Vai al contenuto

Giulio Cavalli

Proprio come gli insicuri

33 fiducie in 300 giorni. Il Parlamento è solo un fiducificio e Renzi dichiara a Radio 105 che le fiducia aumenteranno anche in futuro.

Ha ragione Pippo:

Proprio come gli insicuri, che non vogliono mai ascoltare nessuno, ma hanno sempre bisogno di chiedere un’attestazione di fiducia.

Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?

DIALOGO DI UN VENDITORE D’ALMANACCHI
E DI UN PASSEGGERE
Venditore. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?
Passeggere. Almanacchi per l’anno nuovo?
Venditore. Si signore.
Passeggere. Credete che sarà felice quest’anno nuovo?
Venditore. Oh illustrissimo si, certo.
Passeggere. Come quest’anno passato?
Venditore. Più più assai.
Passeggere. Come quello di là?
Venditore. Più più, illustrissimo.
Passeggere. Ma come qual altro? Non vi piacerebb’egli che l’anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi?
Venditore. Signor no, non mi piacerebbe.
Passeggere. Quanti anni nuovi sono passati da che voi vendete almanacchi?
Venditore. Saranno vent’anni, illustrissimo.
Passeggere. A quale di cotesti vent’anni vorreste che somigliasse l’anno venturo?
Venditore. Io? non saprei.
Passeggere. Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse felice?
Venditore. No in verità, illustrissimo.
Passeggere. E pure la vita è una cosa bella. Non è vero?
Venditore. Cotesto si sa.
Passeggere. Non tornereste voi a vivere cotesti vent’anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste?
Venditore. Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse.
Passeggere. Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta né più né meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati?
Venditore. Cotesto non vorrei.
Passeggere. Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch’ho fatta io, o quella del principe, o di chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro, risponderebbe come voi per l’appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro?
Venditore. Lo credo cotesto.
Passeggere. Né anche voi tornereste indietro con questo patto, non potendo in altro modo?
Venditore. Signor no davvero, non tornerei.
Passeggere. Oh che vita vorreste voi dunque?
Venditore. Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz’altri patti.
Passeggere. Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell’anno nuovo?
Venditore. Appunto.
Passeggere. Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest’anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d’opinione che sia stato più o di più peso il male che gli e toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
Venditore. Speriamo.
Passeggere. Dunque mostratemi l’almanacco più bello che avete.
Venditore. Ecco, illustrissimo. Cotesto vale trenta soldi.
Passeggere. Ecco trenta soldi.
Venditore. Grazie, illustrissimo: a rivederla. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi.
(Giacomo Leopardi)

L’irritabile Farinetti e quelle carte di Eataly

ELEZIONI: RENZI, BERLUSCONI TI VENDE PENTOLE A EURO 19.90Il presidente dell’Autorità anticorruzione, Raffaele Cantone, ha chiesto di visionare le carte che hanno portato all’aggiudicazione diretta di uno store di Expo 2015 a Eataly di Oscar Farinetti per capire se le procedure si sono svolte in maniera corretta. “Eataly è una delle più note realtà nel mondo, dopo l’interrogazione parlamentare ho chiesto di vedere le carte”, ha detto Cantone spiegando di essere abituato a esprimersi “sulla base dei documenti”. Quanto la notorietà di Eataly possa aver inciso ai fini della gara (non avvenuta), “mi riservo di verificarlo”. La replica di Farinetti, affidata ai microfoni di Radio Capital, non si è fatta attendere: “Se continuano le polemiche di gente che non fa e che ha un sacco di tempo da perdere per criticare chi fa, noi ci ritiriamo senza problemi”.

Sull’affidamento diretto a Eataly era stata presentata un’interrogazione parlamentare di due deputati di Sel al ministro Maurizio Martina. E il commissario unico del governo per Expo 2015, Giuseppe Sala, ha difeso la scelta: “Possiamo non fare una gara quando c’è unicità. E dal nostro punto di vista, Eataly è unico”, ha detto durante un incontro all’Expo Gate. Un riferimento alla capacità della società fondata da Farinetti e alla sua notorietà internazionale. “Non è facile vendere 24 milioni di biglietti e all’estero quando parli della Scala aperta sei mesi, di Eataly e di Slow Food la gente capisce”. L’idea di Farinetti, che avrà a disposizione due ‘stecche’ da 4mila metri quadrati ciascuna in cui funzioneranno 20 ristoranti, uno per ciascuna regione italiana, è quella di realizzare “l’osteria più grande del mondo”.

(fonte)

Il Palazzo si riprende la Procura di Palermo

Ieri, con la nomina di Franco Lo Voi a successore di Francesco Messineo, il Palazzo si è ripreso la Procura di Palermo che aveva dovuto mollare 22 anni fa, dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, con la rivolta dei pm ragazzini cresciuti al fianco di Falcone e Borsellino che misero in fuga il famigerato Pietro Giammanco e propiziarono l’arrivo di Gian Carlo Caselli.

Ora quella stagione che, fra alti e bassi, aveva garantito risultati eccezionali nella lotta a Cosa Nostra e ai suoi tentacoli politico-affaristico-istituzionali, si chiude violentemente con un colpo di mano che ha nel Csm l’esecutore materiale e negli alti vertici dello Stato e dei partiti i mandanti. Un replay, ma in peggio, dell’operazione che nel 1988 portò l’anziano Antonino Meli e non l’esperto Giovanni Falcone al vertice dell’Ufficio Istruzione. In peggio perché, allora, prevalse nel Csm l’osservanza delle regole formali dell’anzianità.

Stavolta tutte le regole, fissate in precise circolari del Csm, sono state travolte per premiare il candidato più giovane, inesperto e totalmente sprovvisto dei titoli minimi richiesti per quell’incarico. Lo Voi ha 9 anni in meno dei due concorrenti – i procuratori di Messina, Guido Lo Forte, e di Caltanissetta, Sergio Lari – non ha mai diretto né organizzato un ufficio giudiziario, non è mai stato né capo né aggiunto, ma solo sostituto (e per tre anni appena). L’unico incarico di prestigio l’ha ottenuto per nomina politica: delegato italiano in Eurojust per grazia ricevuta dal governo B.

Il che, a prescindere dagli altri handicap, avrebbe dovuto escluderlo in partenza dalla corsa per la Procura che ha fatto condannare per mafia Marcello Dell’Utri e lo sta processando per la Trattativa. Invece è stato questo uno dei pregi che gli sono valsi la vittoria. Non è qui in discussione l’onestà personale né la capacità professionale di Lo Voi, che ha fama di buon magistrato.
Ma la violazione sfacciata della legalità da parte di un Csm che, totalmente asservito ai diktat della politica, ha rinunciato per sempre al ruolo costituzionale di “autogoverno” dei magistrati e ora non tenta neppure di spiegare perché non rispetta neppure le proprie regole. L’ordine partito dai piani alti era ben noto agli addetti ai lavori fin da luglio, quandoil Quirinale bloccò il Csm che stava per nominare Lo Forte (uscito primo in commissione Incarichi direttivi): normalizzare Palermo e commissariare la Procura che ha osato trascinare sul banco degli imputati boss, politici e alti ufficiali per la trattativa Stato-mafia, fino allo sfregio finale di disturbare il presidente Napolitano. E l’ordine è stato puntualmente eseguito da tutti i membri laici, cioè politici, di centrodestra e centrosinistra: il Patto del Nazareno con l’aggiunta sorprendente del “grillino” Zaccaria (complimenti vivissimi) e quella scontata dei togati di Magistratura Indipendente (la corrente di Lo Voi) e dei vertici della Cassazione. Cioè del presidente Giorgio Santacroce, già commensale di Previti; e del Pg Gianfranco Ciani, che due anni fa parlò con Piero Grasso di avocare l’indagine sulla Trattativa a gentile richiesta del Quirinale e dell’indagato Mancino.

Di fatto, Lo Voi è il primo procuratore di nomina politica della storia repubblicana, sulla scia di quel che accadde nel 2005 per la Procura nazionale antimafia, quando il governo B. varò tre leggi (poi dichiarate incostituzionali dalla Consulta) per eliminare Caselli e intronare il suo unico concorrente, Grasso. Dopo due anni di condanne a morte targateRiina e Messina Denaro – con tanto di tritolo già pronto – contro il pm Nino Di Matteo, e di minacce di servizi vari (“deviati”, si dice) al Pg Roberto Scarpinato, totalmente ignorate dai vertici istituzionali, Palermo attendeva un segnale da Roma. E quel segnale è arrivato: Lari, scortato col primo livello di protezione per le sue indagini su stragi e depistaggi, non può guidare la Procura di Palermo; e nemmeno Lo Forte, reo di aver processato Andreotti, Carnevale, Contrada, Dell’Utri & C.: rischiavano di sostenere il processo sulla trattativa e le indagini sui mandanti esterni delle stragi. Lo Stato di Mafia Capitale non se lo può permettere.

(da ‘Il Fatto Quotidiano’ del 18 dicembre 2014)

“Si è sollevata una nuvola”. Con settant’anni di ritardo.

Nella primavera del 1944 venne giustiziato sulla sedia elettrica. Aveva 14 anni. Ma George Stinney jr, il più giovane condannato a morte nella storia degli Stati Uniti, era innocente. La verità è arrivata insieme alla giustizia, ma dopo 70 anni. La sua è una storia che balza fuori dagli anni bui del razzismo. Il ragazzino di colore era andato al patibolo in Carolina del Sud per il duplice omicidio di due bambine bianche trovate morte con il cranio fracassato.

Mary Emma Thames e Betty June Binnicker, 7 e 11 anni, vennero massacrate a colpi di spranga. Stinney fu arrestato dopo che alcuni testimoni avevano raccontato di averlo visto raccogliere fiori insieme alle due vittime. Il ragazzo confessò. Ma quella verità venne estorta con la violenza. Venne condannato senza dubbi da una giuria composta da soli bianchi. Dopo nemmeno due mesi finì tra le mani del boia, a sole 12 settimane dall’arresto. Ma nel 2004 uno storico si mette a studiare il caso. Scopre – come riporta il Corriere della Sera – i buchi neri che costellarono le indagini e il processo: le prove contro George erano pochissime. Nel 2013 viene chiesta ufficialmente la riapertura giudiziaria. E a gennaio 2014 il giudice Carmen Mullen ascolta le testimonianze del fratello e delle sorelle di Stinney jr, e di altre personme. I risultati dell’autospia vengono riletti e crollano. L’epilogo oggi, con l’annullamento della condanna. “Lo stato della South Carolina compì una gran ingiustizia” dice oggi il giudice Mullen. “Si è sollevata una nuvola”, si commuove la sorella minore, Katherine Robinson, oggi ottantenne, che per anni si è battuta per far riaprire il caso.

(link)

george-junius-stinney-jr-birthday

Una domanda ingenua

Si può definire democratica una repubblica nella quale la suprema istituzione é eletta da un’assemblea scelta con una legge dichiarata incostituzionale e costituita da persone comandate da tre cittadini, due dei quali non eletti e il terzo condannato per reati comuni?

(fonte)

Quanto Napolitano c’è nella scelta di Lo Voi alla Procura di Palermo (e quel voto del “tecnico” scelto dal M5S)

Un articolo che pone ottime domande:

E’ l’ultima vittoria del Presidente della Repubblica. O forse tra le ultime prima delle sue dimissioni. Certo è che Giorgio Napolitano si può dire soddisfatto. Un magistrato considerato “vicino” ad ambienti del Quirinale è diventato il nuovo Procuratore di Palermo. Senza nulla togliere all’onestà personale e alla preparazione professionale di Franco Lo Voi, la sua nomina a Capo della Procura più importante d’Italia è uno schiaffo alle regole più basilari. Che sono state stracciate dall’ingerenza politica all’interno di un Csm già piagato da logiche correntizie. O meglio: da logiche di potere. Quando questa estate il Colle è entrato a gamba tesa per impedire la nomina dell’attuale procuratore di Messina, Guido Lo Forte, dato per favorito alla reggenza della procura palermitana, lo scenario che si prospettava era quasi del tutto delineato. Certo, mancavano le “chicche” come il voto a favore di Lo Voi partorito dal “tecnico” scelto dal M5s Alessio Zaccaria (Grillo non dice nulla a proposito?), ma le linee guida di un diktat quirinalizio c’erano tutte. L’avversione – financo fisica – che Napolitano ha nutrito in questi mesi nei confronti del processo sulla trattativa Stato-mafia si è tradotta in veri e propri attacchi nei confronti del pool che investiga su questo pactum sceleris. Attacchi più o meno mascherati da conflitti di attribuzioni o, più semplicemente, da moniti, avvertimenti, e soprattutto da gravissimi silenzi.

Nei libri di storia Napolitano verrà ricordato come un Presidente della Repubblica incapace della benchè minima solidarietà umana nei confronti di un magistrato condannato a morte da Cosa Nostra. Ma soprattutto come colui che ha contribuito a indebolire un’inchiesta tanto delicata arrivando a imporre un vero e proprio braccio di ferro con il pool di Palermo pur di non essere interrogato davanti ad una Corte di Assise. E, una volta che (bontà sua) ha dato il benestare alla sua deposizione, ha annacquato i suoi ricordi in merito alle confidenze del suo ex consigliere giuridico Loris D’Ambrosio. La sua ultima mossa è stata quella di “ventilare” la candidatura di Franco Lo Voi all’interno di una metodologia che, paradossalmente, è del tutto “coerente”. Perché mai Napolitano avrebbe dovuto preferire Guido Lo Forte? Per il suo ruolo di pubblico ministero al processo contro Giulio Andreotti (che invece Lo Voi aveva rifiutato)? O perché Lo Forte aveva lavorato sull’inchiesta “Sistemi criminali” che di fatto aveva anticipato quella sulla trattativa Stato-mafia? Forse il “patto del Nazareno” prevedeva anche “l’assestamento” della Procura di Palermo? Il Capo dello Stato – grande sostenitore di quel patto – conta i giorni che lo separano dalle sue prossime dimissioni e si diletta a lanciare altri moniti. Ma sono anche i cittadini onesti a contare i giorni che restano fino alla fine del suo mandato. In questo disgraziato Paese, corrotto fin nelle sue fondamenta, c’è ancora una parte sana di società che auspica il ritorno di un Presidente al di sopra di ogni sospetto, che abbia realmente a cuore la ricerca della verità. Nel frattempo il nuovo Procuratore di Palermo viene chiamato ad un compito che in un altro Paese rientrerebbe nell’ovvietà: sostenere un processo dall’importanza storica. In Italia, invece, il Capo di questa Procura si ritroverà sotto il fuoco incrociato di gran parte delle istituzioni e di una larghissima fetta del mondo della politica del tutto ostili al raggiungimento della verità. Il neo Procuratore di Palermo sarà quindi di fronte ad un bivio: fare il proprio dovere seguendo i dettami della Costituzione, oppure entrare lentamente nel “gioco grande” come semplice pedina che verrà utilizzata a tempo determinato.

(fonte)

Come ci hanno azzoppato il progetto di produzione sociale “L’amico degli eroi”. E come non ci fermiamo.

La storia è una storia molto italiana e adesso ve la racconto per bene:

Come sapete stiamo preparando proprio in questi giorni lo spettacolo su Marcello Dell’Utri (e libro) che abbiamo intitolato “L’amico degli eroi”. Avevamo deciso che fosse una produzione “sociale” (attraverso la piattaforma “produzioni dal Basso”) che potesse permettere a noi di essere “liberi” da vincoli politici e a voi di partecipare alla costruzione dello spettacolo oltre che attivamente contribuire.

In poco tempo sulla pagina di raccolta fondi del progetto si era arrivati alla cifra stabilita per la produzione dello spettacolo e del libro di 10.000 euro. Tutto molto velocemente anche perché un produttore privato aveva prenotato ben 300 quote per un cifra di 7.500 euro.

Schermata 2014-12-19 alle 12.27.59

Ovviamente sapevamo quanto fosse rischioso che una sola persona avesse un peso così importante nel totale della produzione ma dopo alcuni incontri di persona avevamo la sensazione di avere di fronte qualcuno che avesse veramente a cuore il progetto e per di più abbiamo sottoscritto un contratto di partecipazione alla produzione che ci consentiva piena libertà artistica. Ci siamo sbagliati. Il signor Sciascia ad oggi non ha versato un solo euro di quelli promessi da contratto (oltre che dall’etica personale, ma vabbè) e così oggi siamo a pochissimo giorni da un’anteprima nazionale (qui le informazioni) con una produzione che deve ricominciare quasi da zero.

Andrò in scena lo stesso, figuratevi. Stiamo cercando di ottenere un allungamento dei pagamenti dai collaboratori e i fornitori. Non ci si ferma, figurarsi, però abbiamo bisogno di voi, se ne avete voglia. Dobbiamo ridare forza e visibilità al progetto a questo link.

Appena espletate le denunce pubblicherò qui i documenti firmati e le generalità del nostro “amico” (per rimanere in tema). Perché io (e non solo) sono tanto curioso di sapere chi ce l’ha mandato a cercare di sfanculare una nostra produzione. Siamo proprio curiosi, sì.

La ‘ndrangheta che bussa a San Siro

L’ultimo obiettivo della ‘ndrangheta a Milano è lo stadio di San Siro, in particolare il servizio catering delle partite del Milan, con un imprenditore del settore manovrato dalle cosche. Nuova ondata di arresti della Procura distrettuale antimafia di Milano: 59 le persone catturate dal Nucleo investigativo dei carabinieri. Coinvolta la cosca di ‘ndrangheta Libri-De Stefano-Tegano. Secondo quanto emerge dall’indagine, gli affiliati avevano messo in piedi un complicato schema per ottenere l’appalto, coinvolgendo addirittura un carabiniere, per gettare discredito sull’azienda che lo deteneva legittimamente. Contestati ben 140 capi di imputazione, che vanno dall’associazione a delinquere di stampo mafioso al traffico di armi, dalla corruzione di pubblico ufficiale all’estorsione, fino all’associazione finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti.

L’imprenditore

L’imprenditore al servizio della cosca è Cristiano Sala, titolare della «Maestro di Casa Holding», una grande azienda del settore ristorazione fallita nel 2010 e già responsabile del catering di San Siro per l’Inter. Sala, che dopo il fallimento gestiva occultamente altre società, era pieno di debiti e, anziché chiedere alle banche, aveva deciso di rivolgersi per aiuto direttamente alla ‘ndrangheta. La cosca gli aveva ripianato i debiti, e lui era entrato a far parte attivamente dell’associazione per delinquere. Aveva poi trovato un complice, un carabiniere corrotto, Carlo Milesi, in servizio presso l’Ispettorato del lavoro. Milesi aveva deciso di mettere nei guai la concorrenza, ovvero la IT Srl, e per questo aveva messo in piedi una finta indagine con false accuse di sfruttamento del lavoro clandestino. Aveva organizzato persino un’ispezione ai danni della ditta il 16 dicembre 2013, proprio nel giorno in cui a San Siro si disputava la partita Milan-Roma.

Il giornalista ingannato e il carabiniere corrotto

Dopo il blitz, Milesi aveva approcciato alcuni dirigenti del Milan, risultati completamente estranei alla vicenda, per dipingere a tinte fosche l’operato della società rivale, e mandato anche alcune false imbeccate a un giornalista che, del tutto ignaro, aveva scritto un articolo contribuendo ad aumentare il clamore mediatico sulla IT Srl. Le intercettazioni ambientali e telefoniche condotte dai carabinieri del Nucleo Investigativo hanno permesso di smascherare il collega infedele e di evitare che l’appalto per il catering del Milan nell’anno 2014-2015 finisse nelle mani delle ‘ndrine. «Ci è dispiaciuto molto, e siamo stati inflessibili, operando con rigidità», ha commentato il generale Maurizio Stefanizzi, comandante provinciale dei Carabinieri di Milano.

Le cosche

L’indagine è partita circa un anno e mezzo da un fatto minore: spari contro l’auto di un imprenditore proprietario di alcune concessionarie automobilistiche. L’imprenditore in questione risultava anche in rapporti con Giulio Martino. Martino, già agli arresti negli anni ‘90 e recentemente tornato in carcere per traffico di droga, è il «proconsole» in Lombardia della cosca Libri-De Stefano-Tegano, una delle più potenti di Reggio Calabria, protagonista delle cosiddette «Prima e Seconda Guerra di ‘ndrangheta” che insanguinarono la Calabria tra gli anni ‘70 e l’inizio degli anni ‘90. «In 20 anni non era cambiato nulla – ha raccontato il sostituto procuratore Marcello Tatangelo, che ha coordinato l’indagine con il procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Milano Ilda Boccassini e con il procuratore aggiunto Dda Paola Biondolillo – perché abbiamo scoperto che dopo il rilascio Giulio Martino era tornato a coordinare le attività criminali della ‘ndrangheta nella zona di piazza Prealpi e viale Certosa. Com’è consuetudine, questi uomini mantenevano un rapporto costante con la cosca originaria di Reggio Calabria e i vincoli di sostegno alle famiglie degli aderenti in prigione».

La sala bingo

È il caso, oltre che di Cristiano Sala, anche di Michele Surace, originario di Reggio, che si rivolge alla ‘ndrina per aprire una sala bingo a Cernusco e, quando la redditività del progetto è in declino, chiede agli ‘ndranghetisti di incendiare il locale. «Era da circa 20 anni che non si operava in termini di criminalità organizzata a Milano – ha detto il generale Stefanizzi – e l’organizzazione ha mostrato una profonda diversificazione del business, che andava dal traffico di droga soprattutto per sovvenzionarsi e garantire una rendita alle famiglie dei carcerati, fino ai tentativi di condizionare l’aggiudicazione di appalti».

(click)