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Giulio Cavalli

Ora a Roma si esulta per il Meno peggio

Ci pensavo proprio oggi e invece l’aveva già scritto perfettamente Alessandro:

Con l’esplosione della vicenda Alemanno-Carminati, la riabilitazione di Marino è giunta a conclusione. «Meno male che il problema di Roma era la Panda» è stato il commento più scritto e visto in giro delle ultime 24 ore. Ci si è resi conto nelle mani di chi era questa città, come sindaco e amici, fino a 17 mesi fa. Roba da brividi alla schiena. Certo, nell’inchiesta è finito anche un pezzo di Pd. Ma il presidente del consiglio comunale indagato, Mirko Coratti, era proprio tra quei potenti piddini che fino a dieci giorni fa facevano i bulli col sindaco. E l’assessore Daniele Ozzimo era un altro ras delle preferenze, uomo di Umberto Marroni, insomma un’altra delle tribù armate democratiche. Ovvio che rispetto a questa gente il chirurgo in bicicletta faccia la figura dello statista.

Resta il dubbio che se Marino non era un grande amministratore fino un mese fa – e qui basta uscire di casa per averne contezza – non è che lo sia diventato adesso. Resta cioè il dubbio che sia scattata inesorabile la logica del meno peggio.

Salvini si sceglie un vice, ovviamente indagato. Ma non solo.

Il nuovo vice di Salvini nominato nel Consiglio Federale della Lega è lo stesso capace di essere ubiquo secondo la Procura di Torino che lo sta indagando per peculato poiché, scrive Tgcom:

Un po’ come Riccardo Molinari, che a maggio 2011 passa la notte per 120 euro in un hotel ad Avila, in Spagna, ma secondo il registro della Guardia di finanza è a Castelletto Monferrato.

Ma non basta: secondo le antiche tradizioni leghista di diplomi “presi” all’estero, Riccardo Molinari risulta avvocato “stabilito” essendosi laureato in Spagna (lecitamente, ovviamente, si presume).

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(grazie a Marco)

Mafia Capitale: ecco a cosa serve il razzismo contro i rom

romVoi paghereste seicento euro al mese per vivere in uno stanzone affollato e senza finestre? Sicuramente no. Eppure questa è la cifra che il Campidoglio versa all’ente gestore della “Best House Rom” per ciascun rom ospitato nel centro di accoglienza di via Visso.

Ciò significa che per una famiglia di sei persone le casse pubbliche spendono 3600 euro: il costo di un affitto in una casa di lusso nel centro di Roma. Lo scandalo, uno dei tanti consumati sulla pelle dei cosiddetti “zingari”, è stato denunciato dal consigliere comunale radicale Riccardo Magi nelle ore immediatamente precedenti alla retata che ha portato all’arresto di 37 persone per l’inchiesta “Mondo di mezzo”.

Tra gli arrestati figura Emanuela Salvatori, responsabile dell’ufficio rom del Campidoglio e coordinatrice dell’attuazione del “Piano rom e interventi di inclusione sociale”.

Un altro degli arrestati è Salvatore Buzzi, ramo Lega Coop, che nelle intercettazioni dice: “Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico de droga rende meno”

Nel business “immigrati” rientrano anche i settemila rom che vivono nei campi attrezzati di Roma. Si tratta degli stessi rom contro i quali manifestano Casapound e le destre romane per capitalizzare voti. Un doppio sfruttamento altamente redditizio: i rom fruttano soldi alla destra e alla sinistra grazie agli appalti delle cooperative che gestiscono i campi, e fruttano voti – specialmente alla destra – perché ripetere che gli zingari sono “culturalmente” ladri (lo ha sottolineato Ignazio La Russa) è sempre un ottimo argomento per scaricare sugli intoccabili la responsabilità di una mala gestione amministrativa.

È vero, gli uomini di Maurizio Carminati – il capo della banda di fascio-mafiosi, ex appartenente alla banda della Magliana – hanno mangiato abbondantemente sull’emergenza profughi e sull’accoglienza dei migranti a Roma, e non soltanto sui rom. Tuttavia sono i rom a essere prigionieri – letteralmente – del sistema che impedisce loro di uscire dai campi e prigionieri di un razzismo che non trova corrispondenze in nessuna etnia.

Che i rom vogliano vivere nei ghetti, all’interno delle baracche, è per esempio una delle tante favole che la politica racconta ai cittadini per dimostrare che i campi nomadi fanno parte della cultura zingara. Non è vero, e lo dimostra il fatto che l’Unione europea è pronta a multare l’Italia proprio perché non sta smantellando i campi attrezzati.

L’inchiesta della Procura di Roma sulla Mafia Capitale sta svelando quello che da tempo associazioni come la 21 luglio denuncia da anni, e cioè che dietro questa falsa necessità dei campi rom si nasconda una speculazione tutta italiana e tutta mafiosa sulla pelle dei settemila rom censiti nella Capitale: siccome questi ghetti pestilenziali hanno bisogno – dice la politica – di sorveglianza continua e persone che si occupino dell’integrazione, allora ecco gli appalti per i vigilantes, gli scuolabus appositi per i rom e così via.

Ma quanto spende il Campidoglio per sole settemila persone, in maggioranza bambini? 42 milioni in tre anni “e non sappiamo dove siano finiti questi soldi”, diceva un funzionario del Comune all’Huffington Post durante una visita del campo di via Gordiani, dove le famiglie vivono in prefabbricati cadenti con i bagni rotti. Di quella cifra, 32 milioni erano arrivati grazie al Piano Nomadi di Gianni Alemanno.

Sempre durante la giunta Alemanno, era stata approvata una norma che nell’applicazione pratica impediva ai rom – molti dei quali italiani – di accedere alle graduatorie delle case popolari. Di questa ennesima misura discriminatoria si era occupato persino il quotidiano britannico “The Guardian”. Anche questo serviva a perpetuare l’esistenza dei campi nomadi, con un duplice scopo: raccontare alla cittadinanza che in fondo gli “zingari” non vogliono vivere come tutti gli altri, e continuare il business degli appalti intorno ai rom.

L’inchiesta che sembra smantellare la cupola fascio-mafiosa – ma c’è di mezzo un pezzo della sinistra – potrebbe servire finalmente a decostruire tutte le menzogne razziste che tutta la politica, in maniera davvero bipartisan, ha utilizzato per dipingere i rom come aggressori, criminali e ladri di bambini. Un racconto che ha fatto breccia anche nelle anime più progressiste.

(fonte)

I caratteri di Mafia Capitale

Per orientarsi in mezzo alle tante opinioni vale la pena leggere piuttosto le parole della Procura di Roma sottoscritte il 28 novembre dal Giudice Flavia Costantini:

I caratteri di Mafia Capitale

Le indagini svolte hanno consentito di acquisire gravi indizi di colpevolezza in ordine all’esistenza di una organizzazione criminale di stampo mafioso operante nel territorio della città di Roma, la quale si avvale della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne derivano per commettere delitti e per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione e il controllo di attività economiche, di appalti e servizi pubblici.

Mafia Capitale, volendo dare una denominazione all’organizzazione, presenta caratteristiche proprie, solo in parte assimilabili a quelle delle mafie tradizionali e agli altri modelli di organizzazione di stampo mafioso fin qui richiamati, ma, come si cercherà di dimostrare nella esposizione che segue, essa è da ricondursi al paradigma criminale dell’art. 416bis del codice penale, in quanto si avvale del metodo mafioso, ovverosia della forza di intimidazione derivante dal vincolo di appartenenza, per il conseguimento dei propri scopi.

Essa presenta, in misura più o meno marcata, taluni indici di mafiosità, ma non sono essi ad esprimere il proprium dell’organizzazione criminale, poiché la forza d’intimidazione del vincolo associativo, autonoma ed esteriorizzata, e le conseguenti condizioni di assoggettamento e di omertà che ne derivano, sono generate dal combinarsi di fattori criminali, istituzionali, storici e culturali che delineano un profilo affatto originale e originario.

Originale perché l’organizzazione criminale presenta caratteri suoi propri, in nulla assimilabili a quelli di altre consorterie note, originario perché la sua genesi è propriamente romana, nelle sue specificità criminali e istituzionali.

Sarebbe un errore di prospettiva annoverare tout court Mafia Capitale nel catalogo delle nuove mafie.

Se è indiscutibile che la sua diagnosi sia frutto dell’utilizzazione – scevra da pregiudizi nel senso più anodino del termine–  di quello che in dottrina è stato definito un modello di tipizzazione contenuto nell’ultimo comma dell’art. 416bis c.p., deve escludersi che la sua genesi sia recente e reputarsi che essa sia radicata da tempo, mentre deve ritenersi che essa sia stata  investigativamente colta nella fase evolutiva propria delle  organizzazioni criminali mature, che fruiscono, ai fini dell’utilizzazione del metodo mafioso, di una accumulazione originaria criminale già avvenuta.

Muovendo da quanto condivisibilmente è stato ritenuto in dottrina, secondo cui «ogni associazione di tipo mafioso ha alle spalle un precedente (e concettualmente distinto) sodalizio-matrice, con originario programma di delinquenza in parte finalizzato proprio alla produzione della «carica intimidatoria autonoma»; finalità apprezzabile e riconoscibile, peraltro, solo a posteriori cioè a metamorfosi avvenuta e dopo la consunzione del sodalizio-matrice nella nuova entità di tipo mafioso», nel caso di specie può ritenersi che la trasformazione sia compiutamente avvenuta.

A usar metafore, il fotogramma di Mafia Capitale, ossia la sua considerazione sincronica, rivela un gruppo illecito evoluto, che si avvale della forza d’intimidazione derivante –anche– dal passato criminale di alcuni dei suoi più significativi esponenti; la pellicola di Mafia Capitale, ossia la sua considerazione diacronica, evidenzia un gruppo criminale che costituisce il punto d’arrivo di organizzazioni che hanno preso le mosse dall’eversione nera, anche nei suoi collegamenti con apparati istituzionali, che si sono evolute, in alcune loro componenti, nel fenomeno criminale della Banda della Magliana, definitivamente trasformate in Mafia Capitale.

Un’organizzazione criminale tanto pericolosa quanto poliedrica che, per dirla con le parole di uno dei suoi più autorevoli e pericolosi esponenti, Massimo Carminati ( il Pirata o ilCecato), opera, soprattutto, in un  mondo di mezzo,  un luogo dove, per effetto della potenza e dell’autorevolezza di Mafia Capitale, si realizzano sinergie criminali e si compongono equilibri illeciti tra il mondo di sopra, fatto di colletti bianchi, imprenditoria e istituzioni, e il mondo di sotto, fatto di batterie di rapinatori, trafficanti di droga, gruppi che operano illecitamente con l’uso delle armi.

Sul piano strutturale, le mafie tradizionali presentano modelli organizzativi pesanti, rigidamente gerarchici, nei quali i vincoli di appartenenza sono indissolubili e inderogabili. Un tale modello organizzativo è, però, storicamente e sociologicamente, incompatibile con la realtà criminale romana, che è invece stata sempre caratterizzata da un’elevata fluidità nelle relazioni criminali, dall’assenza di strutture organizzative rigide, compensata però dalla presenza di figure carismatiche di grande caratura criminale, quali Ernesto Diotallevi,  Michele Senese (zi Michele)  Massimo Carminati (il Pirata, il Cecato) e da rapporti molto stretti con le organizzazioni mafiose tradizionali operanti sul territorio romano e da una connaturata capacità di ricercare e realizzare continue mediazioni, che si risolvono in un equilibrio idoneo a generare il senso della loro capacità criminale. 

Mafia Capitale, in questo differenziandosi e in parte affrancandosi dalle precedenti espressioni organizzate capitoline come la Banda della Magliana, ha avuto la capacità di adattarsi alla particolarità delle condizioni storiche, politiche e istituzionali della città di Roma, creando una struttura organizzativa di tipo  reticolare o  a raggiera, che però mantiene inalterata la capacità di intimidazione derivante dal vincolo associativo nei confronti di tutti coloro che vengano a contatto con l’associazione.

In essa, alcuni dei suoi componenti godono di ampi margini di libertà, sì che essi, oltre a essere impiegati attivamente nella mission dell’associazione, svolgono autonomamente e personalmente attività illecite.

Sul piano del core business, l’attività di Mafia Capitale è orientata al perseguimento di tutte le finalità illecite considerate nell’art. 416bis c.p.

Tra esse, le più frequenti finalità perseguite, e non di rado realizzate, sono tuttora la commissione di gravi delitti di criminalità comune, prevalentemente a base violenta, ma soprattutto l’infiltrazione del tessuto economico, politico ed istituzionale, l’ottenimento illecito dell’assegnazione di lavori pubblici.

Un’organizzazione criminale che siede a pieno titolo al tavolo di altre e più note consorterie criminali, condizionandone l’attività sul territorio romano, che ha piena consapevolezza di sé e del suo ruolo nella gestione degli affari illeciti della capitale.

Eloquente, in proposito, appare essere un’intercettazione ambientale, avente come protagonista Carminati, capo indiscusso di Mafia Capitale,  a seguito della pubblicazione di un articolo sul settimanale “L’Espresso”, dal titolo “I quattro Re di Roma”, nel quale si faceva riferimento ad una divisione della capitale in zone d’influenza ad opera di distinti gruppi criminali con a capo rispettivamente  Carminati Massimo, Senese Michele, Fasciani Giuseppe e Casamonica Giuseppe.

“Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno”

Un bigino da stampare e da tenere in tasca per la prossima strabica rivolta in stile Tor Sapienza:

Per la “cupola” di Roma l’emergenza immigrati era una miniera d’oro: i fondi per i centri d’accoglienza sono un piatto ricco e il sodalizio criminale ipotizzato dagli inquirenti fa in modo che parte di questi finanziamenti finisca nelle tasche delle cooperative amiche. Gli inquirenti lo chiamano “Sistema Odevaine“: “La gestione dell’emergenza immigrati è stato ulteriore terreno, istituzionale ed economico, nel quale il gruppo riconducibile a Buzzi si è insinuato con metodo eminentemente corruttivo – si legge nell’ordinanza di applicazione delle misure cautelari firmata dal gip Flavia Costantini – alterando per un verso i processi decisionali dei decisori pubblici, per altro verso i meccanismi fisiologici dell’allocazione delle risorse economiche gestite dalla P.A.”.

Un sistema studiato per far arrivare i soldi pubblici ai gestori amici “che si dividono il mercato“. E il mercato dei fondi statali per i centri di accoglienza per gli immigrati è immenso. Gli inquirenti parlano della “possibilità di trarre profitti illeciti immensi (…) paragonabili a quelli degli investimenti illeciti realizzati in altri settori criminali come lo smercio di stupefacenti. Le intercettazioni parlano chiaro. Al telefono con Pierina ChiaravalleSalvatore Buzzi, numero uno della cooperativa “29 giugno” e braccio operativo dell’organizzazione, domanda: “Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno”.

Il centro del sistema è Luca Odevaine. Ex vice capo di gabinetto del sindaco Walter Veltroni e capo della polizia provinciale di Roma, “Odevaine è un signore che attraversa, in senso verticale e orizzontale, tutte le amministrazioni pubbliche più significative nel settore dell’emergenza immigrati”, scrivono i pm. Perché è così importante la sua figura? “La qualità pubblicistica di Odevaine risiede nell’essere appartenente al Tavolo di coordinamento nazionale insediato presso il Ministero dell’Interno – Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione” e al contempo è “esperto del presidente del C.d.A. per il Consorzio “Calatino Terra d’Accoglienza”» , ente che soprintende alla gestione del C.A.R.A. di Mineo“. Un’intercettazione in cui Odevaine parla con il suo commercialista fotografa il suo ruolo: “Avendo questa relazione continua con il Ministero – spiega l’ex vice capo segreteria di Veltroni – sono in grado un po’ di orientare i flussi che arrivano da… da giù… anche perché spesso passano per Mineo… e poi… vengono smistati in giro per l’Italia… se loro c’hanno strutture che possono essere adibite a centri per l’accoglienza da attivare subito in emergenza… senza gara… (inc.) le strutture disponibili vengono occupate… e io insomma gli faccio avere parecchio lavoro…”.

Odevaine è ben pagato, secondo Salvatore Buzzi. Parlando con Giovanni Campennì, il braccio operativo dell’organizzazione spiega: “Mò c’ho quattro… quattro cavalli che corrono… col PD, poi con la PDL ce ne ho tre e con Marchini c’è… c’ho rapporti con Luca (Odevaine, ndr) quindi va bene lo stesso… lo sai a Luca quanto gli do? Cinquemila euro al mese… ogni mese… ed io ne piglio quattromila”.

Il piatto è ghiotto anche nella sola città di Roma e la cupola è talmente potente da deviare in sede di bilancio pluriennale risorse in favore delle strutture di accoglienza. Gli inquirenti sottolineano la “capacità del sodalizio indagato, di interferire nelle decisioni dell’Assemblea Capitolina in occasione della programmazione del bilancio pluriennale 2012/2014 e relativo bilancio di assestamento di Roma Capitale, avvalendosi degli stretti rapporti stabiliti con funzionari collusi dell’amministrazione locale, al fine di ottenere l’assegnazione di fondi pubblici per rifinanziare “i campi nomadi”, la pulizia delle “aree verdi” e dei “Minori per l’emergenza Nord Africa”, tutti settori in cui operano le società cooperative di Salvatore Buzzi”.

All’epoca dei fatti alla guida del dipartimento Promozione dei Servizi Sociali e della salute del Comune di Roma (che gestisce la questione immigrati) c’era Angelo Scozzafava, con il quale la “cupola” aveva ottimi rapporti: “Le indagini hanno evidenziato l’ipotesi di una remunerazione dell’attività funzionale di costui da parte di gruppo criminale  – scrivono gli inquirenti – con la promessa dell’assegnazione di un appartamento in una cooperativa” perché “Scozzi” come lo chiamano i sodali, “si fa promotore di attività a favore del gruppo presso altri organi dell’amministrazione comunale, per spingere su finanziamenti a favore del campo nomadi“. Ma dopo le elezioni comunali del 2013 le cose cambiano: il 14 giugno 2013 Buzzi raccontava al telefono a Carminati di trovarsi al Campidoglio “in giro per i Dipartimenti a saluta’ le persone”. La decisione veniva accolta favorevolmente accolta dall’ex Nar che riteneva necessario “vendere il prodotto amico mio, eh. Bisogna vendersi come le puttane ades…adesso”. A quel punto Buzzi raccontava la difficoltà di muoversi nell’ambito della nuova situazione politica romana in quanto in quel momento “solo in quattro sanno quello che succede e sono nell’ordine BianchiniMarinoZingaretti e Meta“, e Carminati rispondeva in maniera eloquente: “E allora mettiti la minigonna e vai a batte co’ questi, amico mio”.

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Mentre in Italia “Palestina” si pronuncia guardinghi e sottovoce…

In Francia:

Pro palestianian gathering in ParisL’Assemblea nazionale francese ha approvato una mozione che chiede al governo di riconoscere lo Stato della Palestina, con 339 voti favorevoli, 151 contrari e 16 astensioni. Il testo non ha valore vincolante per l’esecutivo, a cui spetta la decisione sul riconoscimento, ma ha un forte impatto simbolico e di sfida al governo israeliano.

Passi analoghi sono stati compiuti di recente da Gran Bretagna, Irlanda e Spagna. Mentre dalla Svezia é già arrivato il riconoscimento formale del governo.

(fonte)

La ragnatela de la mafia Capitale

massimo_carminati_notte_criminaleLa banda, la nuova banda di Roma. “La Mafia capitale”, per dirla con le parole dei magistrati. Strutturata come una piovra che asfissia la città. Ogni uomo ha un compito, ogni compito ha un prezzo. Appalti, usura, estorsioni, corruzione. Dentro il Comune di Roma, nelle istituzioni, nelle cooperative. Amministratori “a libro paga” come Franco Panzironi, ex presidente Ama, e Carlo Pucci dirigente di Eur spa. Pubblici ufficiali “a disposizione”, come Riccardo Mancini, ex presidente di Eur spa, che ha fatto da garante con l’amministrazione di Alemanno dal 2008 al 2013. La collusione con forze di polizia e servizi segreti.

LEGGI / Appalti e mafia: l’elenco dei 37 arrestati

Un luogo: il distributore di benzina di Corso Francia, gestito da Roberto Lacopo, “base logistica del sodalizio”. E tutto quest’universo criminale che ruota attorno a Massimo Carminati, l’ex nar, 56 anni. Capo, organizzatore, fornitore ai suoi sodali di schede telefoniche dedicate, reclutatore di imprenditori collusi “ai quali fornisce protezione”, l’uomo che “mantiene i rapporti con gli esponenti delle altre organizzazioni criminali operante su Roma, nonché esponenti del mondo politico istitutzionale, con esponenti delle forze dell’ordine e dei servizi”. La sua villa di Sacrofano, Carminati la intesta fittiziamente a Alessia Marini, acquistandola per 500mila euro, di cui 120 mila in contanti.

Accanto a lui c’è sempre Riccardo Brugia, col quale condivide il passato di estremista di destra. Nell’organizzazione di Carminati, armata e di stampo mafioso secondo i pm di Roma, Brugia ha il compito di gestire le estorsioni, “di coordinare le attività nei settori del recupero crediti e dell’estorsione, di custodire le armi in dotazione del sodalizio”, scrive il gip Flavia Costantini nelle 1249 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare. Brugia e Carminati, tra le altre cose, sono accusati di estorsione ai danni di Luigi Seccaroni per farsi vendere il terreno in via Cassia.

Ogni uomo ha un compito, dunque. Ad esempio Fabrizio Franco Testa, manager, e presidente di Tecnosky (Enav) e uomo di Alemanno ad Ostia. “Lui è la testa di ponte dell’organizzazione nel settore politico e istituzionale, coordina le attività corruttive dell’associazione, si occupa della nomina di persone gradite all’organizzazione in posti chiave della pubblica amministrazione”.

I NOMI ECCELLENTI Dall’ex sindaco Alemanno a Panzironi

Oppure Salvatore Buzzi, l’uomo della rete di cooperative. Amministratore delle coop riconducibili al gruppo Eriches-29 giugno, affidatarie di appalti da parte di Eur Spa, gestisce per conto della banda Carminati le attività criminali nei settori della raccolta e smaltimento dei rifiuti, della accoglienza dei profughi e rifugiati, della manutenzione del verde pubblico, settori “oggetto delle gare pubbliche aggiudicate anche con metodo corruttivo”. Si occupa anche – secondo i pm – della contabilità occulta dell’associazione.
Sullo sfondo una pletora di imprenditori collusi, in primo piano, invece Franco Panzironi. Nel suo ruolo di componente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato di Ama spa dal 2008 al 2011, ha del tutto “asservito la sua qualità funzionale”. Nelle carte ci sono tutti gli addebiti a suo carico: violando il segreto d’ufficio, violando il dovere di imparzialità nell’affidamento dei lavori, ha preso accordi con Buzzi “per il contenuto dei provvedimenti di assegnazione delle gare prima della loro aggiudicazione”.

Panzironi è accusato anche di averla turbata, quella gara. L’appalto è quello della raccolta delle foglie per il comune di Roma, 5 milioni di euro. Per la sua attività di “agevolazione dell’associazione mafiosa di Carminati” nel tempo ha ricevuto, per sé e per la sua fondazione Nuova Italia, 15.000 euro al mese dal 2008 al 2013, 120.000 euro in una tranche (il 2,5 per cento dell’appalto assegnato da Ama), la rasatura gratuita del prato di casa, e finanaziamenti non inferiori a 40.000 euro per la sua fondazione.

Per dire come funzionavano le cose al Campidoglio, basta leggere le accuse che vengono fatte a Claudio Turella, funzionario del Comune di Roma e responsabile della programmazione e gestione del Verde Pubblico: per compiere atti contrari ai suoi doveri di ufficio nella assegnazione dei lavori per l’emergenza maltempo, la manutenzione delle piste ciclabili e delle ville storiche, “riceveva da Buzzi, il quale agiva previo concerto con Carminati e in accordo con i suoi collaboratori, 25.000 euro per l’emergenza maltempo, la promessa di 30.000 euro per le piste ciclabili, più la promessa di altre somme di denaro”.

Nel calderone degli arresti c’è anche Luca Odevaine, ex vice capo di gabinetto di Veltroni. Nella sua qualità di appartenente al Tavolo di coordinamento nazionale sull’accoglienza dei rifugiati, dunque pubblico ufficiale, “orientava le scelte del Tavolo al fine di creare le condizioni per l’assegnazione dei flussi di immigrati alle strutture gestite da soggetti economici riconducibilia Buzzi e Coltellacci”, “effettuava pressioni finalizzate all’apertura di centri in luoghi graditi al gruppo Buzzi”. E per questo “riceveva 5.000 euro mensili in forma diretta e indiretta da Coltellacci e Buzzi”. Con l’aggravante di aver agevolato la banda di Carminati.

Infine Gennaro Mokbel, che finisce in questa inchiesta con l’accusa di estorsione, perché “mediante violenza e minacce” voleva costringere Marco Iannilli a restituire 8 milioni di euro “comprensiva dell’attesa remunerazione, consegnatagli un anno prima per investirla nell'”operazione Digint””. E qui è intervenuto Carminati il quale, su richiesta della vittima, “la proteggeva da Mokbel”. Faceva anche questo, Carminati. Il protettore.

(fonte)

”ingiustificata grave sperequazione”

A proposito di riforme e di uguaglianza e di tasse:

La Corte dei Conti bacchetta il fisco. Il funzionamento del sistema fiscale italiano ha prodotto una ingiustificata grave sperequazione tra livello di contribuzione del lavoro dipendente e di pensione e quello derivante del lavoro autonomo. La normativa fiscale è spesso contraddittoria e mal coordinata, ‘adottata sulla spinta di emergenze contingenti e quasi mai inquadrata in una strategia di lungo periodo di contrasto all’evasione’. La contaddittorietà della lotta all’evasione, sottolineano i giudici contabili, è colpa della politica. La Tax compliance non funziona, ‘serve una nuova strategia’.

Camusso: dipendenti e pensionati tartassati, progressività al contrario – La progressività del nostro sistema fiscale ”è al contrario”: le imposte sono pagate soprattutto da lavoratori dipendenti e pensionati (l’81% del totale Irpef, ndr) mentre gli autonomi grazie all’evasione usufruiscono spesso di un doppio vantaggio, meno tasse e accesso ai servizi sociali collegati al reddito. Lo dice il numero uno Cgil Susanna Camusso, in un colloquio con l’ANSA, aggiungendo: ”Quando ci raccontano che non ci sono risorse per il lavoro dovremmo inviperirci. Le risorse andrebbero trovate con una lotta vera all’evasione fiscale”.

La Corte non solo segnala una ”ingiustificata grave sperequazione” tra il livello di contribuzione del lavoro dipendente e di pensione e quello derivante dallo svolgimento di attività economiche indipendenti, ma sottolinea come i lavoratori autonomi spesso traggano vantaggio da queste dichiarazioni per avere accesso ai servizi sociali legati al reddito (come gli asili nido per esempio). La quantità di risorse evase, sottolinea Camusso, ”non è marginale”, non solo per l’Irpef ma anche per l’Irap. ”Abbiamo bisogno – ha detto – di un serio e ordinato sistema fiscale, di semplificazione sulle imposte da pagare e di progressività. Questi dati dimostrano che la progressività è al contrario. Dovrebbero dire al Governo di cambiare passo e di mettere il contrasto all’evasione al centro” del proprio operato.

(fonte)