E niente, Peppino. Mi sento infantile, forse sono anche un po’ stupido, ma tutti gli anni quando sento l’odore rancido del ricordo bollito per l’anniversario della tua morte (perché noi siamo bravissimi a celebrare i morti per non doverci preoccupare della lezione da vivi) non riesco a non pensare quanto poco siano cambiate le cose. Cambiano le facce, cambiano i modi, non cambiano nemmeno troppo i cognomi ma alla fine chissà come saresti oggi. Sicuramente proverebbero a tenerti muto: saresti un giovane idealista zittito dal pensiero conforme della maggioranza e dagli schizzi dei violenti che della maggioranza sono i migliori alleati esterni. Certo ti farebbe sorridere sapere che mentre tu lottavi contro il cemento delle strade costruite storte per poter toccare tutti i campi dei mafiosi oppure contro il cemento dell’aeroporto di Cinisi, ecco, chissà che faccia faresti a sapere che oggi il cemento, come allora, è sparso in nome del “cibo”, del “progresso” e addirittura per i treni. Manco per gli aerei, per i treni. E manco per le persone, per le merci. Forse manderebbero a processo i tuoi palloncini colorati qui dove si processano le parole, le intenzioni e si dimenticano presto i corrotti e i corruttori.
Oppure avrebbero potuto provare di farti essere un santino, coccolato finché zitto, scortato per parata e ammennicolo per fingere buone attenzioni. O forse no. No. Ancora oggi devi essere morto per contare. Mica per quello che hai fatto da vivo ma per quello a cui servi da morto.
Caro Peppino, oggi Cinisi si è fatta nazione.