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Giulio Cavalli

A proposito: e i mafiosi in nome di Dio?

Non so se i “cattolici moderati” abbiano mai chiesto scusa per i mafiosi di ogni specie che (come ci dicono tutti i verbali di perquisizione) vengono “combinati” o “punciuti” per entrare nell’organizzazione criminale (cosa nostra, ‘ndrangheta et similia) con un “santino” in mano e in nome di Dio.

'Ndrangheta: blitz Ps-Fbi, 'famiglia' anche nel Beneventano

#JeSuisCharlie con il culo degli altri

Ultimamente non mi capita spesso ma trovo perfetto questo articolo di Marco Travaglio:

Eppure non è poi così difficile capirlo che difendere la libertà di espressione non significa condividere tutto quello che pensano, dicono, scrivono e disegnano quelli che se ne avvalgono. Non è poi così difficile capire che difendere la satira senza limiti non vuol dire che chi la fa non possa avere limiti (tutti ne abbiamo, e sono unici al mondo: dipendono dallo stile, dalla cultura, dall’educazione, dalla sensibilità, dall’eventuale fede di ciascun individuo). Vuol dire che quei limiti non possono e non devono essere fissati per legge, con tanto di sanzione a chi li viola: fermo restando il Codice penale per punire chi commette violenze, o istiga a commetterle, ma non chi esprime un pensiero, foss’anche il più bieco e ributtante.

Giovedì a Servizio Pubblico e venerdì sul Fatto ho ricordato come i nostri politici e i loro servi hanno risolto in Italia il secolare dibattito sulla satira: abolendola dalla Rai. Ieri un poveretto con le mèches che scrive su Liberomi ha accusato di aver fatto «senza vergogna» un «odioso paragone tra l’editto islamico e quello bulgaro», cioè di aver messo sullo stesso piano «la vostra industrietta macinasoldi e le vostre barzellette sporche» con «la satira vera, quella degli ammazzati di Parigi». Poi ha ripetuto la vecchia barzelletta dei programmi di Luttazzi e di Sabina Guzzanti «morti da soli» perché «non facevano ascolti» (uahahahahahah). Se ogni tanto capisse ciò che legge e ascolta, il tapino scoprirebbe che non ho fatto alcun paragone («quella di Parigi è una tragedia, in Italia siamo sempre alla farsa», ho detto).
Ho semplicemente sbeffeggiato l’ipocrisia di una classe politica e giornalistica, con e senza mèches (questa sì “macinasoldi”, e pubblici), che ha passato la vita a praticare e giustificare le peggiori censure, salvo poi strillare «Je suis Charlie» e difendere la satira senza limiti, ma solo in Francia e dopo che l’hanno ammazzata. Ieri ho citato un articolo di Pigi Battista sul Corriere nel 2006: diceva – capita persino a lui – cose condivisibili e liberali. E cioè che «non sarà superfluo un supplemento di attenzione per scorgere qualcosa di repellente in quelle vignette di cui pure deve essere libera la circolazione». Cioè criticava delle criticabilissime vignette, ma al contempo metteva in guardia chiunque osasse anche soltanto pensare di vietarle per legge o di chiudere i giornali che le pubblicavano.
È la stessa critica che faceva Vauro, sulla reazione violenta che certe vignette sul Profeta potevano innescare, senza citare Charlie Hebdo né invocare censure o chiusure: quindi è ridicolo che oggi Battista additi Vauro al pubblico ludibrio. La satira scortica tutto e tutti, ci mancherebbe che pretendesse l’immunità dalle critiche. Perciò è sciacallesca l’operazione del Giornale, che sbatte Vauro in prima pagina accusandolo di versare «lacrime di coccodrillo» sui giornalisti e i vignettisti assassinati. Come se chi ha criticato una vignetta su Maometto bombarolo fosse un complice dei macellai islamisti. Ciascuno è libero di ritenere sbagliata o anche repellente una vignetta, un articolo, un libro, un programma tv, un film. Ciò che nessuno può fare è proibirli o chiuderli (come s’è fatto ripetutamente in Italia, con buona pace dei servi di regime), in nome di un “limite” che nessuno ha il diritto di fissare.Cantava Lucio Dalla: «È chiaro: il pensiero dà fastidio, anche se chi pensa è muto come un pesce, anzi è un pesce, e come pesce è difficile da bloccare, perché lo protegge il mare, com’è profondo il mare. Certo, chi comanda non è disposto a fare distinzioni poetiche: il pensiero, come l’oceano, non lo puoi bloccare, non lo puoi recintare…». A me, personalmente, non verrebbe mai in mente di pensare o di scrivere che “il Corano è merda”, come dice una delle vignette incriminate di Charlie Hebdo. Perciò, se ci arrivasse una vignetta così gratuita sul Corano, sul Vangelo, sul Talmud o sul libro sacro o sul simbolo di qualsiasi altra religione, anche noi che ospitiamo più satira di tutti gli altri ci penseremmo un bel po’ prima di pubblicarla.

In nome di un limite che è chiaro e dichiarato: la sensibilità dei lettori, fossero anche soltanto uno o due quelli che potrebbero offendersi. Un quotidiano libero di informazione non è la buca delle lettere né Hyde Park Corner, ma un servizio ai propri lettori. Al contempo, è giusto e liberatorio che esistano giornali come Charlie Hebdo (ne avevamo anche in Italia, pensiamo al Male e a certe fasi di Cuore), interamente consacrati alla satira più libertina, che non hanno né debbono avere limiti. E, se qualcuno tenta di zittirli, chiudendoli o addirittura decimandone la redazione a raffiche di kalashnikov, le pagine di questo giornale libero sono a loro disposizione per ospitarli. A scatola chiusa.Ronald Reagan, ancora in piena guerra fredda, raccontava questa barzelletta: «Un giornalista americano dice a un collega sovietico: “La differenza fra i nostri paesi è che io posso scrivere che Reagan è uno stronzo e non mi succede niente, perché noi siamo una democrazia”. E il sovietico: “Ma pure noi! Infatti anch’io domani posso scrivere che Reagan è uno stronzo”…». È facile per gli integralisti cattolici, protestanti, ebrei solidarizzare con la satira, ora che è stata colpita da tre islamisti sanguinari: bisognerebbe farlo sempre contro ogni censura (non contro ogni critica), anche quando nel mirino c’è la propria religione.

Invece era tutt’altro che scontata la condanna degli stragisti parigini da parte degli ultraradicali di Hamas e di Hezbollah. La satira ha questo di bello: il suo linguaggio immediato e scioccante illumina e spalanca i cervelli. Chissà, forse il sacrificio dei ragazzacci di Charlie non è stato inutile.

(Il Fatto Quotidiano, 11 gennaio 2015)

Bari come il Far West: guerra tra i Campanale ed i Lorusso

Schermata 2015-01-11 alle 20.50.49Far west in via Van Westerhout, al quartiere San Girolamo, questa mattina poco dopo le 9.30. Nicola Lorusso, di 58 anni, pregiudicato e sorvegliato speciale è stato ucciso da una raffica di colpi di mitra. La vittima era il padre di Umberto Lorusso, 37 anni, considerato dagli investigatori il capo del clan omonimo che nel quartiere gestisce i traffici illegali. Una cosca in contrapposizione a quella dei Campanale che da anni è radicata nello stesso territorio. Le due organizzazioni criminali si contendono il predominio .

Secondo una prima ricostruzione, pare che la vittima fosse in compagnia della moglie alla guida di una Ford Fiesta e stava andando in Questura per firmare (era sottoposto al provvedimento di obbligo di firma già da qualche tempo). Quando si è accorto di essere inseguito avrebbe frenato bruscamente il mezzo e obbligato la moglie a scendere dall’auto. Ha quindi proseguito la fuga, ma pochi minuti dopo sarebbe stato affiancato e crivellato di proiettili da un killer (o forse due) a bordo di un’altra auto. Pare abbia sparato con un mitra kalashnikov. Un passante che si trovava a poca distanza ha sentito gli spari e poi ha visto il cadavere in mezzo alla strada. Davanti al corpo ha messo un cassonetto dell’immondizia per evitare che fosse travolto dalle altre auto. Probabilmente Lorusso aveva fatto un ultimo tentativo di fuga a piedi. Le indagini sono affidate ai poliziotti della squadra mobile.

Sul posto ci sono stati momenti di tensione tra la polizia e i parenti dell’uomo ucciso giunti sul posto. Una donna ha urlato: «Da oggi in poi chi va con quella razza morirà. Anche per un caffè. Avviso a tutte le orecchie del mondo. Maledetti». Sul luogo dell’agguato si è recato anche il sindaco di Bari, Antonio Decaro.

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«Non sopporto che si chieda ai musulmani moderati di prendere posizione sull’Islam radicale»: parola di Charb. Appunto.

Quante cose che già sono state dette e già sono state scritte sono più che mai attuali al di là della incultura nostrana:

648x415_french-satirical-weekly-charlie-hebdo-s-publisher-known-only-as-charb-presents-to-journalists-onStéphane Charbonnier, Charb, era il direttore di Charlie Hebdo. Lo scorso 7 gennaio è morto, insieme ad altre 11 persone, nella redazione della rivista che dirigeva. Il teatro parigino del Rond-Point ha pubblicato sul suo sito un video di Charb che risale al 2011. Il direttore di Chalie Hebdo in quell’occasione manifestò il suo disappunto relativamente alla questione: perché i musulmani devono prendere posizione rispetto all’islamismo radicale?

Tutto molto attuale.

Nel video Charbonnier commenta l’incendio che nel 2006 ha colpito la redazione di Charlie Hebdo (dopo la pubblicazione delle vignette su Maometto, ndr) e inizia a parlare del fondamentalismo, cattolico e islamico.

«Ci si preoccupa di vedere i “musulmani moderati” in Francia non reagire: questo non succede perché non ci sono musulmani moderati in Francia. Non ci sono affatto “musulmani”: ci sono persone di cultura musulmana, che rispettano il ramadan come io posso festeggiare il Natale e mangiare tacchino con i miei genitori. Ma non per questo, in tanto che musulmani moderati, devono prendere posizione contro l’Islam radicale. Non sono “musulmani moderati”, sono cittadini. E come cittadini agiscono: comprano Charlie Hebdo, ci sostengono e votano contro degli “stronzi di destra». 

«Quello che mi fa incazzare è che li si interroga sempre in qualità di “musulmani moderati”. E’ come se mi si dicesse “Reagisci in quanto di cattolico moderato”. Non sono un cattolico moderato anche se sono battezzato. Non sono cattolico. Punto».

En passant: in quell’occasione Charb si trovava al teatro del Rond Point per solidarizzare contro una manifestazione di cattolici integralisti che non volevano che lo spettacolo “Golgota Picnic” di Rodrigo Garcia, venisse prodotto nel teatro. I manifestanti denunciavano la “cristianofobia dilangante” e accusavano di blasfemia il regista e la direzione del teatro.

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Nuove indagini sulla sparizione dell’archivio di Peppino Impastato

di Francesca Mondin – 10 gennaio 2015
impastato-fumetto-c-luigi-alfieriNuove indagini sulla sparizione dell’archivio dell’attivista Peppino Impastato ammazzato dalla mafia nella nelle prime ore del 9 maggio 1978. La notte stessa del 9 maggio un gruppo di carabinieri perquisì l’abitazione della famiglia Impastato, nel corso Cinisi, portando via tutto quello che trovò in riferimento a Peppino: appunti, lettere, volantini, dossier di denuncia e ricerche. Un irruzione che lasciò senza parole Giovanni Impastato ancora sconvolto per il corpo dilaniato del fratello ritrovato poche ore prima.
Da quella sera le carte di Peppino sparirono nel nulla.
Anche Salvo Vitale, amico e compagno di lotta di Peppino Impastato ricorda benissimo i giorni successivi all’omicidio e più volte ha raccontato di come vennero gestite le indagini dai carabinieri. Interrogatori feroci in caserma e perquisizioni nelle case dei ‘compagni’ anche prive di mandati di perquisizione. Furono proprio i compagni di Peppino assieme al fratello Giovanni a raccogliere informazioni e prove che a distanza di anni dimostrarono il depistaggio messo in atto nelle prime indagini.

A riguardo sono stati indagati per favoreggiamento il generale Antonio Subranni e per falso i sottufficiali che all’epoca condussero la perquisizione a casa Impastato: Carmelo Canale, Francesco De Bono e Francesco Abramo. Per i quali però il pm Francesco Del Bene è stato costretto a chiedere l’archiviazione poiché i reati erano caduti in prescrizione. Tra i quattro uomini dell’Arma solo Canale ha rinunciato alla prescrizione in quanto vuole essere assolto dal reato.
Ora però sul mistero della sparizione dei documenti di Peppino il giudice per le indagini preliminari Maria Pino vuole andare fino in fondo. Infatti a fine dicembre il gip ha scritto un ordinanza disponendo nuove indagini. Entro sei mesi la procura dovrà ascoltare i testimoni indicati dal giudice e acquisire nuovi documenti.
Quel materiale scomparso dopo il sequestrato dalla casa di Peppino, secondo il gip rappresenterebbe proprio l’inizio di tutte quelle ‘azioni particolari’, di cui parlano gli amici e compagni di Peppino, che depistarono le indagini sulla morte dell’attivista di Cinisi.
In particolare ci sarebbero due documenti che potrebbero dimostrare il reato. Sono due relazioni stilate dai carabinieri all’epoca dei fatti e consegnate dal comando provinciale dei carabinieri di Palermo nel 2000, dopoché la procura e la commissione parlamentare antimafia avevano chiesto all’Arma di consegnare copia di tutti gli atti su Impastato conservati in archivio.
Nella prima relazione, scritta in un foglio privo d’intestazione, senza data e firma troviamo un elenco di 32 punti che si apre con “Fotocopia di una lettera con timbro postale di Cinisi 23.11.1973 spedita a Impastato Giuseppe, contenente minacce da parte di un gruppo di muratori del luogo» e si chiude con: «Statuto del Circolo Arci». In alto prima dell’elenco c’è scritto: “Elenco del materiale informalmente sequestrato in occasione del decesso di Impastato Giuseppe, nella di lui abitazione”.
La seconda relazione, datata il 1 giugno 1978, è invece un’annotazione di servizio dell’allora comandante del nucleo informativo della Legione carabinieri di Palermo.
Il cui oggetto è «Controllo persone sospettate di appartenenza a gruppi eversivi». Nella carta si legge: «Si trasmette l’accluso elenco, sequestrato informalmente nell’abitazione di Impastato Giuseppe».
L’allora comandante del nucleo Informativo Enrico Frasca, interrogato nei mesi scorsi dal pm Del Bene, ha detto però di non ricordare per nulla quella relazione ed ha anche ammesso un certo stupore per l’espressione “sequestro informale”, termine infatti che non esiste in nessun manuale di diritto italiano.
Anche se i reati di favoreggiamento e falso sono prescritti si potrà forse arrivare a capire come mai e chi ha fatto sparire i documenti di Peppino Impastato.

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Motivazioni processo “la svolta”: il 416 bis in Ligura

Imperia.”La Svolta”, “Roccaforte”, “Spiga”, “Maglio”, “Crimine”, “Infinito“. Questi sono solo alcuni nomi di diverse operazioni e processi anti ‘ndrangheta portati avanti sul territorio ligure e nazionale.

Sono nomi particolari che, sentendoli per la prima volta, non comunicano niente, ma in realtà dietro queste brevi parole si cela un mondo complesso di intercettazioni, osservazioni, pedinamenti portati avanti dalle forze dell’ordine per smascherare la presenza anche nella nostra terra della mafia. Precisamente della ‘ndrangheta che, anche se operante in modo silente, senza faide e uccisioni in pieno giorno, ha minato profondamente il territorio ligure, infiltrandosi in modo capillare nelle istituzioni, nella realtà amministrativa e politica e quindi indirettamente nella vita di ogni singolo comune cittadino.

La sentenza del processo “La Svolta” ha segnato un punto di non ritorno per la lotta alla criminalità organizzata perchè, per la prima volta, è stato riconosciuto il reato di associazione mafiosa, il 416 bis, in Liguria, e tutto questo è stato possibile solo grazie ai processi precedenti che hanno creato una sorta di rete, una mappa, che tassello dopo tassello ha portato ad avere sotto gli occhi degli inquirenti un quadro completo dell’associazione ‘ndranghetistica nel ponente ligure.

Ecco perchè il passaggio fondamentale delle motivazioni della sentenza del processo “La Svolta” è: “Per la dimostrazione della sussistenza del reato associativo è necessario avere un quadro panoramico delle vicende dei fatti criminosi commessi in un arco di tempo più o meno prolungato. Una visione parcellizzata dei fatti difficilmente consentirebbe di individuare i requisiti di un agire organizzato con metodo mafioso“.

In queste poche parole si racchiude la motivazione essenziale per cui in questo storico processo è stato contestato agli imputati, per la prima volta in Liguria, il reato 416 bis di associazione mafiosa. Lo sguardo che i giudici hanno infatti mantenuto su tutto il processo è stato molto ampio, senza focalizzarsi su singoli avvenimenti, ma trovando in ogni fatto un collegamento e una connessione con indagini passate (le stesse Maglio, Infinito, Crimine… di cui sopra).

Come si legge nelle motivazioni della sentenza, depositate il 5 gennaio, hanno avuto un ruolo fondamentale le deposizioni del Maresciallo Camplese e del Maresciallo Torrente, ma anche le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, Francesco Oliverio e Gianni Cretarola, che hanno “sostanzialmente dato conferma di fatti già ampiamente dimostrati sulla base di altri elementi di prova“.

Il processo “La Svolta” è stato infatti basato sulla grande consistenza quantitativa e qualitativa delle risultanze delle attività di intercettazioni e “le conversazioni intrattenute da imputati (tra di loro o con terzi) hanno rappresentato il nucleo probatorio fondamentale, stante la ovvia, particolare attendibilità di dichiarazioni fatte da soggetti ignari di essere ascoltati”.

Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sono state così riconosciute solo dopo la dimostrazione di credibilità soggettiva del dichiarante, di una sua attendibilità intrinseca e della presenza di riscontri esterni individualizzanti, non lasciando spazio a opinioni. “Gran parte dei dati indicati da Oliverio e Cretarola erano in ogni caso già noti in quanto evidenziati in importanti sentenze di ‘ndrangheta acquisite nel presente processo“, inoltre i due collaboratori hanno riconosciuto in foto molti soggetti chiamati in causa nel processo e hanno riportato fatti vissuti direttamente o hanno indicato precisamente la fonte della loro conoscenza.

Ai fini della costituzione di un sodalizio criminoso sono dunque essenziali diversi elementi che sono stati ritrovati in questo processo: “elemento personale con un minimo di tre persone, la struttura operativa organizzata articolata in ruoli e competenze, i fini perseguiti il cui ambito viene ad essere dilatato e l’elemento centrale in aggiunta dato dalla capacità dell’organizzazione di sprigionare per il solo fatto della sua esistenza una carica intimidatrice idonea a piegare ai propri fini la volontà di quanti vengano in contatto con gli affiliati all’organismo criminale”.

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‘Ndrangheta a Roma: macellerie, fattorie e compro oro (al solito…)

Ancora malavita a Roma. La polizia ha arrestato tre esponenti di vertice della ‘ndrangheta calabrese attivi nella provincia.

Secondo quanto si apprende, si tratterebbe di appartenenti alle ‘ndrine Palamara, Scriva, Mollica, Morabito che, secondo gli investigatori, avevano “ramificati interessi criminali e imprenditoriali nella zona Nord della provincia di Roma e nella Capitale”.

Gli arrestati, secondo la Direzione Distrettuale Antimafia, sono responsabili di intestazione fittizia di beni aggravata dal metodo mafioso e reati commessi per favorire l’associazione mafiosa per il controllo delle attività illecite sul territorio.

Durante le operazioni sono state eseguite numerose perquisizioni in tutt’Italia e sequestri di attività commerciali e imprenditoriali e di immobili per un valore di oltre 100 milioni di euro.

Tra le attività sequestrate una gioielleria compro oro, una azienda di allevamento bestiame, macellazione carni e produzione di latticini, un negozio di ottica nonché numerosi conti correnti bancari.

(fonte)

Nel silenzio Roma gocciola corruzione

Dopo poche settimane da Mafia Capitale, da ieri un nuovo terremoto si è abbattuto tra i politici e gli imprenditori della provincia di Roma. Tra i 22 arrestati dalla Guardia di Finanza per corruzione e concussione, c’è anche l’imprenditore Franco De Angelis, proprietario dell’Icpl, la società dell’interporto di Civitavecchia.

L’operazione «Vitruvio», condotta dai finanzieri del Comando Unità speciali della Guardia di finanza di Roma, ha portato all’arresto anche molti dipendenti della P.A. della capitale per corruzione, concussione e tangenti da 1.000-1.500 euro, intascate per non aver rilevato abusi edilizi. Questi i reati che vengono contestati a 28 persone, 10 funzionari pubblici, 13 imprenditori e 5 professionisti raggiunti da ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Anna Maria Gavoni.

Arrestati anche funzionari dell’ufficio tecnico dei municipi XIII e XIV (nella zona nord-ovest di Roma) e tra gli indagati anche un ispettore dello Spresal (Servizio di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro) della Asl Rm E, che in cambio di soldi evitava di riscontrare irregolarità nei cantieri o il mancato rispetto delle normative sulla sicurezza.

“Le indagini hanno svelato una realtà illecita diffusa – ha detto il procuratore aggiunto Francesco Caporale – che potrebbe estendersi anche ad altri municipi della Capitale”.

Per arrivare a cogliere in flagranza gli arrestati era da tempo che venivano effettuate intercettazioni da parte della GDF. Ad esempio, In un colloquio, due imprenditori edili raccontano di un’ispezione da parte di un funzionario della Asl Roma, che viene definito ”corrotto” e per il quale uno dei due imprenditori ha dovuto sborsare 8 mila e 500 euro per rinnovare le pratiche della sicurezza. ”Qui mi è venuto un ispettore, un altro venduto corrotto di merda dell’Asl – racconta al telefono uno dei due imprenditori -. Sai che ho fatto? Ho preparato la mia busta, mi è costato 8 mila e 500 euro per rifare il rinnovo di tutte quante le pratiche”.

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Sedriano, Alfredo Celeste e la mafia inosservata (la sentenza completa)

imageHa urlato per anni al complotto, insultando il prefetto di Milano, il ministro degli Interni, gli oppositori politici, la stampa e persino i commissari mandati da Roma a Sedriano, per ‘ripulire’ quel comune del Milanese che nell’ottobre del 2013, primo e unico caso in Lombardia, era stato sciolto per mafia.

Ieri però per l’ex sindaco Alfredo Celeste (Forza Italia) è arrivata la doccia fredda: il Tar del Lazio ha confermato tutto (qui la sentenza ), respingendo il ricorso degli ex amministratori e aggiungendo particolari agghiaccianti su una cittadina di 11 mila abitanti a nord di Milano, che viene descritta come un villaggio della Locride, dove gli appalti finiscono nelle mani di aziende in odor di mafia, dove gli assessori vengono affiancati da ‘tutor’ esterni decisi dal sindaco (in un caso la scelta cade su un personaggio accusato di vicinanza alle cosche), dove il primo cittadino promette favori a un ‘boss’ della ‘ndrangheta in cambio di aiuti per fare carriera politica, per diventare deputato. E sottomette ai suoi voleri pure i funzionari pubblici, compreso il segretario comunale che resta in silenzio di fronte ad atti amministrativi illegittimi. Un sindaco che, nel giro di quattro anni, affida al suo avvocato personale, divenuto l’unico consulente del comune in materia giuridica e urbanistica, incarichi per 430 mila euro. Uno scenario da tregenda, fino a ieri sconosciuto nei suoi dettagli più incresciosi.
“E’ tutto da dimostrare, sono innocente”, ripete Celeste. Che oggi è imputato a Milano per corruzione nel processo sui rapporti tra la politica e la ‘ndrangheta, assieme all’ex assessore regionale del Pdl, Domenico Zambetti, accusato di voto di scambio mafioso. Ma se sulle responsabilità individuali decideranno i magistrati, sulle ragioni dello scioglimento per mafia di Sedriano hanno già deciso tre diverse istituzioni: il prefetto che lo propose nel luglio del 2013, il governo di Enrico Letta che lo decise nell’ottobre dello stesso anno e, ieri, il Tar del Lazio che l’ha confermato: “Gli elementi – scrivono i giudici del Tribunale amministrativo – sono concreti, in quanti fondati su esame documentale, evidenze probatorie acquisite nelle indagini penali e audizione dei diretti interessati; (gli elementi sono) univoci, perché evidenziano che la direzione verso cui si muoveva l’organizzazione comunale (anche con le sue omissioni, parzialità e illegittimità diffuse) era stabile a beneficio, sia pure indiretto ma incontestabile, di esponenti della malavita stanziale di origine ‘mafiosa’; (gli elementi sono) rilevanti, dato che riguardavano la gestione dell’intreccio economico-finanziario che è particolarmente ambito dalla criminalità organizzata, anche ai fini di riciclaggio”.Una brutta storia, quella andata in scena a Sedriano. Comincia nella primavera del 2009, quando il centrodestra torna al potere dopo 13 anni di digiuno. Sindaco è Alfredo Celeste, nato in Puglia a Fasano nel 1953 e giunto al nord da ragazzo. Fa l’impiegato alle Poste del paese, dove viene accusato dal parroco di sbirciare nella sua corrispondenza. Ex socialista, Celeste si converte alla fede dopo l’incontro con l’esorcista monsignor Emmanuel Milingo. Così se ne va a Lugano e torna con un diploma in scienze teologiche. Nel 1994 una nuova conversione, stavolta al verbo di Forza Italia dopo aver ascoltato il discorso di Silvio Berlusconi sulla sua discesa in campo. In municipio la musica cambia. Fa il suo ingresso trionfale una statua della madonna di Medjugorje. Fra lo stupore di dipendenti e cittadini viene collocata nell’ufficio del sindaco, il quale si rifiuta di celebrare i matrimoni civili: “Insegno religione. Non posso dare certi insegnamenti in classe e poi non applicarli nella vita. Per me il matrimonio è quello davanti a Dio, punto”. Deve intervenire il prefetto, minacciando il commissariamento.

E’ un personaggio eccentrico e bizzarro, il primo cittadino. Ostenta fede e valori, vestendo i panni del moralizzatore. Ma le sue pubbliche ‘virtù’ nascondo i suoi ‘vizi’ privati. Secondo la relazione riservata del ministero degli Interni, richiamata nella sentenza del Tar, “il sindaco e altri membri dell’amministrazione frequentavano soggetti ‘controindicati’”. Uno di loro è Eugenio Costantino, imputato assieme a Celeste a Milano e detenuto in una clinica psichiatrica: “Soggetto che aveva assunto uno ruolo di rilievo nell’associazione criminale ‘ndrangheta, avendo rivestito una partecipazione nell’attività di riscontrato ‘voto di scambio’ per le elezioni regionali lombarde del 2010. (Costantino) era riuscito anche a ottenere l’elezione nel giugno 2009, nel corso di un patto ‘politico-mafioso’, di sua figlia a consigliere del comune di Sedriano”. Altro personaggio ‘pericoloso’ frequentato dal sindaco è “un medico chirurgo marito di consigliera comunale di Sedriano”. Si tratta di Marco Scalambra, anche lui imputato nel processo politica-mafia, esperto di urbanistica, edilizia e cooperative, nonché marito di Silvia Fagnani, già capogruppo di maggioranza a Sedriano. Famoso un sms che Scalambra invia a un candidato alle elezioni comunali di Rho nel 2011: “Ho cercato di portarti i voti della lobby calabrese ma purtroppo sono già impegnati. Ne rimangono circa 300, fai sapere entro domani se ti interessano come elettori”.

Secondo la relazione riservata Celeste non si limita a frequentare personaggi ‘oscuri’. Ma promette “di compiere una pluralità di atti contrari ai suoi doveri d’ufficio”. Come per esempio “la promessa, a sostegno degli interessi del sodalizio criminale operante sul territorio, dell’assegnazione di un appalto della manutenzione delle aree verdi comunali, pur se l’assegnazione risultava definitivamente in favore di altro soggetto, comunque imparentato con altra famiglia ‘mafiosa’; la promessa al suddetto medico chirurgo (Scalambra) di assegnazione di lavori di ristrutturazione di alcuni immobili”.

Il sindaco agiva inoltre da ‘dominus’ sui dipendenti del comune: “Generalizzata e illegittima ingerenza degli organi politici sull’operato di quelli burocratici, soprattutto in settori economici”. E ancora: “Risultavano tra le varie figure professionali ausiliarie del comune diversi soggetti con precedenti penali”. Inoltre: “Riorganizzazione uffici comunali nel 2009 e area tecnica divisa in due settori, di cui uno assegnato a soggetti vicini ad ambienti ‘controindicati’ (…) Lavori di messa in sicurezza di un manufatto comunale affidati a impresa i cui soci presentavano legami con criminalità”. L’elenco è lungo. Si legge anche di un “generale contesto di illegalità negli appalti”, di “affidamento lavori ad aziende prive di documentazione antimafia” e di una presenza inquietante: “Risultava operativa anche nel territorio di Sedriano un’organizzazione criminale facente capo a famiglia originaria di Platì, il cui ambito criminale riguardava il monopolio del movimento terra, il controllo dei cantieri, il settore dell’intermediazione immobiliare, con infiltrazioni negli appalti di servizi e opere pubbliche”.

Neppure gli assessori erano liberi di agire senza il permesso del sindaco. Al punto tale che alcuni di loro sono affiancati da un ‘tutor’, scelto dal primo cittadino in persona: “In particolare, risultava che all’assessore ai Servizi sociali era affiancata una consigliera comunale, moglie del medico chirurgo che esercitava notevole influenza sul Sindaco (il citato Marco Scalambra, oggi imputato a Milano nel processo mafia-politica, ndr); all’assessore ai Lavori pubblici risultava affiancato un geometra, all’epoca coordinatore del partito politico di appartenenza del sindaco; all’assessore all’urbanistica ed edilizia privata era affiancato proprio il detto medico chirurgo (…) Non si comprende per quale ragione il Sindaco aveva proceduto alla nomina dei componenti della giunta per poi avere l’intenzione di affiancare loro altri soggetti di supporto, salvo non ritenere una concezione personalistica e dirigistica della struttura comunale e di tutta l’amministrazione, finalizzata, più che al perseguimento degli interessi della collettività, al perseguimento di interessi personali e privatistici”.

A completare un quadro di sottomissione ai voleri di un sindaco amico (lui dice senza saperlo) dei ‘boss’, ci sono pure i silenzi complici dell’allora segretario comunale, Susanna Pecorella, colei che avrebbe dovuto esercitare il controllo sugli atti: “In riferimento alla figura del segretario comunale con funzioni di direttore generale (si rileva) la sua responsabilità per il silenzio serbato su alcune illegittimità da cui erano affetti provvedimenti emanati dall’amministrazione comunale (…) in ordine ad alcuni appalti assegnati, limitando la sua attività all’apposizione del ‘visto’ sotto un profilo meramente formale, risultando così evidente accondiscendenza ai voleri del sindaco e della giunta”.

E non finisce qui. In quello che è stato definito “il regno di Sua Maestà Alfredo Celeste”, c’è spazio pure per gli incarichi legali assegnati fra il 2009 e il 2013 a Giorgio Bonamassa. Si legge nella sentenza: “Il consulente legale del comune e avvocato difensore del sindaco in pregressi procedimenti penali a suo carico otteneva numerosi incarichi giudiziari e di consulenza extragiudiziale dal comune medesimo, di notevole rilievo e per consistenti importi totali, già dal 2009, a fronte di risultati non proporzionati agli importi ricevuti”. L’amico-avvocato di Celeste, per essere più precisi, ha incamerato in 4 anni la bellezza di 430 mila euro: una cifra surreale per una cittadina di 11 mila abitanti. A lui, che è un penalista, fu affidata addirittura la stesura dello strumento urbanistico comunale, una consulenza costata ai cittadini circa 100 mila euro e poi cestinata nel 2013, dopo lo scioglimento per mafia.

Sognava in grande, l’ex sindaco Celeste. Parola del ‘boss’ della ‘ndrangheta Costantino, che svela al telefono i suoi progetti per l’amico Alfredo: “Fare il sindaco non gli basta, ha attorno persone molto megalomani, vogliono portarlo a Roma come senatore”. Oggi è tutto finito. Eppure Celeste non si arrende: prepara il ricorso al Consiglio di Stato e annuncia la sua ricandidatura a sindaco per le elezioni di fine anno. Intanto, per volontà della Curia, può continuare sereno a insegnare religione ai ragazzi del liceo europeo di Arconate (Milano) e dell’istituto tecnico di Castellanza (Varese). Alla Diocesi, da mesi, insistono nell’affermare che, del caso Celeste, non ne sanno nulla. Aggiungono però che si informeranno.

(fonte)

Il Sultano e San Francesco (la risposta di Tiziano Terzani a Oriana Fallaci, e a molti in queste ore)

di Tiziano Terzani

532948_10152902333161760_1228191903519466569_nOriana, dalla finestra di una casa poco lontana da quella in cui anche tu sei nata, guardo le lame austere ed eleganti dei cipressi contro il cielo e ti penso a guardare, dalle tue finestre a New York, il panorama dei grattacieli da cui ora mancano le Torri Gemelle. Mi torna in mente un pomeriggio di tanti, tantissimi anni fa quando assieme facemmo una lunga passeggiata per le stradine di questi nostri colli argentati dagli ulivi. Io mi affacciavo, piccolo, alla professione nella quale tu eri gia’ grande e tu proponesti di scambiarci delle “Lettere da due mondi diversi”: io dalla Cina dell’immediato dopo-Mao in cui andavo a vivere, tu dall’America. Per colpa mia non lo facemmo. Ma e’ in nome di quella tua generosa offerta di allora, e non certo per coinvolgerti ora in una corrispondenza che tutti e due vogliamo evitare, che mi permetto di scriverti. Davvero mai come ora, pur vivendo sullo stesso pianeta, ho l’impressione di stare in un mondo assolutamente diverso dal tuo.

Ti scrivo anche – e pubblicamente per questo – per non far sentire troppo soli quei lettori che forse, come me, sono rimasti sbigottiti dalle tue invettive, quasi come dal crollo delle due Torri. La’ morivano migliaia di persone e con loro il nostro senso di sicurezza; nelle tue parole sembra morire il meglio della testa umana – la ragione; il meglio del cuore – la compassione.

Il tuo sfogo mi ha colpito, ferito e mi ha fatto pensare a Karl Kraus. “Chi ha qualcosa da dire si faccia avanti e taccia”, scrisse, disperato dal fatto che, dinanzi all’indicibile orrore della Prima Guerra Mondiale, alla gente non si fosse paralizzata la lingua. Al contrario, gli si era sciolta, creando tutto attorno un assurdo e confondente chiacchierio. Tacere per Kraus significava riprendere fiato, cercare le parole giuste, riflettere prima di esprimersi. Lui uso’ di quel consapevole silenzio per scrivere Gli ultimi giorni dell’umanita’, un’opera che sembra essere ancora di un’inquietante attualita’.

Pensare quel che pensi e scriverlo e’ un tuo diritto. Il problema e’ pero’ che, grazie alla tua notorieta’, la tua brillante lezione di intolleranza arriva ora anche nelle scuole, influenza tanti giovani e questo mi inquieta.

Il nostro di ora e’ un momento di straordinaria importanza. L’orrore indicibile e’ appena cominciato, ma e’ ancora possibile fermarlo facendo di questo momento una grande occasione di ripensamento. E un momento anche di enorme responsabilita’ perche’ certe concitate parole, pronunciate dalle lingue sciolte, servono solo a risvegliare i nostri istinti piu’ bassi, ad aizzare la bestia dell’odio che dorme in ognuno di noi ed a provocare quella cecita’ delle passioni che rende pensabile ogni misfatto e permette, a noi come ai nostri nemici, il suicidarsi e l’uccidere. “Conquistare le passioni mi pare di gran lunga piu’ difficile che conquistare il mondo con la forza delle armi. Ho ancora un difficile cammino dinanzi a me”, scriveva nel 1925 quella bell’anima di Gandhi. Ed aggiungeva: “Finche’ l’uomo non si mettera’ di sua volonta’ all’ultimo posto fra le altre creature sulla terra, non ci sara’ per lui alcuna salvezza”.

E tu, Oriana, mettendoti al primo posto di questa crociata contro tutti quelli che non sono come te o che ti sono antipatici, credi davvero di offrirci salvezza? La salvezza non e’ nella tua rabbia accalorata, ne’ nella calcolata campagna militare chiamata, tanto per rendercela piu’ accettabile, “Liberta’ duratura”.

O tu pensi davvero che la violenza sia il miglior modo per sconfiggere la violenza? Da che mondo e’ mondo non c’e’ stata ancora la guerra che ha messo fine a tutte le guerre. Non lo sara’ nemmeno questa.

Quel che ci sta succedendo e’ nuovo. Il mondo ci sta cambiando attorno. Cambiamo allora il nostro modo di pensare, il nostro modo di stare al mondo. E una grande occasione. Non perdiamola: rimettiamo in discussione tutto, immaginiamoci un futuro diverso da quello che ci illudevamo d’aver davanti prima dell’11 settembre e soprattutto non arrendiamoci alla inevitabilita’ di nulla, tanto meno all’inevitabilita’ della guerra come strumento di giustizia o semplicemente di vendetta.

Le guerre sono tutte terribili. Il moderno affinarsi delle tecniche di distruzione e di morte le rendono sempre piu’ tali. Pensiamoci bene: se noi siamo disposti a combattere la guerra attuale con ogni arma a nostra disposizione, compresa quella atomica, come propone il Segretario alla Difesa americano, allora dobbiamo aspettarci che anche i nostri nemici, chiunque essi siano, saranno ancor piu’ determinati di prima a fare lo stesso, ad agire senza regole, senza il rispetto di nessun principio. Se alla violenza del loro attacco alle Torri Gemelle noi risponderemo con una ancor piu’ terribile violenza – ora in Afghanistan, poi in Iraq, poi chi sa dove -, alla nostra ne seguira’ necessariamente una loro ancora piu’ orribile e poi un’altra nostra e cosi’ via.

Perche’ non fermarsi prima? Abbiamo perso la misura di chi siamo, il senso di quanto fragile ed interconnesso sia il mondo in cui viviamo, e ci illudiamo di poter usare una dose, magari “intelligente”, di violenza per mettere fine alla terribile violenza altrui.

Cambiamo illusione e, tanto per cominciare, chiediamo a chi fra di noi dispone di armi nucleari, armi chimiche e armi batteriologiche – Stati Uniti in testa – d’impegnarsi solennemente con tutta l’umanita’ a non usarle mai per primo, invece di ricordarcene minacciosamente la disponibilita’. Sarebbe un primo passo in una nuova direzione. Non solo questo darebbe a chi lo fa un vantaggio morale – di per se’ un’arma importante per il futuro -, ma potrebbe anche disinnescare l’orrore indicibile ora attivato dalla reazione a catena della vendetta. In questi giorni ho ripreso in mano un bellissimo libro (peccato che non sia ancora in italiano) di un vecchio amico, uscito due anni fa in Germania. Il libro si intitola Die Kunst, nicht regiert zu werden: ethische Politik von Sokrates bis Mozart (L’arte di non essere governati: l’etica politica da Socrate a Mozart). L’autore e’ Ekkehart Krippendorff, che ha insegnato per anni a Bologna prima di tornare all’Universita’ di Berlino. La affascinante tesi di Krippendorff e’ che la politica, nella sua espressione piu’ nobile, nasce dal superamento della vendetta e che la cultura occidentale ha le sue radici piu’ profonde in alcuni miti, come quello di Caino e quello delle Erinni, intesi da sempre a ricordare all’uomo la necessita’ di rompere il circolo vizioso della vendetta per dare origine alla civilta’.

Caino uccide il fratello, ma Dio impedisce agli uomini di vendicare Abele e, dopo aver marchiato Caino – un marchio che e’ anche una protezione -, lo condanna all’esilio dove quello fonda la prima citta’. La vendetta non e’ degli uomini, spetta a Dio.

Secondo Krippendorff il teatro, da Eschilo a Shakespeare, ha avuto una funzione determinante nella formazione dell’uomo occidentale perche’ col suo mettere sulla scena tutti i protagonisti di un conflitto, ognuno col suo punto di vista, i suoi ripensamenti e le sue possibili scelte di azione, il teatro e’ servito a far riflettere sul senso delle passioni e sulla inutilita’ della violenza che non raggiunge mai il suo fine.

Purtroppo, oggi, sul palcoscenico del mondo noi occidentali siamo insieme i soli protagonisti ed i soli spettatori, e cosi’, attraverso le nostre televisioni ed i nostri giornali, non ascoltiamo che le nostre ragioni, non proviamo che il nostro dolore.

A te, Oriana, i kamikaze non interessano. A me tanto invece. Ho passato giorni in Sri Lanka con alcuni giovani delle “Tigri Tamil”, votati al suicidio. Mi interessano i giovani palestinesi di “Hamas” che si fanno saltare in aria nelle pizzerie israeliane. Un po’ di pieta’ sarebbe forse venuta anche a te se in Giappone, sull’isola di Kyushu, tu avessi visitato Chiran, il centro dove i primi kamikaze vennero addestrati e tu avessi letto le parole, a volte poetiche e tristissime, scritte segretamente prima di andare, riluttanti, a morire per la bandiera e per l’Imperatore. I kamikaze mi interessano perche’ vorrei capire che cosa li rende cosi’ disposti a quell’innaturale atto che e’ il suicidio e che cosa potrebbe fermarli.

Quelli di noi a cui i figli – fortunatamente – sono nati, si preoccupano oggi moltissimo di vederli bruciare nella fiammata di questo nuovo, dilagante tipo di violenza di cui l’ecatombe nelle Torri Gemelle potrebbe essere solo un episodio.

Non si tratta di giustificare, di condonare, ma di capire. Capire, perche’ io sono convinto che il problema del terrorismo non si risolvera’ uccidendo i terroristi, ma eliminando le ragioni che li rendono tali.

Niente nella storia umana e’ semplice da spiegare e fra un fatto ed un altro c’e’ raramente una correlazione diretta e precisa. Ogni evento, anche della nostra vita, e’ il risultato di migliaia di cause che producono, assieme a quell’evento, altre migliaia di effetti, che a loro volta sono le cause di altre migliaia di effetti. L’attacco alle Torri Gemelle e’ uno di questi eventi: il risultato di tanti e complessi fatti antecedenti. Certo non e’ l’atto di “una guerra di religione” degli estremisti musulmani per la conquista delle nostre anime, una Crociata alla rovescia, come la chiami tu, Oriana. Non e’ neppure “un attacco alla liberta’ ed alla democrazia occidentale”, come vorrebbe la semplicistica formula ora usata dai politici. Un vecchio accademico dell’Universita’ di Berkeley, un uomo certo non sospetto di anti-americanismo o di simpatie sinistrorse da’ di questa storia una interpretazione completamente diversa. “Gli assassini suicidi dell’11 settembre non hanno attaccato l’America: hanno attaccato la politica estera americana”, scrive Chalmers Johnson nel numero di The Nation del 15 ottobre. Per lui, autore di vari libri – l’ultimo, Blowback, contraccolpo, uscito l’anno scorso (in Italia edito da Garzanti, ndr) ha del profetico – si tratterebbe appunto di un ennesimo “contraccolpo” al fatto che, nonostante la fine della Guerra Fredda e lo sfasciarsi dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti hanno mantenuto intatta la loro rete imperiale di circa 800 installazioni militari nel mondo Con una analisi che al tempo della Guerra Fredda sarebbe parsa il prodotto della disinformazione del Kgb, Chalmers Johnson fa l’elenco di tutti gli imbrogli, complotti, colpi di Stato, delle persecuzioni, degli assassinii e degli interventi a favore di regimi dittatoriali e corrotti nei quali gli Stati Uniti sono stati apertamente o clandestinamente coinvolti in America Latina, in Africa, in Asia e nel Medio Oriente dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ad oggi.

Il “contraccolpo” dell’attacco alle Torri Gemelle ed al Pentagono avrebbe a che fare con tutta una serie di fatti di questo tipo: fatti che vanno dal colpo di Stato ispirato dalla Cia contro Mossadeq nel 1953, seguito dall’installazione dello Shah in Iran, alla Guerra del Golfo, con la conseguente permanenza delle truppe americane nella penisola araba, in particolare l’Arabia Saudita dove sono i luoghi sacri dell’Islam. Secondo Johnson sarebbe stata questa politica americana “a convincere tanta brava gente in tutto il mondo islamico che gli Stati Uniti sono un implacabile nemico”.

Cosi’ si spiegherebbe il virulento anti-americanismo diffuso nel mondo musulmano e che oggi tanto sorprende gli Stati Uniti ed i loro alleati.

Esatta o meno che sia l’analisi di Chalmers Johnson, e’ evidente che al fondo di tutti i problemi odierni degli americani e nostri nel Medio Oriente c’e’, a parte la questione israeliano-palestinese, la ossessiva preoccupazione occidentale di far restare nelle mani di regimi “amici”, qualunque essi fossero, le riserve petrolifere della regione. Questa e’ stata la trappola.

L’occasione per uscirne e’ ora.

Perche’ non rivediamo la nostra dipendenza economica dal petrolio? Perche’ non studiamo davvero, come avremmo potuto gia’ fare da una ventina d’anni, tutte le possibili fonti alternative di energia?

Ci eviteremmo cosi’ d’essere coinvolti nel Golfo con regimi non meno repressivi ed odiosi dei talebani; ci eviteremmo i sempre piu’ disastrosi “contraccolpi” che ci verranno sferrati dagli oppositori a quei regimi, e potremmo comunque contribuire a mantenere un migliore equilibrio ecologico sul pianeta.

Magari salviamo cosi’ anche l’Alaska che proprio un paio di mesi fa e’ stata aperta ai trivellatori, guarda caso dal presidente Bush, le cui radici politiche – tutti lo sanno – sono fra i petrolieri.

A proposito del petrolio, Oriana, sono certo che anche tu avrai notato come, con tutto quel che si sta scrivendo e dicendo sull’Afghanistan, pochissimi fanno notare che il grande interesse per questo paese e’ legato al fatto d’essere il passaggio obbligato di qualsiasi conduttura intesa a portare le immense risorse di metano e petrolio dell’Asia Centrale (vale a dire di quelle repubbliche ex-sovietiche ora tutte, improvvisamente, alleate con gli Stati Uniti) verso il Pakistan, l’India e da li’ nei paesi del Sud Est Asiatico. Il tutto senza dover passare dall’Iran. Nessuno in questi giorni ha ricordato che, ancora nel 1997, due delegazioni degli “orribili” talebani sono state ricevute a Washington (anche al Dipartimento di Stato) per trattare di questa faccenda e che una grande azienda petrolifera americana, la Unocal, con la consulenza niente di meno che di Henry Kissinger, si e’ impegnata col Turkmenistan a costruire quell’oleodotto attraverso l’Afghanistan.

E dunque possibile che, dietro i discorsi sulla necessita’ di proteggere la liberta’ e la democrazia, l’imminente attacco contro l’Afghanistan nasconda anche altre considerazioni meno altisonanti, ma non meno determinanti. E per questo che nell’America stessa alcuni intellettuali cominciano a preoccuparsi che la combinazione fra gli interessi dell’industria petrolifera con quelli dell’industria bellica – combinazione ora prominentemente rappresentata nella compagine al potere a Washington – finisca per determinare in un unico senso le future scelte politiche americane nel mondo e per limitare all’interno del paese, in ragione dell’emergenza anti-terrorismo, i margini di quelle straordinarie liberta’ che rendono l’America cosi’ particolare.

Il fatto che un giornalista televisivo americano sia stato redarguito dal pulpito della Casa Bianca per essersi chiesto se l’aggettivo “codardi”, usato da Bush, fosse appropriato per i terroristi-suicidi, cosi’ come la censura di certi programmi e l’allontanamento da alcuni giornali, di collaboratori giudicati non ortodossi, hanno aumentato queste preoccupazioni. L’aver diviso il mondo in maniera – mi pare – “talebana”, fra “quelli che stanno con noi e quelli contro di noi”, crea ovviamente i presupposti per quel clima da caccia alle streghe di cui l’America ha gia’ sofferto negli anni Cinquanta col maccartismo, quando tanti intellettuali, funzionari di Stato ed accademici, ingiustamente accusati di essere comunisti o loro simpatizzanti, vennero perseguitati, processati e in moltissimi casi lasciati senza lavoro.

Il tuo attacco, Oriana – anche a colpi di sputo – alle “cicale” ed agli intellettuali “del dubbio” va in quello stesso senso. Dubitare e’ una funzione essenziale del pensiero; il dubbio e’ il fondo della nostra cultura. Voler togliere il dubbio dalle nostre teste e’ come volere togliere l’aria ai nostri polmoni. Io non pretendo affatto d’aver risposte chiare e precise ai problemi del mondo (per questo non faccio il politico), ma penso sia utile che mi si lasci dubitare delle risposte altrui e mi si lasci porre delle oneste domande.

In questi tempi di guerra non deve essere un crimine parlare di pace. Purtroppo anche qui da noi, specie nel mondo “ufficiale” della politica e dell’establishment mediatico, c’e’ stata una disperante corsa alla ortodossia. E come se l’America ci mettesse gia’ paura. Capita cosi’ di sentir dire in televisione a un post-comunista in odore di una qualche carica nel suo partito, che il soldato Ryan e’ un importante simbolo di quell’America che per due volte ci ha salvato. Ma non c’era anche lui nelle marce contro la guerra americana in Vietnam?

Per i politici – me ne rendo conto – e’ un momento difficilissimo. Li capisco e capisco ancor piu’ l’angoscia di qualcuno che, avendo preso la via del potere come una scorciatoia per risolvere un piccolo conflitto di interessi terreni si ritrova ora alle prese con un enorme conflitto di interessi divini, una guerra di civilta’ combattuta in nome di Iddio e di Allah. No. Non li invidio, i politici.

Siamo fortunati noi, Oriana. Abbiamo poco da decidere e non trovandoci in mezzo ai flutti del fiume, abbiamo il privilegio di poter stare sulla riva a guardare la corrente.

Ma questo ci impone anche grandi responsabilita’ come quella, non facile, di andare dietro alla verita’ e di dedicarci soprattutto “a creare campi di comprensione, invece che campi di battaglia”, come ha scritto Edward Said, professore di origine palestinese ora alla Columbia University, in un saggio sul ruolo degli intellettuali uscito proprio una settimana prima degli attentati in America.

Il nostro mestiere consiste anche nel semplificare quel che e’ complicato. Ma non si puo’ esagerare, Oriana, presentando Arafat come la quintessenza della doppiezza e del terrorismo ed indicando le comunita’ di immigrati musulmani da noi come incubatrici di terroristi.

Le tue argomentazioni verranno ora usate nelle scuole contro quelle buoniste, da libro Cuore, ma tu credi che gli italiani di domani, educati a questo semplicismo intollerante, saranno migliori? Non sarebbe invece meglio che imparassero, a lezione di religione, anche che cosa e’ l’Islam? Che a lezione di letteratura leggessero anche Rumi o il da te disprezzato Omar Kayan? Non sarebbe meglio che ci fossero quelli che studiano l’arabo, oltre ai tanti che gia’ studiano l’inglese e magari il giapponese?

Lo sai che al ministero degli Esteri di questo nostro paese affacciato sul Mediterraneo e sul mondo musulmano, ci sono solo due funzionari che parlano arabo? Uno attualmente e’, come capita da noi, console ad Adelaide in Australia.

Mi frulla in testa una frase di Toynbee: “Le opere di artisti e letterati hanno vita piu’ lunga delle gesta di soldati, di statisti e mercanti. I poeti ed i filosofi vanno piu’ in la’ degli storici. Ma i santi e i profeti valgono di piu’ di tutti gli altri messi assieme”.

Dove sono oggi i santi ed i profeti? Davvero, ce ne vorrebbe almeno uno! Ci rivorrebbe un San Francesco. Anche i suoi erano tempi di crociate, ma il suo interesse era per “gli altri”, per quelli contro i quali combattevano i crociati. Fece di tutto per andarli a trovare. Ci provo’ una prima volta, ma la nave su cui viaggiava naufrago’ e lui si salvo’ a malapena. Ci provo’ una seconda volta, ma si ammalo’ prima di arrivare e torno’ indietro. Finalmente, nel corso della quinta crociata, durante l’assedio di Damietta in Egitto, amareggiato dal comportamento dei crociati (“vide il male ed il peccato”), sconvolto da una spaventosa battaglia di cui aveva visto le vittime, San Francesco attraverso’ le linee del fronte. Venne catturato, incatenato e portato al cospetto del Sultano. Peccato che non c’era ancora la Cnn – era il 1219 – perche’ sarebbe interessantissimo rivedere oggi il filmato di quell’incontro. Certo fu particolarissimo perche’, dopo una chiacchierata che probabilmente ando’ avanti nella notte, al mattino il Sultano lascio’ che San Francesco tornasse, incolume, all’accampamento dei crociati.

Mi diverte pensare che l’uno disse all’altro le sue ragioni, che San Francesco parlo’ di Cristo, che il Sultano lesse passi del Corano e che alla fine si trovarono d’accordo sul messaggio che il poverello di Assisi ripeteva ovunque: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Mi diverte anche immaginare che, siccome il frate sapeva ridere come predicare, fra i due non ci fu aggressivita’ e che si lasciarono di buon umore sapendo che comunque non potevano fermare la storia.

Ma oggi? Non fermarla puo’ voler dire farla finire. Ti ricordi, Oriana, Padre Balducci che predicava a Firenze quando noi eravamo ragazzi? Riguardo all’orrore dell’olocausto atomico pose una bella domanda: “La sindrome da fine del mondo, l’alternativa fra essere e non essere, hanno fatto diventare l’uomo piu’ umano?”. A guardarsi intorno la risposta mi pare debba essere “No”.

Ma non possiamo rinunciare alla speranza.

“Mi dica, che cosa spinge l’uomo alla guerra?”, chiedeva Albert Einstein nel 1932 in una lettera a Sigmund Freud. “E possibile dirigere l’evoluzione psichica dell’uomo in modo che egli diventi piu’ capace di resistere alla psicosi dell’odio e della distruzione?” Freud si prese due mesi per rispondergli. La sua conclusione fu che c’era da sperare: l’influsso di due fattori – un atteggiamento piu’ civile, ed il giustificato timore degli effetti di una guerra futura – avrebbe dovuto mettere fine alle guerre in un prossimo avvenire.

Giusto in tempo la morte risparmio’ a Freud gli orrori della Seconda Guerra Mondiale.

Non li risparmio’ invece ad Einstein, che divenne pero’ sempre piu’ convinto della necessita’ del pacifismo. Nel 1955, poco prima di morire, dalla sua casetta di Princeton in America dove aveva trovato rifugio, rivolse all’umanita’ un ultimo appello per la sua sopravvivenza:

“Ricordatevi che siete uomini e dimenticatevi tutto il resto”.

Per difendersi, Oriana, non c’e’ bisogno di offendere (penso ai tuoi sputi ed ai tuoi calci). Per proteggersi non c’e’ bisogno d’ammazzare. Ed anche in questo possono esserci delle giuste eccezioni.

M’e’ sempre piaciuta nei Jataka, le storie delle vite precedenti di Buddha, quella in cui persino lui, epitome della non violenza, in una incarnazione anteriore uccide. Viaggia su una barca assieme ad altre 500 persone. Lui, che ha gia’ i poteri della preveggenza, “vede” che uno dei passeggeri, un brigante, sta per ammazzare tutti e derubarli e lui lo previene buttandolo nell’acqua ad affogare per salvare gli altri.

Essere contro la pena di morte non vuol dire essere contro la pena in genere ed in favore della liberta’ di tutti i delinquenti. Ma per punire con giustizia occorre il rispetto di certe regole che sono il frutto dell’incivilimento, occorre il convincimento della ragione, occorrono delle prove. I gerarchi nazisti furono portati dinanzi al Tribunale di Norimberga; quelli giapponesi responsabili di tutte le atrocita’ commesse in Asia, furono portati dinanzi al Tribunale di Tokio prima di essere, gli uni e gli altri, dovutamente impiccati. Le prove contro ognuno di loro erano schiaccianti. Ma quelle contro Osama Bin Laden?

“Noi abbiamo tutte le prove contro Warren Anderson, presidente della Union Carbide. Aspettiamo che ce lo estradiate”, scrive in questi giorni dall’India agli americani, ovviamente a mo’ di provocazione, Arundhati Roy, la scrittrice de Il Dio delle piccole cose: una come te, Oriana, famosa e contestata, amata ed odiata. Come te, sempre pronta a cominciare una rissa, la Roy ha usato della discussione mondiale su Osama Bin Laden per chiedere che venga portato dinanzi ad un tribunale indiano il presidente americano della Union Carbide responsabile dell’esplosione nel 1984 nella fabbrica chimica di Bhopal in India che fece 16.000 morti. Un terrorista anche lui? Dal punto di vista di quei morti forse si’.

L’immagine del terrorista che ora ci viene additata come quella del “nemico” da abbattere e’ il miliardario saudita che, da una tana nelle montagne dell’Afghanistan, ordina l’attacco alle Torri Gemelle; e’ l’ingegnere-pilota, islamista fanatico, che in nome di Allah uccide se stesso e migliaia di innocenti; e’ il ragazzo palestinese che con una borsetta imbottita di dinamite si fa esplodere in mezzo ad una folla. Dobbiamo pero’ accettare che per altri il “terrorista” possa essere l’uomo d’affari che arriva in un paese povero del Terzo Mondo con nella borsetta non una bomba, ma i piani per la costruzione di una fabbrica chimica che, a causa di rischi di esplosione ed inquinamento, non potrebbe mai essere costruita in un paese ricco del Primo Mondo. E la centrale nucleare che fa ammalare di cancro la gente che ci vive vicino? E la diga che disloca decine di migliaia di famiglie? O semplicemente la costruzione di tante piccole industrie che cementificano risaie secolari, trasformando migliaia di contadini in operai per produrre scarpe da ginnastica o radioline, fino al giorno in cui e’ piu’ conveniente portare quelle lavorazioni altrove e le fabbriche chiudono, gli operai restano senza lavoro e non essendoci piu’ i campi per far crescere il riso, muoiono di fame?

Questo non e’ relativismo. Voglio solo dire che il terrorismo, come modo di usare la violenza, puo’ esprimersi in varie forme, a volte anche economiche, e che sara’ difficile arrivare ad una definizione comune del nemico da debellare.

I governi occidentali oggi sono uniti nell’essere a fianco degli Stati Uniti; pretendono di sapere esattamente chi sono i terroristi e come vanno combattuti.

Molto meno convinti pero’ sembrano i cittadini dei vari paesi. Per il momento non ci sono state in Europa dimostrazioni di massa per la pace; ma il senso del disagio e’ diffuso cosi’ come e’ diffusa la confusione su quel che si debba volere al posto della guerra.

“Dateci qualcosa di piu’ carino del capitalismo”, diceva il cartello di un dimostrante in Germania.

“Un mondo giusto non e’ mai NATO”, c’era scritto sullo striscione di alcuni giovani che marciavano giorni fa a Bologna. Gia’. Un mondo “piu’ giusto” e’ forse quel che noi tutti, ora piu’ che mai, potremmo pretendere. Un mondo in cui chi ha tanto si preoccupa di chi non ha nulla; un mondo retto da principi di legalita’ ed ispirato ad un po’ piu’ di moralita’.

La vastissima, composita alleanza che Washington sta mettendo in piedi, rovesciando vecchi schieramenti e riavvicinando paesi e personaggi che erano stati messi alla gogna, solo perche’ ora tornano comodi, e’ solo l’ennesimo esempio di quel cinismo politico che oggi alimenta il terrorismo in certe aree del mondo e scoraggia tanta brava gente nei nostri paesi.

Gli Stati Uniti, per avere la maggiore copertura possibile e per dare alla guerra contro il terrorismo un crisma di legalita’ internazionale, hanno coinvolto le Nazioni Unite, eppure gli Stati Uniti stessi rimangono il paese piu’ reticente a pagare le proprie quote al Palazzo di Vetro, sono il paese che non ha ancora ratificato ne’ il trattato costitutivo della Corte Internazionale di Giustizia, ne’ il trattato per la messa al bando delle mine anti-uomo e tanto meno quello di Kyoto sulle mutazioni climatiche. L’interesse nazionale americano ha la meglio su qualsiasi altro principio. Per questo ora Washington riscopre l’utilita’ del Pakistan, prima tenuto a distanza per il suo regime militare e punito con sanzioni economiche a causa dei suoi esperimenti nucleari; per questo la Cia sara’ presto autorizzata di nuovo ad assoldare mafiosi e gangster cui affidare i “lavoretti sporchi” di liquidare qua e la’ nel mondo le persone che la Cia stessa mettera’ sulla sua lista nera.

Eppure un giorno la politica dovra’ ricongiungersi con l’etica se vorremo vivere in un mondo migliore: migliore in Asia come in Africa, a Timbuctu come a Firenze.

A proposito, Oriana. Anche a me ogni volta che, come ora, ci passo, questa citta’ mi fa male e mi intristisce. Tutto e’ cambiato, tutto e’ involgarito. Ma la colpa non e’ dell’Islam o degli immigrati che ci si sono installati. Non son loro che han fatto di Firenze una citta’ bottegaia, prostituita al turismo! E successo dappertutto. Firenze era bella quando era piu’ piccola e piu’ povera. Ora e’ un obbrobrio, ma non perche’ i musulmani si attendano in Piazza del Duomo, perche’ i filippini si riuniscono il giovedi’ in Piazza Santa Maria Novella e gli albanesi ogni giorno attorno alla stazione.

E cosi’ perche’ anche Firenze s’e’ “globalizzata”, perche’ non ha resistito all’assalto di quella forza che, fino ad ieri, pareva irresistibile: la forza del mercato.

Nel giro di due anni da una bella strada del centro in cui mi piaceva andare a spasso e’ scomparsa una libreria storica, un vecchio bar, una tradizionalissima farmacia ed un negozio di musica. Per far posto a che? A tanti negozi di moda. Credimi, anch’io non mi ci ritrovo piu’.

Per questo sto, anch’io ritirato, in una sorta di baita nell’Himalaya indiana dinanzi alle piu’ divine montagne del mondo. Passo ore, da solo, a guardarle, li’ maestose ed immobili, simbolo della piu’ grande stabilita’, eppure anche loro, col passare delle ore, continuamente diverse e impermanenti come tutto in questo mondo.

La natura e’ una grande maestra, Oriana, e bisogna ogni tanto tornarci a prendere lezione. Tornaci anche tu. Chiusa nella scatola di un appartamento dentro la scatola di un grattacielo, con dinanzi altri grattacieli pieni di gente inscatolata, finirai per sentirti sola davvero; sentirai la tua esistenza come un accidente e non come parte di un tutto molto, molto piu’ grande di tutte le torri che hai davanti e di quelle che non ci sono piu’. Guarda un filo d’erba al vento e sentiti come lui. Ti passera’ anche la rabbia. Ti saluto, Oriana e ti auguro di tutto cuore di trovare pace.

Perche’ se quella non e’ dentro di noi non sara’ mai da nessuna parte.

(fonte)