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Giulio Cavalli

Il lato oscuro dei beni sequestrati

Quando Pio La Torre ha immaginato la misura di prevenzione patrimoniale per i beni accumulati illecitamente con metodo mafioso aveva in testa un’idea bellissima: riportare alla collettività ciò che era stato deturpato dalla mafia. Rubare al ladro per restituire: il senso è altissimo.

Ma le intuizione legislative (e la legge Rognoni – La Torre è stata la migliore idea antimafiosa del Parlamento italiano) hanno bisogno di un continuo perfezionamento per essere del giusto gradi di contemporaneità e, soprattutto, funzionali. Funzionali, appunto.

La confisca di beni mafiosi funziona se la restituzione alla collettività comporta un miglioramento aziendale non solo nel rispetto delle regole, ma anche in termini di produttività e reddito dei lavoratori: lo Stato vince se riesce a dimostrare di essere più competente e competitivo delle mafie. Altrimenti è solo simbolo, e allora bastava la poesia mica la legge.

Sulle assegnazioni e sulla gestione dei beni confiscati Telejato sta portando avanti un’inchiesta che è precisa e chiara e che forse farebbe comodo anche al popolo dei politici con il braccialetto per intraprendere una strada chiara sulla gestione e assegnazione dei beni confiscati.

Questo è solo uno dei tanti casi di imprese che lo Stato ha condannato al fallimento. Tuttavia esistono eccezioni che confermano la regola. 
La storia della Calcestruzzi Ericina a Trapani è l’eccezione in questione.
I proprietari erano i figli di Vincenzo Virga, imprenditore trapanese condannato per mafia. L’azienda, dopo la confisca è stata assegnata ad una cooperativa costituita dai dipendenti. La nuova gestione ne ha garantito una competitiva presenza sul mercato ed ha inoltre installato un impianto per lo smantellamento dei rifiuti netti edili. Alla mafia tutto questo non piaceva, ha cercato per ben due volte di distruggerla. Il sostegno decisivo alla cooperativa è arrivato dall’ex prefetto Fulvio Sodano. Peccato che come premio per il suo operato virtuoso sia stato trasferito e accusato di turbativa del libero mercato dall’ ex segretario agli Interni ora senatore Antonio D’Alì (Pdl). Quello stesso senatore imputato a Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa, da poco a Bruxelles per rappresentare il Parlamento italiano in seno all’Assemblea parlamentare Euro Mediterranea. D’Alì è stato confermato nell’organismo parlamentare europeo dal presidente del Senato, nonché ex procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, che ha raccolto l’interrogazione parlamentare del Pdl.

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La legge Rognoni – La Torre

La legge n. 646, del 13 settembre 1982, nota come legge “Rognoni-La Torre”, introdusse per la prima volta nel codice penale la previsione del reato di “associazione di tipo mafioso” (art. 416 bis) e la conseguente previsione di misure patrimoniali applicabili all’accumulazione illecita di capitali.

Il testo normativo traeva origine da una proposta di legge presentata alla Camera dei deputati il 31 marzo 1980 (Atto Camera n. 1581), che aveva come primo firmatario l’on. Pio La Torre ed alla cui formulazione tecnica collaborarono anche due giovani magistrati della Procura di Palermo, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

In questa sezione sono raccolti gli atti e i resoconti delle discussioni parlamentari relative all’approvazione della proposta di legge. La bibliografia offre un’ampia serie di riferimenti a monografie e saggi per conoscerne meglio i contenuti ed il valore innovativo nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata.

Documenti
Iter Camera
Iter Senato
Bibliografia essenziale sulla legge Rognoni – La Torre:

L’austerità vecchia come i miei anni, vista da Berlinguer

Una politica di austerità non è una politica di tendenziale livellamento verso l’indigenza, né deve essere perseguita con lo scopo di garantire la semplice sopravvivenza di un sistema economico e sociale entrato in crisi. Una politica di austerità invece, deve avere come scopo — ed è per questo che essa può, deve essere fatta propria dal movimento operaio — quello di instaurare giustizia, efficienza, ordine, e, aggiungo, una moralità nuova. Concepita in questo modo, una politica di austerità, anche se comporta (e di necessità, per sua stessa natura) certe rinunce e certi sacrifici, acquista al tempo stesso significato rinnovatore e diviene, in effetti, un atto liberatorio per grandi masse, soggette a vecchie sudditanze e intollerabili emarginazioni, crea nuove solidarietà, e potendo così ricevere consensi crescenti diventa un ampio moto democratico, al servizio di un’opera di trasformazione sociale.

 

(…) l’Italia si trova oramai — ma io credo, prima o poi, anche di altri paesi economicamente più forti del nostro si troveranno — davanti a un dilemma drammatico: o ci si lascia vivere portati dal corso delle cose così come stanno andando, ma in tal modo si scenderà di gradino in gradino la scala della decadenza, dell’imbarbarimento della vita e quindi anche, prima o poi, di una involuzione politica reazionaria; oppure si guarda in faccia la realtà (e la si guarda a tempo) per non rassegnarsi a essa, e si cerca di trasformare una traversia così densa di pericoli e di minacce in un’occasione di cambiamento, in un’iniziativa che possa dar luogo anche a un balzo di civiltà, che sia dunque non una sconfitta, ma una vittoria dell’uomo sulla storia e sulla natura.

Enrico Berlinguer, gennaio ’77 Teatro Eliseo di Roma, marzo ’79 Teatro Lirico di Milano.

Se si mangia mafia

E’ in corso una vera aggressione al Made in Italy gastronomico. La denuncia del “nuovo fronte della criminalità ambientale” è di Legambiente in occasione di festambiente a Rispescia. I reati, secondo l’organizzazione ambientalista, sono 11 al giorno e oltre 3000 persone denunciate o arrestate. Bel oltre i 672 milioni di euro il valore dei beni finiti sotto sequestro per un affare gestito da 27 clan criminali. Le produzioni agroalimentari di qualità, l’olio extravergine d’oliva e il vino da contraffare con cui invadere i mercati: anche i simboli per eccellenza del made in Italy sono da sempre sotto attacco. Secondo il Rapporto Ecomafia di Legambiente nel 2012, grazie al lavoro svolto dal Comando carabinieri per la tutela della salute, dal Comando carabinieri politiche agricole, dal Corpo forestale dello stato, dalla guardia di finanza e dalle capitanerie di porto, sono state accertati lungo la filiere agroalimentari ben 4.173 reati penali, più di 11 al giorno, con 2.901 denunce, 42 arresti e un valore di beni finiti sotto sequestro pari a oltre 78 milioni e 467.000 euro (e sanzioni penali e amministrative pari a più di 42,5 milioni di euro). Se si aggiungono anche il valore delle strutture sequestrate, dei conti correnti e dei contributi illeciti percepiti si superano i 672 milioni di euro. Con 27 clan censiti da Legambiente con le “mani in pasta”. A tavola, secondo gli ambientalisti, “è seduto il gotha delle mafie: dai Gambino ai Casalesi, dai Mallardo alla mafia di Matteo Messina Denaro, dai Morabito ai Rinzivillo. La scalata mafiosa spesso approda nella ristorazione, dove gli ingenti guadagni accumulati consentono ai clan di acquisire ristoranti, alberghi, pizzerie, bar, che anche in questo caso diventano posti ideali dove lavare denaro e continuare a fare affari”.

E’ problema loro

Preoccupati più della tua coscienza che della reputazione. Perché la tua coscienza è quello che tu sei, la tua reputazione è ciò che gli altri pensano di te. E quello che gli altri pensano di te è problema loro.

(Charlie Chaplin)

La mia intervista per lindifferenziato.com

Rubrica mensile del portale www.lindifferenziato.com

Nel 2009 ha messo in scena il suo spettacolo Do ut Des, sui riti e conviti mafiosi. A causa delle minacce mafiose ricevute a seguito della messa in scena della sua opera, gli è stata assegnata una scorta. Proprio in questi giorni è stato svelato da un pentito un piano della ndrangheta per eliminarla. Qual è la cosa che le manca di più della vita “normale”? Nei momenti di sconforto cosa le da la forza per andare avanti e cosa pensa per farsi coraggio?

Devo confessare che trovo molta normalità nella vita che faccio e sono più portato a scandalizzarmi per la pavidità diffusa; non per eroismo o per inseguire il superuomo, per carità, ma perché continuo a credere che l’isolamento sia sempre provocato dal silenzio dei giusti piuttosto che dal rumore dei “cattivi”. Certo c’è un’intimità che diventa molto più complicata e una programmazione da cui non si può sfuggire ma la privazione vale la lotta. Per questo quando mi capita un momento di sconforto posso pensare che l’appoggio delle molte persone che mi leggono o vengono a vedermi a teatro è una protezione che non posso deludere.

Come spiegherebbe ad un bambino cosa è la mafia?

Quando tre o più persone si mettono d’accordo, con mezzi e metodi fuorilegge, di arricchirsi impoverendo tutti gli altri. La mafia è egoismo organizzato in un tempo di solidarietà parecchio sgangherata.

Nel 2012 ha scritto un libro “L’Innocenza di Giulio”. Nella sua presentazione sostiene che “legittimare l’illegalità è la sfida della politica italiana. La vicenda Andreotti è il simbolo di una storia che parte da lontano, sale su fino agli albori della Repubblica e scivola fino a oggi, alle leggi fatte apposta per fermare i processi e alla prescrizione dei reati. Prescritto è diventato sinonimo di innocente.” Cosa pensa quando sente dichiarare in tv o sui giornali che Giulio Andreotti era innocente ed è stato un perseguitato politico? Come crede sia possibile il fatto che la maggioranza degli italiani ritengano veritiera questa opinione?

Proclamare continuamente l’innocenza di Giulio Andreotti è un metodo per discolpare gli italiani e per questo la sentenza manipolata viene accolta spesso con un moto quasi di sollievo. La maggioranza degli italiani ha trovato comodo credere a ciò che le veniva raccontato da una larga parte (servile) dell’informazione perché accettare il verdetto televisivo costava poca fatica e non richiedeva un particolare allenamento del muscolo della curiosità; muscolo parecchio atrofizzato in questo Paese.

Recentemente sul suo blog ha scritto: “Puttana la cultura. E’ la vera prostituta del Parlamento. E non solo. Nei Consigli Regionali e in centinaia di Comuni grandi o piccoli. La Cultura è la puttana che tutti usano per garantirsi un aplomb responsabile e intellettuale in campagna elettorale o mentre si sta all’opposizione e che viene poi lasciata appena ci si ritrova a governare in un posto qualunque. A parole la scopano tutti ma poi in fondo non la vuole nessuno. Perché la Cultura richiede sacrificio, chiede che ci venga messa sopra una testa pensante prima di qualsiasi decisione e la Cultura ha bisogno di avere lo spessore politico di sapere giudicare al di fuori delle tonnellate, dei trend, dei risultati finanziari e del “ce lo chiede l’Europa”. Alla luce di questa sua denuncia, quanto reputa profonda la crisi culturale che attanaglia l’Italia? Vede una via d’uscita a questa situazione?

La crisi che stiamo vivendo è soprattutto culturale. Lo sentiamo ripetere da anni, l’abbiamo letto benissimo tra le pagine di Pasolini, lo manifestiamo spesso nelle piazze o nei convegni eppure non riusciamo a declinare l’indignazione in azione. Ci siamo affidati all’economia credendo che l’etica dei numeri non chiedesse la responsabilità di una guida culturale e oggi paghiamo il prezzo di una mancata capacità di elaborazione di pensiero collettiva.

Nell’estate del 2011 ha lasciato l’IDV ed è approdato in Sel “per contribuire a costruire il cantiere della sinistra”. Quanto dovranno aspettare ancora gli elettori di centro-sinistra per veder nascere realmente questo cantiere?

Questa è la domanda più difficile: stiamo aspettando Godot.

Le propongo un gioco molto semplice: le scrivo dei nomi e lei mi dice quale personaggio cinematografico o letterario le fanno venire in mente, spiegando brevemente i motivi dell’accoppiamento.

Matteo Renzi: una tartina da aperitivo. Stuzzica ma non sfama. Non scomoderei cinema e letteratura.

Giovanni Falcone: Ulisse. Solo che non siamo stati capace di farlo tornare a casa.

Silvio Berlusconi: un bravo che è riuscito a diventare Don Rodrigo.

Roberto Calderoli: uno gnu del monologo di Fo. Corre solo per fare polvere.

Giorgio Ambrosoli: credo che Stajano l’abbia raccontato meravigliosamente. Giorgio Ambrosoli è quel Giorgio Ambrosoli.

Giorgio Napolitano: Gargantua. Onnivoro al di là della giusta misura.

Beppe Grillo: uno Zanni, che non riesce ad educarsi.

Toto Riina: un bluff. Sta ai boss come Moccia sta all’amore.

Peppino Impastato: per l’antimafia è un vangelo che qualcuno vorrebbe apocrifo.

Antonio Gramsci scriveva che “ L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera.” In che misura la nostra società è indifferente e omertosa?

E’ il vero cancro di questo tempo: gli indifferenti inutili che si sentono legittimati.

Quali sono i progetti futuri di Giulio Cavalli? Cosa si augura per il suo futuro professionale e cosa spera, invece, per l’Italia?

Sto scrivendo il mio primo romanzo. Sto preparando due nuovi spettacoli. E immagino (e lavoro) per un’Italia all’altezza delle aspirazioni delle sue persone migliori.

La lobby del bene

Arnaldo Capezzuto è giornalista e antimafioso. Sono due buoni punti per leggerlo, di solito, e usare una riflessione sui suoi pezzi. In più è napoletano di Napoli e in questo momento Napoli è molte cose tutte assieme, positive e negative. Ma Napoli è anche una nuova modalità di assegnazione dei beni confiscati che prevede la trasparenza (il totem di questo tempo, nelle pubbliche amministrazioni) e si permette di contestare il rapporto “fiduciario” nell’antimafia. Ed è una cosa buona, buonissima. Le lobby fanno male, nella mafia e nell’antimafia.

Un’industria, quella dell’anticamorra pronta a fare del bene, il loro, e spillare convenzioni dirette, protocolli d’intesa, finanziamenti esorbitanti (senza bandi e controllo pubblico), gestione dei beni confiscati con svariate e fantasiose attività, sportelli, centri di documentazione, biblioteche, festival, manifestazioni, anniversari, monumenti alla memoria tutto chiaramente in nome e per conto della legalità. Del resto la lotta alla camorra e alla sua cultura dev’essere un impegno quotidiano. Non solo interessi di parte ma sopratutto clientele dei soliti amici : i vecchi e i nuovi. Sì, perchè all’ombra della “lobby del bene” si concedono incarichi, contratti, consulenze, chiamate dirette e distacchi retribuiti. Una cinghia di trasmissione del potere che per osmosi accoglie e smista segnalazioni di questo e quel politico che poi si attiverà per l’inserimento di un codicillo o la scrittura di un bando ad hoc. Il tutto a buon rendere.

E’ bastato che il Comune di Napoli, in particolare l’assessorato ai Giovani, bandisse un avviso pubblico(no la solita telecomandata trattativa privata) rivolta ad associazioni, gruppi informali, volontariato organizzato dal basso per assegnare dei beni confiscati attraverso una regolare, trasparente e rara graduatoria che si creasse verso la giunta presieduta dal sindaco Luigi De Magistris un vero e proprio fuoco di fila.

Cosa dire, cosa aggiungere per ora nulla. Il timore è serio. Adesso oltre a liberarci dai clan della camorra dobbiamo difenderci e liberarci dalle “lobby dell’anticamorra”.

L’articolo di Arnaldo è qui.