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Il 2 agosto in un’intervista all’Observer il professore Wang Wen dell’Università Renmin rispondendo al giornalista che gli chiedeva se il tentativo dell’amministrazione Biden di prendere le distanze dal viaggio a Taiwan di Nancy Pelosi evidenziasse quanto quella visita fosse “effettivamente stupida” o quanto gli Usa stessero fingendo di essere stupidi rispose così: “Gli Stati Uniti si stanno comportando da stupidi, ed effettivamente lo sono. Fingendo di esserlo significa che sanno quali sono gli interessi della Cina sulla questione di Taiwan e la sua linea rossa. Ma, nonostante questo, la calpestano ripetutamente”.
L’obiettivo non dichiarato degli Usa è la fine del regime comunista in Cina
Oggi si è avverato ciò che tutti sapevano (e molti nascondevano): gli Usa hanno aperto una crisi molto grave accelerando una destabilizzazione globale. Lucio Caracciolo lo scrive senza mezzi termini: “Cina e Stati Uniti – scrive il direttore di Limes – sono su un piano inclinato che porta alla guerra. Questione di tempi e di modi. L’unica via per impedirla è che entrambi riconoscano il pericolo e accettino di regolare per via negoziale le loro dispute. Ne siamo più lontani che mai. Il provvisorio bilancio della visita lampo a Taiwan di Pelosi, presidente della Camera americana, ha il merito di svelare che la recita della’“Cina Unica’ è finita”.
Il tilt politico sta nell’accoglienza calorosa della Repubblica della Cina (che gli Usa non riconoscono) mentre l’altra Cina (che la Casa Bianca ufficialmente riconosce) allestiva un blocco navale. La sconsiderata visita di Pelosi tra l’altro mette a rischio gli equilibri della guerra in Ucraina (che non è finita, benché sia scivolata molto in basso nei giornali). Se davvero alla Casa Bianca interessa che gli ucraini abbiano la possibilità di invertire la rotta dell’invasione russa serve che i rapporti con la Cina non implodano.
Negli scorsi mesi Biden e il suo consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan hanno avuto una serie di incontri con il governo cinese, implorando Pechino di non entrare nel conflitto in Ucraina fornendo assistenza militare alla Russia, in particolare ora, quando l’arsenale di Putin è ridotto da cinque mesi di guerra.
Biden, secondo le parole di un alto funzionario statunitense raccolte dal New York Times, avrebbe detto personalmente al presidente Xi Jinping che se la Cina entrasse in guerra in Ucraina al fianco della Russia, Pechino rischierebbe l’accesso ai suoi due mercati di esportazione più importanti: gli Stati Uniti e l’Unione Europea (la Cina è uno dei migliori paesi al mondo nella produzione di droni, che sono esattamente ciò di cui le truppe di Putin hanno più bisogno in questo momento).
La Cina avrebbe risposto non fornendo aiuti militari a Putin, in un momento in cui gli Stati Uniti e la Nato hanno fornito all’Ucraina supporto dell’intelligence e un numero significativo di armi avanzate che hanno causato gravi danni alle forze armate di Russia, apparente alleato della Cina. Thomas L. Friedman, editorialista del NYT, scrive: “Perché mai la presidente della Camera dovrebbe scegliere di visitare Taiwan e provocare deliberatamente la Cina ora, diventando la funzionaria statunitense più anziana a visitare Taiwan dai tempi di Newt Gingrich nel 1997, quando la Cina era molto più debole economicamente e militarmente? Il tempismo non potrebbe essere peggiore. Caro lettore: la guerra in Ucraina non è finita. E in privato, i funzionari statunitensi sono molto più preoccupati per la leadership ucraina di quanto non facciano intendere. C’è una profonda sfiducia tra la Casa Bianca e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, molto più di quanto riportato”.
“Nel frattempo, – scrive Friedman – alti funzionari statunitensi credono ancora che Putin sia abbastanza preparato a prendere in considerazione l’utilizzo di una piccola arma nucleare contro l’Ucraina se vede il suo esercito affrontare una sconfitta certa. In breve, questa guerra in Ucraina non è così finita, così non stabile, così non senza pericolose sorprese che possono spuntare in un dato giorno. Ma in mezzo a tutto questo rischiamo un conflitto con la Cina per Taiwan, provocato da una visita arbitraria e frivola del presidente della Camera”.
L’obiettivo non dichiarato degli Usa è la fine del regime comunista in Cina, che favorisca magari la nascita di diversi Stati e che indebolisca il blocco che sta sorpassando gli Stati Uniti su diversi fronti. Come spesso accade non si prendono la responsabilità di innescare un conflitto ma sperano che la questione cinese si risolva da sola, anche al costo di alimentare le logoranti tensioni tra Stati.
Un dato è certo: alzare la tensione aumenta il consenso. E di consenso Biden ne ha terribilmente bisogno
Che Taiwan sia o meno in grave pericolo (l’Occidente sembra essersene convinto ancora di più dopo lo scoppio della guerra in Ucraina) un dato è certo: alzare la tensione (con un viaggio come quello di Pelosi) e mostrare i muscoli (come il missile che ha schiantato Al Zawahiri) aumenta il consenso. E di consenso Biden ne ha terribilmente bisogno con le elezioni di metà mandato che si annunciano catastrofiche. Aumentare il consenso interno (e esterno) sulla pelle degli altri per gli Usa è un vizio difficile da sradicare.
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