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Giulio Cavalli

Ritornare a Kabum!

Lo spettacolo Kabum! per me è stato una chiave di volta: il primo monologo con cui abbiamo deciso di raccontare il presente e farlo in un modo nuovo. Se penso a Kabum penso alle tournée con Guido Baldoni e Stefano, penso a quanto ci siamo divertiti e riscoperti sui palcoscenici e tra il pubblico e penso alla soddisfazione di riportare il senso della Resistenza con una grammatica nuova.

Torniamo con Kabum, dopo così tanti anni, proprio a Boves che è il cuore dello spettacolo per la manifestazione Boves Letteraria. Se siete da quelle parti noi sabato siamo lì.

La figlia di Mangano e quello che avevamo scritto tempo fa

La notizia che rimbalza oggi è questa:

In manette genero e figlia di Mangano.
La Direzione distrettuale antimafia di Milano ha colpito un’organizzazione criminale di stampo mafioso attiva in Lombardia. Otto gli arresti, tra cui ci sono anche il genero e la figlia di Vittorio Mangano, l’ex stalliere di Arcore condannato per omicidio e considerato collegato alla mafia siciliana. L’uomo che Marcello Dell’Utri definì “un eroe” e che Borsellino pensava fosse una sorta di ‘chiave’ del riciclaggio di denaro sporco in Lombardia.

L’operazione della Dda, eseguita dalla polizia, riguarda un’organizzazione che dagli inquirenti è ritenuta emanazione diretta di Cosa nostra: gli agenti hanno eseguito perquisizioni di società cooperative attive nella logistica e nei servizi che mediante false fatturazioni e sfruttamento di manodopera hanno realizzato profitti in nero dal 2007.

Tra gli arresti, come detto, anche Cinzia Mangano, figlia di Vittorio, e il genero di lui, Enrico Di Grusa. In manette anche Giuseppe Porto, ritenuto l’uomo di fiducia a Milano di Di Grusa.

L’operazione ha evidenziato un cospicuo flusso di denaro che serviva per mantenere latitanti ma che veniva anche investito in nuove attività imprenditoriali, infiltrando ulteriormente, quindi, l’economia lombarda.

Noi l’avevamo scritto il 28 novembre 2009 qui e qualcuno si era arrabbiato. La curiosità paga.

Il mestiere di Vittorio Feltri

Scritto per IL FATTO QUOTIDIANO

testata_homeHo letto con ribrezzo le parole di Vittorio Feltri (non riesco, per ecologia lessicale, a chiamarlo giornalista) su Fiorello in difesa del padrone Silvio Berlusconi e del suo videomessaggio. La vicenda è semplice come una litigata alle scuole elementari: Fiorello decide di mettere online una parodia delvideomessaggio di Silvio Berlusconi e Feltri risponde parlando di “schifo” e aggiungendo “con Fiorello sul suo vizietto della droga abbiamo taciuto”. Cioè: noi sì che siamo etici che non abbiamo detto che Fiorello si drogava.

Dice (bene) wikipedia che: la preterizione (dal verbo latino “praeterire”, letteralmente “andare oltre”, “tralasciare”), nota anche come paralessiparalissi o paralipsi (dal verbo greco παραλείπω, avente il medesimo significato), è una figura retorica con la quale si finge di non voler dir nulla di ciò di cui si sta parlando, e quindi lo si dice a chiare lettere. Vittorio Feltri ha usato un preterizione per dirci di non dire che Fiorello è colpevole.

Codardia semantica, verrebbe da dire, oltre che intellettuale. Ma oltre a questo c’è dentro tutta la deriva di un berlusconismo culturale che rivendica il diritto di un eccesso di difese sanguinoso e continuo appena qualcuno osa mettere in discussione il re: un metodo Boffo come ragione di vita e esibito con vanto. E non sarà un caso se proprio Vittorio Feltri sia stato sospeso dall’Ordine dei Giornalisti per avere “intaccato la fiducia tra stampa e lettori”.

Considerare le responsabilità di un uomo di spettacolo come Rosario Fiorello pari a quelle dell’uomo politico che ha guidato per vent’anni il Paese o confondere un reato con un’inopportunità (personale, tra l’altro) è il meccanismo della polvere alzata per nascondere l’orizzonte e la prospettiva reale: bitume rivenduto come cronaca, morale impastata con la merda e un po’ di pornografia lessicale per fare notizia, il tutto al ritmo della marcetta del “così fan tutti”.

Il comico Rosario Fiorello ha fatto il suo mestiere confezionando un parodia su Silvio Berlusconi. Il giudice per professione ha giudicato l’imputato Silvio Berlusconi. Secondo voi, in tutto questo che mestiere ha svolto Feltri?

Riaccendere la Mehari di Giancarlo Siani

Il 23 settembre del 1985 viene ucciso Giancarlo Siani, giornalista che si occupava di camorra, dicono le cronache.

Sbagliato.

Giancarlo Siani era un precario che poneva domande non convenzionali in un mondo come quello del giornalismo (ma non solo, perché ora è il mondo del lavoro, della politica, dell’ingegno applicato a qualsiasi professione) dove la precarietà è più pericolosa di una minaccia. O forse è la minaccia più pericolosa.

Mettere in fila i fatti e suggerire un ordine logico di lettura è la differenza tra il cronista passivo e l’osservatore (f)attivo: Giancarlo era un osservatore, un allenatore di logica e di consecutio dei fatti. Se non si coglie la differenza forse è inutile anche parlarne.

A Napoli in questi giorni si è deciso di riaccendere l’auto di Giancarlo (la Citroen Mehari) per ripercorrere il viaggio di Siani ma soprattutto per farsi una promessa: insistere con il dovere della curiosità e della logica e, se possibile, farla diventare una moda proprio oggi che va così poco di moda come allora.

Io, noi, ci vediamo per Giancarlo martedì 15 ottobre alle 18 al P.A.N.

Tutti gli eventi sono qui. Sperando che sia un buon viaggio soprattutto per noi.

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Il garante

Uno dei rischi maggiori in tempo di larghe intese e pubblicizzatissimi litigi è perdere il senso critico. Già in politica il parteggiare inibisce le larghe vedute (che sono diverse dalle larghe intese) in più sull’argomento del Presidente della Repubblica la spaccatura ha, in qualche modo, sancito l’ultima coalizione (naufragata prestissimo) del centrosinistra. Per questo credo che valga la pena leggere con meno condizionamenti possibile il pensiero di Antonio Ingroia:

Ma se è Giorgio Napolitano, che dovrebbe essere super partes, a esortare la magistratura a tenere “equilibrio, sobrietà, riserbo, assoluta imparzialità, senso della misura e del limite”, vuol dire che, a suo parere, molte procure non rispettano questi criteri. E implicitamente abbandona il suo ruolo di garante e prende una posizione precisa. Allora, a questo punto, sono io che, da cittadino, chiedo a chi siede al Quirinale maggiore equilibrio, maggiore sobrietà, riserbo, assoluta imparzialità, senso della misura e del limite. Insomma, chiedo a Giorgio Napolitano di rispettare il ruolo straordinariamente importante che gli ha affidato la Costituzione e di non entrare nell’agone politico. Anche perché, da presidente del Csm, gli strumenti per “bacchettare” i pm li ha tutti.
Cosa significa senso del limite? Non indagare se un pm ha una notizia di reato che riguarda qualche politico? Non indagare perché c’è una ragion di stato superiore e non può cadere il governo delle larghe intese? Non indagare e lasciare che il politico di turno possa corrompere, evadere, trattare con i criminali (e che criminali!)?
No. Io capisco che il garante della Costituzione, di fronte a una classe politica inetta e inefficiente, incapace di amministrare la cosa pubblica, svolga un ruolo di supplenza, proprio ai confini del ruolo che assegna la Costituzione, dettato dalle emergenze e dalle contingenze politiche ed economiche, ma che in nome di questo ruolo di supplenza venga sminuito il ruolo di garante della Costituzione non mi sta bene e, credo, non stia bene neanche a quei milioni di italiani che vedono il Quirinale, come me, punto di riferimento essenziale a garanzia dell’applicazione corretta della Carta.
Il presidente della Repubblica deve continuare a essere garante, il ruolo che la Costituzione gli assegna, e non può permettersi, lo ripeto, non può permettersi, di delegittimare il lavoro di pm e giudici in nome della governabilità.

Mafiozo: l’etichetta divertente con i morti tutti intorno

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Vino salentino “Mafiozo”, con il gangster Lucky Luciano testimonial, venduto a Oslo, finito sulla tavola di un archeologo italiano che, offeso, ha denunciato la discutibile scelta commerciale a un sito di informazione, The Local. E un atto di orgoglio che ha portato il 42enne a scrivere alla ditta produttrice per manifestare il proprio disappunto. Si è sentito rispondere che l’etichetta è ‘divertente’ e il vino molto apprezzato dal mercato locale che lo ritiene ‘cool’. “Come italiano – ha denunciato Rossano Cherubini a un sito di informazione – mi sembra pazzesco che si costruisca un business su un fenomeno che, mentre in Usa e in Europa è visto quasi romanticamente, in Italia affligge drammaticamente ogni giorno milioni di persone. Ho molti amici in Sicilia che vivono in luoghi ostaggio del crimine organizzato e che sono minacciati dalla mafia; credo che tutto questo non debba essere sopportato. Molte persone sono morte per mano di questi avidi criminali”. L’azienda si è difesa sostenendo che sull’etichetta (definita divertente”) non c’è scritto “Mafioso”, ma “Mafiozo”, termine che avrebbero utilizzato per indicare il “Gangasta rap”, uno stile hip-hop molto popolare.

Sestito latitava in spiaggia. Ma ora trema qualcuno anche a Roma.

PALINURO (SALERNO) - LATITANTE MASSIMILIANO SESTITO ARRESTATO IN SPIAGGIAArrestato mentre si godeva l’ultimo scorcio di estate sulla spiaggia di Palinuro, nel Salernitano. È finita così la latitanza di Massimiliano Sestito, 42 anni, esponente della ‘ndrangheta calabrese e latitante da agosto, dopo la fuga dal regime di semilibertà. La squadra mobile di Roma lo ha rintracciato e arrestato sulla spiaggia di via Saline a Centola, frazione di Palinuro. Sestito, pluripregiudicato per omicidio, associazione a delinquere e traffico di sostanze stupefacenti, fa parte della cosca Iozzo-Chiefari-Procopio, attiva nella provincia di Soverato, in Calabria. Il 20 agosto 1991, poco più che ventenne, ha ucciso a colpi di pistola un appuntato dei carabinieri nel tentativo di forzare un posto di blocco a Satriano, in provincia di Catanzaro. Per quell’episodio fu condannato all’ergastolo, pena poi ridotta in appello a 30 anni di reclusione.

AMBIENTI ROMANI – In spiaggia Sestito, che era con un amico, è stato subito riconosciuto dai poliziotti, nonostante avesse fornito documenti falsi. Durante la perquisizione in casa dell’amico, i poliziotti hanno trovato vestiti, effetti personali e documenti riconducibili a Sestito. Per questo l’uomo è stato arrestato insieme alla madre per il reato di procurata inosservanza di pena. Sestito è stato portato nel carcere di Vallo della Lucania, nel Salernitano. Le indagini della polizia capitolina portano a ritenere che il latitante sia un elemento di spicco della ‘ndrangheta calabrese che gravita in ambienti criminali di Roma, dove a gennaio è stato ucciso con metodi mafiosi il pregiudicato calabrese Vincenzo Femia, ritenuto il referente sul territorio romano della cosca reggina Nirta di San Luca.

Preso Nirta. Il latitante sporco del sangue di Duisburg.

C_2_articolo_1118718_imageppÈ finita la latitanza di Francesco Nirta, 39 anni, condannato all’ergastolo per la strage di ferragosto del 2007 a Duisburg in Germania. L’uomo è stato catturato in Olanda, ad Utrecht. L’arresto è stato portato a termine dalla squadra mobile della questura di Reggio Calabria con un’operazione che si è conclusa ieri sera. Fratello di Giovanni Luca, anche lui condannato all’ergastolo per lo stesso fatto criminale, Francesco Nirta era ricercato dalla fine del 2007. Era inserito nell’elenco dei latitanti di massima pericolosità stilato dal Ministero dell’Interno.

Dall’11 marzo 2009 erano state diramate le ricerche in campo internazionale per arresto ai fini estradizionali. Gli agenti della Squadra Mobile di Reggio Calabria, diretta dal primo dirigente Gennaro Semeraro, sono riusciti a individuarlo ad Utrecht, in Olanda.

Sei morti ammazzati, il 15 agosto 2007, a Duisburg, città della Germania occidentale dove si trasferì la faida di San Luca, piccolo centro della provincia di Reggio Calabria fino ad allora sconosciuto. Una strage capace di segnare in maniera inequivocabile tutta la ferocia della ‘ndrangheta, con le sue regole e il suo codice. Quattromila anime, tante quanti sono gli abitanti di San Luca, il centro reggino da cui arrivavano le sei persone uccise a Duisburg, balzate al centro della cronaca mondiale.

Un ordine partito dal centro aspromontano per inserirsi in una delle faide più cruenti della mafia calabrese. Sedici anni di vendette, iniziate per uno scherzo di Carnevale e lavate con il sangue di almeno undici morti ammazzati, tutti legati a doppio filo ai clan contrapposti degli Strangio-Nirta da una parte e Vottari dall’altra. Le sei vittime vennero trovate in una Golf Volkswagen, dove c’erano quattro corpi, e in un furgoncino Opel.

I sei avevano festeggiato il 18esimo compleanno di uno di loro, Tommaso Venturi nella pizzeria “Da Bruno”, di proprietà di Giuseppe Strangio. Sei giovanissimi trucidati con decine di colpi d’arma da fuoco: Marco Marmo, Francesco Pergola, Tommaso Venturi, Marco Pergola, Francesco Giorni e Sebastiano Strangio, tutti di età compresa tra i 18 e i 39 anni, quasi a volere stroncare le nuove leve della cosca avversaria.

Sei morti per vendetta. Per rispondere all’omicidio di Maria Strangio, uccisa il giorno di Natale del 2006 in un agguato i cui veri bersagli erano il marito della donna, Giovanni Luca Nirta, e Francesco Colorisi, rimasto ferito in quell’occasione insieme a Domenico Nirta.

Una faida,come detto, iniziata per uno scherzo di Carnevale nel 1991, con un lancio di uova e la morte di due giovani. Per la strage di Duisburg, il 12 luglio 2011, la Corte d’Assise di Locri ha emesso la sentenza di primo grado condannando all’ergastolo otto persone.

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Perché si sta bene soli, se si è soli tutti insieme senza bisogno di confessarcelo

Angela serve la pasta: frutti di mare. Tutte le sante paste ai frutti di mare tutti i benedetti giorni a santificare le feste. La festa che è domenica e ci basta perché sia santificata a festa. La festa che finalmente, una volta tanto, hai visto ci siamo riusciti, che riusciamo a stare insieme tutti i fratelli come una volta, tutti i cristi di pranzi fatti a dirsi che la mamma è stanca e non ha voluto venire comunque dopo la chiamiamo, io l’ho vista bene sì stanca ma alla sua età si sa che è stanca, tutti i pranzi a dirsi che bello che sarebbe fare un pranzo e poi sedersi parlando del prossimo, tutti in famiglia per il gusto di sapere che anche agli altri è venuto il dubbio che il sabato del villaggio sia l’acquolina che ci cucinano le ghiandole per sopravviverci anche questa settimana e in fondo stiamo insieme per confortarci perché si sta bene soli, se si è soli tutti insieme senza bisogno di confessarcelo.

Mio padre in una scatola di scarpe (titolo provvisorio), in scrittura.