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Giulio Cavalli

Ha parlato Spatuzza: quando Ostia era Cosa Nostra

Ne parlavamo ieri. E oggi stiamo sul pezzo:

L’uomo che ha demolito le sentenze sulla strage di via d’Amelio torna a parlare della mafia a Roma. Gaspare Spatuzza racconta di quando a Ostia, sul litorale, comandavano i clan Triassi e Fasciani, che “avevano il paese nelle loro mani”. Boss locali legati alle potenti famiglie mafiose siciliane Cuntrera-Caruana. Vicende degli anni ’90 ma per gli inquirenti ancora attuali, raccontate dal pentito al processo scaturito da decine di arresti compiuti a luglio dello scorso anno. Una clamorosa operazione di polizia contro la mafia nella capitale. Spatuzza, ‘u tignusu’ (il pelato), che ha riscritto con le sue rivelazioni la storia dell’eccidio di Paolo Borsellino e della sua scorta, parla di un periodo in cui era ancora libero (è in carcere dal ’97). L’ex mafioso risponde in video conferenza al pm della procura di Roma Ilaria Calò e dice che “sul litorale romano comandavano loro, avevano il paese di Ostia nelle loro mani”. “Dalla Sicilia, nel 1995, in qualità di reggente e capo del mandamento di Brancaccio, mi mandarono per una missione di morte al fine di scovare e uccidere pentiti di mafia – racconta Spatuzza, tra i massimi responsabili degli attentati del ’93 a Firenze, Roma e Milano -. Arrivato a Roma incontrai un corleonese trapiantato nella capitale che mi confermò che i Triassi ad Ostia erano i padroni e che andavano eliminati. Chiesi consiglio ad un’altra persona e decisi di non fare nulla perché capii che il clan Caruana-Cuntrera, cui erano legati i Triassi, era troppo potente”. Un potere che secondo gli investigatori si sarebbe conservato fino ad oggi, tra usura, gioco d’azzardo, traffico di droga e di armi. Secondo la Procura, tra i Triassi e il clan Fasciani venne siglato, anni dopo, un accordo di non belligeranza per la spartizione degli affari nella zona del litorale. Un accordo che sarebbe durato due decenni. L’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia (Dda) capitolina ha portato all’arresto, nel luglio scorso, di 51 persone tra le quali i capi famiglia Carmine Fasciani e Vincenzo Triassi. Nel processo sono 52 gli imputati, accusati di numerosi reati tra cui l’associazione mafiosa. Tra loro l’intera famiglia-holding dei Fasciani, il capo del clan Carmine, i fratelli Nazzareno, Giuseppe e Terenzio, nonchè Vincenzo e Vito Triassi e Francesco D’Agati, esponente dell’omonimo clan.
Vincenzo Triassi é stato arrestato in Spagna ed estradato ad agosto dell’anno scorso. Per i pm e la squadra mobile c’era una ‘cupola’ mafiosa a controllare il territorio, a Ostia ma non solo. E le parole di Spatuzza sembrano oggi avvalorarne quanto meno la genesi, 20 anni fa.

(ANSA)

La prima pagina sparita

Volevano farla sparire e ora ne parlano tutti. Geni.

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«Il cinghiale quando viene ferito ammazza tutti… ». Se pensavano di convincerlo con quella metafora minacciosa urlata in piena notte al telefono prima dell’improvviso guasto alle rotative hanno fatto male i loro conti. Perché il “cinghiale” non solo non ha fermato la notizia ma è diventato anche il titolo dell’editoriale del giorno dopo: “La censura e l’era del cinghiale”.

Luciano Regolo, giornalista calabrese tornato nella sua terra da due mesi per dirigere il quotidiano “L’ora della Calabria”, quella censura praticata con le maniere forti da “amici” del senatore Antonio Gentile, uno degli aspiranti alle poltrone di sottosegretario per l’Ncd di Angelino Alfano, non ha nessuna intenzione di subirla.

«Intanto, quella prima pagina del giornale che sono riusciti a bloccare martedì, è uscita regolarmente il giorno dopo. E se volevano farci tacere sullo scandalo dell’Asp che coinvolge il figlio del senatore Gentile hanno ottenuto l’effetto opposto: abbiamo tenuto una conferenza stampa visibile a tutti sul nostro sito e sono pronto ad andare in Procura con registrazioni e documenti. Quella che ci è capitata è davvero una brutta storia e, soprattutto in una terra come la Calabria, la paura genera paralisi. Per questo spero davvero che la Procura mi chiami».

Direttore, cosa vuole denunciare?
«Minacce e un tentativo di censura, respinte al mittente, che sono sfociati nel “provvidenziale” guasto alle rotative che ha impedito martedì l’uscita del mio giornale. Per evitare la pubblicazione di una notizia che avrebbe dato fastidio alla famiglia del senatore Gentile: il coinvolgimento di suo figlio Andrea in un’inchiesta sul direttore generale dell’Asp di Cosenza, Gianfranco Scarpelli, fedelissimo di Gentile, interdetto dai pubblici uffici per aver distribuito, evidentemente in maniera illegittima, incarichi legali per 900.000 euro».

Chi le ha chiesto di non pubblicare questa storia?
«Prima il mio editore, Alfredo Citrigno. Un giovane editore, 30enne, che in due mesi di direzione non ha mai operato alcuna forma di condizionamento nei miei confronti. Era preoccupato, mi ha chiesto se dovevamo pubblicare “per forza” quell’articolo, se avessimo tutte le prove, diceva che nessun altro sito l’aveva pubblicata. Eravamo insieme in macchina quando ha ricevuto una chiamata al cellulare da parte dello stampatore, Umberto De Rose.

Il telefono era in viva voce e ho sentito tutto. Ponendosi come “mediatore” della famiglia Gentile ha cominciato a pretendere che il pezzo non uscisse. “Chiama sto Regolo e ferma tutto. Vedi che Tonino Gentile può diventare sottosegretario alla Giustizia e se vede che solo tu pubblichi questa notizia qualche danno te lo fa. Il cinghiale quando viene ferito ammazza tutti…».

E lei ha resistito.
«Certo, ci mancherebbe. Ho salutato l’editore dicendo che non avrei toccato nulla. Poi alle due di notte lo stampatore ha chiamato in redazione dicendo che c’era un guasto alla rotativa e il giornale non sarebbe uscito».

E gli altri? Qualcun altro ha pubblicato questa notizia?
«Solo il sito de “Il Corriere della Calabria”. Il “Quotidiano” non ha pubblicato nulla e la Gazzetta del Sud ha dedicato ad Andrea Gentile solo un passaggio sfumato. D’altronde lo stampatore diceva che Gentile “aveva avuto la certezza al cento per cento che nessuno sarebbe uscito”».

Lo stampatore nega, Gentile si dice totalmente estraneo al tentativo di censura e minaccia querele.
«Ripeto, spero che mi chiamino in Procura. Ho tutte le prove. È un’azione intollerabile in un paese libero. E credo che un senatore dovrebbe difendere la libertà di stampa. O no?».

(click)

La cultura

Direi che è quella dimensione astratta (nel senso che astrae dagli individui) ma al tempo stesso molto concreta nella quale tutti noi ci riconosciamo. La cultura dà una risposta alla domanda: come riusciamo a costruire una società fra migliaia, fra milioni, di individui che non si sono mai incontrati in vita loro? Come si fa a “far società” senza neppure conoscersi? Formiamo una società perché, pur non “conoscendosi”, ci si “riconosce” in una dimensione ideale, simbolica, in qualche cosa di più generale che fa convergere le forze. Questo non vuol dire che la cultura sia olista: ci sono culture aperte e altre meno, oppure chiuse. La cultura esiste in quanto un certo numero di individui pensa che abbia un senso lavorare per una dimensione di vita comune. Che non esula dalla dialettica e dal conflitto.

Gustavo Zagrebelsky, qui.

La frutta e verdura del clan Galatolo

PALERMO – Beni immobili aziende e rapporti finanziari per un valore complessivo di circa 250 milioni di euro, ritenuti riconducibili a esponenti del clan Galatolo, sono stati sequestrate dalla Dia a Palermo. Il provvedimento, della sezione Misure prevenzione del tribunale, ruota attorno alle attività legate al mercato ortofrutticolo e al suo indotto. I beni sequestrati, secondo l’accusa, sono riconducibili a cinque palermitani ritenuti vicini e contigui a Cosa nostra, e in particolare al clan dei Galatolo. Sono Angelo e Giuseppe Ingrassia, entrambi di 57 anni, Pietro La Fata, di 81, e Carmelo e Giuseppe Vallecchia, di 74 e 53 anni. Dalle indagini della Dia è emerso che i cinque, titolari di vari stand all’interno del mercato ortofrutticolo ne monopolizzavano l’attività anche attraverso l’utilizzo dei servizi forniti dalla Cooperativa “Carovana Santa Rosalia” come la compravendita di merce, facchinaggio, parcheggio, trasporto e vendita di cassette di legno e materiale di imballaggio. Per gli investigatori il controllo era tale da permettere a una ‘regia occulta’ di prestabilire il prezzo dei beni posti in vendita, a cui gli operatori del settore dovevano uniformarsi. Ma sarebbe stata anche in grado di controllare il trasporto su gomma da e per la Sicilia occidentale ed i principali mercati di approvvigionamento delle derrate alimentari del centro Italia e di ‘gestire’ le attività connesse al commercio svolto all’interno del mercato stesso ad opera di Cosa nostra. A sostegno dell’accusa nell’indagine sono confluite anche convergenti dichiarazioni rese da numerosi collaboratori di giustizia. Fra i beni sequestrati dalla Dia ci sono 20 immobili, tra terreni, appartamenti e box, 13 aziende, 14 veicoli e numerosi rapporti finanziari per un valore complessivo di oltre 250 milioni di euro.

(Ansa)

Mafie nel Lazio: domani parla Spatuzza

«L’accusa chiama a testimoniare Gaspare Spatuzza». Quando domani nell’aula bunker di Rebibbia il super pentito di mafia presterà il suo giuramento davanti ai giudici, il processo ai clan Fasciani-Triassi – boss della criminalità a Ostia – vivrà uno dei suoi momenti più caldi.
Spatuzza è colui che ha raccontato l’attentato per uccidere il giudice Paolo Borsellino e le bombe di Milano,Firenze e Roma nella stagione della trattativa stato-mafia a inizio degli anni ‘90. Ma è anche il primo ad aver spiegato genesi e accordi alla base dell’alleanza che ha dettato legge sul litorale romano, fino ai 51 arresti del luglio scorso nell’operazione «Nuova Alba». I diciotto affiliati ai clan che hanno scelto il rito ordinario – inclusi i capi famiglia Carmine Fasciani e Vincenzo Triassi – sono sul banco degli imputati, accusati di associazione di stampo mafioso, la prima in assoluto contestata a un gruppo criminale romano.

[…]

Nel 1995 Spatuzza – fidato killer al servizio del mandamento palermitano di Brancaccio – viene mandato sul litorale romano per esportare la guerra combattuta sull’isola. Dove eliminare i vertici della famiglia agrigentina Triassi e i narcotrafficanti Cuntera-Caruana, che a loro si appoggiano. Tutto per favorire l’ascesa dei Fasciani-Spada, originari dell’Abruzzo ma già alleati di Cosa Nostra. La missione non va a buon fine e 12 anni dopo nasce il patto di non belligeranza con cui i clan rivali si spartiscono gli affari sul litorale.

«Rispetto alla mafia siciliana, a Roma hanno tutta un’altra mentalità. Non si vogliono sporcare le mani direttamente, il romano cerca di farsi proteggere le spalle, agisce in seconda fila e però investire di più», ha raccontato ai pm il pentito.
E molto altro può raccontare un’altra figura chiave dell’inchiesta, Sebastiano Cassia, anch’egli collaboratore di giustizia di primo piano, che ha invece fatto alla Procura e alla Squadra Mobile il quadro della situazione attuale. Spiegando, ad esempio, che l’attentato del 2007 a Vito Triassi nasceva dalla guerra per il controllo dei chioschi balneari.

Descrivendo la presa delle attività commerciali da parte di Fasciani («Se c’hai bisogno di soldi te li presto, se non c’hai bisogno di soldi, ti costringo a vendermela»). Svelando che ad Ostia perfino le cooperative per disabili sono legate ai clan. Che i boss decidono anche sulle assegnazioni delle case popolari e che, da ultimo, i clan miravano al business del porto turistico. Il pm Ilaria Calò ha ottenuto dal tribunale di dedicare a lui due udienze a marzo. Sul ricorso ai pentiti le difese hanno già annunciato batta glia, anche nei loro controesami, temendone un uso strumentale.

Come sottolinea giustamente anche il Corriere domani è un giorno importante per affrontare lo studio di cosa succede dalle parti di Roma.

A tutti. Purché tutti lavorino, purché siano pronti a scarpinare, a fare polvere, a pestarsi i piedi, a tafanarsi l’un con l’altro dalla mattina alla sera.

Sembra che tutti ci credano, a quest’altro miracolo balordo: quelli che lo dicono già compiuto e anche gli altri, quelli che affermano non è vero, ma lasciate fare a noi e il miracolo ve lo montiamo sul serio, noi.

È aumentata la produzione lorda e netta, il reddito nazionale cumulativo e pro capite, l’occupazione assoluta e relativa, il numero delle auto in circolazione e degli elettrodomestici in funzione, la tariffa delle ragazze squillo, la paga oraria, il biglietto del tram e il totale dei circolanti su detto mezzo, il consumo del pollame, il tasso di sconto, l’età media, la statura media, la valetudinarietà media, la produttività media e la media oraria al giro d’Italia.

Tutto quello che c’è di medio è aumentato, dicono contenti. E quelli che lo negano propongono però anche loro di fare aumentare, e non a chiacchiere, le medie; il prelievo fiscale medio, la scuola media e i ceti medi. Faranno insorgere bisogni mai sentiti prima. Chi non ha l’automobile l’avrà, e poi ne daremo due per famiglia, e poi una a testa, daremo anche un televisore a ciascuno, due televisori, due frigoriferi, due lavatrici automatiche, tre apparecchi radio, il rasoio elettrico, la bilancina da bagno, l’asciugacapelli, il bidet e l’acqua calda.

A tutti. Purché tutti lavorino, purché siano pronti a scarpinare, a fare polvere, a pestarsi i piedi, a tafanarsi l’un con l’altro dalla mattina alla sera.

Io mi oppongo.

(Luciano Bianciardi, Grosseto 1922 – Milano 1971 – Scrittore, giornalista e saggista italiano – Il miracolo italiano – da “La vita agra”, 1962)

Lo sguardo lungo del portavoce (affascinato da Andreotti) di Renzi

Per merito suo il nome di questa città gira per il mondo. Siamo su un palcoscenico internazionale

(Lorenzo Guerini, attuale portavoce della segreteria del PD, all’epoca sindaco di Lodi, su Gianpiero Fiorani, un mese e mezzo prima che questi fosse indagato. Fonte. Se qualcuno si chiede cosa c’entri Andreotti può leggere qui)

Dopo Cuffaro anche Lombardo è amico degli amici

Tanto per rileggere la storia recente di questo Paese: la politica, le alleanze e per prendere decisioni giuste anche su Cosentino che sta esultando per una presunta nuova amicizia con Renzi:

Raffaele Lombardo, ex presidente della Regione siciliana, è stato condannato a sei anni e otto mesi per concorso esterno in associazione mafiosa. Assolto, invece, per il reato di voto di scambio. E’ la sentenza emessa dal Gup di Catania, Marina Rizza, davanti alla quale il procedimento si è celebrato con il rito abbreviato condizionato.
L’inchiesta riguardava uno stralcio dell’indagine conosciuta come “Iblis”, condotta dai carabinieri del Ros di Catania, che evidenziato alcuni rapporti tra Cosa nostra, politica e imprenditoria.
Per questo nei confronti dell’ex presidente della Regione Sicilia, e di suo fratello Angelo, era stato aperto un processo per reato elettorale davanti al giudice monocratico. Per entrambi la Procura aveva poi presentato una richiesta di archiviazione per concorso esterno all’associazione mafiosa ma il gip Luigi Barone, in camera di consiglio, rigettò la stessa disponendo l’imputazione coatta.

da Antimafia Duemila.

Un consiglio per Renzi e per la cultura #iostoconBray

Leggete Christian Raimo stamattina (bravo come sempre):

Oggi, 19 febbraio, si sarebbe dovuta tenere l’attesa riunione del gruppo di lavoro che sta preparando il Piano per la lettura, un progamma voluto e sostenuto dall’ormai ex-ministro dei Beni e le Attività Culturali Massimo Bray. Quest’incontro, col governo Letta andato a gambe all’aria non si farà. Ora, da anni si cercano di trovare dei risultati seri sulla politica di promozione alla lettura. E qualcosa con Bray stava accadendo. E anche, forse, con i tempi complicati della politica, si stava riuscendo a fare di quella struttura debole e mal diretta del Centro del Libro e la Lettura un organo di coordinamento e intervento più efficiente.
L’altro giorno parlando con quelli che è per me uno dei affidabili analisti di politiche culturali in Italia, Giovanni Solimine, mi passava questi dati:
“Secondo Save the Children, più di 300.000 ragazzi di età inferiore ai 18 anni, residenti nelle regioni meridionali, non hanno mai fatto sport, non sono mai andati al cinema, non hanno mai aperto un libro o acceso un computer.
La partecipazione ad attività di educazione formale o informale per adulti è in Italia la più bassa tra i paesi OCSE: siamo al 24% rispetto a una media del 52%. Le conseguenze si vedono: le persone di età superiore ai 55 anni che hanno partecipato ad attività formative fanno registrare livelli di competenze nella lettura, nella scrittura e nel calcolo pari a più del doppio dei coetanei che non hanno avuto esperienze formative. L’assenza di iniziative di formazione per gli adulti va ad aggiungersi ad una situazione che ci vede già in posizione arretrata rispetto ad altri paesi avanzati, con i quali dobbiamo confrontarci: solo il 15% degli italiani adulti (25-64 anni) ha raggiunto un livello di istruzione universitaria, mentre nei paesi OCSE il dato medio è più che doppio, essendo pari al 31%, e nell’Europa a 21 è 28%. Solo due nazioni su 36 dell’area OCSE presentano percentuali inferiori alla nostra.”
Ora per me è chiaro è che se vero che esistono emergenze varie per l’Italia in crisi: artigiani e commercianti con l’acqua alla gola che oggi protestavano in massa a Roma, una legge elettorale che restituisca un minimo di credibilità alla politica, una riforma del lavoro in controtendenza rispetto a Biagi, Treu, Fornero e compagnia… Ma è vero che per me c’è un’emergenza ancora più urgente – quella di un Piano di alfabetizzazione culturale che interessi tutta l’Italia, le province remote, i paesini sperduti, le regioni depresse.
Nella scelta di chi nominare come ministro, e invece di lanciarsi in altri slogan ad effetto, Matteo Renzi potrebbe partire semplicemente da qui.

Si sta assistendo ad una mobilitazione per la conferma del Ministro Bray (con l’hashtag #iostoconBray) che ha una caratteristica incredibile di questi tempi: la richiesta a gran voce che un Ministro venga riconfermato, cosa che non succedeva da decenni, perché riconosciuto capace. Il tutto succede di questi tempi non proprio benevoli con politici e per di più ministri.