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Caselli: “La mafia va colpita nella zona grigia”

Dal 15 gennaio 1993 fino al 1999 Gian Carlo Caselli è stato Procuratore presso il Tribunale di Palermo negli anni più bui e sanguinosi della lotta alla mafia. Ammazzati da poco Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Caselli continuò la loro opera mettendo a segno importanti arresti (Giuseppe Graviano, Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Gaspare Spatuzza e Pietro Aglieri) e seguendo la pista “politica” dei rapporti di Cosa Nostra, tra cui il famoso processo su quelli (accertati) tra la mafia e l’ex presidente del Consiglio Giulio Andreotti.

Parla l’ex capo della Procura di Palermo, Gian Carlo Caselli: “Sottovalutati i rischi della convivenza con lo Stato”

Caselli era arrivato da pochissimo a Palermo quando venne arrestato Totò Riina al primo incrocio davanti alla sua villa, in via Bernini n. 54, insieme al suo autista Salvatore Biondino. Anche in quel caso si scoprì, come per Matteo Messina Denaro, che il boss non si era mai allontanato dalla Sicilia e dai suoi affetti. Anche in quel caso l’entusiasmo dei siciliani per l’arresto del “capo dei capi” sfumò negli anni a venire di fronte ai silenzi di Riina, di fronte al nuovo ruolo assunto da un altro latitante al suo posto nell’organizzazione criminale (Bernardo Provenzano) e di fronte ai misteri rimasti comunque irrisolti.

Per questo Gian Carlo Caselli è una memoria storica fondamentale per mettere a fuoco il dibattito di questi giorni. Una buona memoria di ciò che è stato è la chiave di lettura fondamentale per il presente e per il prevedibile futuro. Caselli, dopo la pensione dalla magistratura, è presidente del comitato scientifico della Fondazione “Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare” promossa ed istituita da Coldiretti e saggista.

Gian Carlo Caselli, la mafia torna su tutti i giornali…
“Il fatto è noto. Il il 16 gennaio a Palermo viene arrestato dai Carabinieri del Ros coordinati dalla Procura di Palermo, Matteo Messina Denaro”.

Ma le opinioni sono diverse, cosa ne pensa
“Il nostro è un Paese, come dire, dialettico e amante della discussione. Perché su questo fatto si sono avute letture diverse e confliggenti. la prima lettura ( che personalmente condivido) è quella di un successo storico di cui si deve essere grati a chi lo ha eseguito. Contrapposta è la lettura ( anche di persone ineccepibili come Salvatore Borsellino ) secondo cui l’arresto è una sconfitta, in quanto avvenuto dopo ben 30 anni di serena latitanza. Poi ci sono i dubbiosi, i prevenuti, gli ostili, i complottisti: tutti quelli che in un modo o nell’altro “sentono” puzza di marcio senza che neppure si affacci alla loro mente una possibile presunzione… di non colpevolezza degli “accusati”. Infine ecco gli opportunisti, che attribuiscono con toni trionfalistici alla loro parte politica (di governo) il merito della cattura. Ben diversa da questa lettura è quella delle “opportunità”, che si interroga se la cattura ( soprattutto in caso di “pentimento” dell’arrestato) possa servire per scoprire verità fin qui nascoste. Lo sperano soprattutto i familiari delle vittime, che di verità e giustizia ne hanno avuta fin qui piuttosto poca. Ripeto, la prima lettura è anche la mia”.

Qualcuno, più spericolato, la considera perfino una vittoria definitiva. Dopo la cattura di Messina Denaro, si può parlare di fine di Cosa nostra
“L’arresto di Matteo Messina Denaro è l’ultimo anello di una lunga catena di latitanti individuati che parte trent’anni fa con la cattura di Riina e prosegue poi con altre catture “eccellenti”: Brusca, Bagarella, Aglieri, Ganci, i fratelli Graviano, Vito Vitale, Gaspare Spatuzza, Provenzano,… per ricordare solo alcuni nomi dei tantissimi. è evidente che Cosa nostra stragista (quella dei Corleonesi) ha subito durissimi colpi: se non è finita, sembra in via di estinzione. Come una corazzata colpita più volte anche sotto la linea di galleggiamento, che però non affonda”.

E perché non affonda
“Non si deve dimenticare (mai!) che la mafia, tutte le mafie in verità, non sono “soltanto” una banda di gangster pericolosi. Esse sono anche e soprattutto un’organizzazione criminale strutturata, non una “semplice” emergenza. Vanno affrontate e colpite appunto come organizzazione, oltre che nelle singole componenti individuali. Va anche detto che le associazioni di tipo mafioso non operano nel vuoto. Sono inserite in un sistema di rapporti di complicità che coinvolgono professionisti, imprenditori, amministratori pubblici, uomini politici, soggetti che affiancano i capi della mafia e formano la “borghesia mafiosa” o “zona grigia”. È proprio questa a costituire la vera spina dorsale del potere mafioso”.

Siamo alle solite quindi: la forza della mafia è fuori dalla mafia
“La mafia è forte non solo per la sua organizzazione interna ma anche per le alleanze e gli appoggi esterni, e sono questi che ne spiegano la resilienza nel tempo oltre a favorire le lunghe latitanze. Quindi, oltre a perseguire i boss occorre colpire la zona grigia più di quanto non sia fin qui avvenuto”.

Ma secondo lei c’è la consapevolezza del fenomeno mafioso nella sua interezza
“Quel che si è sempre evidenziato e va evidenziato ancora oggi è un chiaro limite culturale. Quello di percepire la mafia come un problema esclusivamente di ordine pubblico, cogliendone la pericolosità soltanto in situazioni di emergenza, quando, cioè, la mafia mette in atto strategie sanguinarie; quello di trascurare i rischi della convivenza con la mafia quando essa adotta strategie “attendiste”, dimenticando la sua lunga storia di violenze e quella capacità di condizionamento che ha fatto di un’associazione criminale un vero e proprio sistema di potere criminale”.

E continuare a considerare la mafia semplicemente come un fenomeno criminale invece che un sistema di potere, alla fine, cosa potrebbe comportare?
“Di qui un andamento discontinuo, una specie di stop and go, dell’attenzione al problema mafia e delle reazioni ad esso”.

Anche nella politica
“In particolare nella politica (tutta, senza distinzioni di casacche) che è poco incline – al di là dei proclami di facciata – ad inserire la mafia in posizioni di rilevo della propria agenda”.

 

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