euro. Sono state effettuate inoltre 26 perquisizioni tra Calabria, Campania e Toscana.

(clic)

Come organizzare una presentazione del mio libro?

coverStiamo preparando in questi giorni (tra le mille cose) le prossime presentazioni del mio piccolo libro “Corro perché scivolo”, la storia di Dorando Pietri che, per chi ancora non lo sapesse, è in vendita edito da L’Espresso in ebook qui oppure in cartaceo (sì, esiste anche cartaceo) nella nostra piccola libreria qui.

Tra le molte mail ogni tanto scopro che qualcuno immagini che sia complicatissimo e costosissimo avere una presentazione. Beh, no, non è così.

Per chi volesse basta scrivere a spettacoli@giuliocavalli.net avere un luogo, avere un giorno e poco altro. Facile, eh?

 

”Delrio sottovalutò i cutresi”: parola di Libera (eh)

Attenzione: non riporto l’articolo perché consideri Libera l’unica depositaria dell’antimafia doc (pur volendole bene senza venerarla), ma perché la presa di posizione di un’associazione solitamente “tiepida” con il PD sottolinea ancora di più, se ce ne fosse bisogno, come Delrio non possa non accettare una forte critica “politica” alla sua disattenzione (nella più ottimista delle ipotesi che è quello che vogliamo credere). E mi spiace che si sia talmente spazientito per un mio articolo su LEFT da alzare il telefono in mezzo ai suoi molti impegni piuttosto che accendere una sana autocritica che apra un dibattito costruttivo:

renzi-delrioQuanto emerge dall’inchiesta Aemilia sulla presenza della ‘ndrangheta in Emilia-Romagna porta in dote “nulla di penalmente rilevante” a carico di Graziano Delrio, ex sindaco di Reggio Emilia e oggi sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Ma “sicuramente c’è stata una sottovalutazione” della situazione da parte di Delrio. E’ questo il giudizio di Libera, che oggi a Bologna ha presentato il dossier 2014-2015 sulla presenza delle mafie in Emilia-Romagna.

Un documento corposo, che dedica una parte all’inchiesta Aemilia con una sintesi dell’ordinanza della Dda di Bologna. E, in quelle pagine, un capitolo è destinato proprio a Delrio e ai suoi rapporti con la comunità cutrese di Reggio Emilia. “Non c’è nulla di penalmente rilevante – afferma il giornalista Lorenzo Frigerio, di Libera informazione – ma sicuramente Delrio ha sottovalutato la situazione”. E, aggiunge Frigerio, “se anche un politico impegnato per la legalità come Delrio è stato vittima inconsapevole delle cosche, significa che molta strada deve essere ancora percorsa dalla politica” emiliana per capire “la minaccia rappresentata dalle mafie”.

Nel dossier di Libera si ripercorre il coinvolgimento dell’ex sindaco in quelle vicende: dall’ormai famosa presenza alla processione di Cutro in piena campagna elettorale all’appuntamento chiesto da Delrio all’allora prefetto De Miro sulle interdittive antimafia, a cui l’ex sindaco andò accompagnato da alcuni esponenti cutresi. “Contro la prefettura – sottolinea Frigerio – le cosche scatenarono un tritacarne mediatico, strumentalizzando la comunità calabrese di Reggio Emilia, e Delrio ci finì dentro”, nel tentativo di “comporre esigenze diverse” come i provvedimenti antimafia della prefettura e gli imprenditori calabresi che si lamentavano.

Beni sequestrati. Nel rapporto di Libera si fotografa la permeabilità dell’Emilia-Romagna attraverso alcuni numeri significativi. Tra l’agosto 2013 e il luglio 2014 sono stati sequestrati alle mafie 448 beni, per un valore di 21 milioni di euro: dati che fanno dell’Emilia-Romagna la prima del nord Italia. E poi c’è il capitolo del narcotraffico: cinque operazioni al giorno,col sequestro di 817 chili di sostanze stupefacenti e la denuncia di 2.718 persone. “In Emilia-Romagna c’è’ un giro importante di droga, legato a gruppo mafiosi pericolosi”, segnala Santo Della Volpe, presidente di Libera
informazione e numero uno della Fnsi.

Ci sono poi i cosiddetti “reati spia”, dietro cui spesso si celano le attività dei clan. Ad esempio, nel 2013 in Emilia-Romagna sono state 312 le denunce per estorsione, in aumento negli ultimi due anni, 399 i danneggiamenti (spesso per incendio) e almeno una cinquantina le segnalazioni di usura. Tra i reati spia rientrano anche gli illeciti nello smaltimento dei rifiuti (837) e nel ciclo del cemento (142).

(fonte)

I conti che non tornano nella morte del pm Bisceglia

bisceglie_fotoOk-U46000462893821nFI-U4601051973833wkB-1224x916@CorriereMezzogiorno-Web-Mezzogiorno

Premessa d’obbligo: non ci piace la dietrologia e detestiamo il complottismo. Siamo (quasi del tutto) convinti che, nella notte tra il 28 febbraio e il primo marzo scorso, sia stato solo un tragico incidente stradale a stroncare l’esistenza di Federico Bisceglia, brillante e umanissimo magistrato calabrese in forza alla Procura di Napoli e poi a quella di Napoli nord, dove era impegnato, tra l’altro, a indagare sul traffico di rifiuti. Nemmeno abbiamo ragione di dubitare delle parole della donna che era con lui in auto quella notte, la dottoressa Anna Russolillo, la quale in un’intervista rilasciata al Corriere del Mezzogiorno il 5 marzo scorso ha chiarito: «È stato solo un incidente stradale, non ricamateci sopra». Giustissimo, sarebbe indegno «ricamare» su una vicenda così tragica, sul dolore dei familiari e dei colleghi di lavoro, insomma di quanti stimavano Bisceglia. Ci pare tutto sommato spiegabile solo con ragioni politiche che Giuseppe Lumia della Commissione antimafia, e Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera, chiedano indagini più approfondite aggiungendo di non credere alla casualità.

Tuttavia se fosse sbagliato ricamare, potrebbe esserlo anche ignorare cosa stia accadendo attorno a una vicenda che per alcuni media non è ancora chiusa. C’è un giornale locale, La Provincia di Cosenza, che ha riservato un paio di inchieste alla morte di Bisceglia, sollevando interrogativi con un servizio di Michele Santagata e pubblicando una serie di foto sul luogo dell’incidente che destano alcune perplessità.

Intanto la dinamica. Ecco il testo del comunicato diffuso dall’Anas domenica 1 marzo, è lungo ma vale la pena pubblicarlo per intero, vedremo poi perché. «L’Anas comunica che intorno alla mezzanotte di oggi, domenica 1 marzo 2015, si è verificato un incidente mortale al km 205,700 dell’autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria, in carreggiata sud tra gli svincoli di Frascineto e Sibari. Un’autovettura, per cause in corso di accertamento, ha impattato contro le barriere laterali in un tratto rettilineo non interessato da lavori di ammodernamento, finendo fuori strada dopo alcuni testacoda. L’impatto ha provocato il decesso di un esponente della magistratura e il ferimento di una seconda persona, entrambi a bordo del veicolo. Nell’incidente non sono stati coinvolti altri veicoli. L’autostrada è rimasta chiusa fino alle ore 5,00 circa di questa mattina, al termine della messa in sicurezza del tratto e la conclusione dei rilievi delle forze dell’ordine».

Dunque, stando alla prima ricostruzione, la lancia K del povero Bisceglia avrebbe compiuto alcuni testacoda impattando contro le barriere laterali prima di sfondarne una sul lato destro e finire in una scarpata (anche se all’inizio a un cronista del Mattino viene raccontato che l’auto era caduta da un viadotto alto 30 metri). Sta di fatto che un cronista del giornale cosentino, insieme con un esperto di sinistri, percorre quel tratto poco prima del km 205,700. Cosa notano i due? Che le barriere laterali sono integre, non c’è alcun segno di urto o striature di vernice. C’è invece un solo punto in cui la barriera sul lato destro risulta tranciata di netto e un po’ contorta. È il punto in cui l’auto è uscita di strada e finita nella scarpata. L’erba della scarpata però non reca segni di penumatici né altre tracce. Si notano solo i tronchi di due piccoli alberi che sembrano essere stati recisi di netto. Altro dettaglio rilevato dai cronisti: poco prima dell’impatto non c’è alcun segno di frenata. Come se la vettura fosse finita in un colpo solo contro il guard rail di destra. Un colpo di sonno? Un malore del guidatore? Il primo sembra da escludere, perché da quanto si è riusciti a ricostruire, il magistrato e l’amica si sarebbero fermati una decina di chilometri prima del luogo dell’incidente per mangiare qualcosa. (L’intero book fotografico con i rilievi dei cronisti calabresi è disponibile sul sito www.laprovinciadicosenza.it).

Altra stranezza. Raccontano i cronisti cosentini di aver raccolto la testimonianza di un altro incidente, sarebbe avvenuto quella stessa sera verso le 20 (quasi quattro ore prima dell’impatto mortale) lungo lo stesso tratto ma sulla carreggiata opposta, in direzione nord verso Salerno. I due testimoni, dei quali non vengono resi noti i nomi, avrebbero raccontato che mentre viaggiavano verso Cosenza, si erano fermati a prendere un caffè sull’autogrill di Castrovillari. Dopo essere ripartiti e aver percorso al massimo 4 chilometri, avrebbero visto nella carreggiata opposta mezzi dei pompieri, ambulanze e polizia stradale, intenti a soccorrere qualche mezzo coinvolto in un grave incidente. Il giorno dopo cercano la notizia sul web ma trovano solo quella della morte del magistrato, sulla carreggiata Sud a mezzanotte circa. Loro invece hanno visto “qualcosa” su quella Nord alle 20,45. Quest’ultimo incidente però resta un miraggio. Anas e Stradale spiegano ai giornalisti cosentini che a loro non risulta nulla.

Un altro dettaglio su cui c’è stata confusione, riguarda anche la salute della passeggera che era con Bisceglia. Alle 18,23 del 2 marzo l’agenzia Ansa si occupa ancora dell’incidente. «Non c’è alcun dubbio, secondo gli inquirenti, sulla natura accidentale dell’incidente stradale (…)». Poi nel lancio si aggiunge: «Migliorano intanto le condizioni della donna che era a bordo della Lancia K in compagnia di Bisceglia. La donna ha riportato alcune ferite e si trova ricoverata, in prognosi riservata, nell’ospedale di Cosenza. Le sue condizioni non destano preoccupazione». Prognosi riservata o nessuna preoccupazione? Un ossimoro. Sta di fatto che la dottoressa Russolillo viene dimessa due giorni dopo il ricovero in buone condizioni di salute. Il 5 marzo lo conferma nell’intervista al Corriere (si può leggere su www.corrieredelmezzogiorno.it). Spiega Franco Giacomantonio, procuratore di Castrovillari: «E’ stata fatta l’autopsia, della quale si attende la relazione autoptica. Faremo, naturalmente, la perizia tecnica sul mezzo e sulla parte di guard rail interessato dall’incidente, che è stato sequestrato. Per avere il quadro complessivo bisognerà attendere, probabilmente, un paio di mesi». Sessanta giorni per chiarire, si spera, anche quei punti ancora oscuri.

(fonte)