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Giulio Cavalli

In Regione Lombardia il prete pedofilo partecipa al convegno sulla famiglia

Ha scatenato polemiche sui social la presenza di don Mauro Inzoli, ex parroco accusato di abusi sui minori, al quale l’anno scorso la Santa Sede aveva imposto il ritiro a vita privata. Il parroco, come si vede nella foto in alto, era seduto sabato 17 in seconda fila al Pirellone nel Convegno organizzato dalla Regione Lombardia per tutelare i valori «della famiglia tradizionale». Convegno accusato di omofobia e che ha provocato reazioni indignate tra le associazioni per la difesa dei diritti civili e degli omosessuali. L’ex parroco sedeva proprio dietro il presidente della Regione , Roberto Maroni , il senatore Roberto Formigoni, il presidente del Consiglio Raffaele Cattaneo e l’assessore alla Cultura, Cristina Cappellini. Il primo a denunciare la presenza di don Inzoli al convegno è stato il deputato di Sinistra Ecologia Libertà Franco Bordo che ha riconosciuto il sacerdote della sua città, Crema, nelle foto pubblicate dai quotidiani. Era stato Bordo a presentare un anno fa un esposto alla procura che ha aperto un’inchiesta e ha avviato una rogatoria con lo stato Vaticano. «Proprio un bel quadretto familiare», è il commento indignato del parlamentare di Sel che appare su Twitter.

Personaggio molto noto – punto di riferimento di «Comunione e Liberazione» in Lombardia, fondatore del Banco Alimentare e dell’Associazione della Fraternità – noto per una vita di lussi eccessivi, tra auto, sigari e ristoranti alla moda (lo chiamavano Don Mercedes) il sacerdote, 64 anni, l’anno scorso era stato invitato a una vita di preghiera e di riservatezza, come conseguenza dei reati a lui contestati.

La Santa Sede gli aveva prescritto di sottostare ad alcune restrizioni, la cui inosservanza avrebbe comportato la dimissione dallo stato clericale. «Don Mauro», era stato l’obbligo prescritto « non potrà celebrare in pubblico l’Eucaristia e gli altri Sacramenti, né predicare, ma solo celebrare l’Eucaristia privatamente. Non potrà svolgere accompagnamento spirituale nei confronti dei minori o altre attività pastorali, ricreative o culturali che li coinvolgano».

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A proposito di mafia e chiesa

Schermata 2015-01-18 alle 17.34.24C’è un libro che ho avuto la fortuna di leggere che credo non possa mancare negli scaffali dei curiosi: L’Eucarestia mafiosa. La voce dei preti

Il libro di Salvo Ognibene svela perfettamente le complicità, i silenzi (e quindi le colpe) di una chiesa che sul tema mafioso è molto lontana dall’ideologia del vangelo e del bene. Ed è un libro importante per rispondere a tono ad eventuali fanatismi e per cogliere, allo stesso tempo, la portata del cambiamento a cui stiamo assistendo.

Il libro lo potete comprare qui.

I giornalisti di Libero “lavorino gratis per ripagarci il finanziamento pubblico”

A proposito della propaganda che punta alla bile (scrivevo giusto ieri di Salvini qui) sarebbe da chiedere se non sia il caso di fare un sondaggio per sapere se i 40 milioni di finanziamento pubblico (quindi soldi nostri) presi dal quotidiano LIBERO non dovrebbero essere restituiti con lavoro gratuito utile alla comunità. Che forse, per i giornalisti di LIBERO, tra l’altro sarebbe quello di smettere di scrivere.

(Vedete cari giornalisti com’è facile puntare alla pancia?)

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(ps: per intendersi, LIBERO è il quotidiano che mi aveva diffamato così)

Coff(erat)i break

Certo che Cofferati è proprio strano: è rimasto nel PD mentre si demoliva l’articolo 18 (per cui con il governo Berlusconi lui stesso aveva portato due milioni di persone in piazza) e se ne esce per le primarie (per carità, gestite in modo schifoso). E’ che ogni tanto (forse sono ingenuo io) mi sfugge la bilancia dei pesi, dei valori e delle misure.

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“Vittima del dovere”: memoria buona per Mancini

imageSue, le indagini sulla Terra dei Fuochi che già alla fine degli anni ’90 dimostravano nomi e interessi di chi nascondeva morte sotto le terre campane. Sue le testimonianze preziose per la commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti alla ricerca di numeri e fatti per quantificare un disastro ambientale e sociale che brucia ancora ogni giorno. Sua, la rabbia per una giustizia che non ha fermato i colpevoli in tempo. E suo, solo adesso, solo dopo la sua scomparsa nella primavera scorsa, il titolo ufficiale di “vittima del dovere” riconosciuta dal ministero dell’Interno.

Affinché la sua perseveranza, le sue ricerche, e quel tumore al sangue causato proprio dall’esposizione a sostanze tossiche e radioattive, non fossero dimenticati , era stata lanciata una petizione online . Che in poche settimane aveva raccolto 75mila firme e centinaia di messaggi di solidarietà, mossi anche dall’indignazione per uno Stato che a un suo rappresentante tenace, che pagava con la malattia il suo lavoro, non aveva riconosciuto che 5mila euro di risarcimento . Più una beffa che un premio.

Ora, dopo mesi di carte, richieste, articoli, e migliaia di firme, il ministero dell’Interno ha riconosciuto il fatto che ad ucciderlo è stato l’impegno nel servire lo Stato, e che per questo la famiglia ha diritto a un aiuto e lui alla memoria di chi è morto compiendo il suo dovere.

«Finalmente il Ministero dell’Interno ha riconosciuto Roberto Mancini come vittima del dovere», scrivono la moglie e la figlia in una nota in cui ringraziano tutti i firmatari della petizione su Change.org: «Il suo importantissimo lavoro sul traffico di rifiuti tossici è servito a molte cose e adesso questo è ufficialmente riconosciuto. Non esiste indennizzo adeguato per l’assenza di mio marito e del padre di mia figlia, tuttavia è giusto che chi ha dato la propria vita per il bene di tutti, venga almeno omaggiato dalle istituzioni»

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La Lega Nord fa pagare il riscatto di 71 cittadini

Sono 71 i dipendenti licenziati dalla Lega. Settantuno. Messi in cassa integrazione (e quindi pagati con soldi pubblici) mentre Salvini chiede “sacrifici” ai dipendenti di un partito che ha investito in diamanti e ristrutturazioni in casa Bossi.

Vedi Salvini quanto è semplice giocarsela sul piano imbecille dell’odio?

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Gli amici romani del clan Bellocco

Agevolarono la cosca della ‘ndrangheta Belloco attiva a Rosarno e nei comuni del reggino. Per questo tre persone sono state arrestate nel corso della notte a Roma e Palmi dai carabinieri del Nucleo Investigativo del Reparto operativo del Comando provinciale di Roma, con la collaborazione dell’Arma locale, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip presso il Tribunale di Roma su richiesta della Procura della Repubblica di Roma – Direzione Distrettuale Antimafia. La misura cautelare si basa sulle risultanze acquisite dal Nucleo Investigativo a seguito della cattura dei latitanti Umberto e Francesco Bellocco il 24 luglio 2012; le indagini hanno consentito di individuare la rete di persone di cui i due Bellocco si avvalevano per trascorrere indisturbati la loro latitanza a Roma. I tre arrestati, tutti di origine calabrese, sono ritenuti infatti responsabili dei reati di favoreggiamento personale e procurata inosservanza di pena.

Visto lo spessore criminale dei due latitanti arrestati, rampolli di un clan la cui operatività nella piana di Gioia Tauro è stata accertata con numerose sentenze, le indagini furono assunte dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di via in Selci che individuarono un appartamento dove i due latitanti avevano predisposto la loro base logistica. La perquisizione del covo ha permesso di stabilire che i due ricercati si erano stabiliti a Roma da alcuni mesi ed erano operativi in attività illecite sul territorio; nel covo che era dotato di impianto di videosorveglianza, furono infatti trovati numerosi telefoni, pc portatili, Jammer, ricevitori radio, macchine conta banconote, bilancini elettronici di precisione, un blocco notes con cifre ed appunti in codice, nonché l’Epistola di Leone IV, utilizzata dagli affiliati della ‘ndrangheta nel rito di iniziazione svolto in occasione delle nuove immissioni nelle cosche. I latitanti disponevano inoltre di 3 auto e 2 moto nuovissime, intestate a dei prestanome e poste sotto sequestro.

Le successive indagini del Nucleo Investigativo di Roma hanno consentito di acquisire gravi indizi di colpevolezza a carico dei tre arrestati di oggi. I tre avevano il compito di provvedere al supporto logistico necessario ai due latitanti per vivere in clandestinità e avevano reperito e messo a disposizione dei cugini Bellocco un appartamento, le auto e i motocicli, e i documenti di identità.

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Camorra: preso Giovanni Licciardi

LICCIARDIGiovanniGiovanni Licciardi, di 37 anni, ritenuto l’attuale reggente dell’omonimo clan camorristico operante soprattutto nel quartiere di Miano, a Napoli, è stato arrestato dai carabinieri su ordine di carcerazione per associazione per delinquere di tipo mafioso.

Licciardi è stato bloccato lungo il Corso Secondigliano a bordo di una Smart guidata da un 29enne, già noto alle forze dell’ordine. Sottoposto a perquisizione, è stato trovato in possesso di 1.100 euro in contanti, sequestrati, e sono state avviate le verifiche per accertarne la provenienza.

L’ordine di carcerazione è stato emesso il 15 gennaio dalla Corte di Appello di Napoli: quello che viene considerato dagli investigatori il boss di Miano, deve espiare una pena residua di un anno, 11 mesi e 27 giorni di reclusione per associazione per delinquere di tipo mafioso. In particolare il 37enne è stato condannato nel marzo 2014 a 8 anni di reclusione e l’11 luglio 2014 era stato rimesso in libertà dal carcere di Terni dopo aver scontato 6 anni e 3 giorni di custodia cautelare in carcere. Il 15 gennaio scorso la sentenza è diventata definitiva. L’arrestato è stato condotto nel carcere di Secondigliano.

La ‘ndrangheta che emette regolare fattura

l pizzo dagli imprenditori emettevano regolare fattura per operazioni inesistenti.

I soldi estorti poi andavano a sostegno delle famiglie degli affiliati della ‘ndrangheta arrestati nel luglio scorso, nell’ambito dell’operazione ‘San Michele’, che aveva condotto all’arresto nel torinese di diversi esponenti della Cosca Greco di San Mauro Marchesato (Crotone).

Agivano cosi’ due esponenti della criminalita’ organizzata operanti nell’hinterland torinese:Domenico Maida, 41 anni, abitante a Venaria, portavoce di importanti affiliati della ‘ndrangheta, e Maurizio Calamita, 49 anni, abitante a Moncalieri, assicuratore e incensurato.

I due sono stati arrestati dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Torino, dopo aver incassato un assegno da 20 mila euro da due imprenditori torinesi.

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