Vai al contenuto

Giulio Cavalli

Il cambiamento di Maroni (e il sindaco di Adro)

200706582-3efd515b-2616-4f01-af67-6202936d0263Aveva promesso Maroni che la Lega sarebbe diventata diversa (vi ricordate?), che avrebbe smesso di rubare (si riferiva a Bossi e ai suoi figli), di essere volgare (si riferiva alle parolacce di Bossi) e che si sarebbe concentrata sulla politica dei fatti.

Poi è arrivato Oscar Lancini, il sindaco di Adro, che ha, nell’ordine:

– riempito di simboli padani una scuola.

– lasciato senza cibo una bambino in mensa figlio di una famiglia inadempiente sventolando il fatto come una conquista.

pilotato appalti in favore degli amici secondo la Procura che ne ha deciso l’arresto.

Ora Maroni interviene e dice: è una brava persona.

Evviva.

Io temo i grigi

I toni bianchi e i toni neri sono lampanti, saltano all’occhio e hai tutto il tempo per decidere quale dei due vuoi scegliere come compagni di viaggio. I grigi invece stanno lì, in mezzo  tutto il resto, e sono invitanti spaventando con moderazione. Credo che dovremmo cercare di affezionarci ai grigi nelle nostre narrazioni, nelle testimonianze, nello studio e nella scrittura senza questa atavica paura di offendere i buoni per antonomasia che siano magistrati, giudici o forze dell’ordine. Uscire dal paradigma delle professioni cominciando davvero ad interrogarsi sulle persone, prendendo coscienza di un fenomeno come quello mafioso che attecchisce nonostante tutto e quindi nonostante il mestiere di chi ne è coinvolto.

Per questo vale la pena leggere l’articolo di Luca Rinaldi sull’operazione “araba fenice” che ha portato a 47 arresti:

Per gli inquirenti gli uomini delle cosche e i professionisti sarebbero tutti coinvolti sotto il tetto della stessa holding criminale, attiva in particolare nel settore dell’edilizia privata. Situazione resa ancora più grave e inquietante vista la vicinanza, come risulta dalla indagini, tra gli uomini delle cosche, politici e uomini di Stato, dove fanno capolino le talpe interne alle Forze dell’ordine e, come nel caso di Francesca Marcello, pure gli amministratori giudiziari nominati dal tribunale che hanno il compito di gestire beni confiscati, ma che avrebbero preso decisioni sotto l’influenza dei boss. Per gli inquirenti, Marcello, custode della Euredil confiscata all’imprenditore Liuzzo, avrebbe consentito allo stesso di continuare liberamente nella gestione della stessa Euroedil, ottenendo in cambio favori e vantaggi personali.

Le strane priorità e i conti che non si mangiano

L’industria culturale vale di più di quella automobilistica. Lo sostiene un nuovo studio di EY (ex Ernst&Young) commissionato dalla Saicem, la Siae francese. Per la prima volta è stato calcolato l’intero fatturato del settore, sommando tutte le varie attività, dall’arte alla musica, dal cinema al teatro, l’architettura, l’editoria e persino i videogiochi. E il risultato è sorprendente: ben 74 miliardi di euro di fatturato, il 4% della ricchezza nazionale prodotta. Contrariamente a quel che normalmente si pensa, la cultura insomma pesa nell’economia molto più di settori come le telecomunicazioni (66,2 miliardi), la chimica (68,7 miliardi) e la produzione di automobili (60,4 miliardi). Anche dal punto di vista occupazionale, è un comparto che crea non pochi posti di lavoro: 7,1 milioni di persone impiegate nel settore, il 5% della popolazione attiva.

E’ una galassia di attività e imprese che va dall’enternainment all’informazione, con forti disparità al suo interno. Il fatturato più alto (19,8 miliardi) è nelle cosiddette “arti visive e plastiche”: dal grafismo, alla foto, all’architettura e il design. Al secondo posto (14,9 miliardi) la televisione, al terzo (10,7 miliardi) l’informazione tra giornali e newsmagazine. Poi vengono la musica (8,6 miliardi), lo spettacolo dal vivo (8,4 miliardi), i libri (5,6 miliardi), i videogiochi (5 miliardi), il cinema (4.4 miliardi) e la radio (1,6 miliardi).

(click)

Rifiuti tossici e Carmine Schiavone: conoscere per deliberare

Poiché la libera circolazione delle informazioni è la base per una buona e sana attività di informazione antimafia (ascoltavo, non ricordo più dove, qualcuno dei bravissimi ragazzi milanesi della Summer School sulla criminalità organizzata invitare ad applicare il modello del pool antimafia di Palermo all’informazione) e siccome su Carmine Schiavone e sugli svernamenti di rifiuti in Campania sembra essersi risvegliata (tardiva, come al solito) un’ottima curiosità ho pensato di appoggiare qui per intero il documento delle dichiarazioni desecretate da poco.

Desio e le gare d’appalto che rimangono deserte

Una gara d’appalto per spalare la neve. Roba da Nord puro. La pulizia delle strade da ghiaccio e neve era affidata a società riconducibili a Stefano Parravicini, e Rosario Britti, personaggi che – secondo l’inchiesta – sarebbero legati a Candeloro e Domenico Pio, nomi di spicco della ‘ndrangheta in Lombardia condannati a 20 e 16 anni di carcere per associazione mafiosa. Ora la gara d’appalto è stata riaperta e non ha partecipato nessuno. Nessuno. Qualcuno bisbiglia che sia paura, forse. Una gara d’appalto che va deserta per paura sarebbe una pessima notizia. Pessima.

Ne parla Biagio Simonetta qui.

Balle (ah, è nato Esse)

Schermata-11-2456603-alle-17.58.56Quindi, non c’è più la sinistra?

Balle, naturalmente. Se provate a buttare in giro alcuni temi limpidamente e geneticamente di sinistra, scoprirete che godono dell’appoggio di fette di cittadinanza che sfiorano e a volte superano la maggioranza assoluta dei consensi: reddito minimo per i precari e disoccupati, acqua pubblica, istruzione pubblica, sanità pubblica, tagli alle spese militari, tutela del suolo anziché grandi opere, biotestamento, uguali diritti per gli omosessuali, integrazione dei migranti, lotta all’economia speculativa, riduzione degli eccessi sperequativi dei redditi e così via.

Ma prendono sempre più piede, specie tra i nuovi adulti, anche modelli nuovi e più umanisti dell’esistere individuale e collettivo, che privilegiano la qualità della vita quotidiana rispetto al mantra di produzione e consumo a cui siamo stati educati come ‘senza alternative possibili’. In fondo, l’eredità più ingombrante che ci ha lasciato la Thatcher è proprio l’idea che il denaro sia il motore della politica, cioè del vivere insieme. Ecco, quella è la destra. Noi siamo il contrario.

Il commento tutto da condividere, sui cui riflettere e eventualmente condividerne anche le riflessioni è su Esse, la nuova avventura di Giuliano Garavini e Matteo Pucciarelli che ancora si ostinano (grazie a dio) a credere in quello in cui in tanti crediamo.

Come gli ebrei

Quando mancano le idee o come in questo caso le giustificazioni si finisce per appiccare il linguaggio. Fanno così gli attori che hanno poca tecnica e cercano di salvarsi con l’urlo qua e là, fanno così gli scrittori che invertono le parole dei luoghi comuni per sembrare rassicuranti e invece gli mancano le parole e fanno così anche i nostri politici quando hanno raschiato il fondo dei valori, dei princìpi e delle idee e quindi cadono nelle provocazioni linguistiche. L’iperbole è la difesa del colpevole, spesso spessissimo, soprattutto se usata mica con satira ma come tentativo di giustificarsi. Dietro la frase “i miei figli come gli ebrei sotto Hitler” c’è tutto il luogocomunismo di un pacchista che convince l’anziana al mercato e ha bisogno di toccare le corde più facili e banali per suonare la propria innocenza: roba da avanspettacolo, da libretto di qualche euro.

C’è una colpa in più, però, nelle parole del pessimo Berlusconi in questa frase: l’iperbole esce appuntita ma schiaccia le sensibilità e la storia come ha sempre fatto negli ultimi anni quando ha colpito la giustizia per affondare questo o quel magistrato, quando ha fomentato uno scontro di classe (e di razze) per raccattare qualche voto e quando ha minimizzato la mafia calpestandone le vittime per apparire rassicurante. Parlare di Hitler e ebrei con questa faciloneria riporta a qualche decennio fa cancellando quintali di confronti e discussioni sul tema dell’ecologia lessicale su un dolore così grande.

Ogni volta che Berlusconi si difende con un’iperbole un pezzo di pensiero muore in qualche angolo del mondo. Come i marinai con le candele, ma qui il sangue e i morti sono veri davvero.

Antimafia: dov’è la classe dirigente?

Le urgenze cambiano e si spostano con il passare della vita. Funziona così: ciò che oggi ti sembra gravissimo e impellente domani probabilmente scade nel diventare qualcosa di cui occuparsi semplicemente prima che finisca la giornata. Succede nell’agenda della politica e della responsabilità collettiva, per il tema antimafia ad esempio e succede nella nostra agenda personale delle paure, delle preoccupazioni e delle cose da fare. Ogni tanto mi prende il dubbio, per fortuna molto raramente, che la vita sia una dei migliori alleati della mafia, per dire. Così oggi che è ottobre mi sembra già archeologia provare a ritessere il filo che parte dalle dichiarazioni sul del collaboratore di giustizia (ex boss della più potente famiglia di ‘ndrangheta di Crotone) Luigi Bonaventura che ha raccontato di come avrei dovuto morire e tutto il polverone conseguente: polvere insana, a grani grossi, con un gelo di diffidenza che ha sfiorato la diffamazioni anche da parte di presunti istituzionali professoroni che riescono a ridurre ciò che succede agli altri in una stretta formula algebrica, spesso anche con un risultato stupido e sbagliato. Poi si è posata la povere ed è successa una cosa peggiore che abbiamo deciso di tenere sotto silenzio, eh sì, pensa te, che la cosa peggiore non l’abbiamo nemmeno raccontata eppure sarebbe stata fortissima nel marketing delle notizie eppure allora probabilmente siamo pessimi esibizionisti, pure: un altro collaboratore di giustizia ex ‘ndranghetista questa volta al nord (oltre a Bonaventura, eh, pensa te) ha confermato i dettagli delle parole di Bonaventura ed è sceso più a fondo nei particolari. Ma dai, non lo sapevo, ma dai. Questo parlava e intanto noi stavamo ancora parando gli spifferi dell’altro: un bel safari tra pentiti convergenti mentre fuori qualcuno cerca la luce giusta per la foto ricordo. Una cosa così. Fino al ritrovamento di un’arma carica sotto la siepe di casa su cui sta indagando la magistratura. Che arrivi perfino a sperare di essere indagato per procurato allarme, io e i due pentiti e per fare le cose bene se serve anche la pistola, così almeno possiamo uscire a festeggiare tra amici, che è stato tutto un incredibile gioco di coincidenze che non possono e non devono fare paura.

Io non so quale sia la giusta definizione di antimafia, non mi interessa nemmeno quale sia il bon ton sociologico del perfetto antimafioso che non piace ma non dispiace e che naviga nel mare lesso della mediazione al ribasso come forma mentis, non so nemmeno cosa dovrei fare di diverso (attenzione, diverso perché so che potrei fare di più e meglio, ovviamente) dallo scassare la minchia che mi viene così naturale e non so se troveremo mai le parole giuste per descrivere quanto facciano più danno e più terrore i pavidi che si credono buoni rispetto ai cattivi che fanno i cattivi. Pensa, mi sono detto questa mattina prima di cominciare a scrivere e facevo colazione, pensa che mi chiedono di scrivere un editoriale su di me che invece vorrei così tanto essere un fatto, cronaca cruda, nomi, responsabili, responsabilità senza tutte quelle opinioni che sbrodolano intorno e invece sono qui che scrivo un editoriale, su di me. Da pazzi, eh.

Se posso scrivere e dire scrivo e dico che comunque metterci il dito, in tutto quello che tutti ti dicono di sapere sicuramente com’è, mettere il dito tra le pieghe delle certezze solidissime e insindacabili e armarsi di curiosità, fragilità, dubbi e perché no anche delle paure è un viaggio comunque sempre bellissimo. Forse davvero per cambiare il mondo dobbiamo essere disposti a farci cambiare dal mondo. Sono quasi sicuro che sarei così qualsiasi lavoro mi sarei ritrovato a fare e sono quasi sicuro che avrei comunque gli stessi nemici, così come dovrebbero averne tutti e per questo ho dubbi su coloro che sono amici di tutti. Sapere da che parte stare (lo ripeto e lo sento ripetere da anni) significa essere con qualcuno e essere contro qualcuno. Se ne ricordano, lì su, dove stanno quelli con la targhetta “classe dirigente”? Ecco, questo volevo scrivere e domandare: lo sanno, se ne ricordano?

(scritto per Milanosud)

1426243_661716530515269_1194948705_n

Siamo alle bombe

'Ndrangheta:attentato con bomba mano a cognato pentita PesceUna bomba, una granata: Giuseppina Pesce, la trentaquattrenne collaboratrice di giustizia che sta svelando i meccanismi della cosca Pesce a Rosarno, spaventa la ‘ndrangheta che risponde con una bomba che avrebbe dovuto uccidere il fratello del suo nuovo compagno. La credibilità di uno Stato si misura anche dalla protezione che è in grado di dare, questo è ovvio, e dalla forza con cui reagisce alle recrudescenze più violente. Per questo Giuseppina Pesce (che ha parlato, fatto nomi, portato ad arresti) è un capitale antimafioso che va protetto anche dalla società civile tutta. Perché se siamo alle bombe significa che funziona e che bisogna disinnescare le vendette, in tutti i sensi possibili. Parlandone, parlandone, parlandone.