L’antimafia è scomparsa dal dibattito pubblico. La mafia no. Un’operazione coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Brescia ha portato a 25 arresti e al sequestro di beni per un valore di 1,8 milioni di euro. I dettagli dell’inchiesta tracciano un quadro inquietante: una struttura mafiosa di matrice ‘ndranghetista, capeggiata dalla cosca Tripodi, con radici solide nel tessuto economico e sociale del bresciano. Estorsioni, traffico di droga, ricettazione e reati tributari non erano, secondo gli inquirenti, solo il mezzo di sostentamento dell’organizzazione ma anche lo strumento per costruire un sistema di controllo capillare che includeva collegamenti con figure politiche e religiose.
Politica e malaffare
Tra i nomi emersi spiccano quelli di Giovanni Acri, ex consigliere comunale di Brescia in quota Fratelli d’Italia, e Mauro Galeazzi, già esponente della Lega a Castel Mella. Acri, secondo le accuse, avrebbe messo a disposizione la sua professione medica per garantire assistenza a membri del clan coinvolti in attività criminose. Galeazzi, dal canto suo, avrebbe chiesto il sostegno della cosca in occasione delle elezioni comunali del 2021 promettendo in cambio appalti pubblici.
Entrambi sono ora agli arresti domiciliari ma le accuse aprono scenari di pesante interferenza della criminalità organizzata nella gestione della cosa pubblica. Non è la prima volta che il nome di Galeazzi finisce in un’indagine giudiziaria: nel 2011 era stato arrestato per corruzione nell’ambito di un’inchiesta di presunta commistione tra politica e affari che si era poi concluso con la sua assoluzione.
Il ruolo della cosca Tripodi
La cosca Tripodi, ben nota agli inquirenti, non si è limitata ad esportare i tradizionali strumenti del crimine organizzato. Secondo quanto emerso, il gruppo si sarebbe adattato al contesto lombardo sfruttando il sistema degli appalti pubblici e il consenso politico come leva di espansione. L’accusa di scambio elettorale politico-mafioso evidenzia un legame diretto tra interessi criminali e gestione amministrativa locale.
Tra le figure coinvolte c’è anche suor Anna Donelli, accusata di fare da ponte tra i sodali detenuti e l’esterno. Non è il primo caso di una struttura mafiosa che cerca sponde apparentemente insospettabili ma il coinvolgimento di una religiosa evidenzia ancora una volta come la ‘ndrangheta abbia la capacità di insinuarsi in ambienti considerati inattaccabili.
Geografia del potere
L’operazione, pur concentrata su Brescia, si è estesa ad altre province come Milano, Varese, Como, Reggio Calabria e a dimostrazione della capacità della ‘ndrangheta di operare su scala nazionale. Questo evidenzia un punto centrale: il modello criminale calabrese non si limita a sfruttare le risorse locali ma costruisce reti in grado di influenzare territori diversi adattandosi ai contesti economici e politici che incontra. I sequestri patrimoniali da 1,8 milioni di euro dimostrano quanto il radicamento economico sia una strategia fondamentale per mantenere il controllo del territorio.
La fragilità del sistema
La fragilità emersa nel tessuto politico-amministrativo bresciano non è un’eccezione ma parte di un quadro più ampio. La penetrazione mafiosa si nutre delle debolezze di un sistema spesso incapace di riconoscere i segnali di infiltrazione. Ogni arresto rappresenta un successo per le forze dell’ordine ma la vera battaglia si gioca sulla capacità delle istituzioni di reagire con forza. L’antimafia non si pratica solo commemorando Borsellino ma con un’attenta selezione della classe dirigente. La missione, per ora, sembra in alto mare.
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