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Giulio Cavalli

La mafia uccide i bambini

Tre persone,una delle quali e’ un bambino di 4 anni, sono state uccise in un agguato sulla statale 106, la Taranto-Reggio Calabria, all’altezza dello svincolo per Taranto. Le vittime erano tutte in un’auto crivellata di colpi: un pregiudicato in semiliberta’, la sua compagna e il bambino. Altri due bambini di 6 e 7 anni sono rimasti illesi

La notizia viene battuta nella notte dall’Ansa e oggi sbrodolerà per la rete: la mafia uccide anche i bambini quindi il “codice d’onore” è un letamaio. Chiaro, no?

A proposito di Don Diana

E della memoria che non va semplicemente commemorata ma soprattutto esercitata, si parla in queste ore dell’intervista che Augusto Di Meo ha rilasciato a corriere.it. Di Meo è il testimone oculare dell’omicidio di Don Peppe Diana (avvenuto nella chiesa di San Nicola il 19 marzo del 1994 a Casal Di Principe) che subito dopo l’omicidio per mano della camorra ha deciso di denunciare. E’ sempre la vecchia solita storia dei cittadini che si ritrovano a rispettare la legge per poi navigare tra la solitudine e un eroismo che reca solo problemi. Forse Don Diana avrebbe voluto che ci si prendesse cura di quelli che hanno preso alla lettera il suo insegnamento, oltre alla celebrazione annuale della sua morte. No?

Sbranati volete essere. Voi non lo mutate il mondo.

Deve mangiar viole del pensiero, l’avvoltoio?
Dallo sciacallo, che cosa pretendete?
Che muti pelo? E dal lupo? Deve
da sé cavarsi i denti?
Che cosa non vi garba
nei commissari politici e nei pontefici?
Che cosa idioti vi incanta, perdendo biancheria
sullo schermo bugiardo?

Chi cuce al generale
la striscia di sangue sui pantaloni? Chi
trancia il cappone all’usuraio? Chi
fieramente si appende la croce di latta
sull’ombelico brontolante? Chi intasca
la mancia, la moneta d’argento, l’obolo
del silenzio? Son molti
i derubati, pochi i ladri; chi
li applaude allora, chi
li decora e distingue, chi è avido
di menzogna?

Nello specchio guardatevi: vigliacchi
che scansate la pena della verità,
avversi ad imparare e che il pensiero
ai lupi rimettete,
l’anello al naso è il vostro gioiello più caro,
nessun inganno è abbastanza cretino, nessuna
consolazione abbastanza a buon prezzo, ogni ricatto
troppo blando è per voi.
Pecore, a voi sorelle
son le cornacchie, se a voi le confronto.
Voi vi accecate a vicenda.
Regna invece tra i lupi
fraternità. Vanno essi
in branchi.

Siano lodati i banditi. Alla violenza
voi li invitate, vi buttate sopra
il pigro letto
dell’ubbidienza. Tra i guaiti ancora
mentite. Sbranati
volete essere. Voi
non lo mutate il mondo.

(Hans Magnus Enzensberger, Kaufbeuren 1929, Difesa dei lupi contro le pecore. Traduzione dal tedesco di Franco Fortini)

 

Verteidigung der Wölfe gegen die Lämmer

Soll der Geier Vergißmeinnicht fressen?
Was verlangt ihr vom Schakal,
daß er sich häute, vom Wolf? Soll
er sich selber ziehen die Zähne?
Was gefällt euch nicht
an Politruks und an Päpsten,
was guckt ihr blöd aus der Wäsche
auf den verlogenen Bildschirm?

Wer näht denn dem General
den Blutstreif an seine Hose? Wer
zerlegt vor dem Wucherer den Kapaun?
Wer hängt sich stolz das Blechkreuz
vor den knurrenden Nabel? Wer
nimmt das Trinkgeld, den Silberling,
den Schweigepfennig? Es gibt
viel Bestohlene, wenig Diebe; wer
applaudiert ihnen denn, wer
steckt die Abzeichen an, wer
lechzt nach der Lüge?

Seht in den Spiegel: feig,
scheuend die Mühsal der Wahrheit,
dem Lernen abgeneigt, das Denken
überantwortend den Wölfen,
der Nasenring euer teuerster Schmuck,
keine Täuschung zu dumm, kein Trost
zu billig, jede Erpressung
ist für euch noch zu milde.

Ihr Lämmer, Schwestern sind,
mit euch verglichen, die Krähen:
ihr blendet einer den andern.
Brüderlichkeit herrscht
unter den Wölfen:
sie gehn in Rudeln.
Gelobt sein die Räuber: ihr,
einladend zur Vergewaltigung,
werft euch aufs faule Bett
des Gehorsams. Winselnd noch
lügt ihr. Zerrissen
wollt ihr werden. Ihr
ändert die Welt nicht.

#lasvoltaarmata

E insomma alla fine il taglio dei caccia F35 rimane nei cassetti delle leggende metropolitane. Se ne è parlato tanto, tantissimo con numeri e condizioni contrattuali che ogni volta fluttuavano nel mare delle chicchere ma Renzi non è riuscito a risparmiare denari che sarebbero molto più utili in altri capitoli di spesa. Un giorno forse riusciremo a parlare del “blocco organizzato” che sono le Forze Armate ben più “casta” dei gruppi parlamentari che le fiancheggiano. Ne parlano anche su Eddyburg:

È evi­dente che que­ste noti­zie non sono state inven­tate e non sono il frutto di una «leg­genda metro­po­li­tana»: se sono cir­co­late il tema era evi­den­te­mente all’ordine del giorno. Più che una resi­stenza del Dipar­ti­mento di Stato ame­ri­cano, sem­bra che il vero osta­colo sia stato posto dai ver­tici delle forze armate, dalla mini­stra della Difesa e dal pre­si­dente della Repub­blica. Non sem­bra certo casuale che nel momento in cui si discu­teva di tagliare le spese mili­tari per finan­ziare il taglio dell’Irpef, pro­prio nello stesso giorno, il pre­si­dente Napo­li­tano con­vo­cava il Con­si­glio Supremo di Difesa (per il pros­simo 19 marzo) con all’ordine del giorno, tra gli altri punti, la «cri­ti­cità rela­tive all’attuazione della legge 244 di riforma ed impatto sulla difesa del pro­cesso di revi­sione della spesa pub­blica in corso».

La legge 244 (una legge delega appro­vata alla fine della scorsa legi­sla­tura con i decreti di attua­zione da poco emessi) è la riforma dello stru­mento mili­tare in cui, tra l’altro, si pre­vede un par­ziale con­trollo perio­dico del par­la­mento sulle scelte rela­tive ai sistemi d’arma, anche gli F35. E tra l’altro la Com­mis­sione Difesa ha uti­liz­zato il dispo­si­tivo della legge 244 per valu­tare l’efficacia e la vali­dità di que­sto sistema d’arma: tra pochi giorni la Com­mis­sione con­clu­derà i suoi lavo­ra­tori e ci farà sapere a quali con­clu­sioni è giunta. Il mes­sag­gio della con­vo­ca­zione — allar­mata — del Con­si­glio Supremo di Difesa è chiaro: uno stop a ogni ipo­tesi di ridu­zione delle spese mili­tari (e a Renzi) e la richie­sta di supe­rare le «cri­ti­cità della legge 244» che impone risparmi alle Forze Armate.

Quindi, i cac­cia­bom­bar­dieri riman­gono quelli — 90 — e sem­pre 14 miliardi dovremo spen­dere nei pros­simi anni per acqui­starli e pro­durli. In più, ieri il Par­la­mento ha votato la pro­roga delle mis­sioni mili­tari all’estero: 600 milioni di costi, altro che ridu­zione delle spese militari.

Come ha più volte ricor­dato la cam­pa­gna Sbi­lan­cia­moci arri­viamo a circa 20 miliardi con i quali finan­ziare — oltre che il taglio delle tasse sul lavoro — anche un vero piano del lavoro o misure di red­dito di cit­ta­di­nanza. Tutto que­sto avrebbe un signi­fi­cato sostan­ziale vera­mente impor­tante: per la prima volta si taglie­reb­bero in modo sostan­ziale le spese mili­tari e non la sanità e le pen­sioni. Sarebbe stata la «svolta buona», ma sarà per un’altra volta.

Avevamo ottenuto tutto

Forse è una priorità capire e riscontrare l’attendibilità di Spatuzza perché le sue dichiarazioni riportate dall’Ansa cominciano ad essere gravi. Ma sul serio:

“Dopo alcune settimane dalla mia decisione di collaborare con la giustizia, nel 2008, cadde il governo Prodi e subentrò in me un grosso timore. Mi trovai Berlusconi presidente del Consiglio e Alfano come ministro della Giustizia e le mie preoccupazioni aumentarono ulteriormente”. Così il pentito Gaspare Spatuzza, che sta deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia, ha replicato all’avvocato Giuseppe Di Peri, legale di uno degli imputati, l’ex senatore Marcello Dell’Utri. Il difensore aveva sottolineato la circostanza che solo a giugno del 2009, quindi circa un anno dopo la formalizzazione del pentimento, Spatuzza ha raccontato ai pm che il boss Giuseppe Graviano, nel ’94, gli avrebbe indicato in Berlusconi e Dell’Utri i suoi nuovi referenti politici. Vicenda che il pentito ha spiegato proprio coi timori derivati dal ritorno al potere di Berlusconi.

“Se il governo fosse caduto prima – ha aggiunto – non mi sarei neppure pentito”. “Non voglio insinuare nulla su Alfano – ha spiegato alludendo proprio alle preoccupazioni di cominciare la collaborazione nel mutato clima politico e con la consapevolezza che avrebbe dovuto riferire le circostanze apprese su Berlusconi e Dell’Utri – Non voglio dire cose che non so, ma certo ero preoccupato”. Ieri il collaboratore ha spiegato di avere deciso di parlare delle confidenze di Gravianosolo dopo avere appreso, mentre era davanti ai pm di Firenze, che le Procure di Palermo e Caltanissetta avevano dato parere favorevole alla sua ammissione al programma di protezione. Il legale ha anche sottolineato che già nel 1998 Spatuzza aveva avuto colloqui investigativi con l’allora procuratore nazionale antimafia Pierluigi Vigna ma che anche allora nulla aveva detto del colloquio con Graviano.

Parola antimafia: ‘nomi, cognomi e infami’ secondo Omnimilano Libri

La recensione di Omnimilano Libri dello spettacolo NOMI, COGNOMI E INFAMI:

fotoLa parola funziona contro le mafie. E’ questa la buona notizia con cui un Giulio Cavalli tra sedia Ikea e leggio esordisce nello spettacolo “Nomi cognomi e infami” in scena fino a domenica 16 marzo al Teatro Cooperativa di via Hermada. Quartiere Niguarda. La parola funziona? Allora insistiamo. Ecco quindi riproposta un’ora e mezza tra storie di persone “normali” diventate eroiche per contrasto con l’ambiente in cui si sono dipanate. Ecco un monologo che ha più della chiacchierata con amici e conoscenti uniti da interessi comuni. Uno certamente c’è: quello della denuncia, fatta con ironia ed intelligenza, con autoironia ed intelligenza, quelle che caratterizzano tutti gli spettacoli di Cavalli e che molti nel pubblico hanno esplicitamente cercato acquistando il biglietto per la serata. Cavalli è qualche metro sopra il pubblico, grazie al palco, ma è nel pubblico perché non c’è vestito di scena, non c’è scena, c’è un uomo che parla e vi guarda in faccia, vestito normale, un po’ illuminato dai fari, ma senza esagerare. Parla, gesticola, cammina avanti e indietro e racconta. Scava in quella che ormai è quasi storia, con incursioni di cronaca anche dell’ultimo minuto, giudiziaria e politica. Riesce difficile chiamarlo spettacolo, quello a cui si assiste in questi giorni al teatro della Cooperativa. Non è uno spettacolo e non vi si assiste, si ascolta e si partecipa, in primis per volontà di Cavalli stesso, si assorbe e si diventa, se già non lo si è, parte attiva, dialogante, anche solo annuendo, e coinvolta. Inutile cercare di assumere uno sguardo “da studioso del fenomeno” ascoltando Cavalli che “pigia” quasi solo sul tasto emotivo, solleticando indignazione e consapevolezza. Il tono dell’attore con la scorta, come lui stesso si “autodefinisce-autoironicamente”, non è quello cattedratico, è quello dell’amico o del conoscente. Complice l’ambiente ristretto e l’assenza di ghingheri. Nomi cognomi e infami, ha un titolo che non permetterà mai, purtroppo , di andare in scena senza argomenti, e Milano e dintorni sono generosi nell’offrirne, Cavalli non perde l’occasione per coglierli e rimbalzarli subito verso il pubblico impossibilitato ad illudersi che “qui la mafia non esiste”. Però, “noi in scena proviamo a ridere e disarticolare la nostra paura”.

Ma dove?

In questi giorni sto giullarando sulle mafie e sui riti e conviti mafiosi sul palcoscenico del Teatro della Cooperativa di Milano. Insomma, torno a fare ciò che negli ultimi anni ho amato di più, questa volta con la leggerezza del romanzo ormai chiuso e di una lontananza dalla politica e dalle sterili polemiche che girano intorno all’antimafia. Libero. Guardo negli occhi il pubblico, discutiamo dopo lo spettacolo e poi mi interrogo in auto mentre Milano è già andata dormire e noi non ancora. C’è una speranza incolta in questo paese che mi commuove e allo stesso tempo mi terrorizza: rimango immobile di fronte all’entusiasmo di molti che di questi tempi si sentono davvero partecipi e responsabili di un cambiamento culturale e si chiedono (e alcuni mi chiedono) dove sia la regia, come accedere al pannello dei comandi. Sono cambiate molte cose dai primi anni in cui si andava in scena con Do Ut Des o si denunciava con A 100 PASSI DAL DUOMO, è caduto quell’isolamento ostile che ci relegava tra gli allarmisti per professione o i visionari: ormai la stratificazione mafiosa nei più diversi settori al nord come al centro e al sud è una consapevolezza diffusa. Io sono molto fortunato poiché ho il palco e la scrittura per provare a distillare questa voglia ma, mi chiedo, dove sta la distilleria nella politica oggi? Dove convergere?

Ecco, mi sono svegliato con una domanda così. Con un umore così.

Le cosche e il re delle discoteche: insieme a Milano

E’ finito in carcere Silvano Scalmana, l’ex re delle discoteche milanesi considerato in rapporti con la cosca ‘ndranghetista dei Barbaro-Papalia. Secondo la Direzione distrettuale antimafia del capoluogo lombardo, l’imprenditore – già agli arresti domiciliari perché imputato di bancarotta fraudolenta – si è rivolto aimammasantissima per intimidire tre dipendenti chiamati a testimoniare nel processo a suo carico dove, oltre alla bancarotta fraudolenta, deve rispondere di emissione di fatture false e riciclaggio.

Mentre i personaggi a cui il gestore avrebbe chiesto aiuto per “raddrizzare” il suo processo sono già in carcere dopo l’operazione antimafia “Platino“, che l’8 gennaio scorso portò alla luce un sistema consolidato tra presunti boss e imprenditori della movida milanese e all’arresto di 10 persone. Secondo il procuratore aggiunto Ilda Boccassini e il pm Paolo Storari, che coordinarono l’operazione, le cosche fornivano una “protezione a tutto campo” a 17 locali locali del capoluogo lombardo – tra cui anche il De Sade gestito dalla società Acquario di Scalmana – attraverso una “sorta di estorsione-tangente”, dal cui pagamento gli imprenditori ricevevano “un cospicuo vantaggio economico”. E’ da quell’indagine, culminata con l’arresto di oggi, che spunta fuori la richiesta di Scalamana agli affiliati dei Barbaro-Papalia per “ammorbidire” i tre dipendenti chiamati a testimoniare sulla gestione dei suoi locali.

Il processo, che l’ex titolare di locali come il Karma e il Parco delle rose voleva far “aggiustare”, nel luglio 2012 è approdato in primo grado infliggendo a Scalmana i domiciliari. Secondo le indagini delle fiamme gialle milanesi, l’imprenditore insieme ad altre persone, tra cui l’avvocato aretino Stefano Angiolini (accusato negli anni ’80 di aver aiutato il venerabile maestro della P2 Licio Gelli), avrebbe ricevuto finanziamenti per quasi 30 milioni di euro grazie alla complicità di un dipendente Unicredit che, poco dopo, avrebbe fatto sparire.

Il provvedimento di custodia cautelare di oggi è stato notificato dai Carabinieri del Comando Provinciale di Milano, l’ex re della movida è stato accompagnato in carcere dai militari del Nucleo Investigativo. La misura è stata emessa dal gip di Milano che ha ritenuto l’imprenditore responsabile di intralcio alla giustizia e falsa testimonianza, in concorso con alcuni affiliati alla cosca Barbaro-Papalia.

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Il saccheggio di Roma

Ancora sequestri di esercizi commerciali nel centro di Roma riconducibili alla ‘ndrangheta. Gli uomini della Dia hanno messo i sigilli a diversi beni immobili e società operanti nell’edilizia sia nel Lazio che in Calabria. Colpiti anche esercizi commerciali nel cuore della Capitale come il Caffè Fiume, famoso bar nei pressi di via Veneto. L’antimafia ha inoltre sequestrato autovetture di lusso e una concessionaria di auto a Vibo Valentia, oltre a terreni per un valore complessivo di oltre 7 milioni di euro.

Le indagini si sono concentrate su Saverio Razionale, considerato dagli investigatori “elemento di vertice della cosca Fiarè-Razionale, alleata a quella dei Mancuso di Limbadi, nel territorio di Vibo Valentia”. Razionale, 53enne di San Gregorio d’Ippona, è salito al vertice della cosca negli anni 80 dopo l’attentato in cui perse la vita a Pizzo (Vv) il precedente capo cosca Giuseppe Gasparro detto “Pino u gatto”. Dopo l’agguato Razionale era divenuto un punto di riferimento per tutte le attività dell’organizzazione: dalle estorsioni, all’usura, al riciclaggio, “oltre a essere coinvolto in alcuni gravi fatti di sangue accaduti nel territorio”. Trasferitosi a Roma nel 2005, dopo il suo arresto e la successiva scarcerazione, era riuscito a dar vita, nella Capitale, a una rete criminale specializzata nel reinvestimento di capitali illeciti in beni immobili e attività commerciali. Inoltre – secondo gli investigatori – la rete di razionale “è riuscita a infiltrarsi negli appalti tramite società di comodo”.

Mentre nella provincia di Reggio Calabria i finanzieri del Comando provinciale e dello Scico di Roma hanno sequestrato beni per 420 milioni di euro riconducibili a 40 esponenti delle cosche radicate nel reggino. Le indagini, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia, hanno portato alla luce il forte squilibrio tra i redditi dichiarati e l’incremento patrimoniale registrato, negli ultimi 15 anni, dalle 40 persone coinvolte nella maxi operazione.

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