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Proviamo a riavvolgere il nastro. Alle elezioni del 25 settembre quasi tutti gli analisti e gli addetti ai lavori davano Forza Italia per morta. “Silvio Berlusconi non sta bene”, dicevano nei corridoi del Parlamento e nelle redazioni immaginavano una Forza Italia svuotata a sinistra da Matteo Renzi e Carlo Calenda e a destra da Giorgia Meloni pigliatutto.
La tregua tra Berlusconi e la Meloni è durata un attimo. Il Cav non si rassegna a perdere il ministero della Giustizia
Forza Italia invece chiude all’8,11%, poco meno di Matteo Salvini che pure veniva presentato come l’astro – seppur calante – di un centrodestra in cui Silvio Berlusconi avrebbe potuto raccogliere al massimo qualche vecchio nostalgico cel Cavaliere che fu.
Ciò che sta accadendo nel centrodetra in questi giorni inizia lì, con il redivivo Berlusconi, ancora una volta, che non riesce a scindere la vitalità dal potere e quindi cambia completamente pelle sentendo il profumo di quello che può guadagnare. I dissidi con Giorgia Meloni, fin dai minuti successivi ai risultati delle elezioni, non sono altro che un riposizionamento all’interno dell’alleanza di destra non più come il “vecchio saggio” da tenere nel cassetto dei simboli di quello che fu ma come parte attiva della coalizione.
Berlusconi del resto in tutta la sua carriera ha sempre venduto più di quello che aveva in mano, è riuscito a vendere un quartiere alle porte di Milano sfoderando solo promesse e progetti, figurarsi se non riesce a rivendere un pari dignità, confermata dai numeri, con la Lega di Salvini che solo fino a qualche mese fa sembrava essere il partito egemone del centrodestra.
Qui iniziano i problemi nell’alleanza: Berlusconi non ci sta più a fare il padre nobile di Matteo Salvini e pretende di essere una colonna attiva del governo che verrà. Per Silvio però essere “attivo” ha solo un significato: ottenere posti, ministeri di rilevo, riuscire ad accontentare la schiera di politici sul libro paga.
La Meloni, d’altro canto, ha un primo inaspettato problema. Aveva immaginato un governo con uomini del suo partito, della Lega e pescati tra i “tecnici” vicini alla destra immaginando per Forza Italia solo qualche posto simbolico e invece si ritrova a dover trattare con Berlusconi posti veri, che pesano.
Meloni sa benissimo che concedere spazio a un partito che non si è mai rinnovato nella classe dirigente come Forza Italia significa inevitabilmente presentarsi dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con nomi che rimandano al passato, tra l’altro un passato non proprio felice nella memoria degli italiani. Poi c’è la seconda scena di questo romanzo Quirinale: Silvio Berlusconi viene beccato da un fotografo con quegli appunti su Giorgia Meloni in cui viene definita come “supponente”, “arrogante” e altri epiteti della stessa risma.
Che Berlusconi prenda appunti è un caso politico solo per chi la politica ha bisogno di sceneggiarla per aumentare gli ascolti, ciò che conta davvero è che Giorgia Meloni risponda ai giornalisti “io non sono ricattabile”. Eccolo lo snodo del giallo. Se la Meloni non è ricattabile si presume che Berlusconi lo sia, evidentemente. Chi ricatta Berlusconi? Su cosa è ricattato Berlusconi? Non lo possiamo sapere.
Evidentemente per molti arguti giornalisti questa è una questione di poco conto. Di certo sappiamo, nonostante nella destra lo neghino tutti, che Silvio Berlusconi intende il potere come protezione personale dai suoi processi e come volano per le sue aziende.
È un segreto di Pulcinella che le priorità di Forza Italia fossero tre: sistemare Licia Ronzulli in un ministero (missione fallita che ha riportato Berlusconi nel cassetto degli uomini che no, non possono promettere tutto alle donne), ottenere il ministero alla Giustizia per cancellare quella legge Severino che costringerebbe Silvio a decadere un’altra volta in caso di condanna del processo Ruby Ter in cui è imputato e ottenere il controllo sulle televisioni per garantirsi il mantenimento del duopolio Rai-Mediaset che ha tenuto a galla le sue reti televisive.
Qui si sprofonda negli anni ’90, con lo stesso fetore delle leggi ad personam che hanno insozzato la storia repubblicana dell’Italia. La rivoluzionaria Meloni però sembra accettare (anche se a malincuore) e Matteo Salvini è troppo impegnato a difendersi dagli attacchi interni nel suo partito, non ha energie per occuparsi della questione.
Così arriviamo a due giorni fa, con Berlusconi e Meloni che fanno la pace come si riappacificano tipicamente a destra, negando perfino che ci sia stata ala guerra. Dall’incontro di via della Scrofa esce lo schema del governo da sottoporre al Presidente della Repubblica Mattarella.
Il Cavaliere vuole la Casellati per cancellare la legge Severino. Se va avanti così, Giorgia può già cominciare a cercarsi un’altra maggioranza
Giorgia Meloni vorrebbe salvare almeno le apparenze mettendo Carlo Nordio alla giustizia ma l’ex magistrato per Berlusconi è “una testa calda” e rischia di non mantenere gli impegni. Berlusconi incontra Nordio solo per cortesia, sminuendolo subito: “Nordio lo incontro perché mi piace di incontrarlo e di parlarci,- dice il leader di Forza Italia – noi abbiamo detto alla Giustizia c’è l’ex presidente del Senato Elisabetta Casellati. Su questo c’è l’accordo. Meloni ha suggerito soltanto: c’è Nordio che è bravissimo, vedilo, perché magari ti convinci che è la scelta giusta, ma io sono già convinto della scelta della Casellati, conosco le cose che ci sono da fare come riforma della giustizia”.
Un ministero alla giustizia regalato al Caimano sembrava impensabile fino a poco tempo fa. Ora addirittura dobbiamo sorbirci Renato Schifani che ci fa la morale: “Ho vissuto accanto a Berlusconi la persecuzione giudiziaria alla quale è stato sottoposto, – dice il presidente della regione Sicilia a Sky – e pensare che attraverso il ministero della Giustizia possa fare delle leggi ad personam lo trovo assurdo. Berlusconi ha già dato. Credo che a tutto ci sia un limite. Berlusconi ha raggiunto il massimo di quello che si possa pagare come persecuzione giudiziaria. Quali leggi ad personam potrebbe fare? Potrebbe invece fare finalmente quella riforma a cui teniamo, che è la separazione delle carriere”.
Capito? Alla fine ha vinto lui, ancora una volta. E si torna alla scena iniziale: chi era davvero ricattabile?
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