Vai al contenuto

Giulio Cavalli

A proposito delle generazioni perdute

Ritrovo grazie a Adrianaaaa una nota di Cesare Pavese che colpisce per contemporaneità nonostante sia stata scritta nel 1950:

Per oggi ci preme rilevare la frase che uno “scrittore comunista” ha detto a Falconi intorno alla crisi, all’insufficienza narrativa del nostro tempo: “La nostra è una generazione in un certo senso perduta, e non si può pretendere di più…La nostra testimonianza non può essere che polemica e imperfetta… Domani i nostri figli… potranno essere invece i testimoni liricamente o epicamente sereni, ecc ecc”. A noi questa frase ripugna profondamente, e non abbiamo difficoltà a dire il perché. Non ci sono generazioni perdute – ci sono dei lavoratori e dei fannulloni, dei confusionari e delle persone intelligenti. Se anche una sola generazione avesse il destino culturale di riuscire perduta, di sacrificarsi in toto alla successiva, allora per tutte sarebbe così e ci si domanderebbe a che scopo lavorare ancora. Chi non sa di essere felice “qui e ora”, non lo sarà mai. E scrivere, sia pure combattendo, vuol dire essere felice. Lo scrittore che non si contenta del suo lavoro nei giorni che gli è toccato di vivere, non è uno scrittore. E siamo certo che non lo sarà nemmeno nel giorno beato in cui la società finalmente socialista gli offrirà i più impeccabili modelli di civismo. Allora troverà che il mondo non è ancora comunista. E così via.
La poesia (anche quella dei neorealisti) non ha nulla a che fare con queste velleità, con queste scappatoie. La poesia è l’immagine “chiara” di ciò che nell’esperienza ci è parso “oscuro”, “misterioso”, “problematico”. In qualunque esperienza. E in qualunque momento storico ci tocchi di vivere.

(Da La Letteratura Americana e altri saggi)

Trapani dice di no

Manifesto per Trapani

trapani_dice_no_def2-01 (1)TRAPANI D I C E DI NO

Falcone ebbe a dire qualche tempo prima di morire: “La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni”.

In qualità di cittadini, facenti parte di associazioni e movimenti, chiediamo che le forze migliori delle istituzioni trapanesi siano tutelate affinché queste possano svolgere il proprio lavoro e possano proteggere i cittadini che ogni giorno combattono personali lotte quotidiane di contrasto alla mafia ed alla mentalità mafiosa.

Chiediamo che il procuratore Marcello Viola, il pm Andrea Tarondo, il presidente del Tribunale delle misure di prevenzione Piero Grillo, e tutti i magistrati  e giudici che trattano procedimenti di criminalità organizzata, appartenenti alla procura e al tribunale di Trapani, che da mesi sono oggetto di atti intimidatori, siano tutelati e non siano lasciati soli.

Chiediamo che la Commissione Nazionale Antimafia accenda i suoi riflettori su Trapani dove li fenomeno mafioso ha lasciato e ancora oggi continua a lasciare segni indelebili rimasti indecifrati come: le stragi di Pizzolungo; dei carabinieri della stazione di Alcamo Marina;  i delitti del pm Ciaccio Montalto, del giornalista Mauro Rostagno, del giudice Alberto Giacomelli e dell’agente Giuseppe Montalto;  il tentato omicidio del questore Rino Germanà. Non meno rilevante e da chiarire in ogni aspetto è la certificata presenza a Trapani dei centri di Gladio. E ancora: a Trapani la loggia segreta e coperta Iside 2 ha oggi suoi eredi e ci ha lasciato perfettamente in carriera molti colletti bianchi, professionisti e appartenenti a certa politica. Non evochiamo “fantasmi” ricordando la Iside 2 ma denunciamo che a Trapani resta purtroppo imperante l’azione sprezzante di pochi, di pochissimi,che pretendono di determinare  le sorti delle città, di decidere i destini del territorio, l’affidamento di pubblici incarichi, la gestione dei Palazzi delle istituzioni, delle imprese, dell’economia, schiacciando così la Democrazia, il libero mercato, i diritti e i doveri di ogni cittadino. Falcone e Borsellino negli anni ’80 dicevano che:  se a Palermo c’e’ la mafia militare a Trapani c’e’ quella economica. Riteniamo che lo scenario oggi non sia cambiato. La Iside 2 fece da camera di compensazione tra mafia, politica e impresa e guidato la nascita di quella che oggi definiamo mafia imprenditrice, la mafia sommersa che non uccide più ma oggi sa fare ben sentire la propria “pesante” presenza.

Tutti noi  ci impegniamo e ci impegneremo a tenere alta l’attenzione circa il degrado civile, politico ed economico della nostra città; quel degrado che ci fa vivere in un clima di calma apparente, ma nello stesso tempo, come sopra un vulcano, pronto ad esplodere in qualsiasi momento.

E’ doveroso ricordare anche le parole di Pippo Fava : A che serve vivere, se non si ha il coraggio di lottare?”.

Noi vogliamo lottare per una città libera da giochi, ricatti, intimidazioni, poteri forti e colletti bianchi.

Vogliamo che tutti possano essere liberi di manifestare il proprio pensiero, vogliamo che un giornalista che racconta non sia per certuni una “camurria” come i mafiosi dissero di Mauro Rostagno, che nessuno sia più costretto a  pagare il pizzo o qualche altra quota  associative a Cosa nostra per aprire un’attività economica. Che tutti siano liberi di chiedere e ricevere ciò che gli spetta di diritto.

Vogliamo poter godere delle bellezze del nostro territorio, vogliamo che i nostri figli ci rimangano su questo territorio. Vogliamo che i nostri nipoti,  un giorno conoscano della mafia solo il termine, ma non il fenomeno.

Vogliamo dire ai magistrati ed ai giudici trapanesi che la città è con loro, che noi cittadini abbiamo  alzato  la testa, che abbiamo compreso che è tempo di andare avanti, non con sterili declamazioni  e non più confidando sull’impegno straordinario di pochi, ma con il doveroso impegno ordinario di tutti in una battaglia  che può e deve essere vinta.

Vogliamo restituire dignità civile e culturale al territorio di Trapani impegnandoci in prima persona nelle nostre attività quotidiane affinché si passi dal degrado economico, culturale e politico ad un risveglio economico, culturale,  politico e democratico. 

Siamo consapevoli che la lotta contro la mafia è una questione civile  di democrazia che non può essere lasciata solo nelle mani di chi è esposto in prima linea ma che riguarda tutta la società civile.

Vogliamo che questo nostro territorio, insieme con il nostro futuro, piuttosto che essere gestito da uomini di successo sia invece vissuto da donne e uomini di valore!

Lottiamo e non ci arrendiamo!

Trapani 10 Gennaio 2014 Palazzo Cavarretta/Piazzetta Notai

 

Aderiscono:

Fondazione Erice Arte, Associazione M-arte Matta, Associazione Arkè Arte Archeologia, Udi Unione donne in Italia, Trapani Cambia, Trapani per il futuro, Libera numeri e nomi contro le mafie, Movimento Agende Rosse, Movimento 5 Stelle, Articolo 21, Coordinamento Provinciale Sel, Circolo Sel Danilo Dolci, Legambiente Egadi, Osservatorio Civico Paceco, Calcestruzzi Ericina Libera, Amalatesta circolo Arci, Libero Futuro Trapani, Circolo Mauro Rostagno Rifondazione Comunista, Osservatorio per la legalità Trapani, Associazione culturale 50 metri, Associazione Saman, Associazione culturale Marettimo, AlfaOmega associazione culturale universitaria, Fondazione Benvenuti in Italia, Uisp,Comitato “Grazie Sodano”, Castello Libero, Associazione Nino Via-eroe contemporaneo,Addiopizzo,Confindustria Trapani, Cgil Trapani, Azione Cattolica Diocesana, Partito Democratico, Pallacanestro Trapani, Associazione Nazionale Partigiani, Un’Altra Storia, Associazione Antimafia Rita Atria, AlphaOmega onlus, Associazione antiracket Trapani, Wigwam Club Mare Dentro, Lunae Dies Teatro Collettivo di Ricerca Teatrale, Associazione antiracket Marsala, Osservatorio veneto sul fenomeno mafioso, Ossermafia Italia – Uniti in memoria di Paolo e Agnese Borsellino, Ciao Mauro, Alqhamah, Movimento per la difesa del cittadino, Flmu-Cub, Cst Uil Trapani, Antimafia Duemila, Comitato delle Donne, Associazione Pluto Club, Circolo Big Bang – Adesso Trapani , Ordine degli Architetti, Associazione Pantelleria internet, Coordinamento “9 dicembre” Trapani, associazione Peppino Impastato Cinisi, associazione Cotulevi

 

ADESIONI PERSONALI:

 

Prefetto Fulvio Sodano, on. Rita Borsellino, On. Claudio Fava, On. Davide Mattiello, Sen. Vincenzo Maurizio Santangelo, On. Sonia Alfano, Sen. Pamela Orrù, Avv. Marco Campagna, Elisabetta Roveri, Maddalena Rostagno, Salvo Vitale, Pier Vittorio Demitry, Prof. Enzo Guidotto, Dott. Elena Ferraro, Dott. Nicola Clemenza, Dott. Gregory Bongiorno, Prof. Ignazio Buttitta, Avv. Giuseppe Gandolfo, Arch. Vito Corte, Dott. Santo Della Volpe, Avv. Valerio Vartolo, Dott. Francesco La Licata, Avv. Valentina Villabuona, Don Baldassare Meli, On. Baldo Gucciardi, On. Antonella Milazzo, Dott. Marco Rizzo, Dott. Nino Grignano, Avv. Francesco Brillante, Giulio Cavalli, On. Paolo Ferrero, On. Erasmo Palazzotto, Dott. Massimo Fundarò

 

Nella ‘ndrangheta si entra per nascita o per battesimo

Massimo Lugli per ‘La Repubblica

ndrangheta-296518«Una bella mattina di sabato Santo, allo spuntare e non spuntare del sole, passeggiando sulla riva del mare vitti una barca con tre vecchi marinai, che mi domandarono cosa stavo cercando… ». Sembra l’inizio di una ninnananna popolare, criptica e piena di simboli come il Tao te ching o la Bhaghvad Gita.

Ma in realtà è qualcosa di molto meno poetico e decisamente più inquietante: il rituale di affiliazione alla ‘ndrangheta, descritto nei minimi particolari in un documento criptato, decifrato dagli agenti della mobile romana. Che le cosche calabresi avessero fatto della capitale uno dei campi d’azione preferiti, ormai, si sapeva da tempo. Ma che piombo, sangue, tradizioni e maledizioni fossero stati trapiantati in blocco da San Luca a San Pietro, finora, nessuno l’aveva scoperto. Non in modo tanto preciso e documentato, almeno.

Un passo indietro per chiarire il contesto. Il documento è saltato fuori durante l’indagine su un omicidio eccellente: quello di Vincenzo Femia, personaggio di spicco della cosca di San Luca trapiantato da anni nella capitale e assassinato la sera del 24 gennaio 2013 con una grandinata di pallottole: due sicari e un’esca che proponeva l’acquisto di 5 chili di cocaina a 41mila euro al chilo. L’esca, Gianni Cretarola, un personal trainer con un omicidio da rissa alle spalle, finì in galera l’estate scorsa. Altri tre complici lo hanno raggiunto ieri mattina. Cretarola ha saltato il fosso ed è andato a ingrossare le fila dei collaboratori di giustizia.

A casa sua gli agenti di Renato Cortese sequestrarono, tra l’altro, tre fogli scritti a mano in un alfabeto che sembrava un mix di cirillico, arabo e ideogrammi cinesi arcaici. Il pentito su quegli strani geroglifici faceva spallucce e i poliziotti hanno appioppato il compito di tradurli a due colleghi appassionati di enigmistica.

Niente programmi software di lettura incrociata, niente consulenti d’alto livello, nessuna diavoleria tecnologica. Solo capatosta e un po’ di buon senso. E alla fine ha funzionato, con lo schema delle parole incrociate senza definizioni. La prima lettera individuata è stata la “C”. Una consonante sola ma che, piazzata nei punti giusti, ha permesso, poco a poco di tradurre tutti i ventuno simboli. Gli scarabocchi hanno acquistato un senso compiuto.

Eccone un esempio: «Come si riconosce un giovane d’onore? Con una stella d’oro in fronte, una croce da cavaliere sul petto e una palma d’oro in mano. E come mai avete queste belle cose che non si vedono? Perché le porto in carne, pelle e ossa».

Non ci vuole la laurea in antropologia per notare la continua reiterazione del 3, numero esoterico della Trimurti come della Trinità: i tre vecchi, le tre vele di cui si parla più avanti, i tre segni dell’affiliato alla cosca e i tre, mitici, fondatori della camorra (da cui la ‘ndrangheta ha attinto a piene mani): Osso, Malosso e Carcagnosso.

Una volta tradotto il codice, non resta che mostrarlo all’arrestato che, all’inizio, resta basito: «Ma come avete fatto?». Poi, visto che non ha praticamente altra scelta, parla. E racconta, nei dettagli, l’affiliazione alla cosca, avvenuta nella calzoleria del carcere di Sulmona e che l’avrebbe portato a occupare un ruolo stabile nella gerarchia della ‘ndrangheta: picciotto, sgarrista, santista, vangelista, quartino, trequartino, padrino e capobastone.

Nella ‘ndrangheta si entra per nascita o per battesimo e anche i figli dei boss, fino a 14 anni, sono «mezzi fuori e mezzi dentro». Il racconto di Cretarola è avvincente come certe pagine di Giancarlo De Cataldo. Sentiamolo. Una versione tratta dall’ordinanza di custodia della Dda romana diretta da Michele Prestipino.

«Per il battesimo ci vogliono cinque persone, non di più non di meno ma nella calzoleria ce n’erano solo due, oltre a me. Gli altri erano rappresentati da fazzoletti annodati. Il primo passo è la “formazione del locale”, una sorta di consacrazione che, alla fine del rito, verrà rifatta al contrario: «Se prima questo era un luogo di transito e passaggio da questo momento in poi è un luogo sacro, santo e inviolabile». Segue l’inevitabile offerta di sangue. In mancanza di un coltello (siamo comunque in galera) il “puntaiolo” impugna un punteruolo da calzolaio.

È il novizio che deve pungersi da solo: se non ci riesce al terzo tentativo, l’auspicio è pessimo e bisogna rinviare di sei mesi, ma la mano di Cretarola è ferma e il sangue scorre. Iniziano le formule di rito: «A nome dei nostri tre vecchi antenati, io battezzo il locale e formo società come battezzavano e formavano i nostri tre vecchi antenati, se loro battezzavano con ferri, catene e camicie di forza io battezzo e formo con ferri, catene e camicie di forza, se loro formavano e battezzavano con fiori di rosa e gelsomini in mano io battezzo e formo…». E via di questo passo.

Un rito che si ripeterà per tre volte nel tempo, dopo un’opportuna votazione, a ogni passaggio di grado e di status. In carcere non si trova un santino di San Michele da bruciare, il novizio si limita a bere il sangue e giura «di rispettare le regole sociali, di rinnegare madre, padre, fratelli e sorelle, di esigere e transigere centesimo per centesimo. Qualsiasi azione farai contro le regole sociali sarà a carico tuo e discarico della società». È nato un nuovo affiliato alla ‘ndrangheta o, per dirla in gergo carceraio, alla pisella, alla pidocchia o alla gramigna. Un altro incubo per Roma, come se ce ne fosse bisogno.

 

Malagrotta, Cerroni e i sette re di Roma

120370583Sette persone sono state arrestate dai carabinieri del Noe di Roma nell’ambito dell’inchiesta sulla gestione dei rifiuti del Lazio. Tra questi anche l’imperatore dei rifiuti di Roma, “l’ottavo re” che ha vissuto negli anni di centrodestra e centrosinistra come il padrone, il monopolista nella gestione del pattume sia nella capitale che nel Lazio: Manlio Cerroni, proprietario dell’area della discarica di Malagrotta, è finito ai domiciliari. Un’inchiesta, quella della Procura di Roma, che scompagina un sistema di potere giocato in forza del controllo della catena di comando a rischio di lasciare la Città eterna inondata di rifiuti. Sistema che ha fatto comodo alla politica, incapace di scelte e di governare il ciclo.   Con Cerroni agli arresti domiciliari altre 6 persone: imprenditori, ma anche funzionari pubblici. Si tratta in questo caso dei dirigenti regionali Luca Fegatelli (“l’uomo dei 10 incarichi”) e Raniero De Filippis. Agli arresti Francesco Rando, uomo di fiducia dell’avvocato e gestore della Pontina Ambiente. Rando gestisce anche la E.giovi srl che, insieme al Consorzio Co.la.ri., è tra le aziende principali dell’avvocato che fatturano in media 150 milioni di euro all’anno. Non è l’unico collaboratore di Cerroni coinvolto nell’inchiesta: anche altri due storici assistenti dell’avvocato sono finiti ai domiciliari, Pino Sicignano (direttore della discarica di Albano Laziale) e Piero Giovi. Associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti e truffa sono tra i reati contestati a vario titolo agli indagati. La Guardia di Finanza di Roma ha nel frattempo sequestrato beni mobili ed immobili per 18 milioni di euro.   L’inchiesta da Velletri 
Ne ha fatta di strada Cerroni, una vita in sella dai tempi della sindacatura nel piccolo paese di Pisoniano, in provincia di Roma, anni Cinquanta – quando si faceva immortalare vicino a Giulio Andreotti – fino all’ascesa da imprenditore. Cerroni ha costruito un impero controllando la mega discarica di Malagrotta che per 30 anni ha ingoiato i rifiuti di Roma, di Fiumicino e della città del Vaticano. Società in tutta Italia e anche all’estero, un patrimonio sconfinato e impianti costruiti in mezzo mondo. Ora l’epilogo dei domiciliari.   L’inchiesta è partita nel 2009, condotta dai carabinieri del Noe di Roma agli ordini del colonnello Ultimo e del capitano Pietro Rajola Pescarini. La Procura di Velletri, pm Giuseppe Travaglini, aveva chiesto gli arresti, ma il gip nell’aprile 2012 ha trasferito gli atti per competenza alla Procura capitolina. Sotto accusa era finita la gestione del polo industriale di Albano Laziale, dove Cerroni, con la Pontina Ambiente, gestisce una discarica e un Tmb, impianto di produzione del cdr, le balle dei rifiuti da incenerire. Secondo l’accusa veniva prodotto cdr in misura inferiore rispetto a quanto veniva poi fatto pagare ai Comuni conferitori, con risparmio per il privato che spendeva di meno per smaltirlo in discarica, che in tanto si esauriva prima, piuttosto che per incenerirlo. I Comuni pagavano per un servizio che non ricevevano procurando così un vantaggio alla società di Cerroni. L’inchiesta per competenza si è spostata a Roma, i pm Alberto Galanti e Maria Cristina Palaia sotto la guida del procuratore Giuseppe Pignatone, hanno chiesto le misure cautelari, accolte dal gip Massimo Battistini.   Il funzionario a disposizione Se c’è l’imprenditoria non può mancare il funzionario regionale, anche lui ai domiciliari, si tratta di Luca Fegatelli. Notizie riguardo l’indagine, che oggi ha portato all’esecuzione delle misure cautelari, erano già state pubblicate eppure Fegatelli, anche quando Nicola Zingaretti è stato eletto presidente della Regione, è rimasto in sella con una sfilza di incarichi (ilfattoquotidiano.it ne contò 10). Tra questi anche quello di direttore dell’agenzia regionale per i beni confiscati. Fegatelli è stato dirigente della direzione regionale energia e rifiuti fino al 2010 prima di passare a capo del dipartimento istituzionale e territorio, ruolo che oggi ricopre. Per gli inquirenti è stato a disposizione del gruppo imprenditoriale, è risultato il vero regista, l’uomo chiave della strategia “cerroniana” in Regione. Insieme a Cerroni ai domiciliari finiscono i suoi uomini di sempre, i fedelissimi che da anni sono stati ai vertici della galassia di imprese dell’avvocato.   Poi c’è Raniero De Filippis. Prima direttore del dipartimento del territorio (dal 2007 al 2010), poi attualmente alla guida della direzione regionale ambiente e politiche abitative. De Filippis, con Fegatelli, fu tra i “fortunati” che vide il suo incarico prorogato da Renata Polverini in extremis del suo mandato da governatrice (che stava esaurendosi sotto i colpi degli scandali). E lo stesso funzionario si è “distinto” anche per la coincidenza di avere come collega – funzionario in Regione Lazio – il nipote Alessandro. Anche De Filippis è stato confermato da Zingaretti nonostante tutto. Nonostante la Corte dei Conti lo avesse condannato a risarcire la Regione accertando un danno erariale di 750mila euro. E nonostante nel 2002 avesse già patteggiato 5 mesi per abuso d’ufficio e falso ideologico per vicende legate ad una comunità montana di cui era stato commissario liquidatore.   L’assessore al telefono 
Ai domiciliari anche Bruno Landi, ex presidente della Regione Lazio negli anni Ottanta, craxiano di ferro, presidente di Federambiente Lazio, che ha ricoperto diversi ruoli nelle società dell’avvocato da Viterbo a Latina. Landi è stato il punto di contatto con il mondo della politica. Quella politica che ha sempre acconsentito alle richieste dell’avvocato per lo spettro della spazzatura in strada e l’incapacità dei partiti di avviare un ciclo di gestione dei rifiuti. Negli atti, l’informativa dei carabinieri del Noe inviata alla Procura di Velletri, anche una telefonata con l’attuale assessore regionale Michele Civita (estraneo all’inchiesta), quando era assessore in Provincia. Conversazioni che raccontano il ruolo e il potere di Cerroni. Era il 2010. I carabinieri scrivono nell’informativa: “L’assessore, sebbene in un primo momento sembra tenere testa alle pretese dell’avvocato, alla fine soccombe dietro la paura di creare un problema igienico-sanitario simile a quello vissuto dalla città di Napoli, così come paventato dal Cerroni stesso”. Un potere e un ruolo che hanno affascinato anche Goffredo Sottile (pure lui estraneo all’indagine), ultimo commissario per l’emergenza rifiuti a Roma, che anche in pubblico aveva espresso apprezzamenti per l’avvocato. Nonostante l’indagine in corso a carico di Cerroni – nota già dallo scorso anno – Sottile ha insistito per affidargli la gestione della nuova discarica che avrebbe servito Roma dopo Malagrotta. Ipotesi poi tramontata. Tramontata come la rete di potere dell’anziano avvocato.

Di N. Trocchia su Il Fatto Quotidiano

Accreditarsi con un libro

La seconda cosa che Luca dimentica nel suo post è che in moltissimi casi scrivere un libro, un saggio qualsiasi, qualcosa che a malapena arriverà negli scaffali e che venderà forse qualche centinaia di copie per scomparire dopo pochi mesi, è una forma di accreditamento indispensabile in un numero molto ampio di ambienti culturali e professionali. Moltissimi oggi scrivono libri con questo unico pensiero e tutto sommato fanno benissimo a farlo. C’è un provincialismo formidabile in questo, non tanto dello scrittore in sé ma dei moltissimi che ti accreditano in società in quanto scrittore pubblicato. Con un tomo. Di carta. Nessuna pagina digitale, nessun ebook anche magnifico ti darà accesso ai piani bassi (e talvolta a quelli medi e perfino in qualche caso a quelli alti) del palcoscenico culturale nostrano. Se poi sei uno di quei pazzi che si autopubblicano in formato digitale allora passi direttamente nel girone degli sfigati per definizione. La targhetta scrittore (anche se il tuo libro non l’ha mai letto nessuno), quella di una volta, la mano che regge il mento nella terza di copertina e lo sguardo pensoso, sono il bagaglio minimo per essere accettato in società. Forse anche questo non durerà per molto ma per ora di sicuro un po’ funziona.

Mantellini in un suo post dimostra di essere avanti in un argomento che l’editoria non ha ancora intravisto.

La confusione che aiuta le mafie e le droghe

Roberto Saviano aveva cominciato a parlare di legalizzazione delle droghe durante la preparazione del suo ultimo romanzo e quando in Italia il dibattito sul tema era relegato all’ostinazione dei Radicali e poco altro. Ricordo che quando uscì uno dei suoi primi corsivi e poi alcune interviste sul tema rimasi sorpreso dal “silenzio” sul punto: tutti discutevano del libro “Zero Zero Zero” (dividendosi in buona parte già in idolatria o demolizione prima ancora che fosse dato alle stampe) ma in pochi vollero raccogliere quell’invito a legalizzare. Passò come una provocazione, una conclusione affrettata, un’idea che non si risolve con un libro.

Ora il tema della legalizzazione delle droghe risale nel dibattito nazionale dopo le recenti decisioni degli altri Paesi in giro per il mondo (che semplicemente significa che noi qui in Italia siamo indetto nel dibattito, no?) e ancora Roberto scrive un articolo chiaro e per me completamente condivisibile:

Io credo che la legalizzazione, e non la liberalizzazione, sia l’unica strada. Due termini simili che spesso vengono confusi, ma che indicano due visioni completamente diverse. Legalizzare significa spostare tutto quanto riguarda la produzione, la distribuzione e la vendita di stupefacenti sotto il controllo dello Stato. Significa creare un tessuto di regole, diritti e doveri. Liberalizzazione è tutt’altro. È privare il commercio e l’uso di ogni significatività giuridica, lasciarlo senza vincoli, disinteressarsi del problema, zona franca. Invece legalizzare è l’unico modo per fermare quel silenzioso, smisurato, violento potere che oggi condiziona tutto il mondo: il narco-capitalismo.

Appunto sulla differenza tra liberalizzare e legalizzare sta il nodo creato ad arte per rendere l’argomento tutto bianco o tutto nero.

La verità è che non abbiamo scelta: la situazione attuale impone un’analisi accurata del mercato delle droghe e l’attuazione di un programma che non sarà la soluzione definitiva e immediata, e che forse sarà un male minore, ma necessario. Lasciare il mercato delle droghe nelle mani delle organizzazioni criminali non renderà immacolate le coscienze di quanti ritengono che lo Stato non possa farsi carico di produrre e distribuire sostanze stupefacenti. È proprio questo il punto da affrontare e l’inganno da sfatare. Ad avere occhi per vedere.

L’articolo completo è su Repubblica.

Per un contrasto europeo al crimine organizzato e alle mafie

per_un_contrasto_europeo_al_crimine_organizzatoL’eccellente lavoro di Sonia Alfano al Parlamento Europeo:

PER UN CONTRASTO EUROPEO AL CRIMINE ORGANIZZATO E ALLE MAFIE. Il 25 ottobre 2011 il Parlamento Europeo a Strasburgo ha approvato a larghissima maggioranza (584 favorevoli, 48 astenuti e 6 contrari) la risoluzione sul crimine organizzato nell’Unione Europea. Per la prima volta, anche grazie ai nuovi e ben più ampli poteri conferitigli dal Trattato di Lisbona, il  Parlamento Europeo affronta consapevolmente la questione della minaccia posta quotidianamente alle libertà e ai diritti dei cittadini dalle organizzazioni criminali e dalle mafie. Proprio così, dalle mafie. La risoluzione del Parlamento Europeo, di cui ho avuto l’onore e l’onere di essere relatrice, rappresenta un primo ma fondamentale passo di questo difficile percorso politico che ha come obiettivo l’affermazione della supremazia delle istituzioni e dei cittadini rispetto ai poteri criminali e mafiosi. Il Parlamento Europeo traccia un ambizioso piano politico, richiedendo alle istituzioni competenti una serie di misure e di interventi che disegnano una complessa azione di contrasto, con un approccio globale contestualmente repressivo e preventivo. La risoluzione propone le linee guida che a livello europeo dovranno essere seguite nel contrasto alle organizzazioni criminali.

DOWNLOAD GRATUITO

 

Di fronte a tutto questo non rispondo nemmeno

ninodimatteoPerdoni la domanda scomoda, ma c’è chi ipotizza che tutta la vicenda e il clamore mediatico che ha sollevato siano strumentali, addirittura volute.
“Lo pensino pure, sulle pelle degli altri è facile. Quando verranno depositate le trascrizioni delle frasi di Riina, ascolteranno le sue parole e guarderanno il video capiranno tutto”.

C’è allora un tentativo di delegittimare il suo, il vostro lavoro?
“Non mi sorprendo più nulla. C’è sempre chi, di fronte ai proiettili, parla di auto-minacce. Persino ai tempi di Giovanni Falcone è andata così. Di fronte a tutto questo non rispondo nemmeno, non degno di considerazione chi insinua senza conoscere. Non mi sorprendo. È una storia che si ripete da sempre. Stavolta, però, si dovranno scontrare con il video e la voce di Totò Riina. Ritengo che ci sia, proprio nell’ottica di delegittimare determinati tipi di indagini, un tentativo di non valutare i fatti, persino di ribaltarli”.

Un’intervista a cuore aperto di Nino Di Matteo, l’innominabile per la politica e pure qualche “antimafioso”.

Quel Paese che in questo tempo taglia gli stipendi della DIA

La lotta alla mafia è ancora una priorità per il governo? A parole sì, nei fatti sembra di no. Lo dimostrano i costanti tagli al bilancio della Dia, la Direzione investigativa antimafia, alle prese con una crisi finanziaria senza precedenti. L’ultimo taglio lineare riguarda il “Tea”, il trattamento economico accessorio che viene erogato ai 1.300 dipendenti della Direzione. Sino a due anni fa questa voce di bilancio – che rappresenta il 20 per cento dello stipendio – era considerata spesa obbligatoria.

Dal 2011 in poi, con le leggi di stabilità, il “tea” per i dipendenti dell’Antimafia rischia di diventare un miraggio, perché quelle somme non sono più stanziate automaticamente per legge, ma soggette alla discrezionalità dell’esecutivo che ne dispone il pagamento con successivo decreto.

Per garantire il “tea” servirebbero 10 milioni di euro l’anno, ma la somma disponibile ammonta a poco più della metà. Dal 2001 al 2012 il bilancio della Dia è passato da 28 milioni di euro a 17. La Direzione investigativa sconta anche carenze di personale: per lavorare a pieno regime la pianta organica prevede circa 3 mila tra funzionari e investigatori. In servizio ce ne sono meno della metà.

(click)