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Giulio Cavalli

Be’ fondamentalmente è una rottura di scatole…

Il camerino pensato e disegnato da Francesco De Gregori intervistato da Francesco Pacifico. In cui mi ritrovo:

Quando la serata va male, il pubblico è distratto, con che spirito tiri avanti?

Be’ direi che il professionismo in quel senso lì è molto importante… non è che come dire, visto che la serata va male allora canti in modo scazzato, cerchi di dare comunque il massimo… poi ti rendi conto che, per qualche misterioso motivo, o tu non sei abbastanza in forma, che può succedere, o il suono tecnicamente, perché gli altoparlanti sono messi male, succede questo, ti tocca un suono sbagliato, o il pubblico si aspettava una cosa diversa… Allora capisci che qualcosa non funziona, non sai bene cos’è però devi fare il tuo spettacolo, devi cercare di dare il meglio… Quando hai finito te lo dici con quelli della band “che è successo?” “e chi lo sa!”, perché non è che puoi saperlo, ma succedere raramente comunque eh… quando magari capiti in un posto sbagliato, quando hanno messo un biglietto troppo alto allora ti ritrovi le prime file che sono persone che hanno pagato molti denari e vogliono da me le cose classiche e basta, capito? Oppure cose banalmente tecniche, ad esempio in molti teatri all’italiana il palcoscenico davanti è molto profondo e noi suoniamo qua perché qui sotto c’è la buca dell’orchestra che non è praticabile per vari motivi, quindi noi abbiamo davanti almeno tre quattro metri prima della prima fila fisica di poltrone: questa è una distanza che rende tutto molto difficile, perché tu non li vedi e non li senti… Tu devi sentirlo, se lo senti ti aiuta molto. Se invece non lo senti perché stanno lontani oppure sono troppo composti e magari stai facendo un teatro storico importante, sei al Valle di Reggio Emilia e lì la gente entra a teatro con un atteggiamento di ascolto totalmente diverso di quello che ci può essere se sono all’Atlantico di Roma o all’Alcatraz di Milano, nei locali dove spesso mi piace andare perché so che lì c’è gente in piedi che magari beve, beve la birra mentre sto cantando…

Certo in teatro non puoi bere.

Non solo non puoi bere, hai anche l’idea che devi stare composto. Questo poi si supera, eh. Nella maggior parte delle serate mi diverto tantissimo. Nelle piazze d’estate… Però delle piccole differenze derivano anche dal tipo di posto dove vado a suonare…

Allora, intorno all’esibizione come si passa il tempo, quanto dura la procedura?

Mah dipende dai chilometri che uno deve fare per andare da un posto all’altro, di solito si viaggia e questo può richiedere una mattinata, partendo la mattina anche presto. Io c’ho da arrivare in un posto in cui devo suonare all’ora di pranzo, per poi stare in albergo fino alle 4.30, le 5, e poi parte il discorso del soundcheck, del controllo del suono del posto, si va lì e o si rimane lì fino alle 21 oppure se è vicino all’albergo si torna in albergo…

Quando arrivi in albergo che fai? Dormi, mangi?

Dormo, leggo, guardo la televisione. Raramente vado in giro a piedi perché, non lo so… è un modo di concentrazione per lo spettacolo della sera. Comunque se la sera devi lavorare non hai quella disposizione d’animo che ti consente di entrare in una galleria d’arte, in un museo, o anche visitare il centro storico di una città spensieratamente. Non è mai vacanza, ecco. Anche se sei a Verona, sei a Venezia, sei in una città dove veramente c’è gente che viene dal Texas per vedersela un pomeriggio, però io non sono in quella disposizione d’animo…

E quando sei nel teatro, nel posto del concerto, come passano le ore?

Quando sto in camerino? Be’ fondamentalmente è una rottura di scatole…

Ma guardi l’orologio? Stai lì, ci rinunci?

Be’, non vedo l’ora di cominciare sì poi c’è sempre qualcuno che ti viene a trovare o comunque passo il tempo con i musicisti che lavorano con me. È come fare il militare, si aspetta si aspetta si aspetta… A volte capita anche che tu in camerino abbia da mettere a punto alcune cose per il concerto della sera allora magari stai lì con due chitarre… Oppure provi a scrivere qualche cose, e qui arriviamo forse al tema di come si scrive una canzone, che è fatta di momenti, ci stai otto mesi, un anno, due anni… Quindi magari c’è qualcosa che hai in testa, delle parole, degli accordi, e non avendo proprio niente da fare per due ore stai lì e se hai voglia ci giri intorno, no?

«Nomi cognomi e infami»: contro il “Potere” a colpi di sciabola [recensione di GM]

Recensione da GIORNALEMETROPOLITANO.

MILANO – Dice quello che pensa e pensa a quello che dice, Giulio Cavalli. Senza peli sulla lingua Cavalli, attore, scrittore, regista e politico milanese, apre uno squarcio su verità scomode, su personaggi dai mille segreti o dalle mille nefandezze. Coniugando, in un mix rigoroso, impegno civile e arte, coraggio e quel po’ di sapidità. Oppure tratteggiando eroi senza vocazione all’eroismo, modelli di virtù destinati a un ineluttabile sacrificio, tanto più meritevoli perché hanno operato in ambienti dove quieto vivere, egoismo e ipocrisia contrassegnano relazioni sociali ed equilibri politici.

Ecco perché vale la pena (ri)vedere questo «Nomi cognomi e infami», di scena al Teatro della Cooperativa fino a domenica 16 marzo. Per riprendere in mano la memoria. Per confessare verità amare e crude nel segno dell’ironia e della satira, riprendendo la plurisecolare tradizione dei giullari. Da Petrolini a Peppino Impastato, è evidente che il sorriso è l’arma più potente per sgretolare il potere. Anzi: il potere diventa prepotente perché non riesce più a governare secondo gli schemi consueti.

«Nomi, cognomi e infami» è un viaggio tra persone “normali” diventate eroiche per la pavidità che stava intorno al loro. Persone come lo stesso Impastato e Paolo Borsellino, Libero Grassi e Bruno Caccia, così stridenti rispetto a riti e conviti mafiosi che brillano solo per povertà culturale ed etica. Il monologo denuncia vergogne come il riciclaggio di denaro, la speculazione edilizia, episodi di mafia conclamati, che nessuno osa contestare.

Giulio Cavalli apre uno squarcio nella nostre angustie morali piccole e grandi. Soprattutto, testimonia che la paura può essere, se non schiacciata, almeno esorcizzata attraverso gli artifici propri degli antichi giullari.

di Vincenzo Sardelli

fino a domenica 16 marzo 2014

al Teatro della Cooperativa di Milano

 produzione Bottega dei Mestieri Teatrali

NOMI COGNOMI E INFAMI

di e con Giulio Cavalli

con il contributo di Next Regione Lombardia e Fondazione Cariplo-Etre

Teatro della Cooperativa (11/16 marzo 2014)

 ORARI: feriali h. 20.45 e festivo ore 16 –

PREZZI: intero 18 € – ridotti 13/9 €

www.teatrodellacooperativa.it – Via Hermada 8, Milano – tel. 02.64749997

La Cancellieri ci ha raccontato una bugia

Non so se ci rendiamo conto del significato che ha un ex Ministro della Giustizia indagata per false dichiarazioni a Pubblico Ministero. E non tanto per l’indagine in sé ma perché l’ex Ministra è già stata sconfessata dai tabulati telefonici che ci dicono che fu lei a chiamare i Ligresti e non fu chiamata come dichiarò anche ai giornali. E ancora una volta paghiamo lo scotto di una credibilità delle istituzioni che sarebbe da ricostruire e invece si sbriciola tra bugie e amicizie particolari.

Un raggio di luce

Si riapre il caso Uva:

Il caso Uva non è chiuso. C’è ancora la speranza di arrivare alla verità sul decesso di Giuseppe Uva, l’operaio di 43 anni morto al pronto soccorso dell’ospedale di Varese, il 14 giugno 2008, dopo essere stato trattenuto tre ore nella caserma dei carabinieri. Il giudice delle indagini preliminari Giuseppe Battarino ha respinto la richiesta di archiviazione presentata dai pm Agostino Abate e Sara Arduini e ha deciso di accogliere l’istanza della famiglia, che tramite l’avvocato Fabio Anselmo e Alessandra Piva chiedevano nuove indagini, soprattutto sui fatti accaduti in caserma, e un nuovo processo. Il gip ha stabilito l’imputazione coatta di tutti gli imputati per omicidio preterintenzionale (più altri reati minori).

Un sacco di cagate

E a volte rifiutano quello che scrivo, e dicono: “Non va per niente bene, Bukowski!”, e hanno ragione: scrivo un sacco di cagate. Quasi intenzionalmente scrivo un sacco di cagate, per tirare avanti, e la maggior parte delle cose che scrivo non va, ma mi mantiene in esercizio.

[Charles Bukowski, Il sole bacia i belli, a cura di David Stephen Calonne, traduzione di Serena Viciani, Milano, Feltrinelli 2014, p. 54]

A proposito di 8 marzo: per l’Europa l’Italia sulla legge 194 viola i diritti delle donne

Si parla di legge 194 e di una notizia che dovrebbe circolare infinitamente di più. La riporta il sito VOX, l’Osservatorio Italiano sui Diritti:

Lo dice un’importante sentenza del Comitato Europeo dei Diritti Sociali del Consiglio d’Europa, che ha ufficialmente riconosciuto che l’Italia viola i diritti delle donne che -alle condizioni prescritte dalla legge 194/1978 – intendono interrompere la gravidanza, a causa dell’elevato e crescente numero di medici obiettori di coscienza. Si tratta di un’importante vittoria, che arriva proprio oggi, data simbolica per la storia delle donne. Una vittoria, che porta anche la firma di Vox.

L’associazione non governativa che ha presentato il ricorso contro l’Italia, International Planned Parenthood Federation European Network, è stata assistita da Marilisa D’Amico, co- fondatrice di Vox e da Benedetta Liberali, tra le voci di Vox.

La legge 194/1978 prevede che, indipendentemente dalla dichiarazione di obiezione di coscienza dei medici, ogni singolo ospedale debba poter garantire sempre il diritto all’interruzione di gravidanza delle donne. Oggi purtroppo, a causa dell’elevato numero di medici obiettori, alcune strutture si trovano a non avere all’interno del proprio organico medici che possano garantire l’effettiva e corretta applicazione della legge. Il riconoscimento di violazione da parte dell’Europa mira a garantire la piena applicazione di una legge dello Stato, la 194, che la Corte costituzionale ha definito irrinunciabile.

La sintesi del reclamo la trovate qui.

L’8 marzo di Lella Costa e l’archeologia culturale

Un’interessante prospettiva di Lella Costa intervistata su donne, 8 marzo e governo:

Possiamo dire che alle giovani non frega nulla dell’8 marzo, così come sono disinteressate a San Valentino. Lo vedo anche con le mie figlie, la più grande ha 30 anni e la più piccola 17, noto che danno i diritti per acquisiti e forse vivono una visione parziale della realtà poiché non sono ancora entrate nel mondo del lavoro e dunque non conoscono le ingiustizie, le prevaricazioni, il maschilismo della società. Credo che non sia colpa loro se la vita adulta viene posticipata. Però, è vero, alcuni diritti come l’aborto sono oggi minacciati oppure aggirati, in Lombardia per esempio esiste un’altissima obiezione di coscienza e gli ospedali non offrono pienamente il servizio di interruzione di gravidanza.

Tuttavia quasi nessuna protesta con clamore. Perché?
Penso che alle ragazze manchi l’esperienza che abbiamo vissuto, il fatto che negli anni ’60 la contraccezione era reato, sono una generazione smarrita, ma ho registrato un grande turbamento rispetto a quello che è accaduto in Spagna (il governo Rajoy ha cancellato la legge sull’aborto, ndr). Allo stesso tempo penso che moltissime giovani non abbiano davvero compreso quanto fosse importante mobilitarsi per la legge 40 sulla fecondazione assistita, ma sono convinta che non siamo state capaci a farlo capire, esiste un forte scollamento tra la mia generazione e quella delle mie figlie. Credo comunque che ora il tempo è loro, devono trovare i loro slogan, le nuove parole d’ordine.

Negli ultimi mesi il dibattito mediatico e politico ha riservato molto spazio ai diritti delle donne. Il governo Letta ha varato una legge sul femmincidio, la presidente Laura Boldrini è intervenuta spesso dando un’ottica di genere, si è parlato molto di femminicidio. C’è qualcosa che la rende perplessa?
Ho il timore che qualcosa non vada per il verso giusto. Soprattutto temo che non venga compreso che la violenza sulle donne è un problema degli uomini, sta a loro risolverlo. Dobbiamo capovolgere lo sguardo, e continuare a tenere alta l’attenzione sulla violenza domestica, è una piaga molto diffusa e per questo lo spettacolo con il quale ho fatto una tournée, Ferite a morte di Serena Dandini, è stato accolto con grande gratitudine e calore.

Un governo con la metà ministre, non è simbolicamente positivo?
Sì, Ma quante sono le sottosegretarie?

9 su 44…

Ecco, come temevo. Questo significa che il 50 e 50 annunciato da Renzi era soltanto una operazione di facciata, una spruzzatina di rosa visto che poi la vera squadra di lavoro è quasi interamente maschile. E poi non capisco come una donna capace, Emma Bonino, sia stata esclusa dalla nuova composizione. Sono una antica marxista perciò attendo di vedere se questo governo sarà in grado di assumere un punto di vista femminile, riuscendo a comprendere che la questione femminile non è un’opzione, è universale. So bene che non basta essere donna per avere uno sguardo di genere, e spero allora che gli uomini di questo esecutivo siano all’altezza del proprio compito. Se mi chiede però di analizzare il simbolico, allora dico che Renzi sta facendo archeologia culturale. E anche sentimentale.

te lo giuro… credimi, ma sul bene che voglio al cane

Umile, discreta. Capace di risolvere i problemi burocratici con precisione e dedizione. E soprattutto senza fare troppe domande. Ma anche capace di farsi ascoltare, quando le cose non le tornano. Ecco il ritratto della segretaria ideale. Anche per un boss della ’ndrangheta, come Pino Pensabene, erede della «locale» di Desio, finito in cella insieme ad altre 39 persone, dopo il blitz della Mobile di Milano, in seguito all’inchiesta dell’AntimafiaIl capo sa riconoscere il valore delle persone. È il caso di Mariagrazia Leone, che entra nel clan come semplice «amministrativa» e assume nel tempo il peso di una collaboratrice fidata. A conoscenza di tutti i segreti. Perché la famiglia che ha lasciato il fucile a canne mozze per la finanza non ha bisogno solo di imprenditori e soci all’estero, ma anche di buoni impiegati, come «Mary».

«La Leone ha dato un contributo importante al conseguimento dei fini del programma criminale dell’associazione mafiosa, aiutandola nella gestione delle singole operazioni illecite, nei contatti con i funzionari degli uffici postali e nella gestione, irregolare, della contabilità delle società di copertura, con l’emissione di fatture fittizie per le operazioni di riciclaggio. Tutto ciò nella piena consapevolezza della esistenza dell’associazione mafiosa, e nel preciso intento di aiutarla a conseguire i suoi obbiettivi illeciti». Così scrivono nell’ordinanza i giudici di Milano. Praticamente, un curriculum esemplare per qualunque azienda. Solo che si tratta di mafia. E «Mary» lo sa, tanto che il papà Umberto figura da prestanome in una serie di aziende, delle quali tutto ignora. Perché a gestirle sono il boss, Pino Pensabene e il suo braccio destro.

Gli esordi da apprendista
Mary, al debutto, nel 2011, si occupava solo di gestire la contabilità delle aziende intestate dal padre come prestanome: la Coimpre, la Ludovica e la Simpa Srl. Era il padre a dirle di presentarsi dal notaio come «impiegata della Ludovica». Lei eseguiva senza «alcuna reazione». Affidabile. Fa quello che deve e non fiata. Anche se sa che le aziende non sono del padre, ma del boss. Quando Mary telefona al padre per riferire l’incontro col notaio, Umberto non sa rispondere e le passa Pino Pensabene. E lei riferisce puntualmente. A lei passa, dunque l’onere di parlare col boss. Leone delega «alla figlia i contatti con un notaio e con un commercialista idonei ad attivare alcune società di copertura, e le modifiche societarie sulle ditte utilizzate per i fini associativi, ovvero per riciclare il denaro e accumulare immobili».

La promozione sul campo
A questo punto, la fiducia è conquistata. Dai semplici contatti telefonici, Mary diventa l’interfaccia di prestanomi ed esperti nella creazione di società estere per il riciclaggio, come «l’avvocato» Emanuele Sangiovanni. Che vede costantemente. Il boss, peraltro, arriva ad assumerla direttamente in una società di servizi controllata dal clan, come amministrativa. Lavoro regolare, stipendio e tredicesima. Insomma, scrivono i giudici, Mary «è un punto di riferimento per tutti coloro che, muovendosi sul territorio, si occupano materialmente della creazione delle società». Al punto che tutti i segreti dell’organizzazione passano per le sue mani. A spiegarlo bene è un’intercettazione. Una telefonata fra Mary l’impiegata e Pino il boss. «Praticamente no?…tu non so se l’hai capito tutto il lavoro che faccio qua ..», dice Pino. E Mary: «Eh..sì, è il riciclo di denaro liquido per guadagnarci la percentuale tu… Giusto?». Pino: «Brava…». Mary: «Perché magari Giuseppe (Vinciguerra) ci guadagna una percentuale sui soldi che però gli hai dato tu per girarli». Pino: «Sì sì…». Mary: «Siccome lui ti aiuta a girarli, ci mette la sua percentuale…». Pino: «Bravissima…».

La minaccia del capo
Ma il boss non vuole che l’impiegata spieghi a nessuno il meccanismo degli affari del clan. «Mary…vedi che se parli con qualcuno…», minaccia Pensabene. E l’impiegata rassicura il datore di lavoro: «Ma tu io.. te lo giuro… credimi, ma sul bene che voglio al cane, che potesse morire stasera adesso, io neanche con mio papà parlo ….te lo posso assicurare». E la conversazione continua, con tono confidenziale.

La richiesta dei soldi
L’azienda nella quale la Leone lavora, però, non dura a lungo. Finito il suo ruolo nel sistema di riciclaggio deve chiudere. E con essa spariscono stipendi e posti di lavoro. Fra cui quello dell’impiegata modello. Che per alcuni mesi manda avanti tutto, anche senza lavoro da fare, pagando gli stipendi di persona alle altre impiegate. Quando finalmente parla col boss, Mary assume il tono della rivendicazione sindacale. E chiede i suoi stipendi. Pino: «Va be’… però potevi pure chiedere (la società, l’attività, ndr) o no?». Mary: «Ma pensavo che era scontato, se no non si poteva finire di lavorare… Anche perché se no non potevo fare…». Pino: «E glielo dicevi… vedi Peppe che io sto anticipando i soldi per fare le buste paga…». Mary: «Gliel’ho detto… Peppe lo sa. I soldi li ho messi di tasca mia. Mi fa: non ti preoccupare… c’erano testimoni… le ragazze davanti». Pino: «E quindi adesso diventa un problema mio però no?». Mary: «No, no!… Ti ho chiesto se lo potevi sentire l’altro giorno. Perché magari lo vedevi». Pino: «Va bene… va bo’, dai. Adesso lo sento e gli dico di mandarti… Quant’è il tuo stipendio … 1.200?… Adesso gli dico di mandarti il tuo stipendio… dai, va bene?». E Mary: «No, in verità c’ho anche la tredicesima…» Pino: «C’è anche la tredicesima…». E l’impiegata: «Più … e certo!… più i soldi del coso del… Ma anche le ragazze hanno bisogno, tutti … è?». Allora il boss taglia corto: «Quanto hai bi… ma le ragazze non è un problema tuo, è un problema di Peppe o no?». Allora l’impiegata senza stipendio abbassa le pretese: «Va be’… 2.900 sono in tutto…». E il boss: «2.900 sono i tuoi quindi?». E la Leone conferma: «Sì…».

Guido Bandera

(clic)