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DONADI E CAVALLI: DIECI DOMANDE (PIU’ UNA) PER LETIZIA MORATTI

Il PDL milanese (dimenticandosi di avere il proprio leader in tribunale a rispondere di frode fiscale e appropriazione indebita) decide di stilare una lista di domande a Giuliano Pisapia. Letizia Moratti ultimamente annaspa dimenticandosi che il ruolo di candidato sindaco è quello di proporre, piuttosto che opporre. Io e l’onorevole Massimo Donadi avevamo in tasca da qualche mese qualche curiosità. Quale giorno migliore per porle alla candidata sindaco Letizia Brichetto (per gli amici Moratti) se non oggi? Attendiamo fiduciosi le risposte…


1. Come è riuscita nella difficile impresa di battere ogni record di assenteismo nel Consiglio comunale della ‘sua’ Milano?

2. Dopo l’annuncio dell’abbattimento della bat-casa del figlio, ritiene risolto il problema dei furbetti del mattone che, nell’ombra hanno governato in questi anni a Milano

3. Quando intende raccontare ai milanesi dei rapporti non sempre trasparenti tra la sua Giunta e il pregiudicato Ligresti?

4. Dal momento che il tema di Expo 2015 è ‘Nutrire l’ambiente, quando smetterà di occuparsi di cubature, proprietà e Pgt focalizzando finalmente l’impegno di Milano sui contenuti piuttosto che suoi contenitori?

5. Perché i milanesi che hanno diritto ad un alloggio Aler si ritrovano in lunghissime liste d’attesa mentre la criminalità organizzata continua ad offrire alloggi popolari a prezzi vantaggiosi e in tempi record? Quale è la sua posizione sulle recenti indagini che coinvolgono i vertici di Aler?

6. Quando riterrà di aver acquisito le competenze necessarie per spiegare ai milanesi i ‘vantaggi’ della sua operazione-derivati, che ha portato le casse comunali ad un indebitamento record? Quando riuscirà a scegliere i consulenti senza essere ripresa dalla Corte dei Conti?

7. A seguito dell’ultimatum che ha lanciato: “O me o Lassini”, lette le diverse posizione dei suoi compagni di partito, le risulta sia stata presa una decisione dai probiviri del PdL? E se sì, chi esce di scena?

8. In considerazione della sua conclamata volontà di favorire la scuola privata, perché non ha inserito nei suoi manifesti elettorali le macerie dei fatiscenti istituti scolastici pubblici milanesi cronicamente provi di risorse?

9. Augurandosi che dopo le centinaia di arresti degli ultimi mesi di uomini di ‘ndrangheta anche lei (ultima dei negazionisti) si sia ricreduta, come ci si sente da Sindaco uscente di una città in cui la mafia esiste?

10. Avendo ritenuta non legittima una commissione antimafia durante il suo mandato, la scelta di candidare nelle proprie liste persone che hanno avuto frequentazioni con esponenti della criminalità organizzata, rientra in una precisa linea di governo?

10+1. Quando ha intenzione di iniziare la campagna elettorale, smettendo di gettare fango sugli avversari? Quando illustrerà suoi programmi e le sue proposte invece di chiedere quelle degli altri? Insomma, quando darà risposte smettendo di fare domande?

 

Consigliere Regionale Lombardia – Giulio Cavalli

Capogruppo alla Camera – Massimo Donadi

 

 

 

Nel lodigiano i rifiuti li raccoglie la mafia

Una storia che si è sussurrata, bisbigliata. Una storia che mi è capitato di urlare in giro per la provincia. Negli occhi mi rimane la timidezza di chi, seduto al fianco durante una serata qualsiasi, si dissociava (millimmetricamente) con gli occhi di chi si trova dove si esagera.

ITALIA 90, la società che si occupa della raccolta di rifiuti in molti comuni del lodigiano, del cremonese e in alcuni comuni liguri è il braccio imprenditoriale di Cosa Nostra sull’immondizia lombarda. ITALIA 90 con il suo capannone a forma di tranquillo capannone lombardo a Ospedaletto Lodigiano (Lodi) è mafia. Con tutti i contorni della mafia: le minacce, le intimidazioni (come i dipendenti della ditta concorrente “buttati giù dai camion” come si diceva dei dipendenti della Meco Srl a San’Angelo Lodigiano), e i soldi. Una montagna di soldi. 22 milioni di euro di beni sequestrati tra Palermo e Lodi con quel filo sottile che molti si ostinano a non voler vedere. E chi vede si ostina a non volerne parlare.

Luigi Abbate (per gli amici degli amici “Gino u mitra”, vista la sua abilità con le armi) è uomo d’onore del mandamento mafioso di “Porta Nuova” a Palermo, impegnato in una fitta rete di società cooperative nel settore di raccolta e smaltimento rifiuti: una delle tante storie del “sud” che si leggono nei giornali “su al nord”. Abbate, del resto, è uomo conosciuto dalle forze dell’ordine: per due volte sottoposto a misure di prevenzione (nel lontano 1978 e poi nel 1996, con obbligo di soggiorno) viene arrestato il 23 settembre 2000 per concorso esterno in estorsione aggravata ed associazione a delinquere di stampo mafioso, poi nel 2005 in carcere per traffico di stupefacenti e cinque anni fa per il reato di estorsione aggravata, fino ad arrivare al 14 giugno 2006 alla condanna definitiva per il reato di cui all’articolo 416 bis. Luigi Abbate è un mafioso. Un mafioso con un reddito dichiarato da umile operaio.

Nelle storie di mafia si sa che arriva sempre l’investimento che non ti aspetti, con i soldi che non si riconoscono e che si nascondono sotto falsi nomi. Una di queste società è ITALIA 90 SRL costituita nel 1999 con la ragione sociale di “ITALIA 90 di Truddaiu Roberto e C. S.a.s. Con sede a Palermo in via dello Spasimo 62 e con alle spalle la solita ombra del Luigi Abbate e con sede operativa prima a Sant’Angelo Lodigiano (LO) e, dal 2008, nel Comune di Ospedaletto Lodigiano. E qui il filo arriva a noi. E diventa tutto dal sapore locale.

Dopo un giro di passaggi societari ITALIA 90 diventa di Claudio Demma, marito di Maria Abbate figlia di “Gino u mitra”. Amministratore unico Susanna Ingargiola. Tutti residenti nel profondo lodigiano: Sant’Angelo Lodigiano. Claudio Demma con i suoi pittoreschi modi da boss(ettino) in trasferta non mancava di raccontare la propria parentela con il temibile e temuto Gino ‘u mitra.

Claudio Demma difende con le unghie l’onorabilità del padrone occulto Abbate come un figlio con il proprio padre, come un cane con il proprio padrone: il 23 novembre del 2008 telefona a Nino Aiutino (un nome, un programma) riprendendolo per una brutta frase detta dal padre di Nino. Dice Demma di avere sentito urlare “Abbate me li sbatto nella minchia, Ginu u mitra ma suca”, e questo non è modo di parlare riferendosi al boss.

Poi Demma e soci sentono puzza di bruciato e cercano di salvare almeno il salvabile. Il 7 ottobre 2008 la famigliola Demma-Abbate discute allegramente sui prestanome da scovare in giro. Alla fine la scelta cade sulla dipendente di ITALIA 90 Francesca Castellese per la costituzione della società AZIMUT in cui nascondere i beni cercando di salvarsi.

Eppure ITALIA 90 è una storia che puzza da un pezzo. Nel 2003 Giannantonio Tealdi titolare della cooperativa “La Luna” aveva sporto querela contro Demma, ritenuto autore di danneggiamenti ai mezzi della cooperativa. In quella querela stava scritto a chiare lettere che su ITALIA 90 decideva solo e solamente Luigi Abbate, direttamente da Palermo.

ITALIA 90 ha monopolizzato, inquinato e calpestato il mercato dei rifiuti nelle provincie di Lodi e Cremona. Un mercato che per anni non è stato un mercato legale ma un campo dopato da gente con la voce grossa e (forse) concorrenti con la paura in tasca. Mentre si sparla di commissioni antimafia, di nuove leggi e di impegni chiaccherati e sbandierati in Questura ci dicono che il primo sospetto è nato perché un piccolo comune (Zelo Buon Persico) aveva deciso di approfondire le carte su questa “ombrosa” società fino ad annullarne l’appalto. Zelo Buon Persico ha meno di 7000 abitanti e un municipio grande come l’ingresso di grandi e potenti istituzioni. Zelo Buon Persico usando e osando le leggi a disposizione ha detto no a ITALIA 90 e i suoi amichetti. Ci è cascato invece Sant’Angelo Lodigiano e (udite, udite) il comune di Maleo dove siede la poltrona di Sindaco il Presidente della Provincia di Lodi, il leghista Pietro Foroni. Lo stesso che ha annunciato soddisfatto la nuova Commissione Antimafia della Provincia.

Come può il territorio non alzare la voce? Non scendere in piazza? Non allarmarsi almeno tanto quanto il pericolo scippi o la fobia dei rom?

La domanda sorge spontanea: sono eroi e illuminati i funzionari di Zelo Buon Persico o troppo timidi tutti gli altri?

Altrimenti trasferiamo quel funzionario del paesino all’interno del Palazzo Provinciale e avremo bella e pronta l’unica commissione antimafia che per ora ha funzionato in provincia.

I video


Interrogazione sull’Osservatorio epidomiologico di Mantova

INTERROGAZIONE CON RISPOSTA IN COMMISSIONE EX ART. 116 DEL REGOLAMENTO DEL CONSIGLIO REGIONALE

Al Signor Presidente del Consiglio regionale

Oggetto: criticità in merito alla “riorganizzazione” messa in atto dal nuovo direttore Generale dell’Asl di Mantova riguardo all’ Osservatorio epidemiologico dell’ Asl di Mantova

I SOTTOSCRITTI CONSIGLIERI REGIONALI

PREMESSO CHE

l’insediamento del nuovo direttore generale dell’Asl di Mantova non è certamente passato inosservato specialmente in seguito agli recenti cambiamenti operati come quello relativo al trasferimento ad altro servizio di chi ha avuto in cura la banca dati dell’Osservatorio epidemiologico, struttura che raccoglie le informazioni per studiare le patologie della popolazione mantovana;

PREMESSO INOLTRE CHE

il suddetto Osservatorio, che riveste una particolare importanza in quanto monitora l’insorgere di malattie legate soprattutto alla presenza di contaminanti provenienti e prodotti dal Polo chimico di Mantova, dal 1988 è diretto dal Professor Paolo Ricci che, appena dopo un anno dal suo insediamento, firmò la prima diffida  nei confronti del Petrolchimico mantovano (allora Montedison);

CONSIDERATO CHE

è tuttora in corso il processo per le morti di settantadue lavoratori al Petrolchimico avvenute tra il 1970 e il 1989 e che, secondo l’accusa, sarebbero state determinate da tumori sviluppatisi in seguito alla prolungata esposizione a sostanze cancerogene come benzene, stirene e amianto;

CONSIDERATO INOLTRE CHE

la suddetta inchiesta prese l’avvio, otto anni fa, proprio a seguito di uno studio epidemiologico condotto dall’Asl di Mantova ed è proprio quella suddetta struttura che l’attuale direttore generale dell’ Asl di Mantova intende “riorganizzare”;

ATTESO CHE

tale riorganizzazione avviene proprio alle soglie della presentazione dei risultati sulla diversa incidenza delle malformazioni congenite nell’area cittadina di impatto del Petrolchimico;

INTERROGANO IL PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE

LOMBARDA, ROBERTO FORMIGONI, LA GIUNTA REGIONALE

LOMBARDA, L’ASSESSORE REGIONALE ALLA SANITÀ, LUCIANO BRESCIANI, E L’ASSESSORE AL BILANCIO, FINANZE E RAPPORTI ISTITUZIONALI, ROMANO COLOZZI, PER CONOSCERE:

  1. se non sia utile rafforzare anziché indebolire una struttura fondamentale per il controllo epidemiologico in un territorio, come quello mantovano, colpito e martoriato fortemente dalle conseguenze ambientali e sanitarie determinate dal Petrolchimico;
  2. quali siamo le misure che si intendono prendere al fine di permettere al Professor Paolo Ricci di poter svolgere il suo lavoro e all’Osservatorio epidemiologico di poter continuare la preziosa attività svolta;
  3. se non ritengano che la riorganizzazione dell’Osservatorio epidemiologico di Mantova voluta dall’attuale Direttore Generale sia una scelta determinata da motivazioni politiche;
  4. quali siano le motivazioni che hanno portato al trasferimento della persona che curava la banca dati dell’Osservatorio epidemiologico;
  5. se la suddetta struttura possa contare anche in futuro delle adeguate e necessarie risorse economiche e finanziarie.

 

Milano, 28 aprile 2011

 

Giulio Cavalli (IDV)

Francesco Patitucci (IDV)

Gabriele Sola (IDV)

Stefano Zamponi (IDV)

 

 

Lodigiano: la terra dei fuochi

Confesso che ho sempre avuto un rapporto difficile con Lodi e il lodigiano. Per una catena di “convergenze” (come le chiamerebbe Nando Dalla Chiesa) che mi si sono infilate a forma di lama. Dal 2006 a oggi. Eppure non riesco a non amare Lodi e i lodigiani con l’amore (anche rancoroso, nelle sue curve peggiori) che si ha per la città in cui camminano i propri figli.

Ho seguito da lontano questi ultimi mesi di fuochi, riunioni, esperti dell’ultim’ora e balletti istituzionali: corse da una stanza all’altra come un adolescente che deve sistemare casa prima del rientro dei genitori. A nascondere le tracce e, come sempre, tutti poi a minimizzarle al bar. Ma non è delle contromosse difensive che voglio scrivere (pur apprezzando lo spirito e l’impegno di Prefettura e di alcuni consiglieri provinciali sul tema con, intorno,  l’assordante silenzio dei soliti noti): il giudizio sulla “battaglia” ho deciso da un pezzo di lasciarlo ai nostri figli.

Mi tocca piuttosto questa terra ferita e bruciata come una donna lasciata sul marciapiede tra i cartoni, mi tocca la coltre intorno ai tanti giovani che continuano a scriverne e riunirsi e parlarne e alla fine rimbalzano, mi tocca la penna dei giornalisti e direttori che ne scrivono ma rimangono solo opinioni, mi tocca l’impegno di (troppo pochi) politici che vengono additati come esibizionisti e mi tocca la solitudine delle forze dell’ordine.

Mi tocca, più di tutto, una terra incapace di trasformare un allarme in un comune sentire.

L’anno scorso venni invitato, a Napoli, a parlare della “terra di fuochi”: un’isola tra Qualiano, Villaricca e Giugliano che brucia rifiuti come un fumento quotidiano di pneumatici, rottami e veleni. Una signora anziana mi disse che dalle città normali dovrebbero alzarsi i palloncini mica i fumi. Me lo disse con un dolore che non si riesce a scrivere.

Da qualche anno il Lodigiano ha smesso di liberare palloncini e ha cominciato ad annusare roghi. Numeri disarmanti, falò come un rito tribale per parlarsi con il fumo, «una strategia per alzare la tensione nel settore e per riprendersi fette di mercato, da parte di qualcuno, che sono state perse: una sorta di concorrenza scorretta ricorrendo a condotte di carattere criminale» dice il sostituto procuratore Paolo Filippini. Quindici incendi in impianti per lo stoccaggio o il trattamento dei rifiuti a partire dal 2003. Ben otto a partire dall’ottobre scorso. A gennaio si mette ad indagare anche l’antimafia. Impianti diversi dove si rincorrono gli stessi cognomi, come in un film dell’orrore con una trama annunciata. L’ultimo incendio, invece, è un incendio che lascia macerie a forma di macerie. Di quelle che ti rimangono nel naso per anni. Ne scrive Fabio Abati in questo articolo, ne avevo parlato qui (meritandomi una telefonata in cui mi si diceva che era “roba da cui stare attento”, come nei film western). Una storia con troppe ombre in cui galleggia una cooperativa all’interno di una cartiera con una donna alla presidenza. Una donna che qualche mese fa sparisce, viene messa sotto protezione, come nelle storie che stentiamo a credere: è la moglie di Giovanni Costa, nativo di Gela, poi camionista a Caserta, poi residente a Lodivecchio prima di sposarsi con la presidente della cooperativa e trasferirsi a Sant’Angelo Lodigiano. Giovanni Costa viene arrestato nel maggio 2010 nell’ambito di un’inchiesta dellaDda di Napoli sul “cartello” del crimine organizzato per il mercato ortofrutticolo nel centro-sud. Lui si professa innocente per bocca del suo avvocato ma qualche “vecchio amico” si convince che stia parlando troppo. Così scatta il programma di protezione.

Nicola Piacente, il procuratore antimafia che sta seguendo le indagini, lascia un frase sul marmo: “se le indagini stanno procedendo con queste tempistiche – si lascia sfuggire Piacente – e ancora nessuna risposta possiamo dare alla gente che si preoccupa di quello che gli accade sotto casa, è perché forse ci aspettavamo maggiore collaborazione da parte di chi quegli incendi li ha subiti”. Come nella terra dei fuochi.

La paura mangia l’integrità dell’uomo, diceva Karekin I, e la sonnolenza lo stordisce. C’è un pezzo di terra da difendere con i denti. Diceva Giuseppe Gatì: questa è la mia terra e io la difendo, e tu?

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/04/26/lodigiano-la-terra-dei-fuochi/107151/

 

Un guastafeste ad Arcore c’è: Danilo Menga

Confesso che uno dei pruriti che mi toglierei subito è una corsa elettorale nel moderno reame di Arcore. Forse sarà che la sfida non è una mera questione di preferenze e voti, Arcore oggi nell’immaginario comune è il giardino del castello dove tutto è passato e tutto è passabile: le rose giganti senza spine che fischiettano sigle disneyane, le carte da gioco con l’elmo e la spada, i festeggiamenti ogni sera per il buon non compleanno del Re e il bianconiglio che citofona entrando dal retro. Ad Arcore Alice, invece, si è prostituita per molto meno di trenta denari.

Ad Arcore (e questa per il Re è una delle tante brutture della democrazia) fra poche settimane andranno di scena le elezioni amministrative. Capite che correre per diventare consigliere di un fazzoletto del feudo del Re è roba più da Lancillotto o Sancho Panza piuttosto che da strateghi delle poltrone: nel gioco tutto politico di simboli e sistemi Arcore è la spina nel fianco della corte e delle ballerine. C’è innanzitutto un grande lavoro di pulizia, pulizia delle strade biascicate dalle bave dei servi, pulizia di un territorio e di una comunità che non può (e non vuole) rimanere al guinzaglio del Sultano. Arcore è l’ombelico decifrabile e sintomatico del grumo di interessi della berluscocrazia di questi anni.

Dovessi spedire un uomo in avanscoperta ci manderei un guastafeste, uno scassaminchia, insomma uno che infila il dito dentro le carte e le parole del reame. Almeno perché in un Italia di vassalli, valvassori e valvassini si comincino a cancellare i feudi.

Conosco Danilo Menga da tempo. Ha la matrice genuina dell’antipatico e battagliero, di quell’antipatia sana e fondamentale per distinguere un compromesso da un asservimento. E’ la fotografia dei giovani che la politica hanno deciso di andarsela a riprendere sudandosi ogni centimetro. Come una tenzone da medioevo in cui spesso ricadiamo.

Per questo sostengo e vi invito a sostenere Danilo come guastafeste per il prossimo quinquennio. Sarò con lui l’11 maggio alle 21 per avere il piacere di essere al suo fianco in questa corsa, in una serata in cui la compagnia teatrale “Compagnia degli Stracci” metterà in scena uno spettacolo sulle mafie. Mentre ad Arcore e in Lombardia qualcuno fa campagna elettorale con la mafia, Danilo ha deciso di farla “contro” la mafia. E’ una differenza sostanziale. Se siete di Arcore, se non lo siete o semplicemente volete essere con noi, l’11 maggio ci troviamo lì.

Forza Danilo.

 

Restiamo umani, Vittorio

Vittorio Arrigoni è morto perché noi non siamo restati abbastanza umani. O forse, sulle storie e le nuvole sopra la Palestina, non lo siamo mai stati.

Ho sentito la voce di Vittorio per l’ultima volta pochi giorni fa, per una serata che avevamo organizzato a Milano sulla prossima partenza della Freedom Flottilla. Una serata silenziosa e buia. Parlare a Milano di Palestina è come scoperchiare un’isola che nessuno vuole mettere sulla cartina. La sua telefonata in quella serata è stata un ponte costruito in un attimo che ci ha spinto ad un cuore così uguale in territori così diversi. Aveva la voce ferma, chirurgica e tagliente dell’uomo che non può esimersi dall’essere consapevole. Ci raccontava di una generazione che non può non sapere. Aveva la fierezza dell’apolide che ha trovato il posto dove stare, la casa da costruire, la gente da abbracciare.

Vittorio non è un blogger, non è un giornalista freelance e nemmeno uno spirito samaritano, come leggo questa mattina. Vittorio è un volontario professionista: con la volontà del sentirsi coerente con se stesso e il professionismo di chi professa i propri valori in quello che si ritrova a fare ogni giorno.

In un paese dove si elemosinano diritti e pane, Vittorio era una delle tante briciole di democrazia. Restiamo umani, ci diceva. Lui questa mattina ci sarebbe riuscito comunque, con l’energia e la voglia di chi ha la sua isola da costruire. Per noi, è difficile. Ci proviamo, Vittorio, a restare umani.

 

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/04/15/restiamo-umani-vittorio/104664/

 

 

‘ndrangheta/ Cavalli: a Brescia la mafia non esiste, ma i Fortugno sì

‘ndrangheta/ Cavalli (IDV): a Brescia la mafia non esiste, ma i Fortugno sì

A margine della sua partecipazione alla manifestazione davanti al Tribunale di Brescia il consigliere regionale di Idv Giulio Cavalli afferma che  le condanne di primo grado a 10, 6 e 4 anni di reclusione dicono che chi ha additato i fratelli Fortugno come inquinatori organizzati del vivere civile imprenditoriale bresciano non può più essere definito visionario.

“Marcello, Rocco e Gaetano Fortugno si contrappongono – continua Cavalli – a quella società civile che dopo la manifestazione di oggi (e con le condanne inflitte) vuole dire ad alta voce che per loro, così come per le altre famiglie che inquinano le nostre zone, a causa dei loro metodi di fare business non c’è più posto e non saranno più tollerati”.

Dice il consigliere Cavalli che “questa sentenza è l’apertura di un percorso che deve obbligare i cittadini ad essere più consapevoli e a prendere una posizione netta di fronte a reati dal retrogusto mafioso”.

“Del resto, aggiunge Cavalli, nonostante la desolante esibizione di uno dei fratelli Fortugno che, come nelle peggiori commedie ha dichiarato che a Brescia la mafia non esiste, oggi a Brescia sappiamo che esistono i Fortugno”.

“La sentenza di primo grado proietta l’immagine di un intreccio di malaffare e criminalità diffuso sul territorio bresciano che, però, è già accaduto. E’ necessario arginare ciò che sta accadendo ora e che le carte giudiziarie non possono dirci”.

 

 

Formigoni patetico antimafioso da urlo

Facciamo un patto. Un patto sociale antimafioso, un contratto con gli italiani come lo chiamava lui. Ma firmiamolo subito, con urgenza. A destra, a sinistra, sopra e sotto mettiamoci d’accordo per un limite alla decenza, alla legalità e soprattutto all’opportunità. Decidiamo tutti insieme (se lo facciamo con una richiesta di voto segreto, in Consigliosi richiede con almeno cinque consiglieri e allora ci mettiamo le 900 vittime di mafia di questo Paese). Possiamo discutere, litigare e avere diverse visioni sulle responsabilità sparse per la Lombardia. Possiamo vedere sfrenati allarmisti o attendisti fin troppo tiepidi, possiamo anche sopportare i polituncoli che si dicono “io ne ho uno ma voi ne avete due”. Ma non possiamo sopportare, non dobbiamo sopportare che Roberto Formigoni affronti impunito l’argomento. Peggio ancora se perde le staffe come uno scolaretto con le mani nella marmellata. Dobbiamo impedirgli di parlare di lotta alla criminalità organizzata con quella faccia sulfurea da intoccabile, e dobbiamo ricordargli che non ha nemmeno il diritto di scomporsi.

Ci dia risposte su Massimo Ponzoni.

Dia un segno di vita su Carlo Chiriaco, Pino Neri e i loro presunti rapporti con Giancarlo Abelli.

Ci racconti dei rapporti che spuntano dalle indagini di questi anni tra esponenti di Comunione e Liberazione e uomini di mafie.

Ci racconti cosa lo costringe a difendere ad oltranza (imbarazzando i suoi alleati) Pietrogino Pezzano.

Ci racconti perché le associazioni di categoria stringono patti etici fotografandosi con lui e in questi anni non hanno mai espulso un loro iscritto.

Ci racconti e ci spieghi chi sono, secondo lui, gli “indifferenti” di cui parlano puntualmente ad ogni conferenza stampa i magistrati lombardi.

Ci racconti chi in questi anni ha sottovalutato il fenomeno mafioso essendo al potere illegittimamente da un ventennio.

Noi, in cambio, promettiamo che ascolteremo cosa ha da dirci sull’argomento.

 

 

Io a Cesano Boscone: il mutevole racconto dei fatti

Passano pochi giorni, apro la posta, leggo in rete e scopro novità che si sono autoprodotte e riprodotte in modo autonomo. Come tante piccole mezze verità che ciondolano contente come fossero mezze bugie. Qualcuno scrive Cavalli si sarà convinto che D’Avanzo è uno degli angioletti dipinti sulle volte degli altari? Oppure gli sarà stato imposto il silenzio, essendo anche un esponente di spicco dell’Italia dei Valori a livello regionale, sui giornali scopro di avere addirittura fatto pace (!) con il Sindaco D’Avanzo che scrive “equivoco chiarito”.

Vista da qui, del resto, sembrerebbe una piccola diatriba da cortile che merita solo di lasciare cadere la polvere ma qualche minuto per puntualizzare credo che sia ben speso per i pochi affezzionati di questo blog:

– ho preferito non ricevere alcun compenso a Cesano Boscone perché ostinatamente rivendico il dovere dell’opportunità nei rapporti che intrattengono i pubblici amministratori. A Cesano Boscone pezzi della politica hanno dialogato con imprenditori (Alfredo Iorio in primis) che sono i terminali finanziari della cosca Barbaro-Papalia. L’ha descritto perfettamente David Gentili (nel suo blog, qui), riportando con esattezza le carte giudiziarie. Concordo in pieno con l’analisi di David sull’inopportunità politica di alcuni componenti della Giunta. Lo dico con forza e lo rivendico. Il senso della mia scelta di non intrattenere rapporti economici diretti con il Comune è tutto qui. Senza fantasiose reinterpretazioni.
– “A 100 PASSI DAL DUOMO” è uno spettacolo teatrale. Uno spettacolo  cui sono affezionatissimo per l’enorme lavoro che abbiamo fatto insieme io, Gianni Barbacetto e Gaetano Liguori. Uno spettacolo teatrale che racconta (tra le altre cose) il puzzo intorno alla società Kreiamo e agli imprenditori con predisposizione criminale sullo stile di Alfredo Iorio. Per questo A 100 PASSI DAL DUOMO ha bisogno di andare in scena senza rimbalzi o ombre intorno alle persone che raccontiamo. Chi si aspettava che tra Calvi, Sindona, Ambrosoli e Liggio ci prendessimo la briga di ficcare le vicende politiche cesanesi ha una certa disabitudine alle pratiche “di scena” che sono diverse dalle dinamiche di comizio. Per questo sono molto deluso da chi prospettava un nostro “comizio politico” dimostrando un’abissale ignoranza per il mezzo teatrale. Su Iorio ci siamo soffermati con molta calma, a Cesano. Abbiamo raccontato come l’imprenditoria prostituita alle cosche sia un cancro ancora più terribile delle cosche stesse. E quindi quanto la politica debba starne lontano al telefono o con eventuali ex collaboratori, com’è successo a Cesano.

Su eventuali riavvicinamenti o altro non c’è da aggiungere. Abbiamo preso una decisione e continuiamo a mantenerla. Ipotizzare scene da figliol prodigo e di pacificazione è una mezza bugia che non interessa a nessuno: non è né arte né politica. E noi tutti abbiamo altro su cui lavorare.

P.S. Qualcuno mi dice che i due eletti IDV stanno in silenzio su questa questione. Se è vero, peggio per loro. Significa che perdono una buona occasione per dimostrare come l’obbligo morale su questi temi sia di verificare sé stessi e le proprie coalizioni prima degli altri. Ce l’ha insegnato un certo Pio La Torre, mica uno per caso.

 

 

In scena a Cesano Boscone, ma con riserva

Questa sera sarò in scena con lo spettacolo A 100 PASSI DAL DUOMO nel Comune di Cesano Boscone (Mi), per un’iniziativa in occasione della Giornata della Legalità.

Andrò in scena con la solita gratitudine verso il mio pubblico e tutte le persone che seguono i nostri spettacoli e le nostre tourné. Alcuni giorni fa sono venuto a conoscenza di contatti, negli ultimi anni a Cesano Boscone, tra alcune persone della Pubblica Amministrazione e imprenditori legati alla ‘ndrangheta.

Al di là dei profili giudiziari e delle soggettive valutazioni politiche rivendico il mio diritto e il mio dovere (soprattutto oggi, in Lombardia) di difendere il valore dell’opportunità.

Per questo ritengo opportuno essere in scena per il pubblico, per chi si è adoperato nell’organizzazione della serata e soprattutto per il rispetto al mio lavoro ma altresì ritengo doveroso rinunciare al mio cachet pattuito con l’Amministrazione Comunale per marcare la distanza da comportamenti e ombre inopportune che mi auguro vengano presto dissipate.

 

Riportiamo un intervento di David Gentili, consigliere milanese del Partito Democratico e membro del Comitato Antimafia, pubblicato sul proprio blog.

Tratto da: www.davidgentili.it

D’Avanzo non si difenda sui giornali, ma davanti ai garanti del Partito

Alcune intercettazioni telefoniche richiamate in un’informativa della Dia narrano di contatti tra Alfredo Iorio, Presidente di Kreiamo condannato ad un anno e 6 mesi, patteggiati, per associazione mafiosa e Vincenzo D’Avanzo Sindaco di Cesano Boscone.

A seguito di queste notizie il Centrodestra di Cesano ha presentato una mozione di sfiducia al Sindaco. La Federazione delle sinistra ne chiede le dimissioni.

Ho letto con attenzione la lettera del Sindaco D’Avanzo inviata a L’Incontro, periodico on-line di Cesano Boscone, a seguito di un articolo che raccontava i contenuti delle intercettazioni.

Mi colpisce una frase: “Perché in oltre due anni e mezzo da quei fatti non ho mai (e ripeto MAI) ricevuto neanche un’informazione di garanzia da parte della magistratura.”

Qui non si sta parlando di responsabilità penali. Qui si parla di questioni che riguardano le eventuali responsabilità politiche.

Se dovessimo aspettare gli avvisi di garanzia o i rinvii a giudizio, oppure la Cassazione, per sapere se un amministratore amministra correttamente, saremmo spacciati.

Dalle intercettazioni del gennaio 2009 emerge che D’Avanzo chiede a Iorio di aiutare una persona che sta cercando lavoro, in quelle del maggio 2009 D’Avanzo chiede aiuto a Iorio per la vicenda della Demas e per l’opposizione che ha incontrato in Consiglio nel portare la richiesta dei proprietari di aumentare la superficie commerciale in un consiglio straordinario prima delle amministrative.

Tre sono le domande: è giusto che un Sindaco chieda ad un imprenditore di assumere una persona? Come faceva D’Avanzo a non conoscere chi era e di cos’era accusato Alfredo Iorio?
Come faceva a non conoscere il vice Presidente della Kreiamo Andrea Madaffari figlio di Domenicantonio (salumiere a Cesano) coinvolto nel rapimento Rancilio (morto durante il sequestro), insieme ad esponenti delle cosche Mammoliti e Sergi e cugino di Salvatore Madaffari ucciso nella notte tra il 22 e il 23 settembre del 1979 a Buccinasco, mentre era in compagnia di Saverio Sergi, vero obiettivo dei killer?

Provo a rispondere alla seconda. Secondo me è impossibile non sappia chi è Alfredo Iorio e che non sappia che è implicato nel riciclaggio dei beni delle famiglie Barbaro, Papalia.

Durante la commissione Affari istituzionali del Consiglio Provinciale del 23 febbraio 2009 (ben tre mesi prima delle intercettazioni che riguardano la Demas), viene resa pubblica la relazione che il 27 novembre 2007 Ferdinando Pomarici, procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia di Milano, consegna alla Commissione parlamentare Antimafia presieduta da Francesco Forgione.
La relazione produce effetti dirompenti: le opposizioni in Consiglio provinciale chiedono le dimissioni di Bruna Brembilla, allora assessore in Provincia e Penati riesce ad arginare le richieste perché Minale gli comunica che il procedimento, che coinvolge la Brembilla, citato da Pomarici, viene archiviato il 2 dicembre 2008.
Nella relazione antimafia, resa pubblica, viene scritto che Alfredo e Andrea Iorio insieme al padre Achille possedevano l’Immobiliare Iorio, alla quale è stato, nel 2007, ceduto tutto il capitale della Immobiliare Buccinasco, azienda legata ai Barbaro: Salvatore Barbaro coniugato con Serafina Papalia figlia di Rocco Papalia, era titolare del 90 % delle quote della Immobiliare Buccinasco.

Non è possibile che il Sindaco di Cesano Boscone non sappia nulla del documento che viene distribuito in aula. Tre mesi dopo decide ugualmente di riconoscere a Iorio il ruolo che gli può permettere di portare a casa la delibera Demas prima della chiusura del mandato e gli chiede un favore: convincere un consigliere di opposizione a non opporsi.

Nelle motivazioni della sentenza che ha portato a fine ottobre 2010, alla condanna a sei anni per associazione mafiosa di Andrea Madaffari vice di Iorio nella Kreiamo, si ricorda che presso la Kreiamo ha luogo anche “la famosa riunione del 16 settembre 2008, in cui gli indagati Madaffari e Iorio con i loro collaboratori discutono di contabilità occulta e pianificano la strategia da seguire con gli inquirenti, per distogliere i sospetti dal loro operato e creare una barriera artificiosa tra la stessa Kreiamo e i Barbaro.”

A questo punto e da ottobre che lo chiediamo e lo chiediamo con insistenza: perché D’Avanzo non ritira le deleghe a Francesco Francica, attuale assessore al Bilancio della sua Giunta, Presidente del collegio dei revisori della Kreiamo dal 9 luglio 2007 e restato in carica, si legge nel Cerved del 28 ottobre 2010 fino all’approvazione del bilancio, il 31 marzo 2010.

D’Avanzo dice: “esercitava un controllo legale sui conti e non aveva alcun incarico e controlli nelle società del gruppo. Essendo un professionista di indubbia capacità, onestà e preparazione, il commissario giudiziale nominato dalla Procura della Repubblica ha voluto respingere le sue dimissioni, chiedendogli di rimanere al suo posto.”

Della contabilità occulta Francica non se n’è accorto. Lo stesso Francica, per rispettare pienamente l’Istituzione che rappresenta, dopo le gravissime accuse e le condanne a Presidente e vice Presidente di Kreiamo, dovrebbe togliere di imbarazzo la Giunta e dimettersi.
Le dimissioni possono, al limite, essere interpretate in questa accezione: non sono colpevole, neanche dell’accusa di aver interpretato il mio ruolo con superficialità, ma non voglio che la Giunta di Cesano Boscone venga continuamente messa in discussione a causa mia.

E poi un’ultima questione. È mai possibile che noi (inteso consiglieri comunali del Pd) non si possa attaccare Fabio Altitonante, Consigliere comunale e assessore in Provincia, enfant prodige della destra milanese, che nella stessa informativa della Dia viene citato in più di un passaggio, intercettato telefonicamente e ambientalmente negli uffici della Kreiamo, finché non si fa chiarezza a Cesano?

Al momento ritengo un rinvio dell’intera questione, alla valutazione del Collegio dei garanti del Partito Democratico la traiettoria più breve ed efficace, nello stesso interesse del Sindaco D’Avanzo. Ciò deve accadere nel più breve tempo possibile, pochi giorni e comunque prima che la mozione presentata dal Centro destra cesanese venga portata in aula.