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Il razzismo intrinseco che abbiamo nel trattare i profughi palestinesi rispetto agli ucraini – Lettera43

Uno studio italiano dimostra che il nostro atteggiamento verso gli stranieri è direttamente proporzionale a quanto è scura la loro pelle. Ed è quello che sta facendo anche la comunità internazionale nei confronti di chi scappa da Gaza e di chi lo fa da Kyiv e dintorni. Le “porte aperte” non sono uguali per tutti i rifugiati.

Il razzismo intrinseco che abbiamo nel trattare i profughi palestinesi rispetto agli ucraini

«Non sono razzista ma» è la tiritera con cui i razzisti inconsapevoli che affollano questo tempo cominciano ogni loro discorso. Quelli che «non sono razzisti ma» di solito crollano di fronte a una caratteristica sostanziale, la scurezza della pelle dell’interessato. Gli stranieri ancora oggi sono stranieri in modo direttamente proporzionale alla pelle scura. Più qualcuno tende al nero e più è straniero, malvoluto, disturbante. Chi lo dice? Cristina Cattaneo, Daniela Grieco, Nicola Lacetera e Mario Macis sono studiosi che insegnano nelle migliori università del mondo e da poco hanno presentato il loro studio “Out-group Penalties in Refugee Assistance: A Survey Experiment” su un campione rappresentativo di 4.087 residenti in Italia che hanno risposto a un questionario online. Come spiegano gli studiosi, l’obiettivo era di studiare se la propensione a donare, vista come una misura di attitudine verso un tipo di beneficiari, dipendesse appunto dalla “distanza” fra il partecipante e il destinatario e se questa distanza portasse a una gerarchia delle preferenze.

La differenza di considerazione tra Ucraina e Africa

In aggiunta al gettone di partecipazione ai partecipanti è stato dato un ulteriore bonus di un euro. Il campione è stato suddiviso in tre gruppi casuali. A ogni membro del primo gruppo, il questionario offriva la possibilità di donare una parte del bonus a un’organizzazione che si prende cura di persone italiane vittime di violenza. Al secondo e al terzo gruppo invece è stata data la possibilità di donare a un’organizzazione che si occupa dell’accoglienza di rifugiati dall’Ucraina e di rifugiati da Paesi africani in guerra. In ciascun gruppo, oltre a chiedere a ogni partecipante quanto del bonus assegnato volessero donare, è stato chiesto di indicare, qualora la donazione fosse positiva, la percentuale della donazione da destinare ad acquisti di beni di prima necessità (come prodotti per la cura della persona o biglietti per i mezzi di trasporto pubblici) e quale percentuale della donazione da versare direttamente in contanti ai beneficiari.

Le diversità tra donare in natura e in contanti

I risultati? I partecipanti chiamati a donare ad altri italiani offrono di più di quelli assegnati a rifugiati stranieri. Chi invece doveva scegliere tra africani e ucraini (circa 47 centesimi di euro in entrambi i casi contro 55 centesimi donati agli italiani) ha deciso di dare in contanti cifre minori per i destinatari africani (21,7 per cento) rispetto agli ucraini (25,5 per cento). Per questi ultimi, la percentuale è quasi equivalente a quella degli italiani (26,1 per cento). Come spiegano i ricercatori, a parità di totale donato, la suddivisione fra contanti e beni in natura «evidenzia il grado di fiducia che il partecipante ripone nel “buon uso” del denaro da parte dei beneficiari». Chi dona in natura di fatto decide per il destinatario come usare il contributo. Donando direttamente contanti, al contrario, «si esprime implicitamente la fiducia che il destinatario userà la sua maggior flessibilità per gli usi che ritiene migliori».

L’attuale screditamento dell’Unrwa non aiuta

Interrogati infatti su come prevedevano che i beneficiari avrebbero usato il contante, coloro che hanno scelto di non dare denaro contante prevedono «con maggiore frequenza acquisti come alcol, sigarette o droghe». Tornando qui fuori si potrebbe osservare la differenza – per ora – di trattamento tra i profughi ucraini e i profughi palestinesi molto più scuri. Al momento l’Europa non ha fatto nulla per sostenere i palestinesi, se non incrementando i propri impegni finanziari per gestire la crisi umanitaria. Impegni che ora si ridurranno, dato l’attuale screditamento dell’Unrwa. Nessuno si è adoperato per proteggere i profughi stessi. Un approccio molto diverso da quello che si è applicato in seguito allo scoppio della guerra in Ucraina. In quel caso l’Italia, al pari degli altri Stati Ue, si è presa la responsabilità di garantire ai profughi protezione e accoglienza, mostrando come un impegno maggiore sia possibile.

Il caso giuridico della richiesta d’asilo rigettata

Le “porte aperte” per chi scappava (e ancora scappa) dalla guerra in Ucraina nel caso di Gaza si riducono a una cooperazione con l’Egitto a cui affidare il compito di appaltatore delle frontiere. L’11 gennaio la Corte europea ha stabilito che l’operato dell’Unrwa non può più essere considerato sufficiente. Il caso giuridico riguardava due persone di nazionalità palestinese cui era stata rigettata la domanda di asilo da parte delle autorità bulgare. La Corte ha dato ragione ai primi affermando che i richiedenti palestinesi oggi possono sostenere che non c’è più protezione da parte dell’Unrwa, alla luce della gravità della situazione a Gaza. La “cessazione” della protezione che fino a quel momento poteva essere garantita determina automaticamente che i palestinesi possano richiedere lo status di rifugiati. Scommettiamo che non andrà così?

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Altro che Piano Mattei sull’Africa: gonfiati i fondi per la cooperazione

Dice Giorgia Meloni, e dicono i ministri del governo, che questo 2024 tra le altre cose sarà ricordato per il fumoso “Piano Mattei” che si propone di essere “ponte per una crescita comune” con l’Africa come annunciato nel vertice Italia-Africa dello scorso 29 gennaio. A oggi di quel piano è disponibile la cabina di regia e poco altro. Sappiamo per certo che gli attori coinvolti non sono stati consultati: il presidente della commissione dell’Unione africana Moussa Faki Mahamat l’ha denunciato pubblicamente e le organizzazioni del settore non sono ancora state coinvolte nonostante il decreto preveda la loro presenza.

Piano Mattei, l’Italia abbandona la cancellazione del debito

I numeri a disposizione sono quindi quelli delle risorse dell’aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) che l’Italia ha destinato a paesi africani nel corso degli ultimi vent’anni da cui si possono cogliere, da un rapporto di Openpolis, due chiare fasi distinte. Nella prima fase, tra 2000 e 2011, quasi ogni anno una parte consistente e spesso maggioritaria delle risorse bilaterali era destinata a programmi di cancellazione del debito dei paesi africani. Come scrive Openpolis a partire dal 2012 però, come effetto della crisi finanziaria a cui fu esposto il paese, “le risorse destinate all’Africa subirono un netto ridimensionamento. Le politiche di cancellazione del debito sparirono quasi del tutto e anche l’Aps restante venne sostanzialmente dimezzato”. Nonostante l’ammontare complessivo delle risorse sia aumentato, gli unici interventi di riduzione del debito pubblico di paesi africani sono quelli del 2016 nei confronti della Guinea-Bissau (per 113 milioni di euro) e nel 2021 nei confronti della Somalia per un valore di 519 milioni di euro.

A dicembre scorso l’Ocse ha rilasciato i dati definitivi sulla cooperazione internazionale nel 2022 e il primo dato che salta all’occhio è la crescente incidenza di forme di aiuto che vengono considerate da molte organizzazioni (in particolare Concord Europe) come impropriamente inserite nel computo della cooperazione allo sviluppo e quindi gonfiate. L’aumento è stato pari al 19%, in confronto all’anno precedente. Prosegue quindi un incremento che era iniziato già nel 2020. Tuttavia rispetto al 2021, quando il tasso di crescita era stato del 37,3%, c’è un relativo rallentamento. Un aumento che però, occorre sottolineare, ci mantiene ancora lontani dall’obiettivo dell’Agenda 2030, ovvero di destinare lo 0,70% del reddito nazionale lordo (Rnl) all’aiuto pubblico allo sviluppo, più del doppio dell’attuale 0,33%.

Gioco delle tre carte

Quindi siamo diventati più buoni? Per niente. A ben vedere infatti, ad aumentare tra 2021 e 2022 è stata soprattutto una specifica voce all’interno della rendicontazione ufficiale della cooperazione internazionale, ovvero la voce di spesa destinata ai rifugiati nel paese donatore: il famoso aiuto gonfiato. Il 2022 non è stato un’eccezione e anzi ha confermato la tendenza in modo molto evidente. Se nel 2020 la spesa per i rifugiati si attestava al 5,4% dell’aiuto allo sviluppo italiano, nel 2022 l’incidenza ha superato ampiamente un quinto del totale. Tra 2021 e 2022 l’aiuto gonfiato è quasi triplicato. Se escludiamo la componente gonfiata dal calcolo dell’Aps, vediamo che il rapporto Aps/Rnl in Italia che dovrebbe essere dello 0,70% entro il 2030 scende allo 0,25%, una differenza di 0,08 punti percentuali. Si tratta tra l’altro di numeri che fanno riferimento al 2022, quando il numero di sbarchi era cresciuto rispetto all’anno precedente ma è molto più basso rispetto al 2023. Del Piano Mattei si sa poco ma le premesse sono nere.

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Scaduta metà dei contratti: alla fame 7 milioni di lavoratori

In Italia più della metà dei contratti è scaduto e oltre 7.100.000 di lavoratori del settore privato aspettano il rinnovo, a volte anche da molti anni. Così il potere d’acquisto già eroso dall’inflazione e dal caro prezzi diventa praticamente impossibile da recuperare. I dati arrivano dall’ultimo report della Cgil, che con i contratti firmati insieme a Cisl e Uil copre più del 97 per cento dei lavoratori censiti (dati Uniemens). Sul periodico del sindacato, Collettiva, si ricorda come il caso più eclatante sia quello degli undici accordi in attesa da oltre dieci anni, che riguarderebbero comunque un numero limitato di persone (19.475, secondo l’osservatorio sulla contrattazione della Cgil) molte delle quali appartenenti al contratto del cinema, tecnici e maestranze.

Tra il 2014 e il 2019 sono scaduti ben 30 contratti, il 16%, che interessano 3.778.096 lavoratori nel settore del terziario, dei servizi e della distribuzione. Come ricorda la giornalista Patrizia Pallara “dentro c’è di tutto, ma soprattutto gli occupati del commercio (Confcommercio), più di due milioni di addetti che hanno operato in prima linea durante il Covid, i cui salari sono fermi a prima della pandemia, del lockdown e dello scoppio delle due guerre, in Ucraina e in Medio Oriente”.

“Va precisato che i sindacati Filcams, Fisascat e Uiltucs a fine 2022 hanno siglato accordi che prevedevano una una tantum in aggiunta ai minimi contrattuali – afferma Nicoletta Brachini, area contrattazione e mercato del lavoro Cgil nazionale –. Questo però non ha risolto la situazione, i salari non hanno certo recuperato l’inflazione”. Tra le intese scadute nel 2014-2019 ci sono anche quelle del turismo, in attesa dal 2016, dell’industria turistica dal 2018, della distribuzione e servizi (Confesercenti) dal 2017, degli studi professionali e sanità (personale non medico area privata) dal 2018, del settore istituzioni e servizi socio-assistenziali dal 2019.

Tutti lavoratori i cui salari sono bloccati da anni, senza alcun sistema di indicizzazione. Poi ci sono gli ultimi tre anni. Dal 2020 sono scaduti 69 contratti per oltre 3.310.000 lavoratori: pubblici esercizi, turismo, ristorazione collettiva e commerciale, telecomunicazoni, somministrazione lavoro e, nel comparto artigiano, meccanica, orafi argentieri, odontotecnici, estetica e parrucchieri, tessile, legno e lapidei, panificazione. Da queste cifre andrebbero sottratte le 29 intese appena scadute (dicembre 2023), quasi 889 mila lavoratori per i quali potrebbero essere aperte trattative. Le disuguaglianze tra contratti rinnovati e contratti fermi si allargano quindi sempre di più.

Il tempo medio per il rinnovo dei contratti

“Ci sono contratti come quello dell’industria, che hanno tenuto meglio l’inflazione – spiega Brachini a Collettiva –. I contratti dei chimici e dei metalmeccanici sono stati rinnovati in coincidenza con le scadenze e in alcuni casi sono stati inseriti meccanismi di indicizzazione automatica che garantiscono aumenti salariali in linea con l’inflazione. Lo stesso vale per il legno-arredo e per il lavoro domestico”. Cgil sottolinea come ci siano anche contratti che nonostante il rinnovo non riescano ad assorbire l’inflazione, come quello del settore della vigilanza privata firmato l’anno scorso.

Il tempo medio di assenza di rinnovo di contratto in Italia si attesta sui 25 mesi. Nel settore pubblico sono scaduti tutti i contratti sottoscritti da Aran, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni, di durata triennale: funzioni centrali, funzioni locali, sanità, istruzione e ricerca, comparto autonomo o fuori comparto (Presidenza del consiglio, Unioncamere, ecc.), personale in regime di diritto pubblico (polizia, forze armate, vigili del fuoco, ecc.). Si tratta di altri 3.243.499 lavoratori.

“Anche se il panorama è molto vario, per tutti vale lo stesso principio – spiega Brachini della Cgil –. Se la contrattazione è regolare e si rinnova con le giuste cadenze, il potere d’acquisto regge, si adegua anche la parte normativa e l’aumento dei minimi è in linea con la situazione economica del Paese. In tutti gli altri casi, i salari e i lavoratori arrancano”. A questo si aggiunge l’inflazione che nel triennio 2021-2023 ha registrato un più 17,3 per cento prendendo a riferimento l’Ipca (indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi dell’Unione), l’indicatore che viene usato come base per effettuare i rinnovi contrattuali e che consente i confronti con il resto dell’Europa.

L’impatto dell’inflazione generale in questo triennio è stato maggiore e più ampio per la famiglie con minore capacità di spesa: più 22,3 per cento. Più contenuta, e cioè pari al 15,1 per cento, per quelle abbienti. Nel 2023 le famiglie hanno avuto un aggravio di minimo 1.200 euro per casa, energia, trasporti, cibo e bevande, abbigliamento, tempo libero, secondo gli studi della Cgil. Il rapporto Inapp ha confermato in Italia una crescita dei redditi dell’1 per cento dal 1991, contro una media Ocse del 32,5. Occuparsi dei contratti scaduti di 6,7 milioni di lavoratori sarebbe almeno un buon inizio.

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La censura non è una fiction: cancellato pure don Gallo

Una manciata di notizie solo nelle ultime ore. La Rai ha accantonato la fiction su don Andrea Gallo, voce libera e evidentemente scomoda per le sensibilità di questo governo. Il progetto – che vedeva fra gli autori Ricky Tognazzi – sulla vita del più celebre prete di strada italiano, alla fine del 2022 era in fase molto avanzata e il produttore Titanus, che aveva ottenuto l’avallo Rai, stava per partire con la scelta degli attori e le riprese.

La Rai ieri ha pubblicato un comunicato in cui dice che si trattava solo di “un’idea del 2020”. Falso: il progetto alla fine del 2022 era in fase molto avanzata, e il produttore Titanus, che aveva ottenuto l’avallo Rai, stava per partire con le riprese. Alessandro Morelli, senatore della Lega e sottosegretario alla Presidenza del Consiglio spiega in un’intervista a Il Tempo che “sarebbe utile pensare a una sorta di Daspo per chi utilizza quel palco (riferendosi a Sanremo nda) per fini diversi da quelli della musica. Un artista lì fa musica, non fa politica”, dice.

Come ai bei tempi, quando in pieno fascismo nei bar c’era un cartello che diceva “qui è vietato parlare di politica”. Poi c’è la proposta di legge firmata dal capogruppo della Lega Massimiliano Romeo e dai senatori Daisy Pirovano e Giorgio Maria Bergesio (“Disposizioni per l’adozione della definizione operativa di antisemitismo nonché per il contrasto agli atti di antisemitismo”) che dà alle questure la possibilità di negare manifestazioni che rientrino in una fallace definizione di antisemitismo. In pratica vietano le manifestazioni a favore della Palestina. Nota bene, sono gli stessi che reclamano la libertà di ricordare il nostalgico fascismo vietato dalla Costituzione.

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Ma qual è il piano di Israele?

Dunque secondo il Washington Post gli Usa e alcuni Paesi arabi starebbero lavorando a un piano di pace tra israeliani e palestinesi che includerebbe una dettagliata cronologia per la nascita di uno Stato palestinese. Il primo punto sarebbe ovviamente un cessate il fuoco (chissà se dai piani alti della Tv pubblica stiano vergando un comunicato spaventato) tra Israele e Hamas di sei settimane durante le quali gli Stati Uniti annuncerebbero il progetto e la formazione di un governo palestinese ad interim.

Sono le stesse richieste che popolano gli scritti di moltissimi in queste settimane, sono le stesse richieste che oggi in Italia valgono l’accusa di antisemitismo. Se la sconfitta di Hamas per qualcuno deve passare dalla cancellazione di Gaza e dallo sterminio di un popolo significa che i feroci attacchi di Hamas sono semplicemente un alibi per fare altro. Se la comunità internazionale si dimostrasse talmente dissennata da appoggiare un piano del genere si metterebbe fuori dalla storia. E infatti gli Usa stanno lavorando a tutt’altro progetto.

All’uscita dei rumors sul piano di pace americano hanno risposto due ministri israeliani. Il ministro della Sicurezza nazionale e leader di Potere ebraico, Itamar Ben Gvir dice che “l’intenzione degli Usa insieme ai Paesi arabi di stabilire un Stato terrorista a fianco di Israele è deludente e parte della concezione sbagliata che dall’altra parte ci sia un partner per la pace”. Bezalel Smotrich: ministro delle finanze e leader di Sionismo religioso chiede che “sia presa un decisione chiara con l’opposizione al Piano“.

Buon venerdì. 

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Il Governo congela le multe ai No Vax. E nega lo smart working ai fragili

Due indizi non fanno una prova ma suggeriscono un’inclinazione. Mentre calavano le tenebre sul Parlamento è passato l’emendamento di Alberto Bagnai (Lega) come gradito omaggio ai no vax: è stata prorogata di sei mesi, fino al 31 dicembre, la sospensione delle multe per chi ha violato l’obbligo di vaccinazione per il Covid. “Ore 23. Combattiamo una battaglia contro l’emendamento 4.2 Bagnai (un nome una garanzia) che rinvia per l’ennesima volta le multe per chi se n’è fregato della scienza e non si è vaccinato durante il Covid – ha scritto su X il deputato di Iv Luigi Marattin -. Tra l’imbarazzo anche di una parte della maggioranza, quella che non ha venduto tutta l’anima al cialtronismo e al populismo”.

In un emendamento della Lega il gradito omaggio ai no vax: è stata prorogata di sei mesi la sospensione delle multe per chi ha violato l’obbligo di vaccinazione

Marco Grimaldi, vice presidente del gruppo di alleanza Verdi e Sinistra alla Camera spiega che “1,7 milioni di persone hanno già ricevuto la comunicazione dall’Agenzia delle entrate per l’avvio del procedimento della sanzione, che vale 100 euro a testa. Questo significa – spiega Grimaldi – che lo Stato ha già messo in conto di incassare più di 150 milioni di euro. La destra ripaga i voti no vax con una proroga che è un doppio schiaffo. A chi si è vaccinato e pure a chi non lo ha fatto e ha pagato una multa” “Le urla e le minacce di Fratelli d’Italia durante i lavori di commissione sono una indecenza che si aggiunge alla gravità di questa norma”, dice il deputato di Avs. Dai banchi dell’opposizione, sono state denunciate “minacce” del deputato di Fratelli d’Italia, Paolo Trancassini. Particolari tensioni ci sarebbero state Igor Iezzi della Lega e Leonardo Donno del Movimento Cinque Stelle, che si era avvicinato ai banchi della maggioranza. Nella maggioranza non ha partecipato al voto il capogruppo di FI in commissione Affari costituzionali Paolo Emilio Russo.

Stop al lavoro agile per i soggetti a rischio. I 5S attaccano: “Le patologie restano pure dopo la pandemia”

Secondo indizio. Nella stessa notte sono per prorogare se non addirittura rendere strutturale lo smart working per i lavoratori fragili, sia del pubblico sia del privato, presentati dal Movimento 5 stelle. “Ancora una volta, maggioranza e Governo scelgono di girarsi dall’altra parte davanti alle nostre richieste di buonsenso, continuando a perpetuare una discriminazione nei confronti dei “fragili” della PA la cui proroga del lavoro agile è scaduta lo scorso 31 dicembre e non è stata protratta, com’è invece avvenuto per i dipendenti privati. La nostra battaglia va avanti e non si ferma qui”, dice la deputata del Movimento 5 Stelle in commissione Affari sociali Gilda Sportiello. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani ha ricordato come lo smart working sia stato utilizzato in modo massiccio durante la pandemia per evitare il contagio come “strumento emergenziale” ma ha sottolineato che non può essere utilizzato nello stesso modo finita la pandemia.

Nel Milleproroghe si usano due pesi e due misure. Ripagato il voto dei negazionisti a spese di chi si è vaccinato

“Superata la fase emergenziale – ha spiegato nel corso di un Question time rispondendo a una domanda sulla possibilità di rendere permanente il lavoro agile per i lavoratori fragili e per i genitori di figli con disabilità grave – si è proceduto a un progressivo ritorno in presenza”. I deputati del M5S in commissione Affari sociali Andrea Quartini (capogruppo) e Sportiello ricordano al ministro che “le patologie gravi e le disabilità durano nel tempo. Il Governo ha l’obbligo morale di farsi carico di queste cittadine e cittadini”. Viene prorogata la tutela ai furbi e vice stoppata la tutela a coloro che potrebbero avere gravi conseguenze se prendessero il Covid, anche nella forma blanda che circola ora nel mondo. Due indizi non fanno una prova ma suggeriscono un’inclinazione.

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Lo dicono loro che è un genocidio

L’ambasciata israeliana presso il Vaticano ieri se l’è presa con il segretario di quello Stato, Pietro Parolin, colpevole di aver affermato che l’operazione militare israeliana contro la popolazione palestinese di Gaza è «sproporzionata». Un piccolo inciso indispensabile prima di continuare: che la reazione di Israele sia sproporzionata lo pensano tutti coloro che hanno occhi per vedere e orecchie per sentire, lo pensano perfino gli Usa che sull’eccesso di difesa hanno costruito la loro storia, lo pensa perfino il ministro Tajani che non trova più le parole per giustificare l’ingiustificabile, lo pensano perfino molti israeliani, lo dicono i 28.576 palestinesi ammazzati in maggioranza donne e bambini. Anche coloro che di solito ci vanno giù con la mano pesante nel “diritto alla difesa” sono attoniti dalla carneficina che il governo Netanyahu corre passare come giustizia. 

Andiamo avanti. Dice l’ambasciatore israeliano che bisognerebbe considerare “il quadro generale” perché “i civili di Gaza hanno anche partecipato attivamente all’invasione non provocata del 7 ottobre nel territorio israeliano, uccidendo, violentando e prendendo civili in ostaggio”. Per Israele “i civili sono tutti complici di Hamas”. 

Seguendo il nesso logico per cui non esista un palestinese innocente viene da capire che la controffensiva di Israele annunciata per stanare Hamas abbia come obiettivo tutti i civili di Gaza. È naturale credere quindi che ogni bambino e ogni donna e ogni uomo ammazzato non sia una vittima collaterale ma una missione compiuta. Sorge allora una domanda: cos’altro serve per chiamalo genocidio?

Buon giovedì.

Nella foto: frame di un video sulla tendopoli di Rafah

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L’antimafia ridotta a orpello. Tutti zitti su Di Matteo

Sono passate furbescamente inosservate le parole del sostituto procuratore nazionale antimafia e già consigliere togato del Csm Nino Di Matteo, intervistato da Tiziana Panella per il programma Tagadà su La7. Tanto che conviene un veloce ripasso.

Sono passate furbescamente inosservate le parole del sostituto procuratore nazionale antimafia e già consigliere togato del Csm Nino Di Matteo

Il magistrato ha ricordato che il processo Stato-mafia che secondo larga parte della stampa sarebbe stato inutile ha fatto emergere dei fatti che “restano lì”, primo fra tutti il dialogo “cercato” da “esponenti importanti delle istituzioni” tramite “Vito Ciancimino, Riina e Provenzano” per “far cessare la strategia delle stragi” mentre “c’era ancora il sangue della strage di Capaci sull’asfalto dell’autostrada”. Primo fra tutti il dialogo tra l’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino e l’ex ufficiale dell’Arma Mario Mori.

Vicinanza testimoniata anche dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che all’epoca delle stragi era Presidente della Camera dei Deputati. Di Matteo ha sottolineato anche l’arresto “particolare” di Matteo Messina Denaro che secondo il magistrato “adottava tutta una serie di comportamenti concreti che sono assolutamente incompatibili con la prudenza di chi si vuole sottrarre alla cattura”.

Ha ricordato come Salvatore Riina sia riuscito a sfuggire alla giustizia per trent’anni per poi essere “catturato a casa sua” e Bernardo Provenzano, latitante per 43 anni, “è stato catturato a Corleone”. Per Di Matteo è difficile pensare che queste latitanze siano il risultato dell’abilità dei boss di sottrarsi all’arresto con l’aiuto “di pochi familiari e pochi amici”. Quali fossero le coperture più alte dovrebbe essere la domanda che pervade il Paese ma l’antimafia ormai è solo un orpello.

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Conte, Podemos & C. Il fronte trasversale contrario all’invio di armi in Ucraina

Allargando gli orizzonti fuori dal provincialismo, chi chiede la pace, chi è contro l’invio di armi in Ucraina Il conflitto in Ucraina e poi la guerra tra Israele e Hamas con la conseguente occupazione di Gaza ha aperto crepe profonde tra i partiti politici in Europa. Già a ottobre dell’anno scorso mentre 500 eurodeputati votavano una risoluzione per chiedere “una pausa umanitaria” 76 membri del Parlamento europeo avevano deciso di fare un passo in più, chiedendo fin dalle prime settimane di guerra un “cessate il fuoco immediato”. La lettera era stata firmata dagli eurodeputati legislatori del gruppo Verdi/Ale (32), S&D (13), Renew Europe (9), La Sinistra (16) e non iscritti (6). Insieme rappresentano solo il 10% circa dei seggi totali e il 21% di quelli detenuti dalle forze progressiste.

Il blocco di movimenti e partiti contrari all’invio di armi in Ucraina va da destra a sinistra. In prima linea in Italia M5S e Avs

Nel Parlamento italiano il cessate il fuoco immediato con una posizione netta è stato chiesto dal Movimento 5 stelle e Alleanza verdi e sinistra. Entrambi sono contrari anche all’invio di armi all’Ucraina e chiedono che l’Ue si attivi per una soluzione diplomatica del conflitto. A proposito di Ucraina lo scorso gennaio entrambi i partiti hanno presentato una risoluzione in Parlamento. Alla Camera quella del Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte impegnava il governo a “interrompere immediatamente la fornitura di materiali d’armamento alle autorità governative ucraine, ferme restando le misure destinate agli aiuti umanitari”.

In Spagna il partito della Belarra esprime posizioni vicine a quelle del M5S

Quella di Sinistra Italia ed Europa Verde era di fatto identica, chiedendo al governo di “interrompere la cessione di mezzi e materiali d’armamento in favore delle autorità governative dell’Ucraina, concentrando le risorse sull’assistenza umanitaria e sulla ricostruzione”. In Spagna posizioni molto simili sul conflitto ucraina le tiene il partito Podemos. Podemos rivendica da sempre un’anima convintamente pacifista e ha cercato di ostacolare il supporto militare di Madrid a Kiev sin dall’inizio del conflitto: la segretaria Ione Belarra, ministra per i Diritti sociali del governo Sanchez, alla terza Conferenza europea per la pace tenutasi nella capitale spagnola lo scorso 17 febbraio, ha definito “irresponsabile” l’invio di armi all’Ucraina voluto “dai potenti di altri Paesi”, perché “l’escalation bellica è una bestia insaziabile“.

In Francia sono contrari all’invio di armi in Ucraina i partiti dall’estrema destra di Le Pen e quelli della sinistra radicale di Melenchon

In Francia contro l’invio di armi in Ucraina ci sono partiti dall’estrema destra di Marine Le Pen alla sinistra radicale di Jean-Luc Melenchon. In Germania a chiedere “basta invio armi a Kiev” è Sahra Wagenknecht, la nuova promessa della politica tedesca. Un passato nel Pds, erede del partito socialista della Ddr, esponente di lungo corso della Linke, la deputata di Jena ha creato l’8 gennaio una nuova formazione che porta il suo nome. A oggi se si candidasse come Cancelliera la sosterebbe il 17% degli intervistati, mentre il 36% la vorrebbe al governo.

Sulla guerra in medio oriente in Italia ha una posizione netta anche Unione popolare, il movimento di sinistra radicale guidato dall’ex sindaco di Napoli Luigi De Magistris. In seguito all’attacco del 7 ottobre Unione popolare ha scritto: “Non simpatizziamo per Hamas ma va detto che non può essere qualificata come terrorismo la resistenza palestinese”. Oltre al riconoscimento di “un libero Stato palestinese” Unione popolare ha quindi chiesto agli Stati Uniti e alla Nato di interrompere l’invio di armi a Israele. All’estero chiedere il cessate il fuoco non è un tabù, nessun rischio di essere imbrattati dall’amministratore di qualche televisione pubblica o da Mara Venier.

Anche Regno Unito e Germania chiedono il cessate il fuoco a Gaza

Chiede il cessate il fuoco “immediato” il presidente Macron, pur riconoscendo che Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha affermato oggi che l’attacco di Hamas ad Israele il 7 ottobre. Tra moltissime sfumature e distinguo l’hanno chiesto anche i ministri degli Esteri di Francia, Regno Unito e Germania. E poi ci sono gli Usa: ogni giorno si intensificano le voci del presidente Biden pronto a rompere con Israele per le atroci sofferenze inferte alla popolazione.

 

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