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Giulio Cavalli

Scontri tra ego

Ci lamentiamo degli scontri tra ego tra teatranti o tra antimafiosi ma il duello innescato da Scanzi ci batte tutti. Chapeau, eh.

 

Antiriciclaggio: sono d’accordo con AIRA

Una riflessione che condivido contro l’autoriciclaggio la propone Ranieri Ruzzante e, tra l’altro, “ce lo chiede l’Europa”:

L’appello del Procuratore Nazionale Antimafia merita non solo di essere raccolto ma, ove possibile, rilanciato. Le imprese possono essere vittime della mafia, ma essere altresì “della mafia”.

Ecco allora che si rende quanto mai necessario ciò che Aira propose ormai tre anni or sono nel suo “Libro Bianco sull’attuazione delle regole antiriciclaggio“. Urge una modifica alla legge antiriciclaggio che assoggetti le imprese commerciali di una certa entità agli obblighi di identificazione e registrazione della clientela. Sono convinto che le società quotate dovrebbero rientrare tra i soggetti obbligati al rispetto dei principi della Legge 231 del 2007. Ma come tutto questo? Ad esempio, identificando una soglia di fatturato (un milione di euro annui) e di attivi di bilancio (almeno 10 milioni annui) si potrebbero tracciare i rapporti con clientela e operazioni in entrata e in uscita con fornitori e clienti per importi pari o superiori ai 15 mila euro”.

Tutto ciò è necessario al fine di tutelare maggiormente le aziende che, sempre di più sono oggetto di “shopping” da parte di associazioni mafiose. E’ un rapporto perverso quello tra finanza lecita e criminalità organizzata: la crisi ha indebolito le aziende che, sole nella gestione del business appaiono inermi di fronte ad un fenomeno sempre più diffuso come quello di investimenti da parte di malavita. Sarebbe opportuno intensificare la presenza dello Stato attraverso un maggiore conferimento di poteri di polizia amministrativa e giudiziaria ai funzionari preposti al controllo. L’incentivo ad agire secondo le regole di mercato può arrivare sia da una maggiore presenza dello Stato, che spesso non ha risorse adeguate per proteggere gli imprenditori onesti, che dalla stessa collettività, indispensabile nel collaborare con le forze dell’ordine al fine di “ far rete” con i soggetti attrezzati al monitoraggio per operazioni finanziarie e commerciali che quotidianamente vengono poste in essere nel nostro Paese.

Una riflessione sui beni confiscati

Tra la retorica e antipatici monopoli l’economista Antonio Purpura, Direttore del Dipartimento di Scienze Economiche Aziendali e Statistiche dell’Università di Palermo, propone una strada sulla reimmissione nel mercato di aziende condizionate dall’illegalità. Il tema è molto delicato perché sta in bilico tra simbolismo (il valore dello Stato che riesce a garantire il lavoro facendo rispettare le leggi e dall’altra parte i lavoratori) e bisogni di bilancio (per evitare l’assistenzialismo puro o, peggio, la chiusura in breve tempo). Proprio perché l’argomento è delicato e sottile dovremmo parlarne senza remore, senza la paura ogni volta di innescare barricate:

E’ proprio sui dati territoriali e settoriali che Purpura si è soffermato. Dati che mostrano che il maggior numero totale delle aziende confiscate è concentrato in Sicilia (623) e in  (347), ma c’è una presenza significativa pure in  (223). Mentre, però, nelle regioni meridionali la percentuale che pesa di più è rappresentata dalle imprese ancora in gestione (86,45% in Sicilia e 72,6% in ), in Lombardia, invece, è quella delle società ritornate ad operare nel mercato in piena autonomia (54,3%). Risultati che non sorprendono perché «a Milano il contesto è recettivo rispetto ai percorsi di risanamento delle imprese. In Sicilia, invece, è più difficile riportarle sul mercato»- ha osservato Purpura.

Soffermandosi sui dati relativi ai settori di attività, che collocano ai vertici quello delle costruzioni e del commercio (rispettivamente 27,9% e 27,6%), seguiti da alberghi e i ristoranti (10,1%) e dalle attività immobiliari e servizi imprese (8,2%), l’elemento che maggiormente incuriosisce è l’indice di «intensità di attrattività dei settori» costruito «rapportando le aziende confiscate al totale delle aziende per ogni 10.000 imprese registrate»- spiega Purpura. Secondo questo studio, i settori più appetibili dalle organizzazioni criminali sono l’industria dell’estrazione dei minerali, la sanità, le costruzioni, gli alberghi e i ristoranti. Ancora più interessante è l’indice sintetico di concentrazione settoriale (ISCS) delle aziende mafiose per settori e province, ottenuto dal rapporto tra il numero delle imprese confiscate in un settore sul totale delle imprese confiscate nella provincia. E’ lo stesso Purpura a fornire la chiave di lettura di questo indice: «Quando è uguale a 1 ci dice che la percentuale di imprese mafiose confiscate in quel settore è in linea con la presenza del settore in quel territorio». Se, invece, il valore è superiore a 1 «vuol dire che le aziende confiscate rappresentano una quota percentualmente molto più grande di quanto non sia presente quel settore in quel dato territorio». In base a tali dati, il settore agricolo è uno dei più puliti (nelle diverse province prese in considerazione, da Nord a Sud, ha valori compresi tra 0 e 1), mentre quelli che presentano un ISCS allarmante sono il comparto estrattivo nelle province meridionali (Agrigento 56,6%, Cesena 47,7%), e quello degli alberghi e ristoranti al nord (Lecco 11,9%).

Tenuto conto dei dati territoriali e settoriali analizzati e considerato che in alcuni settori, quali quello delle costruzioni ovvero dell’estrazione di minerali, c’è un avviamento illegale fortissimo e uno legale basso, se non addirittura nullo, Purpura si chiede se conviene mantenere queste imprese sul mercato dato che «la ricostruzione del tangibile di quella impresa a valore legale è un’operazione costosissima, difficilissima e fortemente reversibile». Allora sarebbe meglio concentrare gli sforzi su quelle aziende che hanno un valore di avviamento illegale alto, ma al contempo un valore sempre di avviamento legale medio-alto che le rende più facilmente recuperabili (è il caso del settore della sanità piuttosto che della filiera del turismo). Per quelle che potremmo definire irredimibili, invece, la strada individuata da Purpura ipotizza l’uso le risorse provenienti «dalla vendita comunque obbligata in liquidazione» per la riqualificazione del personale.

(Per farsi un’idea vale la pena leggere il libro“Per il nostro bene”)

La zona grigia con le stellette a Vibo

L’ex capo della squadra mobile di Vibo Valentia Maurizio Lento, l’ex vice dello stesso ufficio Emanuele Rodonò e l’avv. Antonio Carmelo Galati, difensore dei Mancuso di Limbadi, sono stati arrestati dai carabinieri del Ros e dalla squadra mobile di Catanzaro. I funzionari sono accusati di concorso esterno e il legale di associazione mafiosa.

Come siamo cambiati. Male.

Non ci fidiamo più l’uno dell’altro. Vediamo agguati dappertutto. Il sospetto è divenuto organico nei rapporti col prossimo. Il terrore di essere ingannati ha preso il sopravvento sugli istinti di solidarietà che pure ci portiamo dentro. E il cuore se ne va a pezzi dietro i cancelli dei nostri recinti.

(Don Tonino Bello)

Ti auguro di avere tempo. Tempo per la vita.

Non ti auguro un dono qualsiasi,

Ti auguro soltanto quello che i più non hanno.

Ti auguro tempo per divertirti e per ridere;

se lo impiegherai bene potrai ricavarne qualcosa.

Ti auguro tempo per il tuo Fare e il tuo Pensare,

non solo per te stesso, ma anche per donarlo agli altri.

Ti auguro tempo non per affrettarti e correre,

ma il tempo per essere contento.

Ti auguro tempo non soltanto per trascorrerlo,

ti auguro tempo perché te ne resti:

tempo per stupirti e tempo per fidarti

e non soltanto per guardarlo sull’orologio.

Ti auguro tempo per toccare le stelle

E tempo per crescere, per maturare.

Ti auguro tempo per sperare nuovamente e per amare.

Non ha più senso rimandare.

Ti auguro tempo per trovare te stesso,

per vivere ogni tuo giorno,

ogni tua ora come un dono.

Ti auguro tempo anche per perdonare.

Ti auguro di avere tempo.

Tempo per la vita.

(Elli Michler, grazie ad Antonio per la segnalazione, anche se non è indiana)

Mancava la falange armata

Non so se sia credibile o se sia la boutade di chi vuole fare fumo su un processo delicato come quello della trattativa tra mafia e Stato, però la notizia è inquietante:

Per quattro anni ha rivendicato ogni singola operazione criminale andata in scena tra Milano e laSicilia. Telefonate di minaccia, ma anche comunicati di soddisfazione quando alcuni membri del governo vengono rimossi in piena Trattativa Stato – mafia. Adesso dopo vent’anni di silenzio laFalange Armata, oscura sigla legata alle stragi più oscure di questo Paese, è tornata. E con una breve lettera ha messo in allarme gli inquirenti. Perché il destinatario dell’ultima missiva della Falange è Totò Riina, che per otto mesi ha condiviso l’ora di socialità con Alberto Lorussolasciandosi sfuggire minacce e retroscena inediti sulle stragi mafiose, mentre le telecamere piazzate nel carcere di Opera dalla Dia di Palermo registravano tutto.

Solo che oltre agli inquirenti, una terza entità era al corrente delle lunghe chiacchierate tra il capo dei capi e il boss pugliese. “Chiudi quella maledetta bocca – è scritto nella lettera indirizzata a Riina e mai pervenuta al boss – ricorda che i tuoi familiari sono liberi. Per il resto ci pensiamo noi”. Firmato: Falange Armata. Una lettera inquietante, che nella sua forma estesa è scritta con un lessico militare, come pure militare è lo stile delle missive anonime arrivate negli scorsi mesi alla procura di Palermo, per segnalare la preparazione di attentati contro il pm Nino Di Matteo. La missiva arrivata a Riina però suscita almeno due interrogativi: chi c’è dietro quella sigla? E come faceva a sapere l’anonimo estensore delle esternazioni di Riina, detenuto in regime di 41 bis? Se lo chiedono Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia, Francesco Del Bene e Vittorio Teresi, i pm della procura di Palermo che indagando sulla Trattativa si sono già imbattuti nella Falange. “Non è verificata” dice il procuratore della Dna, Franco Roberti, la fondatezza delle minacce a Riina.

Piergiorgio Odifreddi sul ministro Madia

Usa parole forti Odifreddi ma aggiunge alcune informazioni sulla fresca nomina di Marianna Madia che vale la pena leggere:

di Piergiorgio Odifreddi, da repubblica.it

Alle elezioni del 2008, Walter Veltroni usa le prerogative del porcellum per candidare capolista alla Camera per il Pd nella XV circoscrizione del Lazio la sconosciuta ventisettenne Marianna Madia. Alla conferenza stampa di presentazione, agli attoniti giornalisti la signorina dichiara gigionescamente di “portare in dote la propria inesperienza”.

In realtà è una raccomandata di ferro, con un pedigree lungo come il catalogo del Don Giovanni. E’ pronipote di Titta Madia, deputato del Regno con Mussolini, e della Repubblica con Almirante. E’ figlia di un amico di Veltroni, giornalista Rai e attore. E’ fidanzata del figlio di Giorgio Napolitano. E’ stagista al centro studi Ariel di Enrico Letta. La sua candidatura è dunque espressione del più antico e squallido nepotismo, mascherato da novità giovanilista e femminista. E fa scandalo per il favoritismo, come dovrebbe.

In parlamento la Madia brilla come una delle 22 stelle del Pd che non partecipano, con assenze ingiustificate, al voto sullo scudo fiscale proposto da Berlusconi, che passa per 20 voti: dunque, è direttamente responsabile per la mancata caduta del governo, che aveva posto la fiducia sul decreto legge. Di nuovo fa scandalo, questa volta per l’assenteismo. La sua scusa: stava andando in Brasile per una visita medica, come una qualunque figlia di papà.

Invece di essere cacciata a pedate, viene ripresentata col porcellum anche alle elezioni del 2013. Ma poi arriva il grande Rottamatore, e la sua sorte dovrebbe essere segnata. Invece, entra nella segreteria del partito dopo l’elezione a segretario di Renzi, e ora viene addirittura catapultata da lui nel suo governo: ministra della Semplificazione, ovviamente, visto che più semplice la vita per lei non avrebbe potuto essere. Altro che rottamazione: l’era Renzi inizia all’insegna del riciclo dei rottami, nella miglior tradizione democristiana.

La riciclata ora rispolvererà l’argomento che aveva già usato fin dalla sua prima discesa paracadutata in campo: “Non preoccupatevi di come sono arrivata qui, giudicatemi per cosa farò”. Ottimo argomento, lo stesso usato dal riciclatore che dice: “Non preoccupatevi di come ho ottenuto i miei capitali, giudicatemi per come li investo”. Se qualcuno ancora sperava di liberarsi dai rottami e dai riciclatori, è servito. L’Italia, nel frattempo, continui ad arrangiarsi.

(22 febbraio 2014)