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Giulio Cavalli

Buongiorno! Arrestata la sorella di Matteo Messina Denaro

Un’imponente operazione antimafia è in corso in provincia di Trapani da parte di Polizia, Carabinieri, Guardia di finanza e Direzione investigativa antimafia (Dia). I provvedimenti di arresto, emessi dal gip di Palermo, riguardano esponenti di spicco del clan di Matteo Messina Denaro, considerato numero uno di Cosa nostra.

LE ORDINANZE – Le ordinanze di custodia cautelare, emesse dal Gip su richiesta della Procura distrettuale antimafia di Palermo, riguardano in particolare le famiglie mafiose di Castelvetrano e Campobello di Mazara. Le accuse nei confronti degli indagati sono, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso, intestazione fittizia di beni ed estorsione. Secondo gli inquirenti e gli investigatori, gli indagati esercitavano da anni un controllo capillare e con modalità riconducibili a Cosa Nostra sulle attività economiche ed imprenditoriali della provincia di Trapani, con ingenti interessi nel settore dell’edilizia. I particolari dell’operazione verranno resi noti in una conferenza stampa in programma alle 11 alla Procura distrettuale antimafia di Palermo.

Scrive Salvo Palazzolo:

CASTELVETRANO (TRAPANI) – Gli uomini col mephisto sembrano delle ombre nella notte. Alle tre in punto, escono allo scoperto e corrono verso le roccaforti dell’ultimo grande latitante di Cosa nostra, Matteo Messina Denaro:  la casa del nipote prediletto, Francesco Guttadauro; la casa della sorella Anna Patrizia; la bella villa del fedele imprenditore Giovanni Filardo; l’appartamento del fidato autista Pietro Luca Polizzi. Sembra un fortino dentro la città di Castelvetrano, dove il padrino resta solo un’ombra, ormai da vent’anni. I suoi lo chiamano: “La testa dell’acqua”, questo hanno captato le microspie. Alle tre in punto, gli uomini col mephisto sono entrati nel fortino e hanno arrestato i principali favoreggiatori del boss condannato all’ergastolo per aver piazzato nel 1993 le bombe di Roma, Milano e Firenze. A Castelvetrano, questa notte, c’erano i carabinieri del Ros, i colleghi del reparto operativo di Trapani, gli investigatori della Dia, i poliziotti dello Sco, delle squadre mobili di Palermo e Trapani, i finanzieri del Gico: da un anno, il procuratore aggiunto Teresa Principato e i sostituti Marzia Sabella e Paolo Guido preparavano il blitz, mettendo insieme tutti i tasselli raccolti durante le indagini sul latitante e sulla sua rete di protezione.
Alle tre in punto, gli uomini col mephisto sono entrati in azione anche in altre parti della Sicilia e persino in provincia di Milano per stringere il cerchio attorno alla potente mafia della provincia di Trapani. A Palermo sono stati arrestati due ingegneri del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, Giuseppe Marino e Salvatore Torcivia: due veri insospettabili, il primo è figlio di un giudice. Sono accusati di aver intascato mazzette per favorire una ditta di mafia, la “Spe.fra.”, nei lavori di manutenzione e ristrutturazione all’interno del carcere palermitano dell’Ucciardone.

Insospettabili in manette
Fino a qualche ora fa, un’insospettabile era anche la vigilessa Antonella Montagnini, in servizio al Comune di Paderno Dugnano, provincia di Milano: di tanto in tanto, un mafioso di Campobello di Mazara, Nicolò Polizzi, suo ex cognato, le chiedeva di controllare qualche targa sospetta. Polizzi aveva l’incubo di essere pedinato dalla polizia. Suo figlio Nicolò, anche lui arrestato questa notte dal Ros, aveva invece una passione smodata per la politica: in cambio di una cifra non precisata avrebbe procurato un consistente pacchetto di voti a Doriana Licata, candidata (non eletta) nella lista dell’Mpa di Raffaele Lombardo alle Regionali 2012. I carabinieri hanno arrestato per voto di scambio anche il fratello di Doriana, Aldo Roberto.

Mezz’ora dopo il blitz di questa notte, il bilancio è di trenta arresti. “Abbiamo inferto un colpo determinante”, sussurra uno degli investigatori che da anni segue giorno e notte le tracce del superlatitante. “Adesso sarà costretto a uscire allo scoperto”, dice. Perché non può contare più sul suo portavoce ufficiale, il nipote Francesco Guttadauro, classe 1984, che i Ros hanno visto muoversi con grande disinvoltura fra una rete ristretta di 17 persone fidatissime, tutte oggi arrestate: nel tempo libero, il rampollo di mafia se ne andava a passeggio con l’ex capitano del Palermo Fabrizio Miccoli.
Da questa notte, Messina Denaro non può più contare sulla sua ambasciatrice, la sorella Anna Patrizia, che ha 43 anni, e un piglio da vero capomafia: le intercettazioni della Dia l’hanno sorpresa a estorcere 70 mila euro agli eredi di una nobildonna (“Io qua sono, mi chiamo Messina Denaro e a me non mi rompe niente nessuno  –  così diceva  –  Ora io qua voglio le cose, ora voi uscite i soldi, perché a me i soldi mi servono”). Altre intercettazioni, della polizia, hanno ascoltato Anna Patrizia mentre riferisce al marito in carcere i desiderata del fratello latitante a proposito di Giuseppe Grigoli, l’ex patron dei supermercati Despar prestanome del superlatitante che aveva iniziato a fare delle dichiarazioni ai processi. “Che nessuno lo tocchi, lasciatelo… dice… più danno può fare. Di più, per dieci volte”. Questo fu il messaggio portato da Anna Patrizia in carcere.

Cassa di famiglia
Da questa notte, Matteo Messina Denaro non può contare più sul suo cassiere di fiducia, l’imprenditore Giovanni Filardo, che nonostante l’arresto aveva continuato a fare lavorare le sue aziende nel campo del movimento terra e dell’edilizia, intestadole alla moglie Maria Barresi e poi girando alcuni introiti alle figlie Floriana e Valentina. Le indagini della Guardia di finanza di Palermo hanno portato tutta la famiglia in carcere. A nulla sono serviti gli appelli alla prudenza lanciati dal padre: “Leva e scava”, diceva Filardo alle donne di casa, invitandole a mettere sottoterra i soldi. Quei soldi dovevano per forza girare nelle rete di Messina Denaro, per il sostentamento del latitante e dei familiari. A Patrizia, ad esempio, spettava uno stipendio di 1.500 al mese. I soldi non mancavano. A Filardo, con la sua “BF”, si affiancavano Lorenzo Cimarosa e Antonino Lo Sciuto, che gestivano la “Mg costruzioni”, impegnata in tanti lavori in provincia di Trapani, i più importanti quello per il parco eolico di Mazara e quello per realizzare il Mc Donald’s di Castelvetrano.
Il provvedimento di arresto, firmato dal gip Maria Pino, dispone anche il sequestro di tre società, che hanno un valore di cinque milioni di euro.

L’inganno

Riflettere sulle parole di Gianfrancesco Turano e le ombre di Rosy Canale (e gli abbracci):

La serata del teatro Parenti, preceduta da un dibattito fra Rosy e Nando Dalla Chiesa, si conclude con un trionfo. Metà della sala piange. Tutti applaudono. L’onda emotiva ha travolto le incongruenze del racconto. Un racconto che, peraltro, è già stato espurgato da particolari imbarazzanti che si trovano nel libro La mia ‘ndrangheta che Rosy Canale ha pubblicato per le Edizioni Paoline.

Lì il ritratto dell’autrice da giovane rivela qualche particolare imbarazzante. Rosy stessa racconta del suo flirt da diciannovenne, quindi in piena guerra, con un “ragazzo dagli occhi dolci”. Incomincia a frequentarlo e conosce i suoi amici. Fra questi, un certo Giuseppe, simpatico e spiritoso, che invita la comitiva a casa sua, ad Archi. Uno strano luogo pieno di telecamere di sorveglianza. Con grande stupore Rosy scopre di essere a casa di Peppe De Stefano, figlio di Paolo boss di Archi ucciso dai Condello-Imerti nel 1985, ed erede del padre con la carica di Capocrimine.

Il “ragazzo dagli occhi dolci” fa parte del gruppo di fuoco dei destefaniani in guerra. Forse questo circuito di conoscenze potrebbe spiegare perché il Malaluna ha avuto problemi con la coca ma non con il pizzo. Del resto, il Malaluna non è mai stato di Rosy Canale. Lei si limitava a presiedere un’associazione senza scopo di lucro che gestiva uno dei locali più ricchi di Reggio in un contesto di grande rilassatezza fiscale. Men che meno è di Rosy Canale l’immobile, che adesso ospita una sala di videolotterie e poker elettronico. Lo stabile appartiene a tale Gaetano Tramontano, un gagliardo reggino nato nel 1904 che l’anno prossimo festeggerà i suoi 110 anni, salvo che qualcuno si ricordi di dichiararlo morto e magari riveli al catasto il reale proprietario.

Dopo la sera del Parenti, la tournée di Rosy è andata avanti con lo stesso successo della serata di Milano e un accompagnamento di recensioni entusiastiche. Adesso il giro dei teatri registrerà una pausa ma il danno è fatto. Chi ha pianto in teatro la prossima volta non ci andrà più in teatro e la ‘ndrangheta avrà trovato un mezzo molto più efficace della censura per tornare sotto traccia: creare un finto martire e aspettare che si screditi da solo.

Le parole (sante) di Lirio Abbate

Quando c’è una notizia va raccontata senza omettere nomi o personaggi: tanto di cappello ai giornali che lo fanno. Ma quante persone leggono ancora i giornali oggi? In televisione invece quanti fanno denuncia? Perchè è la televisione che forma gli italiani. In tv, ci sono direttori di testate televisive che evitano di parlare di mafia, perché per loro è un tema obsoleto.

L’intervista a Lirio è qui.

In un Paese normale

Ci sarebbero tutte le orecchie appoggiate alla porta dell’Aula dove si svolgono le udienze del processo sulla “trattativa” Stato-mafia almeno per produrre un rumore tale da non costringere gli interessati politici (diretti e indiretti) a prendere una posizione o che ne so, abbozzare una smentita.

Le parole di Brusca, ad esempio:

“All’inizio degli anni ’90 –  spiega il pentito – è venuto meno il riferimento di Andreotti, l’intento di Pino Lipari era di dare vita a un movimento politico di imprenditori, un progetto che condividevo completamente. L’obiettivo era acquisire il potere politico, prima in Sicilia e poi a livello nazionale”. Di fatto si trattava di un progetto che avrebbe dovuto alzare il livello politico di Cosa Nostra, anche attraverso l’aggressione violenta nei confronti degli esponenti degli altri partiti. “A questo fine avevamo progettato di indebolire la sinistra e avevamo individuato in Carlo De Benedetti il sostenitore della sinistra. Parlando con Riina, c’era il progetto, mai concretizzato, di eliminare questo ostacolo per indebolire quella parte politica e concretizzare il progetto politico”. “Nel 1991 – specifica Brusca – c’era l’interesse a contattare Dell’Utri e Berlusconi per poter arrivare a Bettino Craxi, che ancora non era stato colpito da Mani Pulite, perché intervenisse sulla Cassazione per la sentenza del maxiprocesso”.

La sinistra sapeva
“La sinistra, a cominciare da Mancino, ma tutto il governo, in quel momento storico, sapeva quello che era avvenuto in Sicilia: gli attentati del ’93, il contatto con Riina. Sapevano tutto. Che la sinistra sapeva lo dissi a Vittorio Mangano quando lo incontrai. Gli dissi anche: ‘i servizi segreti sanno tutto ma non c’entrano niente’. Mangano comprese e con questo bagaglio di conoscenze andò da Dell’Utri”. Non è la prima volta che lo stesso Brusca nomina “la sinistra che sapeva”. Al termine della requisitoria del pm Nino Di Matteo all’udienza preliminare del processo sulla trattativa (tenutasi lo scorso 9 gennaio davanti al gup Piergiorgio Morosini,ndr) l’ex boss aveva reso dichiarazioni spontanee ben precise. “Non sono stato io il primo a dire che la Sinistra sapeva della trattativa – aveva sottolineato Brusca –, l’aveva detto già Riina in un processo e in quella sede aveva incluso nella Sinistra i comunisti”.

Quell’incontro di Natale
Nel suo racconto Brusca ricorda l’incontro di Natale del ‘92 insieme a Totò Riina e ad altri boss di primaria grandezza. In quella occasione Salvatore Biondino aveva preso una cartellina di plastica che conteneva un verbale di interrogatorio del pentito Gaspare Mutolo per poi commentare con sarcasmo le sue dichiarazioni: “Ma guarda un po’, quando un bugiardo dice la verità non gli credono”. Di fatto Mutolo aveva parlato di Nicola Mancino, con particolare riferimento all’incontro di quest’ultimo con Paolo Borsellino, successivamente sempre negato dallo stesso Mancino. In quella stessa riunione di Natale Totò Riina aveva definito Mancino il “terminale” del papello.

Libertà è intimidazione

Ah, i forconi:

Una mail segnalata da Alfredo Ferrante (via Gilioli):

11/12/13 La giustizia del popolo si apre la strada
https://webmail.lavoro.gov.it/owa/?ae=Item&t=IPM.Note&id=
RgAAAAAXBqht86SrRY7xykZ4kAQUBwDDdrRv3G9RQ4BnZq8lFelUAAAAFh5GAACP7An%… 1/1
LA GIUSTIZIA DEL POPOLO SI APRE LA STRADA
La Giusta Forca [lagiustaforca@hotmail.com]
Inviato:martedì 10 dicembre 2013 22.28
POLITICI
Siete il letame del genere umano, e vi attende la forca.

GIORNALISTI
Tra verità e menzogna, voi siete prostituzione.

SERVITORI DELLO STATO
Siete chiamati a scegliere, finché siete in tempo.

Oppure un bel video:

 

Una (non) analisi del voto

Io non lo so perché mi è preso questo astio per le analisi del voto. Non so, davvero, se sono solo io ad essere stufo delle parole che circondano i risultati e poi ci accontentiamo di quelle come se i fatti servano solo a confermare gli idilliaci o i pessimisti. Ho avuto modo di dire (dove me l’hanno chiesto) come sia deluso dal mancato “secondo posto” di Civati (almeno) e di come sia colpito della percentuale mostruosa che i due tizi della Leopolda di qualche anno fa (Civati e Renzi) in pochi anni hanno accumulato: proprio loro che erano due “ribelli” da fare scivolare nella banalità e nel ridicolo. Non so nemmeno cosa ci sia di male nell’affermare di essere lontanissimo dalle posizioni di Renzi su molti punti di vista di governo dell’Italia e in Europa (perché avete notato come ora si siano smorzati un po’ tutti) senza però volere essere il solito caravanserraglio portatore di bile. Ogni tanto temo anche di dichiarare liberamente che la delusione a sinistra non è “Renzi” ma la reazione accondiscendente a Renzi come se un partito esterno (vedi SEL ad esempio) voglia ancora farci credere di potere condizionare il PD su posizioni che proprio con Civati hanno preso troppo poco, troppo poco e troppo poco consenso.

Certo ora c’è da aspettare e vedere, ci mancherebbe, è la democrazia, per fortuna. E vediamo, nel solito senso di attesa che accompagna l’azione disattesa qui da queste parti per chi vorrebbe sentire parlare di uno stato sociale rivoluzionario nell’uguaglianza e nell’interpretazione del mercato e dell’Europa. E’ che tra questo PD che temiamo possa essere e i forconi giù per strada c’è la solita fetta di gente rappresentata poco, male e debolmente e poche luci all’orizzonte. E mentre Renzi mette in moto numeri da capogiro i detentori del quasinientepercento stanno fitti fitti sulle loro autistiche strategie. Viene da ripensare a quello scritto nelle Confessioni di Agostino d’Ippona:

Né futuro né passato esistono. È inesatto dire che i tempi sono tre: passato, presente e futuro. Forse sarebbe esatto dire che i tempi sono tre: presente del passato, presente del presente, presente del futuro. Queste tre specie di tempi esistono in qualche modo nell’animo e non le vedo altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione, il presente del futuro l’attesa.

 

E’ un pentito ma lo arrestano come latitante

Succede davvero, per sbaglio. Ne parla qui Linkiesta.

Ma soprattutto è Luigi Bonaventura. Sì avete letto bene: quel Luigi Bonaventura che ha dato il via all’inchiesta sul presunto progetto di morte ai miei danni. Ora vorrei sapere anche da voi come vi sentireste in un momento così.

Dopo sette anni però un database non aggiornato della questura di Brescia porta la polizia ad arrestare per errore Luigi Bonaventura, salito a Brescia per partecipare ad un convegno promosso dalla locale università. Una volta in albergo arrivano i poliziotti, che in base ai dati del sistema della questura, ritengono Bonaventura latitante da dieci anni: effettivamente, nel 2003, Luigi Bonaventura, era stato latitante, per un mese, per essersi reso irreperibile. Da lì la segnalazione che ha portato al “quasi arresto” avvenuto il 6 dicembre scorso. Determinante è stata la telefonata di un magistrato della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro che ha scongiurato l’arresto del collaboratore di giustizia, che per altro ha un attivissimo profilo Facebook. Cosa sconveniente, fosse stato latitante. Tuttavia non tutti gli apparati dello Stato erano a conoscenza dello status di collaboratore di Bonaventura.