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Giulio Cavalli

Nulla è definitivo, tranne l’azzardo

Il mafioso mondo delle slot, sempre indisturbato:

Ma anche qui la partita resta apertissima: nel luglio 2013, mentre era ancora latitante, Francesco Corallo riuscì a far annullare il suo arresto in Cassazione perchè erano spariti gli audio delle sue intercettazioni, rubate da ignoti nel tribunale di Milano. Dopo di che la “nuova” Bpm ha azzerato a sorpresa l’accusa che lo univa all’ex banchiere Massimo Ponzellini, ritirando la querela per la loro “corruzione tra privati”: e così le tangenti pagate dal re delle slot proprio per farsi prestare i 148 milioni necessari a salvare la sua concessione, sono già diventate «non punibili». Forse ha ragione Corallo: in Italia nulla è definitivo, tranne l’azzardo.

La notizia intera è qui.

Vicino a Giorgio

Laggiù dove il Paese non cambia:

E’ il terzo atto intimidatorio contro Giorgio Grimaldi (Sel), il sindaco di San Giorgio ionico, centro a quindici chilometri da Taranto. Durante la notte ignoti hanno dato fuoco ad alcuni pneumatici posti davanti alla porta d’ingresso della sua abitazione e al garage. Le fiamme hanno provocato pochi danni, pareti e marciapiedi anneriti, ammaccature agli infissi e al portone.

Già lo scorso anno venne appiccato il fuoco al portone d’ingresso dell’abitazione di Grimaldi incendiando uno pneumatico. Le fiamme danneggiarono gli infissi e l’ingresso della casa. E ancora l’anno precedente, nel 2012, Grimaldi aveva subito un analogo attentato incendiario.

Sull’accaduto, che segue i precedenti episodi del febbraio 2012 e dell’ottobre dell’anno scorso, indagano i carabinieri della locale stazione. Attenzione puntata sull’attività amministrativa del sindaco che, con cadenza annuale, diventa l’obiettivo di intimidazioni.

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EXPO e non se ne sono nemmeno accorti

Cominciano ad arrivare i turisti, eh:

Al grande evento mancano meno di 31 settimane e ad ascoltare i più importanti albergatori di Milano e dintorni, «nulla si muove». Prenotazioni? Pochissime. Ottanta stanze di qua, meno di là, un flop le prevendite online…

(fonte)

Quel pasticciaccio brutto delle Province

Zitti zitti, sotto sotto, piano piano sono passate le elezioni provinciali. Elezioni finte di province che non sono mai state dismesse. Elezioni al cubo in cui eleggono solo gli eletti e i cittadini nemmeno se ne sono accorti. Quando dicevamo che questa riforma delle province avrebbe semplicemente facilitato i nuovi grumi evidentemente siamo stati realisti, piuttosto che gufi ma l’aspetto peggiore è la faccia dei grumi: grandi alleanze che mettono insieme i soliti noti che governano l’Italia e che fingono di essere avversari solo durante le proprie feste di partito. Basta leggere articoli come questo per rendersi conto che le larghe intese sono un chiaro progetto politico che sta ricadendo a cascata anche nelle elezioni locali. Non che ci stupisca, eh, ma almeno per prenderne atto e smetterla di pensare che le discussioni sull’articolo 18 siano solo feticci dei conservatori: qui ora c’è un grande partito che simula centrosinistra e agisce da centrocentro. Come quelli di Giulio Belzebù. Identici.

Il Grande Suggeritore dovrà deporre

E quindi niente: alla fine il Capo dello Stato Giorgio Napolitano dovrà deporre al processo Stato-mafia, lasciandoci il dubbio che qualche altro Presidente l’avrebbe fatto “sua sponte” e decisamente più spedito. E dovrà spiegare alla Corte (ma credo anche a noi) come è successo che così troppa gente così troppo in alto sia sia preoccupata al limite del lecito e sicuramente oltre la ragionevolezza per rassicurare il senatore Mancino e altri.

A proposito: sulla “trattativa” ho avuto il piacere di scrivere un breve pezzo teatrale per la prossima uscita de I Quaderni de l’ORA. Vi tengo informati.

Sabato e domenica: Modena e Faenza

Questo sabato sarò a Modena per partecipare alla serata organizzata da Gruppo delle Agende Rosse “Mauro Rostagno” Modena e Reggio Emilia, in collaborazione con il M5s: conferenza “il coraggio della verità'” – il processo sulla trattativa stato-mafia. Presso Sala degli Ulivi in Via Ciro Menotti dalle 21.

Domenica mi onoro di ritirare il Premio Cultura contro le mafie a Faenza, Teatro Masini ore 14 durante il Mei (Meeting delle Etichette Indipendenti) si terrà il Premio Cultura Contro le Mafie dell’ associazione Arci Ponti di Memoria. Il programma completo sul sito www.meiweb.it.

L’usura a Brescia

Quattordici arresti, di cui otto in carcere e sei ai domiciliari, dalle prime luci dell’alba in Lombardia. I carabinieri e la guardia di finanza di Brescia, coordinati dalla Procura, hanno sgominato un’associazione a delinquerededita a usura, truffa aggravata, ricettazione, riciclaggio, reimpiego di denaro di provenienza illecita, trasferimento fraudolento di valori, estorsione, porto e uso di armi clandestine. I militari hanno anche sequestrato case, società, auto e disponibilità finanziarie per un importo di oltre cinque milioni di euro.

Terrorizzavano gli imprenditori edili
Le indagini hanno permesso di ricostruire le attività della `banda´, composta da cittadini residenti per lo più in provincia di Brescia ma di origine calabrese e vicini ad ambienti di stampo mafioso. Ambienti normalmente dediti alla gestione di aziende del settore edile: carabinieri e finanzieri hanno documentato condotte usurarie ed estorsive ai danni di imprenditori edili lombardi che hanno consentito agli arrestati di accumulare ingenti disponibilità finanziarie. Gli indagati avevano la disponibilità di numerose armi da fuoco, utilizzate per la riscossione dei crediti. Appurato anche il sistematico ricorso ad atti intimidatori come danneggiamenti e esplosioni notturne di colpi di arma da fuoco all’indirizzo di uffici ed esercizi pubblici. Sono ancora numerose le perquisizioni in corso.

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L’edilizia ‘ndranghetista a Reggio Emilia

La Dia di Firenze e Bologna, insieme ai carabinieri di Reggio Emilia, ha sequestrato mercoledì mattina il patrimonio della famiglia di imprenditori edili Sarcone. Originari di Cutro, in provincia di Crotone, legati – secondo gli investigatori – alla cosca di ‘ndrangheta Grande Aracri, i fratelli Sarcone hanno investito da tempo nella zona di Reggio Emilia, attraverso la holding Sarcone Group, attiva nel campo delle costruzioni.

Complessivamente la Dia ha posto sotto sequestro preventivo, su disposizione del Tribunale di Reggio Emilia, un patrimonio di 5 milioni di euro, tra conti correnti, quote societarie e immobili. Tanti sono gli elementi raccolti negli ultimi anni dai magistrati sulla vicinanza dei fratelli Sarcone con la cosca Grande Aracri. Giuseppe Grande Sarcone è stato segnalato dalla Dda di Bologna fin dal 1996. “Durante le indagini di quegli anni emersero numerosi contatti telefonici intercorsi con Grande Aracri Nìcolìno e altri sodali alla cosca”, ricorda il Tribunale di Reggio Emilia nel provvedimento di sequestro. Una vicinanza con il gruppo di ‘ndrangheta poi confermata con una condanna in primo grado. Anche recentemente l’imprenditore di Reggio Emilia è stato segnalato per “frequentazioni con soggetti gravati da pregiudizi di polizia e condanne”.

Il fratello Nicolino Sarcone è stato a sua volta condannato il 25 gennaio del 2013 a otto anni di reclusione per associazione mafiosa, a conclusione del processo nato dall’operazione “Scacco Matto”. Uscito dal carcere nel 2001, si era occupato di reperire risorse finanziarie per i detenuti legati ai gruppi di ‘ndrangheta, attraverso estorsioni e fatture emesse per operazioni inesistenti. Secondo i magistrati questo compito gli era stato affidato direttamente dalla moglie del capo cosca Grande Aracri.

Il terzo fratello Gianluigi Sarcone ha due precedenti per usura, estorsione, appropriazione indebita e riciclaggio. Per i magistrati negli anni scorsi ha investito nella azienda di famiglia Sarcia srl il ricavato proveniente da diverse truffe commesse ai danni di un’altra azienda di Siracusa.

Il quarto fratello, infine, Carmine Sarcone era già stato coinvolto da indagini dell’antimafia, che avevano documentato il suo rito di affiliazione ai Grande Aracri di Cutro. La Dia ha analizzato i redditi ufficiali dei quattro fratelli Sarcone, rilevano notevoli incongruenze patrimoniali. Durante le indagini gli investigatori hanno intercettato i tentativi di alcuni familiari dei fratelli Sarcone di far sparire una parte del patrimonio, con richieste alle banche di prelievi in contanti per diverse centinaia di migliai di euro e la vendita di alcuni titoli. Il sequestro ha colpito, oltre ai conti correnti, le quote societarie della New essetre srl, della Sarcia srl, della World House srl e della Terre Matildiche srl, tutte ditte operanti nel campo delle costruzioni nella zona di Reggio Emilia. Sono stati sequestrati anche diversi immobili in Emilia Romagna, Umbria e Calabria.

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“bisogno di investire sull’immagine di una campagna anti corruzione”

Ma cosa significa esattamente? Perché letta così, la frase di Matteo Renzi negli USA, suona anche abbastanza sinistra:

«Da parte nostra faremo di tutto per cambiare l’Italia: per renderlo un Paese più semplice, con un mercato del lavoro diverso, con una classe politica che sia dimagrita e di cui non vergognarsi. L’Italia ha bisogno di una rivoluzione sistematica su tutto: pubblica amministrazione, sistema politico; ha bisogno di investire sull’immagine di una campagna anti corruzione, ha bisogno di una giustizia civile con gli stessi tempi di Francia, Germania o Regno Unito. Ma perché questo accada c’è bisogno di un grande progetto di riforme».

(Matteo Renzi da IlSole24Ore)

Anche perché una soluzione bell’e pronta c’è già qui.

A Corleone il nuovo boss lavora per il Comune

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Totò Riina, il capo di Cosa nostra rinchiuso al 41 bis, poteva contare ancora su un gruppo di fedelissimi nella sua Corleone. Il più autorevole era l’insospettabile custode del campo sportivo, Antonino Di Marco, 58 anni: il suo ufficio di dipendente comunale era diventato un covo perfetto per i summit. Lì si discuteva di appalti, estorsioni e campagne elettorali. E nessuno sospettava che quella stanza fosse intercettata 24 ore su 24 da telecamere e microspie piazzate di nascosto dai carabinieri della Compagnia di Corleone. Così, per mesi, i fedelissimi di Riina sono finiti dentro un “grande fratello” che ha svelato molti dei loro segreti. E all’alba sei persone sono state arrestate sulla base di un provvedimento di fermo emesso dai pm della Direzione distrettuale antimafia di Palermo Sergio Demontis, Caterina Malagoli e dal procuratore reggente Leonardo Agueci.

Di Marco portava spesso al suo clan i saluti di Salvuccio Riina, il terzogenito del capo di Cosa nostra che adesso vive a Padova dopo aver finito di scontare una condanna. E impartiva lezioni di mafia: “Noi siamo una famiglia – ripeteva – C’è bisogno di serietà, educazione e rispetto”. Raccontava di quando, giovanissimo, aveva ricevuto un sonoro schiaffone da Bernardo Provenzano, per una parola fuori posto pronunciata durante un pranzo importante. “Mi ha insegnato che bisogna avere le braccia aperte a tutti”, così il dipendente comunale boss spiegava a chi voleva escludere in modo drastico dal clan alcuni mafiosi ritenuti non in linea con la maggioranza. Di Marco era davvero un fedelissimo di Riina: suo fratello Vincenzo aveva fatto da autista alla moglie del capo di Cosa nostra, Ninetta Bagarella, era stato ripreso con lei dalle telecamere del Ros pochi giorni prima del blitz del 15 gennaio 1993. “Noi dobbiamo essere con la gente, con chiunque”, predicava ancora Di Marco. E’ quasi uno slogan per la nuova Cosa nostra, disposta a mettere da parte vecchie regole e abitudini pur di tornare ad essere dentro la società e i palazzi che contano. Così, Di Marco aveva anche accettato che la figlia si fidanzasse con un sottufficiale dei carabinieri. Era più importante essere un insospettabile. Così, diceva il braccio destro del nuovo boss di Corleone: “La gente deve avere il dubbio, mai la certezza di chi comandi”.

Le intercettazioni dei carabinieri hanno svelato che l’ultimo ambasciatore di Totò Riina a Corleone aveva costituito una sorta di personalissimo feudo nel vicino comune di Palazzo Adriano. Faceva da supervisore al clan locale, perché in quel territorio Cosa nostra gestiva affari importanti. Appalti soprattutto, grazie alla complicità di funzionari collusi. Le microspie hanno fatto emergere anche il particolare attivismo dell’organizzazione mafiosa per l’elezione dell’attuale sindaco di Palazzo Adriano, Carmelo Cuccia. Di Marco è stato pedinato dagli investigatori mentre andava a Palermo per incontrare il primo cittadino. In auto, preparava il discorso: “Come in periodo di elezioni, come che sei sindaco, come che tu hai bisogno di qualunque cosa, però io ho bisogno pure di te”.

La procura distrettuale antimafia sostiene che il gruppo legato a Di Marco si sarebbe mosso anche per la campagna elettorale di un esponente dell’Udc, Nino Dina, attuale presidente della commissione Bilancio dell’Assemblea regionale siciliana. Un altro pedinamento ha ripreso Di Marco mentre entra nella segreteria politica del deputato, a Palermo.

L’insospettabile custode del campo sportivo di Corleone si atteggiava a grande tessitore di relazioni. Il suo ultimo affare è stato davvero una sorpresa per gli investigatori: il clan di Corleone gestiva alcuni terreni della Curia di Monreale, in contrada Tagliavia. Le intercettazioni dicono che era stato addirittura Salvatore Riina a concedere questo privilegio ai Di Marco, come ricompensa per i servizi resi.

“Siamo intervenuti registrando diverse pressioni sugli imprenditori locali – dice il tenente colonnello Pierluigi Solazzo, comandante del Gruppo Monreale – adesso ci auguriamo che gli operatori economici vessati possano collaborare, per ricostruire pienamente quanto accaduto”.

Con Di Marco sono stati arrestati Pietro Paolo Masaracchia (ritenuto il capomafia di Palazzo Adriano), Nicola Parrino, Franco e Pasqualino D’Ugo.

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