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Giulio Cavalli

IMU/TASI e la sinistra omeopatica con la chiesa

Le parole di Giovanni Paglia sono da sottoscrivere una per una:

«Una vergogna. Non ci sono altre parole per definire il decreto con cui il Governo definisce il regime IMU e TASI per le attività svolte in immobili della Chiesa cattolica. Esenzione totale per le cliniche convenzionate, in un paese in cui una convenzione non si nega a nessuno, indipendentemente dalle tariffe richieste.

Identico trattamento per le scuole private, a patto che le rette, al netto dei generosi contributi pubblici, non superino i 600 euro al mese. Sconti anche per le palestre, che naturalmente devono avere un trattamento diverso da quelle gestite da privati in immobili privati. Almeno abbiamo capito cosa si intende per no profit quando c’è di mezzo il Vaticano, alla faccia di trasparenza e uguaglianza delle condizioni.»

Per favore non scambiamo l’inzerbinamento per un cambiamento di verso. Almeno sulla questione Chiesa.

Ci si vede da Pippo al PolitiCamp 2014

Ci si vede a Livorno domenica 13 luglio. Il titolo della mattinata è “La sinistra possibile”. Appunto. Il sito è qui.

20140702_Programma_PoliticampPOLITICAMP 2014
Livorno 11, 12, 13 Luglio

PROGRAMMA

VENERDI, 11 LUGLIO 2014

ORE 18.00
La parità è possibile
Marina Terragni introduce:
Ilaria Bonaccorsi, Mercedes Lanzilotta, Filomena Gallo

ORE 20.00
Buff­et di autofinanziamento

ORE 21.00
La partecipazione è possibile
Andrea Fabozzi introduce:
Andrea Pertici, Elly Schlein, Vannino Chiti, Nadia Urbinati, Fabrizio Barca, Maurizio Landini

SABATO, 12 LUGLIO 2014

ORE 10.00 (Palco interno)
La cultura è possibile
Massimo Monaci introduce:
Tomaso Montanari, Maria Chiara Carrozza, Andrea Ranieri, Pietro Folena, Maria Grazia Rocchi

ORE 10.00 (Palco esterno)
Expo in ognuno di noi, Expo dappertutto
Mirko Tutino introduce:
Monica Frassoni, Francesco Vignarca, Vito Gulli, Paolo Gandolfi, Veronica Tentori,
Renata Briano, Paolo Sinigaglia, Simona Galli, Alberto Bencistà, Bengasi Battisti

ORE 13.00
Pranzo di autofinanziamento

ORE 14.30 (Palco interno)
Art. 49 e il partito delle possibilità
Stefano Catone introduce:
Beatrice Brignone, Paolo Cosseddu, Thomas Castangia, Gennaro Acampora, Luca Pastorino

ORE 14.30 (Palco esterno)
Legalità
Salvo Tesoriero introduce:
Lucrezia Ricchiuti, Davide Mattiello, Carla Rossi, Gabriele Guidi, Alessandro Capriccioli,
Nunzia Penelope, Marco Omizzolo, Beppe Guerini

ORE 17.30
Il Sud è possibile
Marco Sarracino, Elena Gentile, Anna Rita Lemma, Mimmo Talarico,
Mimmo Lo Polito, Fausto Melluso, Renato Natale

ORE 18.30
La politica economica del possibile (qui e ora)
Rita Castellani introduce:
Stefano Fassina, Filippo Taddei, Roberto Renò

L’economia del possibile (per i nostri pronipoti)
Carlo Clericetti introduce:
Ernesto Longobardi, Stefano Fassina, Filippo Taddei,

DOMENICA, 13 LUGLIO 2014

ORE 10.00
Il sindacato possibile
Manuele Bonaccorsi introduce:
Ilaria Lani, Francesco Sinopoli, Giuseppe Allegri

ORE 11.00
La sinistra possibile
Elisabetta Amalfitano introduce:
Marco Boschini, Alessandro Gilioli, Marco Furfaro, Gianni Cuperlo, Walter Tocci
Intermezzo di Stefano Bartezzaghi;
Claudio Riccio, Daniele Viotti, Giulio Cavalli
Giuseppe Civati

ORE 13.30
Pranzo finale di autofinanziamento

TAV: l’ovvio lo chiamavano controinformazione

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Provate per un secondo a pensare a tutti gli “antimafiosi” che vi vengono in mente che non siano magistrati o appartenenti alle forze dell’ordine: vi accorgerete che tutti, ma proprio tutti, sono stati bollati come visionari, strani, interessati alle donne, con qualche amante, in cerca di gloria, anarchici, complottisti, con molti punti oscuri. Tutti, da Impastato a Beppe Alfano a Rostagno a Pippo Fava e tutti gli altri. Ora pensate chiudendo gli occhi all’isolamento che si è voluto creare intorno a quelli che hanno provato a lanciare l’allarme delle infiltrazioni mafiose e TAV, e leggete queste righe di un articolo de L’Espresso:

Giovanni Toro, una delle figure centrali dell’indagine, entra nell’affare alta velocità grazie a Ferdinando Lazzaro, che aveva ottenuto in appalto dal committente Ltf-Lione Torino i lavori di preparazione del cantiere, dove si doveva svolgere lo scavo del mega tunnel tanto contestato dalla popolazione della Val di Susa. Inizialmente la ditta di Lazzaro si chiama Italcoge. Con questa ottiene la commessa. Poi però Italcoge fallisce. Ma «Lazzaro continuava di fatto a occuparsi del cantiere avvalendosi proprio di Toro», scrive il giudice delle indagini preliminare che ha firmato l’ordinanza.

L’imprenditore in pratica crea una nuova società, la Italcostruzioni, e prosegue senza problemi i lavori a Chiomonte: «Italcostruzioni acquisiva i mezzi, le autorizzazioni di legge nonché il subentro nel consorzio Valsusa», che raccoglie gran parte delle aziende impegnate nel grande appalto pubblico. Ma c’è di più. Lazzaro negli atti è indicato come uno degli interlocutori principali  di Rfi, Rete ferroviaria italiana, e Ltf. «Alcune conversazioni intercettate dimostravano sia l’influenza esercitata da Lazzaro in seno al consorzio Valsusa, che di fatto considerava di sua proprietà, sia il ruolo di unico interlocutore della committente Ltf», scrivono i magistrati. «Prendiamo tutto noi, Nando», si sente in una delle intercettazioni. E Lazzaro conferma: «Prendiamo tutto noi». Tra gennaio e marzo 2012 poi il titolare di Italcostruzioni cerca «di fare entrare Toro all’interno del Consorzio Valsusa».

Mentre Giovanni Toro però è indagato per concorso esterno con il clan crotonese, Lazzaro è soltanto inquisito per smaltimento illecito dei rifiuti di cantiere. Scarti, hanno assicurato gli inquirenti in conferenza stampa, che non c’entrano con il sito di Chiomonte. Ma su questo le verifiche dovranno continuare. Anche perché in un passaggio dell’ordinanza Toro fa riferimento a dei rifiuti da smaltire reimpiegandoli nei lavori Tav.

È stato Ferdinando Lazzaro quindi, secondo le indagini, a portare Toro nel cantiere più contestato d’Italia. Anche se a Toro mancavano le autorizzazioni. Infatti, Toro, agitato perché non sapeva da dove far passare i suoi camion, privi delle necessarie autorizzazioni, si sentiva rispondere da Lazzaro che per i permessi ci avrebbe pensato lui: «Lo faccio attraverso la Prefettura, gli dico che dobbiamo asfaltare, è urgente, che dobbiamo passare per forza da lì… mi devi mandare le targhe per email o per fax come vuoi». E, in altri dialoghi, a Toro viene chiesto di inviare in cantiere una «pala gommata».

L’imprenditore sotto inchiesta per connivenza con la ‘ndrangheta avrebbe parlato con un certo Elia di Ltf. «Toro riferiva di aver ricevuto da Elia la richiesta di posare 12 centimetri di asfalto poiché sarebbero stati effettuati dei controlli con i carotaggi». Questo è motivo di discussione tra Lazzaro e Toro in quanto i patti erano diversi. Lo strato di asfalto doveva essere di 8. Inoltre emerge dalla stessa telefonata che sul fondo erano stati stesi soltanto due centimetri di materiale e l’asfalto avrebbe avuto difficoltà ad aderire: «Tu speri che si attaccano 2 centimetri di fresato? Una bella minchia». Lazzaro però lo tranquillizza, rassicurandolo sul fatto che erano d’accordo con Elia che ne bastavano dieci di centimetri perché «i carotaggi sarebbero stati fatti solo nei punti dove c’era più materiale».

Dialoghi che mostrano l’interesse pieno di Toro nei lavori Tav. Il fatto che emerge, e che dovrebbe far riflettere sulla sicurezza del cantiere, è che gli investigatori non hanno trovato traccia di contratti registrati tra Toro, Italcostruzioni o Ltf. Il che vuol dire, secondo gli inquirenti, che l’azienda ha lavorato sotto gli occhi dei militari che presidiavano il sito senza un pezzo di carta che certificasse la sua presenza. Tra le oltre 900 pagine di ordinanza di custodia cautelare c’è anche un commento di Toro sulla qualità della posa dell’asfalto, secondo lui fatta «con modalità approssimative».

Toro punta anche su un altro imprenditore. Fabrizio Odetto. Anche lui pronto per lavorare a Chiomonte. La proposta è fargli utilizzare la sede della Toro come base operativa dell’azienda di Odetto, impegnata nel cantiere. L’imprenditore piemontese viene fermato però dagli arresti. Infatti nel 2013 è finito in carcere per altre vicende di droga ed estorsioni. Così finisce pure la sua esperienza valsusina.

Nelle carte dell’inchiesta ci sono altri riferimenti all’interesse della ‘ndrangheta per l’alta velocità. In Calabria, a San Mauro Marchiesato, madre patria della ‘ndrina finita sotto indagine, vengono registrate numerose riunioni e incontri preparatori per tuffarsi nella grande torta Tav. La ‘ndrangheta vuole correre veloce. E guadagnare molto. Questa è anche la filosofia di Toro che in una delle telefonate dice: «Ricordati queste parole… che ce la mangiamo io e te la torta dell’alta velocità»

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Dell’Utri e la mafia a Canale 5

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Poichè con Giulio Andreotti abbiamo commesso l’errore di tralasciare le motivazioni della sentenza di prescrizioni in cui si dichiarava a chiare lettere che fosse stato a disposizione dei mafiosi almeno fino alla primavera del 1980 e poichè ci siamo lamentati a lungo con la generazione che ci ha preceduto per la noncuranza con cui ha “scavalcato” la questione credo che sia opportuno leggere, rileggere, fare leggere e ripetere all’infinito le motivazioni che hanno portato in carcere Marcello Dell’Utri. L’iniezione di Cosa Nostra nella nostra quotidianità è molto più diffusa di quanto si sforzino di farci credere e alcune frasi della sentenza andrebbero stampate, piegate e tenute sempre nel taschino. Anche per questo crediamo che la nostra prossima produzione teatrale e editoriale L’amico degi eroi sia importante e se la pensate come noi vi chiediamo di darci una mano qui.

«Il diniego delle circostanze attenuanti generiche e il complessivo trattamento sanzionatorio sono stati giustificati con la qualità e la natura del reato commesso, espressivo di particolare pericolosità sociale» dell’ex senatore, si legge a pagina 73 delle motivazioni «con le modalità della condotta, protrattasi per un lasso di tempo assai lungo e idonea a ledere in maniera significativa» l’ordine pubblico «con la complessità e intensità del dolo tipico del concorrente esterno in associazione mafioso, espresso dai concreti comportamenti illeciti realizzati».

La Corte d’appello di Palermo che ha condannato Marcello Dell’Utri per concorso esterno ha posto l’accento sulla «sistematicità nell’erogazione delle cospicue somme di denaro dall’imputato a Cinà, indicative della ferma volontà di Berlusconi di dare attuazione al suddetto accordo, al di là dei mutamenti degli assetti di vertice di ‘cosa nostra’, nella consapevolezza del rilievo che esso rivestiva per entrambe le parti: l’associazione mafiosa che da esso traeva un costante canale di significativo arricchimento», si legge a pagina 62 delle motivazioni.

«Il rilievo centrale, ai fini della proficua prosecuzione dell’accordo, della figura di Dell’Utri, le cui rimostranze circa il comportamento tenuto dai fratelli Pullarà, nella loro qualità di primari referenti del sodalizio mafioso subentrati nel patto di protezione dopo la scomparsa di Bontade e Teresi, determinavano la loro estromissione per ordine diretto di Salvatore Riina, capo indiscusso dell’organizzazione, che, nell’ottica della strategia complessiva perseguita, riteneva prevalente su ogni altra esigenza quella di una proficua prosecuzione del rapporto con Dell’Utri», si legge ancora.

«Il perdurante rapporto di Dell’Utri con l’associazione mafiosa, anche nel periodo in cui lavorava per Rapisarda e la sua costante proiezione verso gli interessi dell’amico imprenditore Berlusconi veniva logicamente desunto dai giudici territoriali anche dall’incontro, avvenuto nei primi mesi dell’anno 1980, a Parigi, tra l’imputato, Bontade, Teresi, incontro nel corso del quale Dell’Utri chiedeva ai due esponenti mafiosi 20 miliardi di lire per l’acquisto di film per ‘Canale 5’. Lo si legge a pagina 50 delle motivazioni della Cassazione che conferma la sentenza di condanna per Marcello Dell’Utri a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa.

La ‘ndrangheta in Piemonte e la fame di TAV

A proposito di Piemonte e TAV:

Questa mattina i carabinieri del Ros, sotto la direzione dell’antimafia torinese, hanno dato esecuzione a venti ordinanze di custodia cautelare in carcere per associazione di stampo mafioso, a Torino, Milano, Genova, Catanzaro, nell’ambito all’operazione «San Michele», uno dei santi cari alla ’ndrangheta, ma anche il nome di un bar di Volpiano, dove gli indagati si ritrovavano a discutere. L’inchiesta è affidata ai pm Roberto Sparagna e Antonio Smeriglio. C’era un’intesa criminale tra la cosca e il “locale” di Volpiano, una delle strutture territoriali scoperte dalla maxi inchiesta Minotauro. Al centro dell’indagice c’è Angelo Greco, considerato il capo cosca, residente a Venaria, emigrato da poco dalla Calabria.

Con lo stesso provvedimento è stato disposto il sequestro preventivo di società e beni per un valore complessivo di 15 milioni di euro. Sotto sequestro anche una cava a Sant’Antonino di Susa, dove dovevano essere conferiti i rifiuti senza essere trattati preventivamente. Tra i beni sequestrati 145 immobili, conti cotrenti e anche uno yacht. «Merita di essere rimarcata la dimensione internazionale delle indagini, mettendo insieme accertamenti sulle persone e sulle cose, grazie anche alla collaborazione dell’autorità elvetica» hanno spiegato i procuratori aggiunti Sandro Ausiello e Alberto Perduca, illustrando i risultati dell’operazione al comando provinciale di Torino, sotto la guida del colonnello Roberto Massi. «Questa inchiesta – ha detto il generale Mario Parente – dimostra la propensione della criminalità organizzata ad agire in “franchising”, replicando anche al nord modelli criminali, come occupazione del territorio, intimidazioni, minacce, tipici delle zone di origine». Tra gli arrestati c’è un investigatore privato che forniva i suoi servizi di informazione alla cosca e un intermediario immobiliare. Indagati un carabiniere e un vigile urbano, per accesso abusivo al sistema informatico delle forze di polizia

Giullari e austeri censori. L’antimafia pop di Giulio Cavalli

da Antimafiaduemila.com

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di Pietro Orsatti – 30 giugno 2014
Ridendo, inevitabilmente. Di se stessi e della propria stanchezza. Come otto anni fa, quando si era più giovani e le prime minacce ci colsero di sorpresa e le esorcizzammo con una gran bevuta girando fino all’alba in una Palermo annichilita dallo scirocco. Ieri sera, sconcertati – come se fosse una novità – ci siamo salutati con frammenti di progetti che forse non si realizzeranno mai e il ghigno di chi sa che le cose vanno raramente dritte da apparire un miracolo quando riescono. Anche se se solo a metà come è avvenuto negli scorsi tre giorni a Milazzo.

Giulio Cavalli e il suo surreale circo concentrato in una sola voce un mezzo miracolo a Milazzo lo ha fatto. Ha stanato qualche centinaia di persone in tre giorni rendendole meno apatiche e silenti e rassegnate. Semplicemente sfigurando il potere con una risata, l’oscenità delle mafie mostrando il volto ridicolo di chi pretende di avere potere di vita e di morte. Tre giorni, non uno. Quelle poche persone non ancora del tutto anestetizzate dai rituali stilizzati della politica, dalla rassegnazione di una crisi che sembra infinita, da decenni di esercizio del potere letto come inevitabile. Un embrione di pensiero non omologato. Che si è mostrato, che c’è.
Sapevamo che era difficile aprire con Giulio la rassegna The Red Whale a Milazzo. Ma sepavamo che un pezzo di città avrebbe reagito,non per curiosità ma per complicità. All’atrio del Carmine venerdì con lo spettacolo Nomi, Cognomi e Infami (munnizza permettendo) e poi su a due passi da Capo Milazzo in una festa segnata da un piccolo ingorgo di paura e di cautela ma che è filata liscia nonostante la movida tamarra del sabato sera e poi ieri, ancora all’atrio, presentando il libro “L’innocenza di Giulio”. Non è passata inosservata la risata di Giulio e della Balena Rossa sbilenca e felicemente sfinita che hanno infettato di un salutare virus l’inerzia e la rassegnazione. Giovani, tutti, quelli che si sono “misturati” con Giulio. Consapevoli che la cultura non è un pranzo di gala.
Antimafia pop. Antidoto per chi crede che essere anti sia cosa di pochi e così impopolare da trasformarsi anche qui in esercizio di potere, anche se autoreferenziale. Non c’è nulla di popolare nell’elevarsi, da soli, a censori. Antimafia pop, si. Che il pensiero lo libera con un sorriso, con la fantasia, con un’immagine semplice in apparenza e rivoluzionaria poi.
Ringrazio non so chi, e qui la cosa si fa ancora personale, che otto anni di vita sotto minaccia non abbiano cambiato quella vena sbruffona e geniale di Giulio. Talmente travolgente da scuotermi fino a portarmi ad  accompagnarlo in scena con uno strumento che non suonavo da dieci anni.

La scomunica del Papa e le Confraternite

Per indole non credo ai moniti, per di più papali. Non credo, in generale, alle affermazioni con voce grossa di chi ha gli strumenti per intervenire: solidarizzo con i lamenti antimafiosi degli esclusi, degli oppressi o delle vittime ma chiedo a tutti gli altri di disegnare un cambiamento. Sono uno scassaminchia, lo so, per natura.
Quando il Papa dichiara “scomunicati” i mafiosi posso certamente applaudire per un secondo alla buona intenzione (di un costruttore seriale di buone intenzioni, del resto, per professione) ma mi aspetto subito dopo un decreto attuativo che mi spieghi come cambierà l’ordinamento religioso per evitare l’accesso alla Chiesa degli uomini di mafia. E invece niente. Per ora, siamo al monito e agli applausi. Trovo normale che una Chiesa che voglia fare sul serio non possa avere nulla a che fare con la criminalità di ogni genere, e quindi anche quella organizzata, e troverei normale che oggi un nuovo corso papale chiedesse scusa per le innumerevoli volte che gli uomini di chiesa si sono resi disponibili (se non affiliati) al boss di turno, IOR incluso.
L’arcivescovo di Monreale Michele Pennisi ha deciso di trovare una strada per l’attuazione delle parole di Bergoglio emettendo un decreto in cui obbliga tutte le confraternite della sua Arcidiocesi ad inserire nel proprio statuto la norma per cui non possono accettare affiliazioni di appartenenti ad associazioni mafiose. Quando ho letto la notizia questa mattina ho pensato che allora il mio dubbio non fosse così infondato e che forse e per fortuna in questo benedetto paese, piano piano, si costruiscono vaccini.

La migliore risposta agli amici degli amici di Dell’Utri

In riferimento alla triste pagina pubblicata ieri sul Corriere della Sera in sostegno al mafioso e condannato Marcello Dell’Utri tra le tante risposte indignazioni che abbiamo letto in giro (e che sono ossigeno per la democrazia) mi ha colpito una lettera. Una lettera scritta da Antonio Vassallo. Antonio Vassallo è il fotografo giunto per primo sulla strage di Capaci quando ancora la polvere non si era abbassata ed è lo stesso fotografo a cui dei personaggi mai identificati con il distintivo in mano gli sequestrarono il rullino che non arrivò mai in Procura.

Cari “fiancheggiatori” di Marcello dell’Utri, mi chiamo Antonio Vassallo, sono un consigliere comunale di Capaci. Dopo aver letto la vostra pagina a pagamento, sul Corriere della Sera, con la quale avete sentito il dovere di esprimere vicinanza al vostro amico e capo, sento anch’io il dovere di ricordarvi che Marcello dell’Utri non è stato condannato per non avere saputo amministrare bene Publitalia o per avere falsato qualche partita della Bacigalupo calcio.

Non entro nel merito dei sentimenti di quanti di voi conoscono e vogliono mostrare la loro vicinanza a una persona detenuta, ci tengo a ricordarvi che Marcello Dell’Utri è stato messo in galera perché condannato a sette anni, a titolo definitivo, per concorso esterno in associazione mafiosa, per avere avuto rapporti con chi nel nostro Paese, dalla Sicilia alla Lombardia, ha seminato terrore e sangue, uccidendo bambini, uomini e donne.

Dite che nulla può cambiare il vostro giudizio su chi ha contribuito a far crescere il nostro Paese. Perché non lo dite ai tanti ragazzi italiani disoccupati che non hanno mai voluto vendere la propria dignità per un lavoro? Ditelo ai familiari delle vittime di Mafia. Ditelo ai familiari di tutti i giornalisti che sono stati ammazzati da Cosa Nostra.

Vi ho scritto queste righe pensando a tutti gli italiani molto diversi da voi, che ancora amano coltivare il senso dell’indignazione, che vorrebbero dire – non attraverso le pagine di un quotidiano ma guardandovi in faccia – che chi ha favorito la Mafia ricoprendo il ruolo di Senatore è due volte Colpevole e va allontanato.

Potevate fare sentire la vostra “vicinanza e affetto” al vostro Marcello privatamente e invece, da maestri della comunicazione quali siete, avete voluto scegliere di farlo così, pubblicamente, sapendo bene che certe iniziative possono trasformarsi in pericolose interferenze su indagini in corso e contribuire a creare un clima di discredito nei confronti dei magistrati e degli uomini delle forze dell’ordine impegnati contro la mafia.

L’averlo fatto in modo così plateale è davvero inquietante, imbarazzante ed offensivo, in una Italia fatta da tante persone che vorrebbero comprare dieci pagine di tutti i quotidiani d’Italia per scrivere che la mafia è una gran montagna di m****, e che uomini come Il vostro “fiancheggiato” vi hanno costruito sopra le loro fortune politiche, compromettendo il futuro di molti territori Italiani. A Marcello Dell’Utri mi sento di dire molto umilmente di scontare serenamente i sette anni di prigione e al suo rilascio, di tornare tra la belle persone (quelle che forse non ha mai frequentato) quelle pulite, quelle che credono e operano ogni giorno inneggiando alla bellezza per farsi contagiare.