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Giulio Cavalli

‘Ndrangheta: finalmente Gullace.

carmelo nino gullace-U170669040026TPD-U220340329771PnE-158x237@IlSecoloXIXWEBEsplode l’inchiesta che intreccia mafia, usura e politica nel Savonese. Carmelo Gullace stamane all’alba è stato arrestato nella sua casa di Toirano: è considerato il boss della ’ndrangheta a Savona ma con interessi in tutta la Liguria e anche in Piemonte e Lombardia. Sequestrati beni per due milioni di euro intestati a lui e a presunti prestanome. Perquisizioni in corso. A fare scattare le manette i carabinieri del Nucleo investigativo del comando provinciale di Savona e gli uomini della Dia, la Direzione investigativa antimafia di Genova: le accuse sono tentata estorsione, usura e intestazione fittizia di beni.

Le indagini coinvolgono anche la politica locale. Tra gli indagati figura Fabrizio Accame, ex segretario della Margherita ad Albenga e fervido sostenitore dell’attuale sindaco di centrosinistra, sempre di Albenga, Giorgio Cangiano: alle amministrative dello scorso anno era infatti candidato nella lista civica “Voce alla gente”, in sostegno all’attuale primo cittadino, e si fece ritrarre durante la campagna elettorale in una serie di fotografie insieme allo stesso Cangiano e al ministro per le Riforme Maria Elena Boschi. Il nome di Accame, di professione mediatore creditizio, era già finito nelle intercettazioni delle inchieste per riciclaggio su Antonino Fameli – essendone stato collaboratore – ma non aveva ricevuto avvisi di garanzia. Oggi le sue responsabilità agli occhi degli inquirenti sono più gravi e per questo risponde, sebbene a piede libero, di concorso sia nell’usura che nell’estorsione praticate dal boss. Gli inquirenti hanno inoltre “mappato” una serie di incontri con Gullace, oltre ad aver registrato numerose intercettazioni ritenute «decisive».

Carmelo “Nino” Gullace

C’è quindi la mafia, a Savona e provincia. Le prove concrete, con nomi e cognomi, erano emerse nell’ambito di un’inchiesta i cui elementi essenziali il “Secolo XIX” aveva rivelato per la prima volta nello scorso mese di ottobre. La mafia c’è, con capi e “soldati” che hanno qui la loro base, viva e nascosta. Gli uomini d’onore sono radicati nel territorio stretti attorno a un boss. Da qui comandano anche i clan fuori Liguria. Da qui danno disposizioni, mandano ordini. Sempre eseguiti. Perché a Savona ci sarebbe il regista, che governa la ‘ndrangheta del Nord Ovest: il sessantenne Carmelo Gullace.

L’intervista a Sandro Sandulli, colonnello della Dia di Genova

Questo il quadro emerso dalle indagini concluse circa un anno fa (ottobre 2013) e condotte inizialmente dalla Procura savonese, insieme agli investigatori della squadra mobile della Questura. Successivamente, proprio per l’importanza del caso, sono subentrati gli specialisti dell’antimafia della Dia e dello Sco (polizia) di Genova. Ma non è finita. I faldoni con le carte fatte di intercettazioni, appostamenti e pedinamenti su quel mondo che gli inquirenti non esitano a ritenere “mafia”, sono stati trasferiti a Reggio Calabria, per competenza.

La procura calabrese avrebbe raccolto un dossier contenente elenchi di nomi di affiliati, la loro organizzazione, struttura e gerarchia.E i loro rapporti e affari con la politica e la pubblica amministrazione. A partire dalle indicazioni di voto alle urne di cui si sarebbero avvantaggiati politici savonesi insospettabili. L’esame laborioso delle carte era stato iniziato dai pm Giuseppe Pignatone, ora procuratore capo a Roma, e Michele Prestipino, che poi sono stati destinati ad altri incarichi. Ma i due magistrati avevano già messo la firma sulle autorizzazioni alle intercettazioni, scottanti per la provincia di Savona.

Le parole del colonnello Alessandro Parisi, comandante dei carabinieri di Savona

L’iter è così ripartito da zero con altri pm e davanti ad altri giudici. Le carte sono imperniate su un nome e tutta la sua corte. Il boss Carmelo, detto “Nino”, “Ninetto” Gullace, di Toirano. Ufficialmente un operaio di cava. Il boss del nord ovest della ’ndrangheta. Un nome chiacchierato da decenni, finito sulle cronache per accuse pesanti che lo hanno visto coinvolto in omicidi e sequestri (assolto poi in Cassazione) e al centro di sequestri patrimoniali e indagini dei Ros dei carabinieri. Al suo presunto ruolo rilevante all’interno della ‘ndrangheta gli investigatori sarebbero arrivati durante le indagini che avevano portato in carcere quello che sarebbe poi risultato essere, sempre secondo gli investigatori, il suo braccio destro: Antonio Fameli, di Loano.

E proprio il loro legame, al centro dell’indagine inizialmente della polizia di Savona (coordinata dall’allora pm Danilo Ceccarelli) poi della Dia di Genova, adesso è al vaglio di pm e gip di Reggio Calabria. Fameli era stato arrestato per una serie di reati finanziari e lavorando su di lui e sulle sue utenze e reti di prestanome, era emersa la fedeltà al capo, a Gullace. Da lì sono stati monitorati incontri, colloqui, anche in Calabria. E dopo un vertice tra magistrati e procure del Nord Italia, presieduto dal magistrato milanese Ilda Boccassini, sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta, anche l’ipotesi “Savona” è finito davanti all’antimafia della Dda calabrese. Sono stati monitorati anche i continui viaggi di Gullace dalla villa di Toirano al suo paese d’origine, Cittanova. Da dove avrebbe scalato il potere ‘ndranghetista- secondo i dossier di Sco e Dia- arrivando ad essere a capo della potente cosca dei Gullace-Raso-Albanese.

La replica di Giorgio Cangiano, sindaco di Albenga

A poche ore dalla pubblicazione della notizia sull’arresto di Gullace e sul coinvolgimento nell’indagine dell’ex segretario della Margherita Fabrizio Accame, arriva il commento del sindaco di Albenga, Giorgio Cangiano: «L’accostamento giornalistico fra la città di Albenga e la mia amministrazione con l’ inchiesta Gullace è assolutamente privo di giustificazione e fondamento. Non c è alcun atto amministrativo, delibera o appalto che leghi il comune di Albenga a questa inchiesta – scrive il primo cittadino Cangiano – La mia amministrazione ha da subito fatto della trasparenza, della legalità elementi fondanti. Mi si dice che Fabrizio Accame, candidato in una lista civica (e con 56 voti non eletto) sarebbe indagato nel ambito di tale inchiesta. Fermo restando che Accame potrà chiarire la sua posizione nelle sedi opportune non comprendo cosa avrei dovuto o potuto fare a fronte di una candidatura di un cittadino incensurato. Detto ciò ribadisco quanto sempre affermato e cioè che contro la criminalità organizzata bisogna tenere altissima l’attenzione e dare ogni supporto affinché possano essere recisi tutti i legami con la pubblica amministrazione».

(fonte)

Jobs act, Italicum, responsabilità civile dei magistrati: Berlusconi lo diceva. Renzi lo fa. (Left in edicola da sabato, eh)

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Il numero che abbiamo preparato per le edicole di questa settimana (da sabato, eh). Ci abbiamo messo dentro il Presidente Narciso e molto altro. Tra le altre cose sono onorato  di avere avuto l’occasione di scrivere il monologo di carta di questa settimana con il partigiano (e Parlamentare Europeo) Emmanouil Glezos. Ecco l’indice:

IL CAVALIERE MATTEO

Jobs act, Italicum, responsabilità civile dei magistrati: ma se l’avesse fatto Berlusconi?
di Luca Sappino

Eccitato da Sergio
C’è grande feeling tra Renzi e Marchionne.
di Checchino Antonini

Lasciate lavorare il bullo
Arriva Renzi: il linguaggio diventa pop.
di Giulio Cavalli e Giorgia Furlan

l’intervista
In sella contro la mafia
Giuseppe Cimarosa, nipote di Messina Denaro: «Vivo di teatro».
di Giulio Cavalli

criminalità
La bufala è servita. Dai clan
La mozzarella fra truffe e camorra. Il punto sulle agromafie con Caselli.
di Francesco Maria Borrelli e Raffaele Lupoli

politica
Alternativa cercasi
I fuoriusciti 5Stelle in cerca di un partito.
di Ilaria Giupponi

inghilterra
Elezioni, dizionario sintetico
Guida pratica prima del voto di maggio.
di Massimo Paradiso

Il candidato che sfotte Farage
Il comico Al Murray sfida il leader Ukip.
di Virginia C.Grieco

l’analisi
Iran in fumo
Consumo record di droghe e pene severe.
di Maziyar Ghiabi

siria
Damasco ignorata
Parla il capo dei non jihadisti Khoja.
di Umberto De Giovannangeli

nigeria
Tratti di corruzione
La storia di Dotun Oloko, che denuncia i traffici illegali.
di Giacomo Zandonini e tavole di Claudia Giuliani

sessualità
Pillola libera tutti
Storia dell’inventore dell’anticoncezionale più famoso del mondo.
di Pietro Greco

Ribelli alla natura
I nuovi orizzonti della fecondazione assistita raccontati da Edoardo Boncinelli.
di Simona Maggiorelli

Il sesso delle millennial
Le serie tv che formano le ragazze.
di Giorgia Furlan

letteratura
A lezione da Pinocchio
I maestri irregolari da Collodi a Bergson.
di Filippo La Porta

musica
A tempo di libertà
Incontro con Jovica Jovic.
di Tiziana Barillà

Il circo dell’antimafia: tutti su Helg e nessuno su Santi Palazzolo

Da sinistra: Santi Palazzolo e Roberto Helg. Il Il denunciante e l'estorsore.
Da sinistra: Santi Palazzolo e Roberto Helg. Il denunciante e l’estorsore.

di Salvo Vitale – 4 marzo 2015
La denuncia di Helg e il suo conseguente arresto ha alzato il velo su quella zona grigia che sta tra chi ricopre cariche pubbliche, cioè è uno dei padroni del vapore, chi usa il suo potere per aumentare la sua ricchezza, oltre che il suo prestigio, e, in questo caso, chi usa l’antimafia come vetrina e copertura per accreditare un’immagine di legalità che invece nasconde un profilo da volgare delinquente.
Roberto Helg attualmente è presidente della Camera di Commercio di Palermo, oltre che vicepresidente della Gesap, la società che gestisce l’aeroporto Falcone-Borsellino. Si tratta di uno degli esponenti più importanti dell’imprenditoria siciliana, appartenente all’area del centro destra e molto attivo nella difesa della categoria dei commercianti. E’ rimasto al vertice della Confcommercio di Palermo da 18 anni e, di quella siciliana da 9, gestendo un noto negozi di regali in fallimento da qualche tempo: Helg ha cercato di riprovare a rilanciare l’attività associandosi con la Carrefour per l’apertura di un centro commerciale il cui progetto non è stato approvato dal Comune di Palermo. Ufficialmente ha rappresentato il viso nuovo di quella Sicilia che vuole scrollarsi dall’ipoteca mafiosa, che si è impegnato nella lotta contro il racket, aprendo uno sportello per gli imprenditori vessati da usura o dal pizzo. In tal senso si è schierato con Montante, anche lui industriale antimafia ultimamente indagato per contatti con i boss di Caltanissetta e gli ha espresso solidarietà.

Una domanda nasce spontanea: siamo davanti a forme raffinate di strategia mafiosa, che si servono di un’apparente facciata di legalità, magari con la denuncia di qualche tentativo di estorsione, o, come si vorrebbe far credere, a singoli casi, a incidenti di percorso che non mettono in discussione la linea scelta dagli industriali siciliani di dire no alle richieste estorsive? Il caso di Helg, colto con le mani nella marmellata, sembra orientare verso la prima ipotesi. Il pensiero va anche ai fratelli Catanzaro, uno dei quali è vicepresidente della Confindustria siciliana, l’altro gestisce una delle più grandi discariche della Sicilia, prima appartenente al comune di Siculiana, poi finita nelle sue mani, con l’assoluzione della magistratura. Anche se non è un teorema, in Sicilia, così come in Campania, non ci si può occupare della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti, senza fare i conti con Cosa Nostra. E allora? Allora due più due fa quattro, ma non si può dimostrare.
Ma torniamo ad Helg, che è componente di una decina di consigli di amministrazione di varie associazioni commerciali, ricopre numerose cariche direttive e pertanto che incassa già laute parcelle, ma che adesso, poverino, dice di avere agito per necessità perché ha la casa pignorata. In verità una necessità per rimediare alla quale ci vuole una mazzetta da 100 mila euro, la metà della quale dilazionata in rate mensili, suscita una spontanea voglia di prendere a calci in culo questo soggetto, di metterlo in cella e di gettare la chiave. Invece è stato trattato con tutte le premure possibili, prima perché malato e poi perché anziano. Una specie di Berlusconi nostrano che non andrà mai in carcere.
Il caso pone diverse considerazioni e interrogativi e che ci si augura possano suscitare l’attenzione delle forze dell’ordine: si tratta di un caso isolato, oppure, com’è più logico, conoscendo come funziona in Sicilia, tutti quelli che all’aeroporto hanno in concessione uno spazio commerciale pagano il pizzo? A chi? Solo ad Helg? Non sarebbe opportuno aprire un’indagine sulla Gesap e sulla intera gestione dei servizi aeroportuali, dalle assunzioni, ai lavori di pulizia e manutenzione, alle modalità di concessione degli spazi ed altro?
Tutti ieri hanno parlato di Helg, come il corrotto, il corruttore, l’estorsore. Nessuno lo ha definito mafioso, ma sarebbe opportuno discuterne: da secoli sappiamo che la mafia non è solo quella che spara.
Tuttavia oggi bisognerebbe parlare, riempire i giornali a lettere cubitali, non di un anonimo “titolare di un esercizio di ristorazione o di una pasticceria”, come si è scritto, ma di Santi Palazzolo, l’imprenditore di Cinisi che ha deciso di non pagare, si è rivolto alla polizia e si è prestato a predisporre la trappola a colui che voleva estorcergli il frutto del suo onesto lavoro. Si tratta del nipote di Don Santi, erede di un’attività che ha quasi un secolo di vita.
A Radio Aut, scherzando, lo chiamavamo don Profitterolo, per la sua abilità nel saper preparare i migliori profiterols della Sicilia. Il suo bar, sito tra la piazza e l’inizio del corso, era frequentato dalla Cinisi bene, cioè da professionisti, galantuomini e anche mafiosi che, soprattutto la domenica mattina andavano a comprare la guantiera di dolci per la famiglia o per l’ospite. Una volta Peppino Impastato si nascose in una casa di fronte per scattare di nascosto alcune foto a Tano Badalamenti e agli amici che lo circondavano. Lui, don Santi, aveva un sorriso e una gentilezza per tutti, spesso preparava una sorpresa sul bancone o dentro la vetrina, una torta esotica, un dolce originale, un gelato dal gusto strano, accanto agli immancabili cannoli. Poi tutto venne trasferito sulla strada provinciale, al limite con il semaforo che da accesso al paese. L’attività è continuata con la gestione dal nonno, al figlio, detto l’Avvocato e oggi al nipote, che porta il nome del nonno ed ha cercato di dare al locale una veste più moderna con i giornali del mattino e con attività culturali varie: è stata finanziata anche qualche pubblicazione sulla storia del paese e del bar e sono stati aperti altri punti vendita, uno dei quali quello dell’aeroporto di Punta Raisi e uno negli Stati Uniti.
Che tutto questo sia avvenuto a Cinisi, nel paese di Don Tano Badalamenti, ma anche di Peppino Impastato, significa che il muro una volta indistruttibile della cultura mafiosa comincia a manifestare qualche crepa e che comincia a diffondersi la cultura secondo cui ognuno ha il diritto di godere in pieno dei frutti del proprio lavoro, senza che i parassiti possano profittarne.
Il negozio dell’aeroporto rappresenta l’ultimo momento, per chi parte e vuole portare un sapore della Sicilia, una cassata, un cannolo, un frutto di “martorana”, un dolce tipico. Adesso, dopo la denuncia dell’estorsione fatta da Roberto Helg, per il rinnovo del contratto per l’area del negozio, quel dolce assume un sapore più significativo, il sapore della legalità.

(fonte)

L’antimafia che indaga sull’antimafia

Guida-Fisco-Certificato-Antimafia-2012E’ l’ultima uscita della Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia Rosy Bindi che, detta così, lascia quasi dedurre che prima di oggi non si facesse. Comunque credo che ogni eccesso di curiosità su questo argomento (da parte anche delle istituzioni) possa solo fare bene. Poi un giorno magari si parlerà anche di zerbini, incompetenti, egocentrici e coglioni e così sarà chiaro a tutti che come disse Giovanni Falcone “la mafia è un fenomeno umano” e l’antimafia pure. E almeno si tornerà con i piedi per terra, va.

Scuole paritarie: il chiodo fisso del (catto) PD

L’opinione pienamente condivisa della collega Donatella:

20150304_Scuole_Private-800x500Nonostante il dietrofront sul decreto legge della Buona scuola, le detrazioni fiscali per le famiglie che inviano i propri figli alle scuole paritarie saranno contenute nel disegno di legge che sarà presentato al Consiglio dei ministri del 10 marzo.

Insomma, il governo va avanti come un treno sui binari pro scuole private. Si illudeva chi aveva pensato che forse Renzi si era fermato per rispetto delle tante voci contrarie.  Del resto, è lo stesso Pd che si muove su questa linea.

Prima la lettera dei 44 parlamentari (quasi tutti del Pd) scritta a l’Avvenire, con i cattorenziani in prima linea (Fioroni in primis) poi ci ha pensato Luigi Berlinguer, ex ministro della Pubblica Istruzione, a parlare del ruolo centrale di questi istituti. Coerentemente, visto che era stato proprio lui a sdoganare le scuole private riconoscendole come paritarie e quindi  da trattare alla pari anche a livello economico.

Stupisce che di fronte alle scuole pubbliche che crollano, di fronte agli oltre centomila precari da stabilizzare, di fronte alla disuguaglianza tra Nord e Sud Italia, di fronte alle cifre record della dispersione scolastica, quello delle scuole private continua ad essere il nodo centrale per il governo Renzi.

Forse perché le paritarie sono quasi tutte nell’orbita della Chiesa cattolica.

Persino il Paradiso include delle condizioni.

(di Oren Miller)

n-OREN-MILLER-FAMILY-large570Boom!

Venerdì 30 maggio 2014 ho scoperto di avere un cancro ai polmoni al quarto stadio. Le persone nelle mie condizioni non hanno una lunga aspettativa di vita e la cura si limita a renderlo solo più sopportabile. Ci sono altre opzioni da discutere più avanti, come i trattamenti sperimentali. Resto ottimista ma, sinceramente, credo di sapere a che punto mi trovo.

Quattro anni fa, nell’estate del 2010, eravamo a Bethany Beach (città degli Stati Uniti) e tutti si divertivano un mondo. I membri della mia famiglia ed alcuni amici erano intenti a costruire castelli di sabbia, facevano continui bagni, insomma tutti erano rilassati… tutti tranne me, il solito ansioso. Avevo centinaia di mail da leggere e tantissime idee per il mio blog che non avevo il tempo di scrivere, ero circondato da troppa sabbia e non c’era abbastanza caffè. Ho provato a fingere di divertirmi ma gli altri riuscivano a capire che non ero nella mia “comfort zone” e che, peggio ancora, non volevo neanche essere lì.

Solo sulla strada del ritorno ho avuto una sorta di rivelazione. Solo allora ho capito cosa mi stava sfuggendo. Guidando verso casa mi sono reso conto di essere nel bel mezzo della più grande tragedia dell’esistenza umana: stavo vivendo il miglior momento della mia vita e non lo sapevo neanche.

Fu un giorno positivo, perché una volta presa la decisione, beh… Siete in Paradiso, ogni secondo della vostra vita. Andando avanti le cose sono migliorate: ho preso una decisione consapevole quel giorno d’estate, tornando a casa da Bethany Beach, e sono stato capace di riaffermare quella decisione nel mio subconscio, da allora in poi. Questo ha creato una netta separazione tra vivere in un inferno in terra (dove arrancavo di continuo, ero sempre infelice, sempre insoddisfatto, sempre indietro con il mio lavoro, nel rapporto con mia moglie, con i miei amici ed i miei figli) e ritrovarsi, invece, in un vero e proprio Paradiso, dove, sebbene continuassi a desiderare di più dalla vita, sapevo di avere già tutto.

Credo nel Paradiso in Terra e credo che si può trovare ovunque lo si cerchi. Ecco dove l’ho trovato io:

Ho trovato il mio Paradiso nei lunghi tragitti in macchina con i miei figli. Il fatto di doverli scarrozzare ogni giorno a scuola avrebbe dovuto darmi sui nervi e invece ho sfruttato quei momenti in auto per parlare del loro mondo e del mio, per far conoscere loro la musica, per aggiornarmi su ciò che ascoltavano, per parlare dei valori e di cose senza senso.

Ho trovato il Paradiso nel pavimento sporco di un campo di basket. Andavo a prendere la mia bimba all’asilo alle 12, quindi dovevamo aspettare per ore che il fratello uscisse da scuola prima di tornare a casa. Ricorderò per sempre quei giorni passati ad aspettare con mia figlia e spero che anche lei lo faccia. Per quattro ore restavamo lì seduti a dividerci il pranzo nella stanza dei giochi della scuola, dove mi preparava panini di plastica e tè, per poi correre in campo a giocare. O meglio, lei guidava una parata marciando lungo la linea nera e io restavo dietro di lei, arrancando. Si era inventata quel gioco, ribattezzato “Andiamo alla festa di compleanno”. Ci sedevamo uno di fronte all’altro e ci passavamo la palla, facendola rotolare sul pavimento. Poi arrivava il momento delle coccole e restavamo abbracciati in mezzo al campo mentre le persone ci giocavano intorno

Persino il Paradiso include delle condizioni. A marzo abbiamo cambiato casa. E’ una bella casa, la dimora dei sogni. E’ il posto dove i miei figli cresceranno e questo mi spezza il cuore. Non m’importa di me, davvero. Ho avuto la vita migliore che si possa desiderare, ma c’è solo una cosa, qualcosa per cui darei la vita: vedere i miei figli crescere.

Ho cresciuto dei bambini felici. Come tutti, a volte si lamentano ma, in generale, sono felici. Sono il mio capolavoro: due bambini amabili, svegli, intelligenti, divertenti e felici. E non posso lasciare che questo finisca, non posso permettere che crescano infelici. Non posso lasciare che ci sia un buco nel loro cuore al posto del padre, che ricorderanno a malapena. Voglio che siano felici. Voglio esserci per renderli felici.

Voglio che mia moglie sia felice, perché lo merita. Vorrei poterla rendere felice proprio ora.

Credo che accettazione e tristezza possano coesistere. La tristezza è inevitabile, sono un essere umano e cercare disperatamente di elevarsi al di sopra di questa condizione fa solo più male. Ma accetto. Accetto che la vita sia limitata, che il mio momento stia per arrivare. Accetto che la mia esistenza sia stata e continui ad essere un dono, così come accetto l’eventualità di non veder crescere i miei figli.

Dovrei lamentarmi? Dovrei urlare al cielo: “Perché proprio io?” O dovrei sentire che sto vivendo il meglio della mia vita, proprio ora, soprattutto ora, ora che sono confuso, stanco e un po’ triste?

Quello che succederà al mio corpo nei prossimi mesi è ancora relativamente ignoro. Ma ecco quello che sappiamo, invece:

Sappiamo che sono il più grande figlio di p… che abbia mai calpestato questa terra, sappiamo che sarò amato fino all’ultimo dalle persone che ho avuto l’immenso privilegio di conoscere: una moglie che adoro e due figli che mi stupiscono in ogni momento.

Voglio farvi solo una richiesta.

La mia bambina è un tipetto timido. Potreste vederla giocare da sola e sarete tentati di dire “Com’è carina mentre gioca tutta sola”. Ma andate da lei, giocate con lei. Ha bisogno di voi.

Il mio ragazzo è terribilmente sensibile. Ricorderà qualsiasi cosa gli venga detta, analizzandola per mesi in quella sua testolina geniale. Non scherzate con lui solo per divertirvi o lo danneggerete. Rispondete alle domande che vi pone, o cercate di indicargli la direzione per trovare delle risposte. Gli piace giocare e bighellonare in giro, ma dovrete trattarlo come un adulto. E’ più sveglio di me… e probabilmente anche di voi.

A mia moglie concedete una pausa. Lasciate che stacchi un po’. E’ una personalità di tipo A sul lavoro, ma a casa vuole solo relax e divertimento. Aiutatela in questo. Vorrà farsi carico di tutte le responsabilità, non lasciate che lo faccia. Ditele di rilassarsi, di prendersela comoda. Aiutatela a godersi la vita. E non la etichettate o rinchiudete. Non usate quella “parola che inizia per V” (vedova). Quella parola non la rappresenta. Lei non è una banale semplificazione. Sapete chi è, invece? La figlia che ogni genitore desidera, la madre che ogni bambino si aspetta. Anche se sono stato a casa e ho fatto la mia buona parte per tirare su questi bambini meravigliosi, senza di lei non sarebbe stato possibile. Continuerà a tirarli su e loro cresceranno, diventando adolescenti ed adulti magnifici, grazie alla loro mamma.

E lei è la donna dei miei sogni.

Questo post è apparso per la prima volta su “A Blogger and a Father Cancer“.

Nota dei direttori di Huffpost Parents: Oren Miller è venuto a mancare sabato 28 febbraio. Sappiamo che il suo ricordo verrà serbato nei cuori di quanti sono stati toccati dalle sue meravigliose parole.

Questo blog è stato pubblicato originariamente su Huffington Post United States ed è stato tradotto dall’inglese da Milena Sanfilippo.

Il Circo antimafia: il pirandelliano Roberto Helg

Un altro uomo istituzionale dell’antimafia che conta (quella che considera i giovani “ragazzini” e crede di possedere il “verbo” oltre che l’unica modalità di analisi possibile) finisce sotto accusa:

roberto-helg-675Interventi pubblici al premio Libero Grassi, polemiche sui modi per combattere il “pizzo” imposto da Cosa Nostra ai commercianti, eventi per discutere del rating di legalità di Confindustria Sicilia. Fino a poche ore fa erano queste le attività in cui spiccava spesso la presenza di Roberto Helg, presidente della Camera di Commercio di Palermo, arrestato ieri pomeriggio dai carabinieri del nucleo investigativo di Palermo.

Per l’imprenditore l’accusa è di estorsione: i militari hanno registrato le fasi di una richiesta di denaro nei confronti di un commerciante che voleva rinnovare il suo accordo con laGesap, l’ente che gestisce l’aeroporto di Palermo, e del quale Helg è vicepresidente. Una mazzetta da centomila euro, la metà in contanti, il resto in assegni, trovata sul tavolo dell’ufficio di Helg: un’accusa infamante per il presidente della Confcommercio palermitana. A leggere la ricostruzione degli inquirenti “la richiesta e la consegna di denaro ha fatto registrare il tipico metodo estorsivo”.

Prima Helg ha prospettato al commerciante le difficoltà dell’operazione di rinnovo dell’accordo con Gesap a meno che non avesse “oleato” i meccanismi, sganciando una somma di denaro. Più o meno come fanno i picciotti di Cosa Nostra, mandati a taglieggiarecommercianti e ad imporre il “pizzo” alle attività cittadine, in cambio dell’assicurazione all’incolumità: un fenomeno che Helg si era candidato a combattere già dai primi anni al vertice della Confcommercio palermitana. “Libero Grassi accusò Confindustria, di cui era associato, di indifferenza, perché fu lasciato solo: oggi le associazioni sono profondamente cambiate e c’è un sistema che ha fatto squadra e che funziona. Tutto ciò mi fa sperare che le prossime generazioni possano vedere una Sicilia diversa” diceva consegnando il premio intitolato all’imprenditore anti racket assassinato da Cosa Nostra.

La parola “legalità” è una di quelle citata a più riprese dal presidente di Confcommercio Palermo, che aveva sposato la battaglia lanciata dai leader di Confindustria Siciliana, fautori della riscossa degli imprenditori siciliani contro Cosa Nostra. “Diamo una possibilità di poter agire in velocità nel trovare le aziende sane, o quelle malate. Si tratta di un ulteriore e importante tassello nell’opera di contrasto all’illegalità, e nella difesa delle aziende sane della Sicilia” commentava Helg, siglando con l’Irsap un protocollo di legalità contro le infiltrazioni mafiose nelle aree industriali.

Nominato commendatore da Giorgio Napolitano, eterno presidente della Confcommercio palermitana (è in carica dal 2006), Helg si era insomma ritagliato un ruolo da paladino della legalità, in prima linea nella lotta a Cosa Nostra, e sempre pronto a sottolineare i risultati raggiunti. L’ultima volta era stato nel dicembre scorso, quando aveva bacchettato Giuseppe Todaro, responsabile legalità di Confindustria Palermo, che aveva lanciato l’allarme: “Nel centro del capoluogo ancora nove negozi su dieci pagano il pizzo”. “I risultati ottenuti a Palermo dimostrano che la mia posizione è vincente e mi vedo costretto a chiedere all’amico Giuseppe Todaro di smentire le sue parole. Da anni sostengo che la lotta al racketvada fatta tutti insieme e non una associazione contro un’altra: questa è una strategia di basso profilo e che non porta buoni frutti” era stata la piccata risposta di Helg, in una serie di repliche e contro repliche che avevano fatto scoppiare la polemica nei ranghi dell’antimafia.

La stessa antimafia che poche settimane fa ha visto finire sotto indagine per concorso esterno a Cosa Nostra uno dei suoi paladini, il presidente di Confindustria Sicilia Antonello Montante, leader della rivolta anti racket degli imprenditori dell’isola. Una rivolta alla quale si era accodato anche Helg. E se per il presidente degli Industriali il quadro accusatorio è affidato solo alle parole di alcuni pentiti, ad incastrare Helg ci sono le registrazioni della richiesta di denaro, più alcune parziali ammissioni fatte ai magistrati nel primo interrogatorio. Il quadro della cosiddetta antimafia degli imprenditori, insomma, oggi riceve un altro durissimo colpo: a ben vedere Helg è accusato dello stesso reato che ha provato a combattere, almeno a parole. Sembra il più pirandelliano dei paradossi, e invece è solo cronaca.

“La Giustizia faccia il suo corso” e invece il Vaticano salva Don Inzoli

don-inzoli-675“Gli atti istruttori e processuali sono sub secreto pontificio”. Con questa motivazione la Santa Sede ha respinto la rogatoria richiesta dalla Procura di Cremona per conoscere che cosa avesse appurato il Vaticano sulla vicenda di don Mauro Inzoli, il prete cremasco di Comunione e Liberazione condannato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede per pedofilia.

Il procuratore Roberto Martino il 20 febbraio scorso ha ricevuto un’informativa del ministero della Giustizia che dava notizia della decisione presa dalla Segreteria di Stato del Vaticano il 23 gennaio scorso. Oltre Tevere non sono intenzionati a collaborare con chi ha aperto un’indagine a seguito dell’esposto presentato il giugno scorso dal parlamentare di “Sinistra Ecologia e Libertà” Franco Bordo.

Dai palazzi della Santa Sede non sarà trasmesso alcun atto alla Procura. I documenti che hanno portato Papa Francesco a ridurre allo stato laicale il prete noto a tutti per la passione per le auto di grossa cilindrata e il legame con l’ex presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, resteranno nelle segrete stanze. Il “no” alla rogatoria, tuttavia, non fermerà le indagini: il procuratore Martino ha già messo a verbale la testimonianza di diverse persone.

Sul sacerdote 64enne, ex presidente del Banco Alimentare e punto di riferimento per il movimento fondato da don Giussani, già lo scorso gennaio si era scatenata una bufera vista la sua presenza in seconda fila al convegno sulla famiglia promosso dal quotidiano “La Croce” con il Pirellone. Una fotografia che lo ritraeva mentre stringeva la mano a Roberto Maroni, che in passato aveva già incontrato il discusso prete, aveva sollevato accese polemiche tanto da far dire al numero uno del Pirellone: “Se fossi stato informato della sua presenza, quella persona sarebbe stata allontanata”.

La scelta del Vaticano per ora “salva” don Inzoli nonostante l’estate scorsa il Pontefice avesse emanato un decreto pesante nei suoi confronti: “In considerazione della gravità dei comportamenti e del conseguente scandalo, provocato da abusi su minori – si leggeva nel documento emanato dalla Congregazione per la dottrina della fede e diffuso dalla diocesi di Crema – don Inzoli è invitato a una vita di preghiera e di umile riservatezza, come segni di conversione e di penitenza. Gli è inoltre prescritto di sottostare ad alcune restrizioni, la cui inosservanza comporterà la dimissione dallo stato clericale. Don Mauro – proseguiva la condanna dell’ex Sant’Uffizio – non potrà celebrare e concelebrare in pubblico l’Eucaristia e gli altri sacramenti, né predicare, ma solo celebrare l’Eucaristia privatamente. Non potrà svolgere accompagnamento spirituale nei confronti dei minori o altre attività pastorali, ricreative o culturali che li coinvolgono. Non potrà assumere ruoli di responsabilità e operare in enti a scopo educativo. Non potrà dimorare nella diocesi di Crema, entrarvi e svolgere in essa qualsiasi atto ministeriale. Dovrà inoltre intraprendere, per almeno cinque anni, un’adeguata psicoterapia”.

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#formia / Mese della legalità: “L’innocenza di Giulio”, Cavalli spiega l’andreottismo

L’articolo di Antonia De Francesco dal sito duepuntozeronews.it:

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Da Giulio a Giulio: uno è passato alla storia come “Il Divo”, all’anagrafe Giulio Andreotti,  l’altro, scrittore, giornalista e artista, è Giulio Cavalli, ospite dell’appuntamento di domenica scorsa del Mese della Legalità a Formia. Il primo ha attraversato decenni di politica e storia del Bel Paese, quasi indenne, da protagonista di Governo, e da quando la terra gli è lieve, molti sono i segreti che, probabilmente, ha portato con s’è; il secondo, ha attraversato sì politica e storia italiana, ma ha scelto di raccontarla: un ruolo faticoso per il quale spesso ha rischiato la sua incolumità. Le due vite si incrociano quando, dopo anni di percorsi a pier pari tra il teatro e la “legalità”, dopo l’esordio con lo spettacolo ” A cento passi dal Duomo” volto a raccontare la presenza della criminalità organizzata al Nord, Cavalli decide di scrivere “L’innocenza di Giulio”, libro con il quale ripercorre le vicende giudiziarie che hanno contraddistinto la lunga esistenza del “Divo”.  Lo fa, premettendo toni tutt’altro che distesi e comprensivi, piuttosto adirati e inclementi, nonchè con una premessa essenziale, ben sintetizzata dalla prefazione del Magistrato Dott. Gian Carlo Caselli: “La stragrande maggioranza dei cittadini italiani è convinta che Andreotti sia vittima di una persecuzione che lo ha costretto a un doloroso calvario per l’accanimento giustizialista di un manipolo di manigoldi”,ovviamente, c’è un “ma”…non è così. Questa è la prospettiva che intraprende Cavalli, cercando di capovolgere un opinione pubblica assuefatta, è rovistando nella memoria corta di un Paese, che troppo presto dimentica, troppo velocemente si lascia convincere e perdona. Così Giulio Cavalli si assume la responsabilità di tirare le fila del “Processo Andreotti”, con questo libro, in cui mette la verità davanti alla giustizia.

In un passo del libro si legge: “I fatti che la Corte ha ritenuto provati in relazione al periodo precedente la primavera del 1980, dicono che il Senatore Andreotti ha avuto piena consapevolezza che i suoi sodali siciliani intrattenevano amichevoli rapporti con alcuni boss mafiosi, ha quindi coltivato, a sua volta, amichevoli relazioni con gli stessi boss”. E Cavalli aggiunge: ” ‘ L’innocenza di Giulio’ perchè conoscere il processo Andreotti ti insegna a riconoscere la politica che tenta in tutti i modi di legittimare l’illegalità e aiuta a capire che la storia di questo Paese è negli atti giudiziari, nei fatti che sono stati riscontrati, raccontati su cui non possono esistere dubbi e che, l’opportunità, soprattutto in politica e per chi si occupa di pubblica amministrazione, è un concetto che non può essere delegato solo alla Magistratura o ai Giudici ed è un confine molto più ampio di quello dell’attività giudiziaria”. Secondo Cavalli “la politica di Andreotti è quella che ha scelto di sedersi al tavolo con la mafia” ed il suo tentativo di spiegarla ai giovani si sposa con la volontà di creare campanelli d’allarme, consapevolezze, perchè “ripetendo una bugia infinite volte si riesce anche a trasformare in verità storica qualcosa che in realtà non è mai avvenuto”.

Il ruolo della memoria diventa, dunque, fondamentale. “La memoria va esercitata  – spiega Cavalli – e credo che è un po’ di confisca della memoria quella buona per la cittadinanza attiva sia obbligatoria”, perchè l’ “andreottismo” sopravvive “nella privatizzazione delle regole, negli incontri inopportuni difesi sui cavilli”. “Andreotti è stato colpevole e sicuramente bugiardo”, questa è “la sua innocenza” secondo il magistrale intervento culturale di Giulio Cavalli: perchè è dalla cultura, dalla simbiosi con di quest’ultima con i giovani, dagli “scossoni” che l’arte può imporre che bisogna partire e ripartire continuamente.