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Giulio Cavalli

Il Parlamento UE riconosce la Palestina. Qui, come sempre si balbetta.

Il Parlamento europeo a Strasburgo ha approvato la risoluzione, redatta da cinque gruppi politici, che sostiene il riconoscimento «in linea di principio» dello Stato di Palestina. I voti favorevoli sono stati 498, i contrari 88, 111 gli astenuti.

Risoluzione

Nella risoluzione si legge che il Parlamento europeo sostiene «in linea di principio il riconoscimento dello Stato palestinese e la soluzione a due Stati, e ritiene che ciò debba andare di pari passo con lo sviluppo dei colloqui di pace, che occorre far avanzare». A questo proposito il Parlamento ribadisce «il proprio fermo sostegno a favore della soluzione a due Stati basata sui confini del 1967, con Gerusalemme come capitale di entrambi gli Stati e con uno Stato di Israele sicuro e uno Stato di Palestina indipendente, democratico, territorialmente contiguo e capace di esistenza autonoma, che vivano fianco a fianco in condizioni di pace e sicurezza, sulla base del diritto all’autodeterminazione e del pieno rispetto del diritto internazionale». I deputati, inoltre, chiedono di mettere fine alle divisioni tra i partiti palestinesi e invitano a consolidare il consenso nei confronti del governo dell’Autorità palestinese. Nella risoluzione si ribadisce infine l’illegalità degli insediamenti israeliani ai sensi del diritto internazionale, si chiede all’Ue di diventare un facilitatore nel processo di pace e all’Alto rappresentante per la politica estera Federica Mogherini di favorire una posizione comune europea per la soluzione del conflitto.

Sentenza su Hamas

Intanto il Tribunale Ue ha annullato l’iscrizione di Hamas dalla lista nera Ue delle organizzazioni terroriste «per motivi procedurali», ma ne mantiene temporaneamente in vigore gli effetti per garantire il congelamento dei beni. Lussemburgo sottolinea che la decisione non implica apprezzamenti di fondo sulla natura di Hamas. Tuttavia la sentenza del tribunale non è stata accettata dall’Unione europea. La decisione della Corte su Hamas «è una sentenza legale, non una decisione politica», il Consiglio può decidere di fare appello, nel frattempo «le misure restrittive restano in atto» e «questo significa che la Ue continua a considerare Hamas un’organizzazione terroristica»ha detto la portavoce dell’Alto rappresentante per la politica estera, Maja Kocijancic.
Hamas si è tuttavia subito felicitato per la decisione odierna del tribunale Ue a suo riguardo. «È questa la correzione di un errore commesso dalla Ue nel 2003» ha detto Sallah al-Brdwail, un dirigente di Hamas, alla agenzia al-Quds. «Il terrorismo è la occupazione (israeliana, ndr) e noi ne siamo le vittime».

(fonte)

Il giornalista “a rotelle”

Amava definirsi così Franco Bomprezzi per la sua disabilità che lo costringeva alla sedia a rotelle ma anche e soprattutto per la sua attività mai stanca di informatore e lottatore per i diritti dei disabili. E le rotelle, tutte, gli funzionavano a meraviglia.

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Perché Setola ha ritrattato sull’omicidio di Attilio Manca?

”Il pentito Giuseppe Setola ha ritrattato dopo che la moglie ha rifiutato di lasciare Casal di Principe per trasferirsi in una località protetta”. Lo ha detto il procuratore aggiunto di Napoli Giuseppe Borrelli, sentito ieri dalla Commissione Antimafia sui rapporti tra camorra, imprenditoria, politica e servizi segreti deviati. Borrelli è stato convocato a Palazzo San Macutoinsieme al capo della procura partenopea Giovanni Colangeli, e nel corso dell’audizione i due magistrati hanno fornito chiarimenti anche sul pentito che poco più di un mese fa aveva riaperto clamorosamente il caso Manca, dichiarando che la morte dell’urologo (archiviata come un’overdose) era legata all”intervento chirurgico di Bernardo Provenzano a Marsiglia. Setola, ex esponente del clan dei casalesi, però, ha recentemente ritrattato, con una tempistica che l’avvocato di parte civile Antonio Ingroia ha definito ”una singolare coincidenza”, rilevando che la ritrattazione del pentito è avvenuta subito dopo la diffusione delle sue rivelazioni su Manca.

Le dichiarazioni del pentito vengono ritenute dai magistrati della procura di Napoli “importantissime e di grande interesse”, sia per i 46 delitti di cui si è dichiarato responsabile, sia per altri omicidi di cui non sarebbe colpevole direttamente, ma dei quali dice di conoscere retroscena ed autori.

Nel corso dell’audizione svoltasi ieri a Palazzo San Macuto, i due magistrati hanno poi precisato che il pentito non ha reso dichiarazioni sulla morte di Attilio Manca alla Procura di Napoli, argomento che effettivamente l’ex boss dei clan casalesi ha affrontato, su sua richiesta, con i sostituti procuratori di Palermo che si occupano della Trattativa, Nino Di Matteo e Roberto Tartaglia, ai quali ha detto di avere appreso in carcere che l’urologo siciliano, contrariamente a quanto sostenuto dalla Procura di Viterbo, non si sarebbe suicidato, ma sarebbe stato assassinato per aver visitato, operato e curato il boss corleonese Bernardo Provenzano (allora latitante), riconoscendone la falsa identità.

Il procuratore di Napoli e il suo aggiunto hanno quindi osservato che le dichiarazioni del capomafia campano, pur ritenute “molto interessanti” sotto il profilo investigativo, “vanno poste a verifica attenta e rigorosa”, in quanto a rilasciarle sarebbe stato ”un soggetto psicologicamente inaffidabile e palesemente instabile”. Alla domanda specifica del deputato del Movimento 5 Stelle, Francesco D’Uva (“Quindi le dichiarazioni di Setola non sono attendibili?”), i procuratori campani però hanno risposto: “Non abbiamo detto questo. Il boss casalese inizialmente appariva attendibile, poi però ha ritrattato. È un personaggio molto labile e ondivago, sul quale il nostro approccio, fin dall’inizio, è stato estremamente prudente, tanto che è stata chiesta la revoca del regine di protezione”.

“Setola – ha poi aggiunto Borrelli – rappresenta il paradigma delle difficoltà nella gestione con i collaboratori di giustizia. Il boss ha praticamente imposto la necessità di essere interrogato perché, andato in aula, si è pubblicamente assunto la paternità di 46 omicidi, a fronte dei 23 che gli erano stati contestati, dunque era disponibile a rendere dichiarazioni su quelli che gli inquirenti non gli avevano attribuito. A quel punto la scelta di sentirlo si rendeva necessaria. Dopo due udienze il suo comportamento è cambiato completamente”. Perché? “La moglie ha deciso di non spostarsi da Casal di Principe, rifiutando di vivere nella località protetta in cui era stato deciso di mandarla. Di fronte a questo, Setola non ha più collaborato”.

Slitta intanto al 13 dicembre l’audizione – prevista per oggi – a Palazzo San Macuto del procuratore di Viterbo Alberto Pazienti e del Pubblico ministero Renzo Petroselli, che dovranno essere sentiti proprio sul caso di Attilio Manca. Una vicenda sulla quale la Commissione presieduta da Rosy Bindi ha posto la sua attenzione in seguito alla recente “due giorni” effettuata a Messina. Nel corso di quella visita, la stessa Bindi ha smentito la tesi della Procura di Viterbo: “La morte di Attilio Manca a tutto può essere attribuibile, tranne che a un suicidio di droga”, mentre il vice presidente dell’Antimafia ha aggiunto: “Non è da escludere che questo caso possa essere collegato con l’operazione di Bernardo Provenzano”.

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Il pentito che doveva essere “esca” per Nino Di Matteo

Per uccidere il pm Nino Di Matteo Cosa nostra aveva elaborato un piano alternativo all’auto imbottita di tritolo da far esplodere a Palermo. Come negli anni novanta era avvenuto per Giovanni Falcone, i boss stavano valutando l’opportunità di colpire il magistrato titolare dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia a Roma. C’era anche “l’esca perfetta” rappresentata dal collaboratore di giustizia Salvatore Cucuzza, ex capomandamento di Porta nuova, arrestato nel 1996. Il particolare emerge dalle dichiarazioni del neo pentito Vito Galatolo che da qualche mese ormai sta riempiendo i verbali delle Procure di Palermo e Caltanissetta. Ai pm l’ex boss dell’Acquasanta ha parlato di contatti fra uomini della famiglia Graziano con lo storico collaboratore di giustizia, avvenuti nel 2012. Nei giorni scorsi la Guardia di finanza ha tratto in arresto Vincenzo Graziano, ritenuto dagli investigatori il “reggente” del mandamento palermitano di Resuttana. Questi viene indicato da Galatolo come il custode del tritolo che Cosa nostra si era procurato per compiere l’attentato contro il sostituto procuratore palermitano. Ed è nel provvedimento di fermo che salta fuori il nome di Cucuzza. Galatolo racconta ai pm di aver appreso da un certo “omissis” “che era in contatto con Salvatore Cucuzza, il cui nome di copertura, secondo quanto riferitomi da Camillo Graziano, era Giorgio Altavilla e che questi poteva attingere notizie sulle località ove erano allocati i collaboratori di giustizia”.

Fuga di notizie?
Il procuratore facente funzioni Leonardo Agueci e l’aggiunto Vittorio Teresi, in conferenza stampa, rispondendo ad una domanda sull’eventuale attendibilità del neo pentito, avevano espressamente parlato di “formidabili riscontri”. Il riferimento era ad alcune indagini ancora in corso, condotte dalla Dda di Palermo, che fornirebbero degli elementi che mai erano emersi prima. Che questi elementi riguardino proprio i rapporti tra Cucuzza ed i Graziano? Secondo quanto riportato da alcune indiscrezioni giornalistiche sarebbero questi i “formidabili riscontri”. Ma gli elementi su Cucuzza non terminerebbero qui. Vito Galatolo ha raccontato che l’ex boss di Porta nuova avrebbe avuto anche un ruolo nel progetto di attentato nella Capitale. Avrebbe dovuto attirare Di Matteo in una trappola, chiedendo di essere sentito dal pm palermitano riguardo ad alcune rivelazioni sulla trattativa Stato-mafia. E a Roma il magistrato sarebbe stato ucciso a colpi di kalashnikov o con un bazooka. E’ proprio questa eventuale partecipazione del pentito all’attentato che viene ritenuto particolarmente inquietante dagli investigatori, anche se il progetto su Roma sarebbe stata successivamente scartato.

Condanna permanente
Quel che è certo è che l’allerta in Procura resta massima e le indagini sui duecento chili di tritolo giunti in città per fermare il magistrato che “si è spinto troppo oltre” vanno avanti. Oltre alle parole dell’ex boss dell’Acquasanta vengono esaminate nei particolari le parole di anonimi e confidenti. Nell’anonimo del marzo 2013, quello scritto da un presunto membro della famiglia di Alcamo, si parlava di “Amici romani di Matteo (Messina Denaro, ndr) hanno deciso di eliminare il pm Nino Di Matteo in questo momento di confusione istituzionale, per fermare questa deriva di ingovernabilità. Cosa Nostra ha dato il suo assenso, ma io non sono d’accordo”. All’interno della stessa missiva venivano fornite una serie di notizie riservate e dettagliate sugli spostamenti quotidiani (e sui punti deboli della protezione) di Di Matteo. Dichiarazioni che si incrociano con quelle riportate i primi di luglio dello stesso anno dal quotidiano La Repubblica. In quell’occasione si parlava di un confidente della squadra mobile (che non sarebbe mafioso ma che nel passato ha fornito sempre notizie attendibili sul traffico di armi e di droga) il quale confermava l’intenzione di Cosa nostra di preparando un attentato nei confronti del pm. Ed anche in quel caso il confidente parlava di una riunione fra capimafia di città e alcuni “paesani”, in cui qualcuno avrebbe addirittura sollecitato l’esecuzione dell’attentato. Un incontro dove si parlava anche dell’esplosivo giunto già allora a Palermo. Esplosivo che resta nascosto nelle mani di chi, ancora oggi, può dare esecuzione a quell’ordine di morte trasmesso da Messina Denaro, certificato da Riina e voluto da quei “mandanti esterni dell’omicidio Borsellino”.

(fonte)

Giustizia per Lea

Sono definitive le condanne per l’omicidio della testimone di giustizia Lea Garofalo uccisa a Milano il 24 novembre 2009: la Cassazione ha confermato i 4 ergastoli e la condanna a 25 anni emessi dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano a carico dei 5 imputati, tra cui l’ex compagno Carlo Cosco.Ergastolo anche per Vito Cosco, fratello di Carlo, Rosario Curcio e Massimo Sabatino.Per l’ex fidanzato della figlia di Lea, Carmine Venturino,la condanna a 25 anni per le sue dichiarazioni.

La dignità della madre di Ilaria Alpi

La madre di Ilaria Alpi, Luciana Riccardi Alpi, decide di rinunciare al proprio ruolo nell’annuale Premio Ilaria Alpi anzi chiede di annullarlo. Dice cha mancano sviluppi alle indagine e quindi non ha senso. E dietro la sua richiesta c’è tutta la dignità di chi vuole solo la verità e non le sue rappresentazioni.

La notizia da Repubblica:

“Le indagini non hanno portato ad alcun risultato, quindi il Premio che ricorda Ilaria Alpi non è più utile”. A denunciarlo è Luciana Riccardi Alpi, la madre della giornalista del Tg3 uccisa a Mogadiscio il 20 marzo del 1994 insieme al suo operatore Miran Hrovatin, mentre stava facendo inchieste su traffici di armi e rifiuti tossici.

La madre lo scrive in una lettera inviata all’assessore alla Cultura della Regione-Emilia Romagna Massimo Mezzetti, al sindaco di Riccione (dove si tiene annualmente il Premio) Renata Tosi, ai direttori del Premio Francesco Cavalli di Riccione e Barbara Bastianelli di Rimini, al presidente della Giuria Luca Airoldi.

La madre, nella breve lettera, afferma di “aver sempre sentito il dovere di seguire la vostra attività e possibilmente collaborarvi, specialmente nei rapporti con l’esterno, al fine di garantirne la rispondenza agli ideali di mia figlia”. Prosegue dicendo che “questo impegno, con l’andare degli anni, è divenuto particolarmente oneroso, anche per l’amarezza che provo nel constatare che nonostante il nostro impegno, le indagini giudiziarie non hanno portato ad alcun risultato”.

Ecco quindi la richiesta della madre di Ilaria: “Vi prego di prendere atto delle mie dimissioni irrevocabili da socio dell’Associazione e del mio desiderio che si ponga termine ad iniziative quali il Premio Alpi, di cui non è più ravvisabile alcuna utilità”.

Pino Maniaci

PINO_MANIACI-241x300Caracò decide di stargli vicino dopo le ultime intimidazioni nel modo migliore: raccontandolo in un ebook gratuito che trovate qui.

E la storia di Pino e una storia bellissima da raccontare a più persone possibili.

Mafia Capitale gocciola su Tivoli

di Giuliano Girlando – 15 dicembre 2014
Veduta-3Nella carte di “Mafia Capitale” un piccolo ma significativo posto è riservato anche a Tivoli, luogo di rilevanza per quanto riguarda il patrimonio culturale e monumentale laziale ma anche di grandi traffici più o meno illeciti.

<<S:     eh l’ami, l’amico mio, t’ho detto, stanno pensando di diversificare il rischio, uno si piglia i pasti, uno si piglia l’immobile 
SC:     ah, ah, ah, ah, ah, ah, ah, ah….
S:     ho detto va be’, qual è il problema ? Si quantifica quant’è le percentuali…
SC:     no, perché guarda io ieri ho fatto una simulazione, perché poi oggi stiamo impicciati per telefono, ieri è venuto Giancarlo e mentre stava con me l’ha chiamato Genova 
S:     mh
SC:     che gli chiedeva a Giancarlo che ne pensava di fare st’operazione anticipandolo con i soldi, a me che questo si consiglia con Giancarlo mi pare strano, però hanno parlato davanti a me, e io nel frattempo ho fatto una simulata, no? Ho fatto una simulata, a loro gli ho dato altri valori, ovviamente, ma io ho fatto una stima che è il cento per cento, esattamente il cento per cento, spendi cinquanta…  
S:     e incassi cento, no ?
SC:     e incassi cento
S:     è quello che c’avevano…. quello che ha detto l’amico mio
SC:     esatto, esatto, esatto, esatto, più sono alti i numeri… se abbassi i numeri invece del cento c’hai il novanta 
S:     se li portiamo a questi livelli, soltanto, metti che ci sta pure qualche inconveniente… ma ci deve essere cento, sarà ottanta  
SC:     si, si, si
S:     anche ottanta sono belle cifre, no ? 
SC:     certo, certo, certo >>

Salvatore Buzzi e Sandro Coltellacci finiti agli arresti nell’operazione Mondo di Mezzo, stanno parlando di reperire un centro adatto all’accoglienza degli immigrati puntando sull’immobile “Tivoli 2”, migliore per ricettività e condizioni. Così è stato in effetti, perché l’immobile in questione è la clinica Colle Cesarano posta vicino all’uscita dell’autostrada di Tivoli, che a tutti oggi ospita immigrati. La questione sociale era diventata per Buzzi & Co, infatti, un chiodo fisso sul quale battere per ben speculare. Siamo nel dicembre 2012 e Buzzi riferiva al suo interlocutore dell’accordo raggiunto, relativo alla gestione dei centri di accoglienza, secondo il quale: “noi” (come cooperative sociali ndr) avremmo messo a disposizione gli operatori, “i pasti” sarebbero stati assicurati “dall’amico nostro” e tale “Manfredi” si sarebbe occupato di fornire la struttura. Salvatore Buzzi contattava così Manfredino Genova , amministratore di Geress Srl la società che gestisce Colle Cesarano. E’ una storia tutta a sé questa di Colle Cesarano ma prima è necessario riannodare i fili del passato.

Cosa lega infatti l’area tiburtina di Roma con gli affari del boss Carminati e i suoi sodali? Il collante dell’estremismo politico è più di ogni altra cosa ciò che lega insieme appunto una certa Tivoli e gli uomini di Carminati. Un sodalizio che si spiega solo con il passato di questa cittadina il quale certo non può essere l’unica spiegazione, visti i filoni che si stanno intrecciando e che sono arrivati fino in Sardegna. Un quadro storico sul passato di estremismo nero della città è utile per avere chiaro in mente l’evidenza di quel collante.

Paolo Signorelli. Il “gruppo di Tivoli”
 resta negli anni della strategia della tensione tra i gruppi quello più legato all’ex “comandante militare” del MPON (Movimento Politico Ordine Nuovo, ndr) Pierluigi Concutelli.  E’ il 1971, quando un professore di matematica del Liceo Scientifico di Tivoli fonda un’associazione contro i comunisti, e quel circolo divenne famoso poi col nome di “Pierre Drieu La Rochelle”. Il professore era Paolo Signorelli, uno dei massimi dirigenti del Centro Studi Ordine Nuovo (da cui nacque e si divise poi l’MPON in seguito a contrasti interni) che se ne fa promotore. Il circolo era appunto un’emanazione di Ordine Nuovo. Aldo Stefano Tisei tra i membri del circolo insieme a Sergio Calore, poi si pentirà e racconterà bene questa storia.

I Tiburtini e i Carabinieri.
 Nel 1974, infatti, dopo un attentato ai danni del Circolo `Drieu La Rochelle’ di Tivoli, Aldo Tisei e Sergio Calore raccolgono informazioni secondo cui a compiere il fatto sarebbero stati i giovani della sinistra extraparlamentare. Paolo Signorelli, viene informato e  chiede  una `relazione’ scritta sui fatti e sui presunti responsabili; qualche giorno dopo arrivano a Tivoli due ufficiali dei Carabinieri: l’allora tenente Sandro Spagnolli  e un capitano Antonio Marzacchera. Si presentano, in divisa, direttamente al `bar Garden’,  punto di ritrovo ai giardini di Piazza Garibaldi per  Sergio Calore e soci, e, dopo aver salutato alla maniera nazista, dichiarano che vengono da parte del professor Signorelli e desiderano saperne di più sull’episodio. Calore e Tisei hanno modo di vedere, nelle mani dei due ufficiali, la `relazione’ che essi stessi avevano consegnato a Signorelli.”

Sergio Calore e l’inchiesta sepolta. E’ proprio Sergio Calore che più di ogni altro nel gruppo ci aiuta a far luce sulla storia dell’eversione nera perché Calore è stato anche il più prezioso collaboratore di giustizia sui fatti di Piazza Fontana e la strage di Bologna, sull’omicidio del giudice Vittorio Occorsio assassinato da Pierluigi Concutelli nel 1976 e su altri omicidi avvenuti durante alcune rapine di autofinanziamento dell’organizzazione. Negli ambienti neofascisti Sergio Calore era da tempo considerato un doppio traditore: già prima di essere arrestato aveva teorizzato e praticato una “torbida e ambigua” alleanza tra rossi e neri in funzione antisistema. E nel 1989 Calore sposò Emilia Libera, altra storica pentita del terrorismo rosso, conosciuta negli anni di piombo col nome di battaglia “Nadia” e amica di Antonio Savasta. E’ stata proprio Emilia il 7 ottobre del 2010 a ritrovare il corpo senza vita di Sergio, ucciso nella sua casa di campagna in via Colle Spinello, a Guidonia. I carabinieri hanno avviato indagini e rilievi scientifici nel casolare di proprietà di Calore. L’uomo potrebbe essere stato ucciso a colpi di piccone. I carabinieri – avrebbero infatti trovato l’utensile sporco di sangue vicino al corpo della vittima che presenterebbe quindi non solo una profonda ferita al collo ma anche in altre parti del corpo. Un’indagine sarebbe stata aperta dalla procura di Tivoli di cui non si conoscono ancora , dopo quattro anni dall’omicidio i risvolti né i risultati. Questa morte si è persa nelle campagne di Guidonia e negli uffici della Procura di Tivoli.

Francesco Bianco. Due anni dopo la morte di Calore, davanti alle Terme “Acque Albule” di Tivoli, le cosiddette Terme di Roma,  i primi di gennaio del 2012, Francesco Bianco ex membro dei Nar viene  ferito da tre colpi di pistola. I proiettili lo colpiscono alla gamba, alla mano e al braccio. Alcuni testimoni che hanno assistito alla sparatoria, avrebbero visto due persone in sella a uno scooter avvicinarsi alla vittima e uno di loro, scendere prima di sparare. Scatta  un “fermo di indiziato di delitto” nei confronti di Carlo Giannotta, ritenuto responsabile del tentato omicidio. Per il ferimento di Bianco, viene indagato anche il figlio Fabio Carlo. Giannotta figlio è anche indagato nell’ambito del tentativo di rapina commesso il 3 maggio 2006 in danno della nota gioielleria “Bulgari” di Roma, di  via Condotti. Oltre al fermo dei Giannotta, furono eseguite diverse perquisizioni domiciliari disposte dalla Procura di Tivoli, estese anche alla sede di Acca Larentia a Roma. Fabio Giannotta è fratello di Mirco, capoufficio al Decoro Urbano della municipalizzata Ama e coinvolto nello scandalo di “parentopoli”.  Francesco Bianco nato a Messina e residente nel comune di Guidonia, fu assunto dall’ex sindaco Gianni Alemanno all’Atac, e coinvolto poi anche lui nello scandalo “parentopoli”: una storia diversa da Mafia Capitale questa ma allo stesso tempo a essa integrata. Gli interessi e i sodalizi di mafia capitale sembrano  avere radici antiche e nuove prospettive che coinvolgono tutti i colori politici.
(un ringraziamento a Simona Zecchi per la collaborazione)

In settemila chiedono a Renzi e al Consiglio Superiore della Magistratura di pronunciarsi (e difendere) Nino Di Matteo

Continuiamo a chiedere, non ci fermiamo. Su intelligente suggerimento delle Agende Rosse della Campania abbiamo deciso di includere nell’appello anche i membri del CSM (tenendo conto che l’Art. 104 comma 1 della Costituzione sancisce che “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”). Tutte le firme le potete contare qui. E abbiamo preparato anche un video (che trovate qui). Come dice Fiorella Mannoia dovremmo essere un milione.

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