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Giulio Cavalli

Caccia al latitante: preso Giuseppe Pantano

Pantano-Giuseppe-cl.19621I Carabinieri hanno arrestato il latitante Giuseppe Pantano, 53 anni. L’uomo, originario di San Ferdinando (Rc), si nascondeva all’interno di un appartamento in un popoloso quartiere di Palmi (Rc). Ricercato in seguito a un provvedimento di fermo emesso dalla locale Procura della Repubblica per il reato di detenzione e porto illegale di arma da fuoco, nell’ottobre del 2014 Pantano, che era già irreperibile, è stato destinatario di un altro provvedimento di fermo della Procura della Repubblica Dda di Reggio Calabria in quanto ritenuto affiliato alla cosca della ‘ndrangheta operante a San Ferdinando (operazione “Eclissi”).

Nel corso dell’operazione è stato arrestato, per favoreggiamento, un giovane, Cristian Scarcella, 28 anni, rintracciato all’interno dell’abitazione assieme al latitante. Le indagini che hanno portato all’arresto sono state coordinate dalla Procura della Repubblica di Palmi e dalla Dda di Reggio Calabria.

(clic)

La mafia a Lodi non esiste (ennesima puntata, eh)

Balzo in avanti per la Lombardia nella classifica nazionale del ciclo illegale dei rifiuti. Secondo il rapporto 2014 di Legambiente sull’ecomafia, presentato ieri mattina a Milano, nel 2013 nella nostra regione sono stati accertati in generale 1.268 reati contro l’ambiente, con 1.085 persone denunciate, 339 sequestri e 24 arresti, numero quest’ultimo più basso solo di quello registrato in Campania e Puglia, mentre nello specifico del ciclo illegale dei rifiuti, la Lombardia è passata dal sesto al quarto posto nella classifica nazionale, dietro Campania, Puglia e Calabria, con 448 infrazioni (il 7,8per cento del totale nazionale), 376 persone denunciate e 114 sequestri effettuati. Grandi numeri affatto lusinghieri anche sul fronte del ciclo illegale del cemento, dove la Lombardia risulta al primo posto tra le regioni del Nord con 341 persone denunciate e 265 infrazioni accertate.

I dati di Lodi, all’apparenza, sono minimali: nessuna infrazione contestata nel “ciclo del cemento”; due nel ciclo dei rifiuti, con tre indagati e un sequestro (a fronte di 21 infrazioni a Pavia, 63 a Cremona, 72 a Milano e 128 a Bergamo).

È vero che su questo fronte in passato la procura della Repubblica di Lodi è stata molto attiva, e va anche detto che da qualche tempo le ipotesi associative di traffico di rifiuti sono passate alla competenza della Dda di Milano. Ma va evidenziato che, comunque, nel 2014 la procura di Lodi risultava impegnata in inchieste per traffico illecito di ambito regionale e interregionale, stando ai dati raccolti da Legambiente.

Tra i casi citati, il sequestro di un’area collinare fra Sant’Angelo e Graffignana, per una discarica di rifiuti pericolosi, fra cui anche eternit. Ma anche l’operazione della Forestale a San Giuliano Milanese, con tre arresti e sei denunce, per un traffico illegale di cuccioli provenienti dall’Est Europa e svezzati precocemente con il rischio di malattie e disturbi comportamentali. Legambiente ricorda anche l’inchiesta sui costi della bonifica all’ex Sisas, che ha coinvolto un tecnico lodigiano.

Ma soprattutto richiama l’attenzione su un’indagine chiusa nel 2013 dei carabinieri del Noe di Milano, che sotto il coordinamento della Dda denunciarono traffici di terreni scavati da Milano e scaricati a camionate in cave di Romentino (Novara) e di San Rocco al Porto. Secondo l’accusa, il materiale non veniva analizzato come sarebbe stato obbligatorio, ma semplicemente riclassificato come “terre e rocce da scavo” con giri fittizi di bolle. Il 14 novembre del 2007, un Barbaro, cognome legato anche alla’ndrangheta, fu intercettato mentre telefonava a un imprenditore, che lo informava: «Per Casalpusterlengo,caricano in fiera, per Casalpusterlengo, tutti e due».

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Milano: la mafia nei metrò

Aziende in odore di mafia si sono affacciate anche ai lavori per le linee M4 e M5 della metropolitana. Sono almeno quattro le interdittive decise dal Prefetto per quanto riguarda i lavori della linea blu tra il 2013 e il 2014, mentre cinque sono quelle che riguardano i lavori della lilla. Nove stop in totale (anche se da alcuni uffici si parla di dieci): si tratta principalmente di subappalti legati a servizi come il movimento terra e i trasporti di materiali, su cui si è allungata l’ombra delle cosche. E su cui, immediata, è arrivato il fermo del Prefetto. Si tratta di una parte dei provvedimenti giunti nell’ambito dei lavori collegati a Expo che hanno collezionato un totale di 68 interdittive per 48 aziende coinvolte: al primo posto delle opere che hanno ricevuto il maggior numero di stop c’è la Tangenziale est esterna (Tem) con 26 provvedimenti.

Il fatto che anche le due linee della metropolitana siano finite sotto l’occhio interessato delle cosche è una novità. A lanciare l’allarme è stato David Gentili, consigliere comunale del Pd e presidente della commissione Antimafia a Palazzo Marino, nell’ambito della presentazione del rapporto Ecomafie 2014 di Legambiente: «si tratta di cinque stop per aziende impegnate nella realizzazione della M4 nel tratto in cui i lavori sono già avviati, fra Linate e Forlanini, e che sono state allontanate», ha spiegato. Lo stesso Gentili ha poi sottolineato l’importanza di mantenere l’attenzione alta proprio sui cantieri della linea blu: «ritengo importante che il concessionario si impegni a usare imprese inserite dell’elenco certificato della prefettura (le cosiddette ‘white list’ ndr) per andare sul sicuro su chi sarà impegnato nei lavori per la M4, dal noleggio mezzi, alla guardiania, al trasporto terra. L’amministrazione stima che complessivamente per la nuova linea lavoreranno, dal consulente a Impregilo, un migliaio di partite Iva: con numeri così importanti credo che questo sia fondamentale».

Dal Comune confermano i numeri delle interdittive e spiegano che l’individuazione è stata possibile «attraverso i controlli messi in atto dall’Amministrazione Comunale e la sottoscrizione dei protocolli di legalità fra Comune, Prefettura e le società concessionarie che attraverso una piattaforma informatica registrano e monitorano tutti i subappalti ed i sub affidamenti».

I tentativi di infiltrazione, al momento, non hanno portato decisivi rallentamenti dei cantieri, anche perché, in particolare per quanto riguarda M4, i lavori sono in una fase iniziale. «Il fatto che siano arrivate le interdittive — ha detto l’assessore ai trasporti Pierfrancesco Maran — dimostra che c’è una capacità d’intervento e questa è una garanzia. Quelle segnalate sono tutte situazioni di aziende che avevano interventi minimi, principalmente nell’ambito del trasporto terra. E che in nessun caso hanno comportato ritardi».

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Pietro Cozzolino: il boss camorrista con il cuore sudicio di vestiti usati

C_4_articolo_2089649_upiImageppSmantellata dalla polizia un’organizzazione criminale dedita al traffico di “rifiuti speciali illeciti”. I “rifiuti” sarebbero i vestiti usati che vengono lasciati nei grandi cassonetti gialli per la raccolta di abiti da regalare ai poveri. Invece di essere consegnati, venivano venduti in Africa e nei paesi dell’Est. Quattordici gli arrestati tra Roma, Napoli e Salerno, per i reati di associazione per delinquere nell’ indagine coordinata dalla direzione distrettuale Antimafia di Roma. Gli affiliati all’associazione criminale ricevevano, trasportavano, cedevano e comunque gestivano abusivamente ingenti quantitativi di “rifiuti tessili speciali”, con “specifiche condotte di falsità materiale e ideologica in atti pubblici”. Per gli investigatori, tra i capi dell’organizzazione emerge Pietro Cozzolino, considerato elemento di vertice dell’omonimo clan camorristico che opera nelle zone di Portici ed Ercolano, in provincia di Napoli.

Dalle indagini risulterebbe che gli arrestati rivendevano nei paesi poveri gli indumenti lasciati nei secchioni gialli della raccolta degli abiti usati. Le indagini, condotte dalla squadra mobile di Roma e dalla polizia provinciale, sono iniziate due anni fa e hanno documentato la partenza di container da Civitavecchia e Salerno diretti in Africa con oltre 3.000 tonnellate l’anno di indumenti. Dalle indagini sarebbe emerso inoltre che il materiale era provvisto di bolle di accompagnamento false sull’avvenuta igienizzazione e fatturato solo in parte.

Sono state sequestrate preventivamente anche alcune coop coinvolte, in particolare la “New Horizons Onlus” e “Lapemaia Onlus” e la società “B&B Ecology srl”. A quanto accertato, gestivano la raccolta dei rifiuti tessili speciali per conto del consorzio “Il Solco” delegato per il servizio da Ama, l’azienda romana della raccolta dell’immondizia. Tra gli arrestati dell’operazione di oggi c’è anche Danilo Sorgente, responsabile tecnico dell’impianto di recupero rifiuti gestito dalla “New Horizons” e alcuni dipendenti delle cooperative sottoposte a sequestro.

Ma c’è di più. Per gli investigatori, infatti, ci potrebbe essere la mano di Mafia Capitale nel traffico illecito di rifiuti. Il gip nell’ordinanza non esclude che l’affare degli abiti usati “non sia rientrato nel più ampio disegno dirigista e corruttivo di Salvatore Buzzi”, arrestato nell’inchiesta Mafia Capitale. “Non può non pensarsi -scrive il gip Simonetta D’Alessandro – che la delibera che aveva ripartito nel 2008 il territorio comunale in competenze ai consorzi dell’Ati Roma Ambiente non obbedisca alle logiche spartitorie” e “non abbia coltivato le finalità speculative, rientranti negli interessi di Buzzi”. “Di tanto non vi è la prova in atti mancando nella fase delle prime assegnazioni le intercettazioni – prosegue l’ordinanza – ma vi è una concreta emergenza documentale”.

Salvatore Buzzi, presidente della cooperativa 29 giugno, è stato arrestato nel dicembre scorso nell’ambito dell’inchiesta su Mafia capitale.

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“Il successo del terrorismo dipende dalle conseguenze che innesca”

L’editoriale particolarmente ispirato dell’amico Lorenzo Fazio:

No, non siamo in guerra, non siamo in guerra con nessuno. Invece, dopo quanto successo a Parigi, sembra che tutti diano per scontato che l’esercito della libertà e della democrazia sia già schierato  contro l’esercito del fondamentalismo sanguinario islamico. Siamo caduti in trappola. La parola guerra scappa di bocca a tutti, dal difensore più disciplinato dell’ordine occidentale all’opinionista più illuminato e aperto. Persino comici, vignettisti, attori, e chi con la libertà ci lavora, non rinuncia  a evocare quella parola. La guerra è data per inevitabile e necessaria, “fermare la barbarie” è l’unica missione per le nuove generazioni chiamate a “conquistare la pace”.

La circolare inviata dall’assessore all’istruzione della regione Veneto, Elena Donazzan, ai presidi delle scuole in cui si chiede ai musulmani di condannare i fatti di Parigi e di aderire ai valori occidentali, rivela il clima in cui siamo precipitati. Tutti gli stranieri sono potenziali nemici, devono dimostrare di non esserlo. In spregio a qualsiasi principio liberale.

Come editore che da diversi anni si batte contro le verità del potere e come tutti coloro che hanno a cuore la parola e il pensiero, credo che bisogna spezzare questo discorso sulla “guerra necessaria” in nome della libertà. Un contro senso che poggia sull’idea che solo noi siamo i buoni e che gli altri, loro, sono i cattivi, dimenticando tutti gli orrori e i morti che abbiamo provocato.  Se non riusciamo a sradicare questo pregiudizio andremo incontro a nuove tragedie. Il compito di noi editori che operiamo nel settore dell’informazione è cercare di smascherare tutte le falsità che ogni guerra comporta (ricordate i finti arsenali di Saddam?) e difendere a ogni costo la nostra libertà di critica, sempre, soprattutto  quando, in nome della sicurezza, lo Stato, attraverso la polizia, aumenta il suo potere repressivo, come accade dopo ogni evento terroristico.

Quanto accaduto a Parigi è un episodio e come tale va valutato, un episodio che poteva essere previsto, e che si somma ad altri episodi avvenuti in varie parti del mondo sempre a opera di integralisti islamici contro islamici non integralisti.  Non è una guerra. Non facciamoci vincere dall’isteria. Anche gli islamici sono vittime dei fondamentalisti, aiutiamoli, stiamogli vicino, non alimentiamo noi stessi il loro odio nei nostri confronti. Il bambino che sta per lanciare la bomba contro gli americani a Falluja, ritratto nel film American sniper di Clint Eastwood, nella vita reale potrebbe diventare un terrorista pronto a uccidere in nome di Allah.

Se seguiamo la strada della guerra ovunque nel mondo, aiuteremo solo i fabbricatori di armi, l’equilibrio fondato sul terrore e la paura, che porta a più repressione, all’innalzamento di nuove barriere e a minori libertà. Il dissenso è difficile da gestire, per il partito unico del capitale qualsiasi occasione è buona per limitarlo.  Già si parla di ristabilire le frontiere in Europa, Le Pen propone la pena di morte in Francia, Salvini approfitta per criminalizzare tutti gli islamici in Italia. Il partito della paura è il più forte di tutti, nessuno rinuncia ad arruolarvisi. Chi rimane fuori rimane solo. Bersaglio facile come Charlie Hebdo.

“Il successo del terrorismo dipende dalle conseguenze che innesca” scrive Simon Jenkins su “The Guardian”.  I terroristi non vogliono altro che questo: che diventiamo come loro. Che vinca la violenza e l’odio, in nome della libertà. Un paradosso atroce.

D’altra parte siamo campioni nel proclamare la libertà e negarla appena c’è qualcuno che la usa contro di noi. Non è un caso che la satira in Italia non esista quasi più. In casa nostra non c’è bisogno di fondamentalisti, la libertà ce la togliamo da soli.

direttore editoriale di Chiarelettere e membro del cda del Fatto quotidiano

Cantiere in corso: “L’amico degli eroi”

Artwork_A3_L'amico_degli_Eroi_CMYKlightIl progetto di spettacolo (e libro) L’amico degli eroi sta prendendo corpo e in questi giorni trova la sua (quasi) forma finale: oltre alla parte prettamente teatrale (quella di narrazione pura di cui ho parlato anche con gli amici de L’Ora Quotidiano qui) stiamo concludendo il montaggio degli spezzoni video che saranno le fondamenta della parte “documentale”. Non che ci sia molto da aggiungere agli atti processuali (che credo, ancora una volta, avrebbero procurato un terremoto politico in un Paese normale con un muscolo della curiosità non atrofizzato) ma quello che mi interessa, che ci in teressa è cogliere in Marcello Dell’Utri (e Vittorio Mangano e ovviamente il loro padrone) una formula di servilismo che non dista troppo dall’Arlecchino servitore di due padroni di goldoniana memoria: anche il fine di Marcello è quello di mangiare a sazietà.

Dopo l’anteprima stiamo anche cominciando a preparare la distribuzione dello spettacolo che, come tutti i nostri lavori ultimi, seguirà poco i canoni ufficiali del malandato teatro canonicamente inteso quanto piuttosto le molte associazioni di cittadini che ritengono la memoria un esercizio quotidiano fondamentale per l’ecologia democratica. Mi sorprende tra l’altro (anzi no, non mi sorprende per niente) che nessuno dei miei “colleghi” teatranti o comunque generalmente “operatori culturali” sottolinei la distribuzione sociale come il vero grande ritorno di questi anni di crisi della cultura: come già ci insegnò il maestro Dario Fo esiste un teatro che per argomenti e modi può continuare a vivere senza bisogno di istituzionalizzarsi e questa non può che essere una buona notizia (a proposito: tutti zitti sulla distribuzione sociale anche del film di Sabina “La trattativa”, che non si sappia che il pubblico desidera un film di più di quanto lo dovrebbe desiderare la “grande distribuzione”).

Stiamo cercando di parlare e far parlare anche del crowdfunding (io continuo a preferire “produzione sociale”) che ci permette di completare la produzione dello spettacolo e la stampa e distribuzione dei libri. Se ci credete anche voi aiutateci a spargere la voce. Le donazioni si raccolgono qui.

Buona lavoro. A noi e a voi.

La parole (chiare) di Claudio Fava sul caso Manca

attilio-manca1Non usa mezzi termini Claudio Fava dopo la convocazione a Palazzo San Macuto dei magistrati di Viterbo titolari dell’inchiesta sulla morte dell’urologo Attilio Manca: il vicepresidente dell’Antimafia parla di “sciatterie giudiziarie”, di “superficialità”, e di “pregiudizi negativi” nei confronti della vittima, ma non vuole immaginare complotti, almeno ufficialmente, “per evitare di allontanarci dalla verità”. Stiamo ai fatti, dice Fava. “Ci sono due certezze: la prima è che questa inchiesta è stata fatta male, la seconda è che a Barcellona Pozzo di Gotto (città di origine di Attilio Manca, ndr.) qualcuno mente”.

Qual è l’impressione finale dopo aver ascoltato i magistrati?

“Non è una magnifica impressione. Questa inchiesta è stata gestita con eccessiva sufficienza. Non è un caso che buona parte delle attività istruttorie siano state ripetute, o siano state fatte per la prima volta soltanto su sollecitazione del Gip. Mi è sembrato (e questa la cosa più preoccupante) che ci fosse un pregiudizio negativo addirittura nei confronti della vittima, nel senso che non si riescono ad immaginare ipotesi diverse dalla morte accidentale per overdose. Di fronte ad ogni evidenza, l’atteggiamento di questi magistrati è stato quello di spazzare via il beneficio del dubbio con sufficienza, come per dire: era un tossicodipendente occasionale, ma no, forse era un consumatore frequente, il naso si è fracassato cadendo sul letto, probabilmente perché è stato in posizione supina per molte ore, insomma molte cose di fronte alle quali chiunque si sarebbe fermato un attimo a ragionare”.

Crede che dietro alla morte di Attilio Manca ci sia qualcosa di grosso?

“Attilio Manca non è morto per un’overdose accidentale. E’ un omicidio organizzato con pignola attenzione anche nei dettagli. Credo che Manca si sia trovato coinvolto, consapevolmente o inconsapevolmente, in una vicenda che ha riguardato l’operazione e le cure post operatorie prestate a Provenzano per il tumore alla prostata, e che per questa ragione sia stato ucciso”.

Non è eccessivo che i magistrati di Viterbo – durante l’audizione in Commissione antimafia – abbiano bollato Attilio Manca come un drogato, attribuendo questo termine alla madre che, cinque giorni dopo la morte del figlio, dichiarò a verbale che Attilio, negli anni del liceo, ‘’si era fatto qualche canna’’? La Polizia, invece di scrivere marijuana, scrisse “stupefacenti”, creando da quel momento l’equivoco che Attilio Manca fosse un tossico…

“In Commissione i magistrati hanno citato la deposizione della madre, che ovviamente si riferiva a un periodo studentesco in cui il ragazzo si sarà fatto qualche spinello. Però dicono pure di avere ascoltato alcuni amici d’infanzia di Barcellona, che Attilio Manca avrebbe continuato a frequentare. Secondo costoro, quando il medico scendeva in Sicilia, si ritrovava con loro anche per fare uso di eroina. Tutto questo, però, non ha avuto alcun riscontro. I colleghi laziali di Manca, sentiti sul punto, hanno smentito tutto. Peraltro è praticamente impossibile che un chirurgo possa fare uso di eroina e al tempo stesso entrare in sala operatoria con la stessa abilità di Manca”.

A proposito dei quattro ex “amici” barcellonesi che accusano Attilio Manca di essere un drogato: appartengono al contesto del circolo paramassonico “Corda fratres”, di cui fanno parte, fra gli altri, i boss Rosario Cattafi, uomo di Santapaola e dei servizi segreti deviati, e Giuseppe Gullotti, colui che recapitò a Giovanni Brusca il telecomando della strage di Capaci e che è stato ritenuto dalla Cassazione il mandante dell’assassinio del giornalista Beppe Alfano. Fra questi ex “amici” c’è anche il cugino dell’urologo, tale Ugo Manca (coinvolto in questa storia, la cui posizione è stata archiviata a Viterbo), che risulta vicino alla mafia di Barcellona e al tempo stesso intimo amico dei Colletti bianchi della città.

“In questa indagine non è stato approfondito neanche il contesto criminale di Barcellona. Che vede insieme, in un’unica filiera, Provenzano (che trascorre periodi della sua latitanza proprio in quella città) e Cattafi (che lo ospita), legato a sua volta a Ugo Manca. Non è stata considerata la possibilità di intervenire su quel tessuto di amicizie locali, pilotandole in certe direzioni”.

In che senso?

“La donna romana, considerata dai magistrati di Viterbo come la presunta fornitrice di eroina di Attilio Manca, conduce anche lei a Barcellona. C’è un rapporto dei Ros che mette insieme Provenzano, Barcellona e Cattafi, il quale, ripeto, frequentava Ugo Manca. La cosa sbalorditiva è che i magistrati di Viterbo dicono di non conoscere neanche questo rapporto. Stessa cosa della permanenza di Provenzano a Barcellona. L’unica cosa che dicono di sapere è che Provenzano non può essere stato operato da Manca perché l’intervento non sarebbe stato eseguito in laparoscopia, tecnica nella quale era specializzato Attilio. La cosa impressionante è che sono apparsi informatissimi su alcuni dettagli e particolarmente disinformati sulla dimensione criminale di Provenzano in relazione a Barcellona”.

La famiglia Manca, in tutti questi anni, neanche è stata ascoltata dai magistrati laziali.

“Trovo davvero singolare che la famiglia non sia stata ammessa neanche come parte civile al processo, così come trovo singolare che non siano stati sentiti il padre, la madre e il fratello di Attilio. Ci si è affidati a qualche interrogatorio a distanza, condotto al Commissariato di Barcellona. Penso che sia naturale, in casi del genere, per un pubblico ministero ascoltare un genitore. Non è stato fatto neanche questo”.

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