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Giulio Cavalli

I ladri di spranghe e biscotti

Caro piccolo Mario,

questa sera la favola al telefono te la racconto di un paese lontano.

E siccome c’è un cielo che piove malinconia te la racconto all’incontrario.

Di quelle storie che non sai mai se la stai ascoltando  di diritto o di rovescio;

quelle storie che per capirle bisogna prenderle per i piedi e guardarle a testa in giù.

Dentro, come una favola che si rispetti,

c’è la squadra dei buoni e dei cattivi,

come nelle favole quelle semplici semplici, rassicuranti, banali, semplicistiche e politicizzabili.

La favola esiste da tantissimi anni,

da quando in casa alla sera si accendeva la candela

e per strada ad andar veloce si pedalava in bicicletta.

Questa storia da tre soldi , caro Mario,

ha tanti di quegli anni

che nessuna si ricorda chi per primo la inventò;

Se furono i nonni dei tuoi nonni

o qualche tizio roccoccò;

questa storia è così vecchia

che a fare il giro in tutto il mondo

non si trova nessun bimbo, babbo o nonno

che non l’abbia mai sentita,

neanche in Cina, in Argentina,

perfino in Africa o Indonesia.

È una favola leggera, senza morale

da ingarbuglio intestinale

che ad ascoltarla a tarda sera

scaccia via la paura nera.

È una favola banale,

di quelle buone per il giornale,

che partono partono in sottofondo,

ma poi fan sparlare a tuttotondo.

Ma è una storia che funziona,

di quelle che resiston come suole

perché ognuno ci ritrova

giusto quello che ci vuole.

Te la dico in tre parole,

prima che si abbassi il sole,

prima che il mio bambino

si prepari al pisolino:

“c’è un cattivo nero nero,

che ruba vero e di nascosto

il cestino al buono vero.

  • Io ti ho visto! – grida il buono

E da cattivo va  a rincorrere

Il mariuolo che soccombe.

  • Era Piero! – urlan questi,
  • No è Mario! Il cugino del fornaio! –  urlan quelli.

E la gente sulla piazza,

via si spinge e poi si accalca,

su quell’uomo moribondo

cattivo in cima e cattivo in fondo,

mentre l’altro che da buono,

pian pianino è diventato

un cattivo che era buono,

sotto sotto non ricorda

perché comincia quella ronda.”

(Una favola scritta nel 2001 o giù di lì. Mi è uscita stamattina da un cassetto.)

La camorra dietro i farmaci anticancro

Organizzazioni criminali, tra cui la camorra, sarebbero dietro un grande traffico di farmaci anticancro rubati e contraffatti in Europa. E’ la rivelazione del Wall Street Journal, che cita fonti italiane. Si tratterebbe di una rete organizzata e molto estesa che starebbe preoccupando moltissimo medici e farmacisti, in quanto i farmaci contraffatti sarebbero conseguentemente inefficienti o persino letali.

Una strategia internazionale. Il Wall Street Journal cita il direttore dell’Agenzia del Farmaco italiana, Domenico Di Giorgio, secondo il quale i furti di farmaci registrati negli ultimi mesi in varie parti di Europa non sarebbero incidenti isolati ma farebbero parte di una strategia precisa di varie organizzazioni criminali, tra cui la camorra e altri clan dell’Europa orientale, oltre a un non meglio precisato cittadino russo residente a Cipro. “C’entra sicuramente il crimine organizzato”, ha detto Di Giorgio al Wsj. L’indagine è condotta con i Nuclei Antisofisticazioni e Sanità (Nas) dei Carabinieri.

I furti di farmaci. Secondo fonti dell’inchiesta, “i farmaci vengono rubati negli ospedali o dai camion utilizzati per la distribuzione” per poi essere passati a un grossista italiano, come aveva già spiegato un mese fa l’Ema, senza però arrivare ai mandanti dei furti e a quella che sembrerebbe una regia coordinata a livello internazionale. Durante l’inchiesta è emerso che fino a cinque camion al mese carichi di farmaci anticancro sarebbero stati trafugati in Italia. Gli autisti avrebbero fornito giustificazioni insufficienti sulla sparizione della merce.

(link)

 

L’insofferenza alla retorica

Se la lotta civile alla cultura mafiosa è innanzitutto culturale, si sente forse oggi il bisogno di un qualcosa di legato alla grammatica più che alla retorica della lotta alla mafia. La crisi economica che ci attraversa rende peraltro tutti un po’ più insofferenti alle celebrazioni e autocelebrazioni fine a se stesse e fa pretendere risposte anche scomode ed impegnative sul piano culturale e sociale, ma almeno veritiere. Altrimenti non si cambierà mai registro.

Un articolo da leggere di Donato Didonna

Poliziotti e poliziotti

Mentre siamo costretti a discutere dei poliziotti che vergognosamente (e da codardi istituzionali) hanno applaudito i colleghi assassini di Federico Aldrovandi (riuscendo a farsi riprendere da Renzi, Alfano, il capo della Polizia Alessandro Pansa e qualche centinaio di migliaia di cittadini) è morto a 53 anni Roberto Mancini, il poliziotto che con le sue indagini ha anticipato di 15 anni ciò che poi è stato il disastro della Terra dei Fuochi.

Nei primi anni ’90 inizia a lavorare sul traffico illecito di rifiuti in Campania. Nel 1996, dieci anni prima dell’uscita del libro “Gomorra” di Roberto Saviano, consegna un’informativa alla Procura di Napoli che verrà presa in considerazione soltanto nel 2011. Le carte consegnate da Mancini svelavano nel dettaglio attraverso intercettazioni, pedinamenti, dichiarazioni di pentiti, i nomi delle aziende del Nord coinvolte nel traffico: come l’Indesit e la Q8. Descrivevano i rapporti tra camorra, massoneria e politica. Anticipavano quel sistema che ha portato al biocidio della Terra dei fuochi.

L’informativa rimane in un cassetto per 15 anni. Fin quando nel 2011 il pubblico ministero Alessandro Milita la trova e la mette agli atti del processo per disastro ambientale e inquinamento delle falde acquifere. Tra gli imputati anche Cipriano Chianese, broker dei rifiuti del clan dei casalesi, che gestiva tutto il sistema criminale.

Negli anni successivi alle indagini, tra 1997 e il 2001, Mancini lavora come consulente per la Commissione rifiuti della Camera dei deputati. Il presidente è Massimo Scalia. Esegue decine d’ispezioni e sopralluoghi in discariche di rifiuti tossici nocivi e in siti di stoccaggio di materiali radioattivi. È proprio in questo periodo che Mancini si ammala di Linfoma non-Hodgkin.

La diagnosi arriva nel 2002. Il ministero degli Interni certifica il suo cancro del sangue come “causa di servizio” e gli riconosce un indennizzo di 5000 euro. A Roberto Mancini non bastano: “È un’ingiustizia”, dice. Così inizia la sua guerra contro lo Stato. Nel luglio 2013 la Camera gli nega un ulteriore indennizzo. La battaglia continua. Il 6 Aprile 2014 vengono consegnate a Montecitorio oltre 20mila firme in calce a un appello che chiede che a Mancini sia riconosciuto il giusto risarcimento. La Camera promette l’apertura di un’istruttoria. A oggi la petizione di change.org è stata sottoscritta da più di 50mila persone.

Claudio che fa i nomi

claudio_favaPuò piacere o non può piacere ma Claudio Fava è una delle più belle menti dell’antimafia in Italia: studia, invita allo studio, analizza senza ego o sicumera, discute con curiosità e intelligenza, non ha mai bisogno di alzare i toni o risarcirsi con vendette personali. In più Claudio Fava è una gran penna: densa, umanissima e con grande memoria. In Commissione Antimafia una presenza come la sua può solo farci bene (nonostante il resto) e al di là delle posizioni politiche non si può non riconoscergli l’abitudine di fare nomi e cognomi.

Per questo non stupisce che più di qualche mafioso sia infastidito da lui e per questo non colpisce che (ancora una volta, nella sua già lunga carriera intellettuale) arrivino le minacce.

A Claudio un abbraccio (che è soprattutto per noi) di continuare a distinguersi e non sentirsi solo in quel pantano.

Processo trattativa: Mancino non risponde

>>>ANSA/STATO-MAFIA: A GIUDIZIO TUTTI E 10 GLI IMPUTATILa strategia difensiva di Mancino al processo sulla trattativa Stato-mafia è il silenzio. Certo vale dal punto di vista giudiziario e quindi non resta che concederglielo ma un cosiddetto “uomo di Stato” che non parla e non sostiene una propria posizione in uno dei gangli più oscuri di questo Paese può essere liberamente, onestamente e oggettivamente giudicato un omertoso.

E’ una persona perbenissimo

dellutri1Roma, 28 apr. (TMNews) – “Ho negato assolutamente, non sapevo neppure dove fosse. E’ stata una sorpresa sapere che fosse in Libano”. Così, durante una intervista a Piazza Pulita, Silvio Berlusconi risponde a Corrado Formigli che gli chiede se sia stato lui a suggerirgli di andare in Libano.

“Dell’Utri – aggiunge – è un persona perbenissimo, è un cattolico fervente, non conosco cose negative che abbia fatto Marcello Dell’Utri. Soffre da vent’anni di una accusa assurda che non esiste nemmeno nei codici: quello di concorso esterno in associazione mafiosa”.

(Questa è una notizia dell’agenzia TMNews)

Arrestato Pignatelli

E’ stato localizzato a Juan Dolio, a Santo Domingo, e arrestato dal Servizio Centrale Operativo (Sco) della Polizia, insieme a Interpol Roma e uomini della questura di Reggio Calabria, il boss Nicola Pignatelli, 43 anni, latitante dal 2011 e ricercato per 416 bis e reati di droga.

L’uomo, inserito nell’elenco dei 100 latitanti più pericolosi dal ministero dell’Interno, ha una condanna a 13 anni e 6 mesi, in primo grado, perchè ritenuto elemento di vertice della cosca Mazzaferro Ursino Aquino.

Quello di Gioiosa Ionica è attualmente ritenuto uno dei più potenti cartelli della ‘ndrangheta dedito al traffico internazionale di droga.