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Giulio Cavalli

Vedi, viviamo nell’economia dei leccaculo.

Vedi, viviamo nell’economia dei leccaculo. Il problema più grande in questo paese non è la corruzione. Il problema è che c’è molta gente qualificata che non sta dove dovrebbe stare perché non vuole leccare il culo a nessuno o non sa quale culo leccare o non sa neppure come si fa, a leccarne uno. Io ho la fortuna di leccare il culo giusto.

(Chimamanda Ngozi Adichie, via Dino)

Palermo: nasce L’Ora quotidiano online. Sarà diretto da Vittorio Corradino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza.

1904161_547046008761194_943729624485897696_n(ANSA) PALERMO, 18 ottobre 2014.  Da lunedì prossimo sarà on line www.loraquotidiano.it, un quotidiano digitale generalista,diretto da Vittorio Corradino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, affiancati da uno staff di giornalisti con alle spalle anni di cronaca sul campo.   Loraquotidiano.it – dice una nota – intende raccontare la Sicilia giorno per giorno, con un’attenzione particolare su Palermo, recuperando la tradizione artigianale dello storico quotidiano del pomeriggio, pilastro dell’informazione civile e antimafia del giornalismo italiano. Le inchieste giudiziarie più scottanti, i retroscena dei Palazzi del potere politico e di quello economico, le alchimie e i paradossi di una terra che mai come oggi è un laboratorio in continua evoluzione: tutto questo sarà sulle pagine de loraquotidiano.it, ma anche sul magazine bimestrale cartaceo, che ospiterà approfondimenti e inchieste. Contemporaneamente, continua la nota, tornano in edicola I Quaderni de L’Ora: il numero 11 è dedicato all’imminente deposizione del Presidente Giorgio Napolitano al processo sulla Trattativa Stato mafia, con interventi di Alfonso Giordano, presidente del Maxi Processo, dell’ex pm Antonio Ingroia, un sondaggio tra i 90 deputati dell’Ars e con “Squilla il telefono”, inedito teatrale di Giulio Cavalli, sull’inchiesta Stato-mafia della procura di Palermo.

Genova secondo Ferruccio

Considero Ferruccio Sansa uno dei migliori giornalisti sulla dissennata cementificazione ligure che cola nell’alluvione di questi giorni. Per questo credo che valga la pena leggere il suo pezzo su Burlando e Liguria:

Questa volta parlerò di me. Un giornalista non dovrebbe mai farlo. Mi rincresce doppiamente perché Genova in questo momento ha bisogno di tutto fuorché di polemiche. Ma credo di doverlo a me stesso, al legame che ho con Genova e alla mia famiglia. E a voi lettori.Nei giorni scorsi Claudio Burlando, Governatore della Liguria al potere da trent’anni, ha attribuito la responsabilità delle alluvioni e dei morti a mio padre, Adriano Sansa, sindaco di Genova dal 1993 al 1997. Una calunnia – il metodo Sansa invece del metodo Boffo – per salvare la poltrona: Burlando e la sua combriccola sono allarmati dalla voce di una mia candidatura alle elezioni regionali (ma di questo parlerò poi). Ma la politica, come diceva il socialista Rino Formica, “è sangue e merda”. Forse in quella ligure oggi c’è poco sangue. Perciò sono costretto a rispondere.
Mi limiterò ai fatti:

1. Burlando è stato vicesindaco e sindaco di Genova dal 1990 al 1993. In quei tre anni ci sono state due alluvioni (1992 e 1993). Come assessore all’Urbanistica, sarà un caso, Burlando scelse un architetto che negli anni successivi ha firmato operazioni immobiliari da centinaia di migliaia di metri cubi realizzate da costruttori oggi latitanti.

2. Mio padre è stato sindaco dal 1993 (due mesi dopo l’alluvione) al 1997. Quando arrivò in Comune la realizzazione dello scolmatore incriminato era resa impossibile dai processi pendenti. Non fu lui, come invece afferma Burlando, a voler bloccare i lavori. Non solo: mio padre fu il primo sindaco che scelse uno stimatissimo geologo – Sandro Nosengo – come assessore all’Urbanistica. La priorità era chiara: basta cemento (furono fermate le nuove edificazioni in collina), puntiamo sul risanamento del territorio e dei fiumi. Così si fece: i geologi consigliarono di investire in un piano complessivo che risanasse il bacino idrico di tutti i torrenti (non solo del Bisagno). Per i piani di bacino dei corsi d’acqua, per la loro risistemazione e per la pulizia (lavoro indispensabile che, ahimé non porta voti, né tagli di nastri) furono investiti molti miliardi di lire. Il risultato, come ricordano i genovesi, fu che non si verificarono più alluvioni per diciotto anni.

3. Burlando è il dominus della politica ligure da trent’anni (è in congedo per motivi politici dai primi anni 90) avendo ricoperto le seguenti cariche: assessore ai trasporti (1983-1985), vicesindaco (1992-3), sindaco (1993 fino all’arresto, fu poi assolto), quindi ministro (1996-1998 con un seguito di polemiche a causa dei ripetuti deragliamenti ferroviari), infine è Governatore dal 2005 (riconfermato senza le primarie). Insomma, avrebbe avuto il tempo per fare qualcosa per evitare le alluvioni.

4. Negli ultimi anni sono stati arrestati due vice-presidenti della Giunta BurlandoQuasi metà del consiglio regionale è indagato.

5. Dall’anno del suo insediamento a oggi si contano in Liguria 4 alluvioni: 2010, 2011 (Genova e Cinque Terre), 2014.

6. Nel frattempo Burlando ha varato un Piano Casa che il presidente dei Verdi italiani, Angelo Bonelli, ha definito “il più devastante d’Italia”. L’assessore all’Urbanistica che lo predispose è stato poi arrestato.

7. La Giunta Burlando ha sostenuto la costruzione di porticcioli turistici, in perfetto accordo con Claudio Scajola (memorabile la loro presenza, fianco a fianco, all’inaugurazione dei lavori del porto di Imperia, poi travolto da indagini e arresti)

8. Il centrosinistra di Burlando ha sostenuto la realizzazione di un porticciolo da mille posti barca alle foci del fiume Magra che ogni anno provoca disastri. La società realizzatrice era controllata da Mps, la banca rossa. Nel cda sedeva il tesoriere della campagna di Burlando.

9. Dopo l’alluvione del 2011, che nello spezzino causò 13 morti, la maggioranza di centrosinistra ha dato il via alla realizzazione di un centro commerciale da 5.000 persone in una zona che lo stesso assessore all’Ambiente della Regione di Burlando definì “zona a rischio di alluvioni”. È certo un caso che l’operazione sia stata realizzata in pochi mesi, senza timore di ricorsi al Tar (che invece bloccavano le opere anti-alluvione) e con maggiore solerzia dei lavori del Bisagno.

10. In Liguria mentre mancavano i soldi per lo scolmatore del Fereggiano (la Regione ha dato solo 5 milioni), la Giunta regionale di Burlando spendeva 1,6 milioni l’anno per pubblicità istituzionale distribuendo denaro a quasi tutti gli organi di informazione locale. Senza dire dei 2 milioni stanziati per il prossimo Giro d’Italia.

11. Il Tar ha respinto la sospensiva dei lavori del Bisagno nell’agosto 2012, ma dopo due anni i lavori non sono ancora ripresi. Da notare che gli stessi imprenditori mesi fa avevano inviato una lettera al presidente del Consiglio, a Burlando e a Doria per sollecitare l’apertura del cantiere.

12. Dopo anni di inerzia, mercoledì Burlando ha annunciato che i lavori riprenderanno nel 2015. Cinque giorni dopo l’alluvione. Perché non l’ha fatto prima?

13. L’assessore alla Protezione civile della Regione Liguria (che avrebbe dovuto fare prevenzione e diramare allarmi) è Raffaella Paita, delfina di Burlando che il Pd vorrebbe candidare alla guida della Regione nel 2015. Paita è letteralmente sparita dopo l’alluvione.

14. Ma soprattutto: dei 10 milioni stanziati per l’alluvione del 2010 a Sestri Ponente ben otto sono rimasti nelle casse della Regione invece di finire alla gente e ai commercianti.

Questi sono fatti.

Ps. Da mesi a Genova si parla di una mia possibile candidatura alla guida della Regione. Ma nessuno mi ha chiesto di candidarmi. Sono un giornalista del Fatto Quotidiano, che mi consente con assoluta libertà di esprimere le mie opinioni e di scrivere inchieste sul centrodestra di Scajola, l’Idv di Di Pietro, la Lega di Belsito. E, ovviamente, sul centrosinistra di Burlando. Credo che un giornalista possa svolgere un importante ruolo civile anche con la sua professione. Denunciando i mali della Liguria e indicando possibili nuove strade.

L’etica della bonifica dei Grossi nelle loro telefonate

soldi che servivano per la bonifica e la post-gestione della discarica sparivano in Lussemburgo. E finivano in auto di lusso, appartamenti e persino un castello da ristrutturareDopo gli arresti ordinati giovedì dalla Procura di Latina nei confronti di sei manager del gruppo Green Holding, colosso lombardo dello smaltimento rifiuti, accusati di peculato per aver sottratto 34 milioni di euro destinati alle bonifiche della discarica Indeco di Borgo Montello, dalle intercettazioni dell’inchiesta della squadra mobile di Latina emergono gli interessi dei “signori dei rifiuti”. I manager di Green Holding – tra cui Andrea Grossi, figlio di Giuseppe, il “re delle bonifiche” lombardo coinvolto nell’affare Montecity-Santa Giulia – parlano di appartamenti, ristrutturazioni al castello di Brignano Gera d’Adda a Bergamo acquistato dalla holding di Segrate, auto sportive da 450mila euro da immatricolare in Polonia e progetti di “impiantini” da realizzare di fronte all’Ilva di Taranto. In esclusiva ecco le intercettazioni dell’indagine “Evergreen” dei pm Nunzia D’Elia e Luigia Spinellidella Procura di Latina.

La Lamborghini con targa polacca e il castello

Parlano Andrea Grossi e Vincenzo Cimini, amministratore del gruppo. Il giudice annota che “in altre conversazioni Andrea Grossi riferiva che stava provando un’autovettura sportiva da 450mila euro, paragonabile alla Lamborghini”. Inoltre, la Green Holding è “proprietaria di un castello a Brignano Gera d’Adda in provincia di Bergamo, acquistato da Giuseppe Grossi padre di Andrea”.

Telefonata del 20 giugno 2014

Andrea Grossi: Va bene, va bene, buono, buono, buono…no ma quei soldi lì quella macchina lì non li vale mica! Adesso, sarà quello che vuoi ma è…è…
Vincenzo Cimini: Loro han detto, infatti gli ho detto: cazzo, invece…no perché questa c’ha la…come si dice la nuova scocca, anche la piattaforma, come si chiama…il pianale
Andrea Grossi: Mhm…ho capito! Boh non te lo so dire…va beh
Vincenzo Cimini: Normalmente 235 km/h…cioè ‘sta versione qua che ci abbiamo in mano sì, ma secondo me va supportata con la Lamborghini
Andrea Grossi: Eh ma ci fanno anche un buono sconto su quella macchina lì eh…
Vincenzo Cimini: Sì infatti mi hanno dato il listino, poi te lo devo dare (…)
Andrea Grossi: Ok, ok va beh adesso vediamo dai, facciamo adesso…Provala, poi vediamo la prendiamo in Polonia…con la targa polacca
Vincenzo Cimini: Infatti…va bene dai
Andrea Grossi: Che non prendiamo manco i tutor e le multe dai…
Vincenzo Cimini: Cazzo…
Andrea Grossi: Mh mh mh…
Vincenzo Cimini: Eh è bella sta cosa dai!
Andrea Grossi: Michia! Figa Enzo più di così che cazzo bisogna fare…non lo so io, eh?
Vincenzo Cimini: Sì
Andrea Grossi: O sbaglio?
Vincenzo Cimini: Sì, sì, sì, dobbiamo mettere a posto il castello, poi veramente fanculo ci prendiamo una settimana, non un giorno

“Ho già in mente il business: un impiantino davanti all’Ilva”
Andrea Grossi e la madre (non indagata) parlano al telefono il 20 giugno 2014, dopo aver concluso positivamente le operazioni finanziarie con le società lussemburghesi.

Andrea Grossi: Michia, da Dio! Ti ho tenuto anche un appartamentino bello fresco a Margara!
La madre: (Ride)…bene, bene dai…
Andrea Grossi: Figa ragazzi…che c’ho già il business! Mi è già venuto in mente! Per fare un impiantino di selezione, e poi di fronte all’Ilva! e poi…così monetizziamo perché è nostro, lo vendiamo, così! E poi col tempo, quando incassiamo le nostre partite lo vendiamo alla società (…) e poi…un bell’appartamentino a Margara che teniamo, uno tanto si può anche permettersi di tenerlo!
La madre: Ma sì, no, lo facciamo…lo affittiamo!
Andrea Grossi: Sì, sì, lo affittiamo! Lo teniamo e lo affittiamo!
La madre: Lo affittiamo! …No?
Andrea Grossi: Sì, sì! Da Dio no!
La madre: Perfetto! Perfetto, lo affittiamo così intanto paghi l’Imu
Andrea Grossi: In tre anni glieli diamo, non ci accorgiamo…

Del progetto dell’impianto vicino all’Ilva di Taranto Andrea Grossi parla il giorno successivo anche in un’altra conversazione con Stefano Lazzari, del cda di Indeco.

Andrea Grossi: E in più mi son portato a casa il 100% della Riccia (…) dove voglio far qualcosa di fronte all’Ilva, che è un terreno che avevamo dove c’era la Smari…ed un appartamento a Margara!
Stefano Lazzari: Sei un grande! Sei un grande!!
Andrea Grossi: E perché solo mercato figa, sono un mercante!

La “puzza energetica”
Parlano Andrea Grossi e Vincenzo Cimini, amministratori di Green Holding.

Andrea Grossi: Ma che cazzo te ne fai! Ti devi vendere Margara per pagare il mutuo di Parre, poi ti rimene l’immobile a Parre, che cazzo ne fai…?
Vincenzo Cimini: Un cazzo! Devi vendere quello! …
Andrea Grossi: Eh! E chi te lo compra!
Vincenzo Cimini: Mica è così semplice! Infatti! Quello lo devi svendere di brutto…infatti…va beh, tanto mo’ l’accordo lo devono ancora…scrivere…
Andrea Grossi: Ne hai parlato di Matera?
Vincenzo Cimini: (…) la tecnologia di Matera non c’entra niente con quella sua! Là è un’estrazione…dalle due masse, quindi c’è una puzza energetica, là fa il biodiesel allora (incomprensibile e ride) sembrare un ignorante, però…
Andrea Grossi: Come va la macchina, spinge?
Vincenzo Cimini: L’ho tenuta in città…

Indeco, la discarica “fattura un milione e mezzo al mese”
Telefonata tra Andrea Grossi e Vincenzo Cimini, amministratori di Green Holding.

Andrea Grossi: E poi considera che hai delle aziende che comunque, se quando tu hai finito quella cosa del Comune ecc. ecc…già Indeco ti accumula un milione, un milione e mezzo di liquidità tutti i mesi, ho visto se li metti insieme…
Vincenzo Cimini: Adesso lunedì pomeriggio Andrea sono già al tavolo tecnico in Regione eh…proprio buono quel canale lì c’è il responsabile dell’area…dell’assessorato (…)

L’ampliamento del bacino denominato S8 della discarica Indeco di Borgo Montello, secondo il giudice, “è perseguito al fine di ottenere nuove risorse finanziarie derivanti dai nuovi invasi e colmare in tal modo le lacune dei milioni di euro post-mortem non accantonati e distratti nel corso degli anni (…) Nella conversazione che segue Grossi Andrea, commentando l’apertura di un nuovo invaso, fa comprendere che la nuova realizzazione serve anche a sistemare il post-mortem pregresso”. Telefonata del 20 giugno 2014 tra Andrea Grossi e Antonio Romei, del cda di Indeco.

Andrea Grossi: Ok, ok, ok…lì cosa dovremmo fare di fatturato?
Antonio Romei: Eh lì di fatturato faccia conto se sono 50mila tonnellate l’anno che si prevede di smaltire…son fra i tre, tre milioni e mezzo…
Andrea Grossi: Va bene, va bene, va bene…
Antonio Romei: E che quindi…durerà cinque anni, cinque o sei anni, e…però ci mettiamo a posto tutto il post-mortem
Andrea Grossi: Va bene, va bene, va bene…così almeno pure lì, sistemiamo…
Antonio Romei: Ah, ho cominciato a intermediare su Busto, infatti un po’ di rifiuti di Napoli vanno a Busto Arsizio.

(fonte)

‘Ndrangheta in Val d’Aosta

Cinque condanne nel processo a Torino sull’inchiesta Hybris. Il giudice ha inflitto: 8 anni e 4 mesi di carcere a Claudio Taccone (46), 13 anni e 6 mesi al figlio Ferdinando (22), 8 anni, 7 mesi e 10 giorni all’altro figlio Vincenzo – di Saint-Marcel (Aosta) -, 8 anni e 2 mesi a Domenico Mammoliti (27) e 3 anni a Santo Mammoliti (40), di Aosta. Contestati a vario titolo i reati di tentata estorsione, danneggiamento, rapina, tentato omicidio e lesioni, con l’aggravante del metodo mafioso.

'NDRANGHETA: ARRESTATI 4 ESPONENTI DEI PESCE DI ROSARNO

Bobo Maroni premia il manager inquisito

Io non riesco ad immaginare un abbassamento dell’etica peggiore di questo tempo lombardo:

La Regione Lombardia ha assegnato il premio di risultato nella sanità, tra gli altri, a Paolo Moroni, direttore dell’ospedale Melegnano e coinvolto in un’indagine giudiziaria.
Il caso era scoppiato lo scorso maggio, quando i vertici dell’azienda ospedaliera di Melegnano erano stati coinvolti in un’inchiesta relativa ad Expo 2015 e a presunti reati di corruzione nel settore delle forniture sanitarie. A seguito della vicenda il manager era stato sospeso.
La cifra del premio è superiore ai 25mila euro.

(fonte)

Buongiorno maestro: insegna il sindaco del comune sciolto per mafia

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Aldredo Celeste incontra una straordinaria personalità dell’intellighenzia politica lombarda.

Di Alfredo Celeste mi è capitato spesso di scriverne. Ne ha scritto benissimo (e continua a farlo) la brava Esther Castano che insieme ad Ersilio Mattioni (autore dell’articolo per L’Espresso che riporto qui sotto) l’ha marcato ad uomo ricevendone spesso insulti e reazioni scomposte (oltre a sconvenienti avvisi di vigili esageratamente ligi). Ora il buon Celeste continua tranquillamente ad insegnare presso il liceo europeo di Arconate e ovviamente qualcuno storce il naso. Più di qualcuno. Curia esclusa. E allora si ripropone il vecchio dovere dell’opportunità che in questo Paese (profondo nord incluso) sembra così difficile da esercitare. Leggere per credere:

Lo scontro è impari, una piccola scuola di provincia contro la Curia di Milano. Il motivo è assai serio: la nomina a insegnante di religione di Alfredo Celeste, l’ex sindaco del primo comune in Lombardia sciolto per mafia. Che oggi è imputato per corruzione in un processo sui rapporti tra la politica e la ‘ndrangheta ed è sottoposto alla richiesta di “sorveglianza speciale per tre anni con obbligo di soggiorno, in quanto soggetto socialmente pericoloso”, misura voluta dalla Direzione distrettuale antimafia. Tutto questo perché Celeste ha per anni frequentato persone accusate di appartenenza o vicinanza con i clan calabresi.

Una brutta tegola sulla testa di Ermanno Puricelli, preside del liceo europeo di Arconate, comune di 6 mila abitanti in provincia di Milano. Che reagisce: “La scuola è stata messa in una situazione inaccettabile. Qui c’è un problema di grande rilievo: non si tratta di una lite di condominio, ma del primo comune lombardo sciolto per infiltrazioni mafiose. La Curia torni sui suoi passi. C’è un confine culturale che merita di essere presidiato: Insegniamo la legalità, ai nostri studenti dobbiamo garantire docenti che siamo al di sopra di ogni sospetto. Nel caso del professor Celeste questa condizione non è data”.

Il primo round, però, è stato vinto dell’imputato. La Curia ha fatto orecchie da mercante e il professore è già tornato in classe, fra l’imbarazzo di studenti e genitori, “perché i fatti contestati – spiega il preside Puricelli – non sono accaduti su Marte, bensì nel nostro territorio, a Sedriano, a pochi passi da qui. Mandare Celeste in questa scuola è stato un errore evidente”. Alla diocesi di Milano, invece, sembrano cadere dalle nuvole e l’ufficio comunicazioni sociali rende un’unica stringata dichiarazione: “Stiamo raccogliendo informazioni a proposito di quanto ci segnale. Vi contatteremo presto. Cordiali saluti”. Eppure la presidenza del liceo aveva già messo tutto nero su bianco, inviando alla Curia una lettera dai toni netti e ipotizzando per il docente l’incompatibilità ambientale: “Abbiamo espresso il nostro disagio, ricordando la vicenda e la storia di questo insegnante. Dalle informazioni finora disponibili e dalle prove raccolte è chiaro che stiamo mandando in classe una persona non totalmente credibile. Abbiamo interpellato la Curia già due volte. Attendiamo risposte”.

E’ difficile pensare che la diocesi sia all’oscuro di tutto. Il 10 ottobre 2012, quando Celeste fu arresto nell’ambito dell’inchiesta sui rapporti politica-mafia, la Curia lo sospese dall’insegnamento. Ma se all’epoca il professore era un semplice indagato, ora è un imputato, gli sono piovuti addosso altri due procedimenti giudiziari e il ‘suo’ comune, il 16 ottobre 2013, è stato sciolto per mafia.

Come se non bastasse, settimana scorsa, il capo del settore finanziario di Sedriano, Albertina Grassi, ha reso in tribunale a Milano (nell’ambito del procedimento sulla richiesta di sorveglianza speciale) una testimonianza importante sulle pressioni ricevute dall’ex sindaco per favorire un imprenditore locale attivo nel campo dei vivai, la cui azienda navigava in cattive acque avendo contratto ingenti debiti sia con il comune sia con l’erario. Si tratta di Aldo De Lorenzis, imparentato con i Musitano, definiti dai magistrati di Milano “una famiglia mafiosa dominante nei comuni dell’hinterland”.

Celeste, tra il 2009 e il 2012, ha intrattenuto rapporti amichevoli con altre due persone sospettate di vicinanza alla ‘ndrangheta. Uno è Eugenio Costantino (la cui giovane figlia, Teresa, fu consigliere Pdl a Sedriano), in carcere con l’accusa di essere un ‘boss’ della mafia calabrese: avrebbe procurato 4 mila voti all’ex assessore regionale Domenico Zambetti al prezzo di 200 mila euro. Per Costantino – che fu ‘reclutato’ nel servizio d’ordine a tutela di Nicole Minetti, invitata dall’ex sindaco come “madrina della creatività femminile” – Celeste organizzò pure una festa di compleanno, affittando un salone dell’oratorio. L’altro è Marco Scalambra, chirurgo della Humanitas e marito dell’ex capogruppo Pdl a Sedriano, accusato di essere stato il collettore di voti per le cosche alle elezioni comunali di Rho nel 2011, arrestato e adesso imputato a piede libero. Famoso un suo sms, inviato a un candidato: “Fammi sapere entro domani se ti interessano i voti delle lobby calabresi”.

Celeste, nel frattempo, ostenta sicurezza: ha liquidato con un’alzata di spalle i timori del preside del liceo, ha fatto ricorso al Tar del Lazio contro lo scioglimento per mafia di Sedriano e si gode i tempi lunghi dei tribunali italiani. A causa di un errore tecnico in un capo d’imputazione il suo processo più delicato, quello per corruzione, non è ancora cominciato a due anni dall’arresto.

La sentenza di primo grado appare lontana, mentre la prescrizione (ridotta a sette anni e mezzo da una legge del governo Berlusconi nel 2005) è un’ipotesi plausibile. Non contento, Celeste annuncia la sua ricandidatura a sindaco. Dopo la spaccatura del Pdl ha scelto di stare con Silvio. Dice di provare “vergogna per la giustizia” e di confidare “solo nel buon Dio”.

Adesso aspetta il via libera di Forza Italia, anche se Mariastella Gelmini, coordinatrice dei berlusconiani in terra lombarda, ignora chi sia: “L’ex sindaco di Sedriano? E chi è?” Poi, fatta mente locale, chiosa: “Non è un problema nostro, Celeste è esponente del Nuovo Centrodestra, vicino al consigliere regionale Alessandro Colucci”. Peccato che il professore di religione prestato alla politica abbia aperto, qualche mese fa, un club ‘Forza Silvio’. I conti non tornano.

Hanno scelto l’ignoranza

Scienziati di diversi paesi europei descrivono in questa lettera che, nonostante una marcata eterogeneità nella situazione della ricerca scientifica nei rispettivi paesi, ci sono forti somiglianze nelle politiche distruttive che vengono seguite. Quest’analisi critica, pubblicata contemporaneamente in diversi quotidiani in Europa, vuole suonare un campanello d’allarme per i responsabili politici perché correggano la rotta, e per i ricercatori e i cittadini perché si attivino per difendere il ruolo essenziale della scienza nella società.

I responsabili delle politiche nazionali di un numero crescente di Stati membri dell’UE hanno completamente perso contatto con la reale situazione della ricerca scientifica in Europa.

Hanno scelto di ignorare il contributo decisivo che un forte settore della ricerca può dare all’economia, contributo particolarmente necessario nei paesi più duramente colpiti dalla crisi economica. Al contrario, essi hanno imposto rilevanti tagli di bilancio alla spesa per Ricerca e Sviluppo (R&S), rendendo questi paesi più vulnerabili nel medio e lungo termine a future crisi economiche. Tutto ciò è accaduto sotto lo sguardo compiacente delle istituzioni europee, più preoccupate del rispetto delle misure di austerità da parte degli Stati membri che del mantenimento e del miglioramento di un’infrastruttura di R&S, che possa servire a trasformare il modello produttivo esistente in uno, più robusto, basato sulla produzione di conoscenza.

Hanno scelto di ignorare che la ricerca non segue cicli politici; che a lungo termine, l’investimento sostenibile in R&S è fondamentale perché la scienza è una gara sulla lunga distanza; che alcuni dei suoi frutti potrebbero essere raccolti ora, ma altri possono richiedere generazioni per maturare; che, se non seminiamo oggi, i nostri figli non potranno avere gli strumenti per affrontare le sfide di domani. Invece, hanno seguito politiche cicliche d’investimento in R&S con un unico obiettivo in mente: abbassare il deficit annuo a un valore artificiosamente imposto dalle istituzioni europee e finanziarie, ignorando completamente i devastanti effetti che queste politiche stanno avendo sulla scienza e sul potenziale d’innovazione dei singoli Stati membri e di tutta l’Europa.

Hanno scelto di ignorare che l’investimento pubblico in R&S è un attrattore d’investimenti privati; che in uno “Stato innovatore” come gli Stati Uniti più della metà della crescita economica è avvenuta grazie all’innovazione, che ha radici nella ricerca di base finanziata dal governo federale. Invece, essi mantengono l’irrealistica aspettativa che l’aumento della spesa in R&S necessaria per raggiungere l’obiettivo della Strategia di Lisbona del 3% del PIL sarà raggiunto grazie al solo settore privato, mentre l’investimento pubblico in R&S viene ridotto. Una scelta in netto contrasto con il significativo calo del numero di aziende innovative in alcuni di questi paesi e con la prevalenza di aziende a dimensione familiare, tra le piccole e medie imprese, con senza alcuna capacità d’innovazione.

Hanno scelto di ignorare il tempo e le risorse necessarie per formare ricercatori. Al contrario, facendosi schermo della direttiva europea mirante la riduzione del personale nel settore pubblico, hanno imposto agli istituti di ricerca e alle università pubbliche drastici tagli nel reclutamento che, insieme alla mancanza di opportunità nel settore privato, stanno innescando una “fuga di cervelli” dal Sud al Nord dell’Europa e al di fuori del continente stesso. Questo si traduce in un’irreversibile perdita d’investimenti e aggrava il divario in R&S tra gli Stati membri. Scoraggiati dalla mancanza di opportunità e dall’incertezza derivante dalla concatenazione di contratti a breve termine, molti scienziati stanno pensando di abbandonare la ricerca, incamminandosi lungo quella che, per sua natura, è una via senza ritorno. Invece di diminuire il deficit, questo esodo contribuisce a crearne uno nuovo: un deficit nella tecnologia, nell’innovazione e nella scoperta scientifica a livello europeo.

Hanno scelto di ignorare che la ricerca applicata non è altro che l’applicazione della ricerca di base e non è limitata a quelle ricerche con un impatto di mercato a breve termine, come alcuni politici sembrano credere. Invece, a livello nazionale ed europeo c’è una forte pressione per concentrarsi sui prodotti commercializzabili che non sono altro che i frutti che pendono dai rami più bassi dell’ intricato albero della ricerca: anche se alcuni dei suoi semi possono germinare in nuove scoperte fondamentali, affossando la ricerca di base si stanno lentamente uccidendone le radici.

Hanno scelto di ignorare come funziona il processo scientifico; che la ricerca richiede sperimentazione e che non tutti gli esperimenti avranno successo; che l’eccellenza è la punta di un iceberg che galleggia solo grazie alla gran massa di ghiaccio sommerso. Invece, la politica scientifica a livello nazionale ed europeo si è spostata verso il finanziamento di un numero sempre più limitato di gruppi di ricerca ben affermati, rendendo impossibile la diversificazione di cui avremmo bisogno per affrontare le sfide della società di domani. Inoltre, questo approccio basato sull’eccellenza sta aumentando il divario nella R&S tra gli Stati membri, poiché un piccolo numero di istituti di ricerca ben finanziati sta sistematicamente reclutando questo piccolo e selezionato gruppo di vincitori di finanziamenti.

Hanno scelto di ignorare la sinergia critica tra ricerca e istruzione. Anzi, hanno reciso il finanziamento della ricerca per le università pubbliche, abbassandone la qualità complessiva e minacciandone il ruolo di soggetti atti a favorire lo sviluppo di pari opportunità. E soprattutto, hanno scelto di ignorare il fatto che la ricerca non ha solo il compito di essere funzionale all’economia, ma anche di incrementare la conoscenza e il benessere sociale, anche per coloro che non hanno le risorse per pagarlo.

Hanno scelto di ignorare tutto questo, ma noi siamo determinati a ricordarglielo perché la loro ignoranza può costare il nostro futuro. Come ricercatori e come cittadini, formiamo una rete internazionale per promuovere lo scambio d’informazioni e di proposte. Ci stiamo impegnando in una serie d’iniziative a livello nazionale ed europeo per opporci fermamente alla distruzione sistematica delle infrastrutture di R&S nazionali e per contribuire alla costruzione di un’Europa sociale costruita dal basso. Sollecitiamo gli scienziati e tutti i cittadini a difendere questa posizione con noi. Non c’è altra possibilità. Lo dobbiamo ai nostri figli, e ai figli dei nostri figli.

Amaya Moro-Martín, Astrophysicist; Space Telescope Science Institute, Baltimore (USA); EuroScience, Strasbourg; spokesperson of Investigación Digna (for Spain).
Gilles Mirambeau, HIV virologist; Sorbonne Universités, UPMC Univ. Paris VI (France); IDIBAPS, Barcelona (Spain); EuroScience Strasbourg.
Rosario Mauritti, Sociologist; ISCTE, CIES-IUL, Lisbon (Portugal).
Sebastian Raupach, Physicist; initiator of “Perspektive statt Befristung” (Germany).
Jennifer Rohn, Cell biologist; Division of Medicine, University College London, London (UK); Chair of Science is Vital.
Francesco Sylos Labini, Physicist; Enrico Fermi Center, Institute for Complex Systems (ISC-CNR), Rome (Italy); editor of Roars.it.
Varvara Trachana, Cell biologist; Faculty of Medicine, School of Health Sciences, University of Thessaly, Larissa (Greece).
Alain Trautmann, Cancer immunologist; CNRS, Institut Cochin, Paris (France); former spokesman of “Sauvons la Recherche”.
Patrick Lemaire, Embryologist; CNRS, Centre de Recherche de Biochimie Macromoléculaire, Universités of Montpellier; initiator and spokesman of “Sciences en Marche” (France).Disclaimer: The views expressed by the signatories are not necessarily those of their employers.

Potete firmare qui.

Il rumore là fuori

1393775838_TECH_rumoreRispondendo ad un utente sulla propria pagina Facebook Bono degli U2 parlando della promozione del loro ultimo disco ha scritto: “c’è un sacco di rumore là fuori. Penso che sia necessario fare un po’ di casino per superarlo”. Sto scrivendo L’amico degli eroi, lo spettacolo e libro sulla vicenda inumana di Marcello dell’Utri e i suoi poco onorevoli compari di vita e sono rimasto incastrato dal silenzio qui dentro e anch’io dal rumore là fuori. Dopo lo spettacolo su Giulio Andreotti ho avuto grandi difficoltà a scrivere e produrre, non lo nascondo, per motivi che probabilmente non mi sono ancora del tutto chiari: mettici la paura, la stanchezza, mettici la malattia nera che hai sempre il sospetto di non avere superato del tutto e mettici l’indolenza che mi ha lasciato addosso. Abbiamo inventato qualcosa, sì, messo in scena giullarate, scritto articoli ma tutti questi ultimi anni si sono svolti con una dinamica granulosa e molle che ha perso la spinta dei primi anni di produzione. Con poca speranza, forse, principalmente faticando ad accendere quella vecchia energia. Ecco: il “rumore là fuori” comincia a farti paura quando hai paura di avere perso quell’equilibrio che avevi, ti salvava e non hai mai capito bene come ricrearlo quasi se ti fosse arrivato sempre un po’ per caso oppure perché non ci hai dedicato abbastanza tempo per carpirne gli ingredienti. Solo un pensiero. Tutto qui. Torno a scrivere, eh.

Expo e il canale di scolo

Il sogno delle vie d’acqua di Milano per attraversare in barca la città come ai tempi di Leonardo è quasi naufragato. A mettere la parola fine gli arresti domicilari di Antonio Acerbo, che nei giorni scorsi si era dimesso da sub-commissario e da responsabile del Padiglione Italia dell’Expo. Un provvedimento firmato dal giudice Fabio Antezza che ipotizza i reati di corruzione e turbativa d’asta nell’appalto per le Vie d’Acqua.

E sul contestato progetto è intervenuto anche Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anti corruzione. Il commissariamento dell’appalto appare «assai probabile», dice Cantone, che ha acquisito l’ordinanza di custodia cautelare firmata dai pm milanesi. La certezza sull’appalto «si avrà solo dopo attenta lettura dell’ordinanza», spiega l’ex magistrato, che giovedì prossimo sarà nella sede Expo per la consueta riunione con i vertici della società.

L’APPALTO IN CAMBIO DI CONTRATTI

Da quanto emerge dal provvedimento, i pm Claudio Gittardi e Antonio D’Alessio ipotizzano che Acerbo abbia favorito l’Ati, associazione temporanea di imprese capeggiata dalla società vicentina Maltauro, nella gara relativa al progetto per collegare il centro di Milano al sito espositivo di Rho. In cambio, secondo la Procura avrebbe ottenuto due contratti per il figlio Livio Acerbo, socio di alcune società di consulenza nel campo informatico.

Sotto la lente di ingrandimento degli inquirenti un contratto da 36 mila euro, pagato nell’aprile 2012 dall’imprenditore Enrico Maltauro, legato al piano di riqualificazione, voluto dalla giunta Moratti, dell’area ex Scuderie De Montel di proprietà del Comune in zona San Siro. Un secondo contratto, solo «promesso», non è mai andato in porto.

Si tratta dell’ennesimo capitolo nella saga “appalti&corruzione”, emersa a margine dei lavori per l’Esposizione universale, che coinvolge l’imprenditore Enrico Maltauro. La sua impresa si è aggiudicata la costruzione dei padiglioni di servizio e, soprattutto, il canale navigabile per 42 milioni di euro. Tutte opere finite al centro delle ricostruzioni della Procura di Milano.

IL TRAVAGLIATO PROGETTO

Le vie d’acqua, presentata per aggiudicarsi la kermesse internazionale è, fin da subito, una storia travagliata.
Un’idea ambiziosa lanciata in pompa magna come cardine del dossier che ha sbaragliato la concorrenza della sfidante turca, la città di Smirne.

Era novembre 2010 e la metropoli lombarda formato Amsterdam sembrava un sogno ad occhi aperti.
Per l’esposizione è necessario un canale navigabile neo leonardesco che porta acqua dai padiglioni di Rho al vecchio porto della Darsena, nel cuore di Milano.

Abbandonato ben presto il sogno di arrivare in barca fino in centro, ecco che il progetto si trasforma in poco più di un torrente: prendere l’acqua direttamente dal canale Villoresi, nella pianura a Nord della metropoli, passare dai nuovi padiglioni e arrivare fino al Naviglio Grande.

Lo scopo? Alimentare la coreografia dell’esposizione, a partire dal lago costruito su misura, e realizzare ex novo un canale di 20 chilometri per «ricucire il legame storico di Milano con l’acqua», spiegano gli organizzatori, e allo stesso tempo portare acqua pulita per alimentare le coltivazioni della campagna.

La portata è minima – 2 metri cubi al secondo – e la larghezza massima arriva a nove metri tra sponde in erba e cemento con tanto di percorso pedonale.

Passando dai quartieri della zona Nord Ovest il canale stravolge con i tagli di centinaia di alberi le aree verdi del Parco delle Cave, Trenno, Boscoincittà. Per questo gli operai della Maltauro quando arrivano nei parchi, lo scorso dicembre, vengono bloccati e il progetto si ferma per trovare una soluzione a ridotto impatto ambientale.

Dopo un braccio di ferro con il Comune e con i tempi ristretti si è passati al piano B: fino a giugno l’acqua che alimenta il lago e i fossati artificiali intorno ai padiglioni finirà direttamente nel fiume Olona. Poi ci sarà una deviazione interrata. Ora con il progetto su un binario morto le vie d’acqua si sono trasformate in un misero canale di scolo.