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Cosa succede in Regione Lombardia sulla caccia

Il 15 luglio 2010 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha condannato l’Italia e varie regioni, tra cui svetta la Lombardia, per le ripetute violazioni avvenute verso le direttive europee in vigore sulla caccia.

La condanna avviene in seguito all’accoglimento di una richiesta del Wwf, sottoscritta da tutte le associazioni ambientaliste e animaliste lombarde, che ha evidenziato l’anomalia della normativa nazionale e regionale che consente la caccia a specie protette dalla “direttiva uccelli” in violazione delle norme comunitarie e delle convenzioni internazionali.

In particolare, la regione Lombardia ha autorizzato la caccia di volatili tutelati dalla normativa europea senza averne mai dimostrato la reale utilità che dovrebbe consistere nella prova scientifica. Tra l’altro, tale deroga non spetta alle regioni bensì al governo. Per superare questa “difficoltà” l’Italia nell’articolo 19 bis della legge sulla caccia, la 157 del 1992, ha istituito un procedimento di controllo di legittimità delle deroghe a livello regionale, che in sostanza risulta inefficace e poco tempestivo.

Nonostante la condanna netta dell’Unione Europea, la regione Lombardia ha riproposto un provvedimento di caccia in deroga per la prossima stagione venatoria. L’8 settembre 2010 la Commissione agricoltura ha, infatti, approvato il provvedimento che disciplina le regole per l’esercizio dell’attività venatoria lombarda per la stagione 2010- 2011, frutto della fusione di un progetto di legge presentato e sottoscritto da Gianmarco Quadrini e Valerio Bettoni (Udc) e di uno presentato dai Consiglieri della Lega Nord.

Il progetto di legge ora deve passare al vaglio del Consiglio regionale, la cui seduta si terrà oggi 14 settembre. Italia dei Valori presenterà 200 emendamenti e 40 ordini del giorno al fine di interrompere l’iter di questa legge vergognosa che viola la normativa europea e giustifica un crudele sfoggio di potere su piccoli volatili indifesi.

Emiliano, Christian, i giornalisti calabresi e le minacce come un prurito

Mi ero ripromesso di parlare e scrivere il meno possibile delle minacce. Soprattutto per una questione mia personale di pudicizia e coscienza e soprattutto per il gioco perverso di questo Paese (oggi posso dire pienamente verificato sulla mia pelle) che ogni volta accende i riflettori sulla bestialità degli intimidatori che meriterebbero il peggiore oblìo.  Non sono per niente convinto che la scelta sia sensata ma me lo ero imposto in questi ultimi mesi in cui ho avuto modo di sentirmi addosso la paura ancora più appuntita. Me l’ero imposto perché potessero cantare ad alta voce tutti i professionisti delle “carte a posto” secondo cui la nostra dovrebbe essere una condizione passeggera e niente di più.

Christian Abbondanza è un uomo contestato e contestabile. Con la sua associazione CASA DELLA LEGALITA’ da anni racconta la Liguria (e non solo) complice consapevole delle mafie sul territorio: dai Gullace e Fazzari, ai Fameli, Mamone, Fotia a tutta la banda Raso-Gullace-Albanese. Senza remore contro i mafiosi e i politici conniventi. Qualcuno dice che sia un allarmista provocatore.

Emiliano Morrone è il direttore de LA VOCE DI FIORE nonché autore di libri sulla ‘ndrangheta calabrese (insieme a Francesco Saverio Alessio) che sono “magicamente” spariti dagli scaffali e che non fanno sconti a nessuno. Qualcuno lo definisce con un po’ di spocchia “un semplice blogger”.

In Calabria (mentre la ‘ndrangheta alza il tiro impunemente contro le istituzioni) quotidianamente si sente di giornalisti minacciati e intimiditi per smussare la scrittura e tacere le notizie che possono dare fastidio. Si accende la solidarietà (poca) per il tempo di ualche editoriale sparso nel web e subito dopo sembra cadere un silenzio cimiteriale. Mentre loro rimangono al fronte. Qualcuno dice che se la sono andata a cercare e cercano un po’ di pubblicità.

Eppure Christian Abbondanza nei giorni scorsi ha ricevuto l’ennesima minaccia che gli ha fatto gridare “basta!“, Emiliano è ritornato la sera a casa e non ha più trovato i computer con le proprie inchieste e i documenti (vi ricordate non molto tempo fa un caso analogo alla giornalista di LA7 Silvia Resta?) e in Calabria si continua con le lettere anonime, i proiettili in busta e le taniche di benzina. Senza contare le centinaia di casi che rimangono taciuti per paura o peggio per nostra disattenzione.

In una scia inaccettabile a cui ormai ci siamo abituati. Come se facesse inevitabilmente parte del gioco. Come se fosse colpa loro pretendere un po’ di attenzione. Come se fosse diventata una colpa in Italia essere minacciati perché, in fondo, chi non si adegua, chi è fuori dal gruppo, non ha il diritto alla solidarietà. Chi alza i toni o accende i riflettori sceglie consapevolmente di uscire dalla “comunità”.

Eppure sembrerebbe così banale e normale che le opinioni e i modi abbiano tutte il diritto di non ricevere pallottole. Anche i blogger e gli allarmisti. O no?

Il mondo che vogliamo: la ficcante semplicità di Gino Strada

Uno ce la mette tutta per costruire. Cambiare il mondo, mettere insieme quattro pezzi di uguaglianza ed equità. Poi arriva Gino Strada e te lo racconta in poche righe. Senza una congiunzione di troppo e con quella sua postura ostinata ma rispettosa. Forte ma sottovoce. Con parole che sono scolpite nella semplicità, che sono così lievi ad ascoltarle.

http://www.youtube.com/watch?v=9DDOVQfngxg

La religione padana di Salvini

L’arcivescovo Dionigi Tettamanzi, che, in fondo, sotto le sue sacre vesti (dicono i più informati) deve essere un comunista, negli scorsi giorni ha affermato che i musulmani “hanno diritto a praticare la loro fede nella legalità. E’ legittima la loro richiesta di avere un posto per pregare. La politica strumentalizza il problema della moschea”.

A questo punto la parte “più sensibile” del panorama politico ha parlato. Il ministro Roberto Maroni ha affermato “sono il ministro dell’Interno, non un costruttore di moschee” e il sempre attento Matteo Salvini ha ironizzato “se il cardinale ha fretta e ha già dimenticato l’occupazione del sagrato, ospiti gli islamici nei suoi immensi palazzi. Noi stiamo con quei parroci che a Milano e con coraggio anche nei Paesi islamici difendono la propria religione e la propria gente”.

Vorrei illustrare alla mente sicuramente già illuminata di Salvini quale sia il ruolo dell’arcivescovo e quale, a mio parere, dovrebbe essere il ruolo della politica.

Il cardinale Dionigi Tettamanzi è la massima autorità della Chiesa cattolica in territorio ambrosiano. Salvini probabilmente, dedito al rito celtico, non capisce le dichiarazioni dell’arcivescovo semplicemente perché ignora totalmente una cultura che nel popolo italiano, anche quello del Nord, è radicata ovvero la cultura cristiana. Del resto, è lo stesso Salvini che fa riferimento ai parroci che difendono la propria religione. Ma qual è la religione di cui parla l’europarlamentare leghista?

Nel Levitico 19,33-34 si dice “quando un forestiero dimorerà presso di voi nella vostra terra, non lo opprimerete. Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso, perché anche voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio.” Il Deutoronomio 10,19 afferma “amate dunque il forestiero, poiché anche voi foste forestieri nel paese d’Egitto”, il vangelo di Matteo 25,35-36 “perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi”, infine la Lettera agli Ebrei 13,2 asserisce “non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo”.

Ebbene il cardinale è il rappresentante di questa cultura religiosa e non di una ottusa, antidemocratica e razzista presa di posizione nei confronti degli immigrati e di tutti coloro che non professano la fede cattolica.

La politica in un paese laico può contestare ed essere in disaccordo con le dichiarazioni dei ministri di culto e dei rappresentanti di ogni religione, ma non può utilizzare in modo volgare trazioni millenarie portandole a dire ciò che non hanno mai avuto intenzione di affermare. Il cardinale è il portavoce della religione cattolica e i suoi inviti rientrano perfettamente nell’insegnamento religioso. Deridere l’arcivescovo e relegarlo in un piano di distacco rispetto alle persone con cui i parroci si interfacciano quotidianamente non è solo un’arida denigrazione ma anche segnale di una totale ignoranza in tema religioso.

Forse prima di parlare di religioni e di islam bisognerebbe studiarne le radici, gli usi, i testi e vivere a contatto con chi professa ogni giorno la propria fede.

Non credo che Salvini conosca la cultura islamica ma, quello che più mi preoccupa, non penso abbia mai letto la nostra Carta Costituzionale. All’art.8 della Costituzione si legge che “tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.” e all’art.19 che “tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”.

Ritengo che la costruzione doverosa di un luogo di culto per una religione diffusa sul nostro territorio sia perfettamente in sintonia con la norma costituzionale e che affermare il contrario o, addirittura, proporre una legge affinché non si possano costruire moschee, sia anticostituzionale e, di conseguenza, antidemocratico.

Il cardinale Dionigi Tettamanzi ha dimostrato ancora una volta di essere più laico dei nostri laici politici leghisti che, talvolta, alzano la testa affermando di stare dalla parte dei cristiani. Caro Salvini, Le posso assicurare che i cattolici usi a leggere le Sacre Scritture non si sentono minacciati dalla costruzione di una moschea, ma dalla xenofobia razzista e violenta dilagante in questo Paese.

Chi minaccia Frediano Manzi?

Frediano Manzi è uno di quei tipi umani che difficilmente riesce a farsi voler bene dalla politica: parla troppo, scrive nomi e cognomi e spesso finisce per mettere il dito nelle piaghe di una Milano che preferirebbe non sapere. I nemici di Frediano non funzionano per scrivere di epopee mafiose: stanno nell’arroganza di periferia dei Tatone a Quartoggiaro o nelle ciabatte unte dei Pesco-Cardinale e nei polsini bianchi del “cartello” delle pompe funebri milanese che riesce ad avere lo stomaco per pasteggiare anche sui morti. Boss mica buoni per farci una copertina, piuttosto quattro guappi sgarruppati che sembrano non interessare a nessuno. Nonostante loro siano molto interessati a Manzi. Aggiungiamoci anche Frediano non ha imparato in fretta e bene la postura elegante, sempre spettinato e di corsa nel cuore dei quartieri di Milano.
Frediano Manzi (e la sua associazione) non è stato minacciato ieri. Frediano Manzi è stato lasciato solo da un pezzo, supportato solo da qualche volontario e circondato dai politici nel tempo di una telecamera. Ha chiesto una sede e ha ottenuto qualche straccio di comunicato stampa, ha chiesto una mano per distribuire i propri questionari e si è sentito rispondere che bisognava capire quanti voti portassero, ha provocato ed urlato e si è meritato al massimo qualche querela. Frediano Manzi non lamenta minacce dalla mafia, Frediano Manzi è stato lasciato solo dalle istituzioni. Quando l’ho conosciuto qualche anno fa mi sono sempre chiesto chi glielo facesse fare, cosa avesse da guadagnarci. Nulla.
Sai, Frediano, ce lo siamo detti spesso che quello che conta a Milano è essere chic e non rompere alle persone sbagliate. E so benissimo che ormai la lezione non la impari più. Ma non preoccuparti, vedrai che alla fine l’odore di elezioni su Milano trasformerà tutti (da una parte e dall’altra) in paladini in tua difesa almeno fino al ballottaggio. Così almeno riusciremo a non lasciare in pace queste quattro fecce sparse per la città. Almeno fino alla prossima inevitabile parentesi di minacce e solitudine.

Regione Lombardia risponde su Green Hill

Nel piccolo Comune di Montichiari in provincia di Brescia si trova Green Hill, l’unico allevamento da cani di laboratorio in Italia e uno dei più grandi in Europa. Ogni mese finiscono negli stabulari tra mani di vivisettori e su tavoli operatori 250 cani Beagle di questo stabilimento.

I cani di Green Hill vengono utilizzati nei laboratori farmaceutici, universitari, privati e militari e vengono sottoposti ad esperimenti di ogni genere e costretti a ingerire o inalare ogni tipo di sostanza che, poi, li porta alla morte. Questi animali indifesi vengono utilizzati senza scrupoli, uccisi, sezionati e poi gettati nei cestini come oggetti inutili.

Uno dei laboratori che si rifornisce da Green Hill è l’Huntingdon Life Sciences (http://it.wikipedia.org/wiki/Huntingdon_Life_Sciences), l’unico centro di tossicologia in Europa a cui siano mai state tolte le licenze per sevizie verso gli animali.

Inoltre, Green Hill da alcuni anni è stata acquistata da un’azienda americana, la Marshall Farm Inc. (http://en.wikipedia.org/wiki/Marshall_Farms) nota come la più grande fabbrica di cani da laboratorio del mondo.

All’interno dello stabilimento di Montichiari sono rinchiusi 2500 cani adulti più le relative cucciolate in capannoni chiusi, asettici, senza spazi all’aperto e senza aria o luce naturale; vi sono file di gabbie con luci artificiali e un sistema di aerazione necessario per la breve sopravvivenza dei Beagle ivi segregati.

Green Hill ha anche manifestato l’intenzione di ampliare lo stabilimento attraverso la costruzione di altri capannoni per arrivare ad oltre 5000 cani nell’allevamento che, di fatto, lo renderebbe il più grande allevamento di cani Beagle in Europa ed il fulcro della vivisezione canina europea.

Insieme al gruppo Italia dei Valori ho proposto un’interrogazione scritta ex art.117 Regolamento del Consiglio Regionale al fine di conoscere la situazione dei cani Beagle a Green Hill, poiché le informazioni sull’allevamento di Montechiari sono assolutamente allarmanti e indegne di un paese civile.

L’interrogazione chiedeva di conoscere le azioni e le misure adottate da Regione Lombardia, a fronte della situazione sopra descritta, al fine di far rispettare a Green Hill il disposto di cui all’art. 7 comma 2 del Regolamento Regionale 2/2008 che prima dell’abrogazione della legge 16/2006 (Lotta al randagismo e tutela degli animali di affezione), normando tutti gli allevamenti di cani sul territorio regionale, decretava che sia le strutture pubbliche che quelle private non dovessero avere più di 200 cani; se la Regione Lombardia fosse a conoscenza del progetto di ampliamento dello stabilimento; quali intendimenti la Giunta regionale fosse in procinto di adottare a fronte dell’entrata in vigore della legge regionale 33/2009 (Testo Unico delle leggi regionali in materia di sanità) e del relativo regolamento regionale di attuazione; infine, quali azioni e misure Regione Lombardia intendesse adottare in relazione all’ampliamento di Green Hill.

L’assessore alla sanità Luciano Bresciani ha risposto affermando che “la potestà autorizzativa” (art. 10 d.lgs. 116/1992 per stabilimento di allevamento) “è in capo al Comune ove è sito lo stabilimento di allevamento. Nel caso di specie, il Comune di Montichiari, acquisito il parere favorevole della Asl di Brescia:

a. Con atto prot. n. 14889 del 20.06.2001 ha autorizzato la Green Hill s.r.l. ad attivare e gestire un allevamento di cani di razza “Beagle” da utilizzare a fini sperimentali;

b. Con atto prot. n. 36451 del 13.11.2008 ha provveduto all’aggiornamento dell’autorizzazione suddetta.

L’allevamento consta di 5 capannoni, in cui sono presenti 2718 cani di razza Beagle allevati allo scopo di essere successivamente utilizzati in esperimenti. La struttura dispone di un responsabile sanitario.”

Bresciani non ci comunica molto di più di quello che già sapevamo, se non indicare nella Asl di Brescia l’unica responsabile del rilascio dell’autorizzazione a Green Hill e specificare l’esatto numero di cani presenti nello stabilimento.

L’assessore alla sanità lombardo afferma che sono stati effettuate verifiche da parte dell’Asl di Brescia e che tutti i controlli hanno avuto esito favorevole. Inoltre, la stessa Asl ha effettuato due controlli straordinari (svolti in data 21.05.2010 e 31.05.2010) che “non hanno rilevato ipotesi di non conformità tali da richiedere provvedimenti di revoca o sospensione dell’autorizzazione.” Personalmente avrei voluto conoscere le motivazioni che hanno portato la Asl bresciana ad effettuare dei controlli straordinari ovvero se siano arrivate segnalazione di cattiva gestione dello stabilimento, ma a quanto pare Bresciani non ha ritenuto doveroso inserire queste informazioni aggiuntive nella sua risposta.

Per quanto riguarda l’ampliamento dei capannoni di Green Hill Bresciani ci comunica che “la U.O. Veterinaria della Direzione Generale Sanità ha incontrato l’Amministratore Delegato della Green Hill, che ha manifestato la volontà di sospendere l’ampliamento dello stabilimento di allevamento di Montichiari.”

L’assessore risponde alla violazione dell’art. 7 comma 2 del Regolamento Regionale 2/2008 affermando che vi è un contrasto con la normativa nazionale che, di conseguenza, va applicata. Bresciani ha inviato una nota al Sottosegretario alla Salute evidenziando il contrasto citato. Ci auguriamo che arrivi una risposta il prima possibile perché, intanto, ci sono ancora 2718 cani reclusi in cinque capannoni.

Vorrei, però, fare delle considerazioni di carattere più generale. Nonostante le risposte dell’assessore Bresciani, mi sembra che la Regione Lombardia non si sia mai posta il problema di avere sul suo territorio un allevamento numericamente importante di cani destinati alla ricerca ed alla vivisezione. Ne è dimostrazione il fatto che solo dopo la nostra interrogazione Bresciani si sia accorto del contrasto normativo.

Del resto, al di là dei controlli della Asl ai fini della autorizzazione, la Regione Lombardia non ha mai effettuato dei sopralluoghi e non si capisce il motivo dal momento che, almeno di questo si deve dare atto, un allevamento di cani da laboratorio non è fortunatamente un’attività imprenditoriale così diffusa. Ancora di più, poi, sarebbe da monitorare lo stabilimento dal momento che Green Hill è stata acquistata da un’azienda come la Marshall Farm Inc. ed è in affari con l’Huntingdon Life Sciences, aziende spesso al centro di scandali per il trattamento nei confronti degli animali.

Ritengo che una politica attenta e rispettosa non possa relegare la questione Green Hill come un problema marginale, ma debba impegnarsi affinché vengano rispettati i diritti degli animali che meritano di essere trattati come esseri viventi e non come oggetti.

Il contrasto normativo segnalato giustamente dall’assessore deve essere risolto il prima possibile e deve essere data piena attuazione alla normativa regionale. Continuerò a lavorare affinché questo accada.

Stefano Boeri: nomi e facce sul cielo di Milano

Oggi leggo le agenzie, apro la posta e annuso che è iniziata la campagna elettorale per Milano. Penso: finalmente. Ma la partenza è un po’ troppo a strappi per essere un buon inizio. Milano è così: bulimica di nomi e facce nuove e anoressica quando si tratta di ascoltare contenuti e posizioni.

Al contrario di come scritto da qualcuno questa mattina non ho niente contro la candidatura di Stefano Boeri anzi, credo che ogni nuovo “ingresso” nella corsa per Palazzo Marino possa solo aggiungere temi e modi ad un dibattito che ha bisogno di essere sempre vivo per stare al passo.

Mi sia concesso almeno di non mettermi in fila tra questa coda di incensanti e di incensati della prima ora su un candidato che da oggi è sugli scaffali e che ora deve farsi assaggiare in tutti i suoi ingredienti: Stefano Boeri ha annunciato di essere del gioco con una telefonata d’oltreoceano, questo non mi serve e non mi basta. Ritorni con calma (non troppa), affitti una sala, convochi una conferenza stampa, indìca un’assemblea e ci racconti cosa vuole fare, che piano ha sul tema del lavoro, come vuole rivedere i pesi delle scuole pubbliche e private, cosa pensa della privatizzazione dell’acqua, quali sono le sue visioni su rifiuti e inceneritori, quanto crede in un serio piano di raccolta differenziata, che ruolo vuole dare alla città nella grande sagra dell’Expo (e soprattutto come intende utilizzare le infrastrutture “dopo Expo”), ci dica come costruire l’equilibrio tra il diritto all’integrazione e il dovere di sicurezza, illustri come valorizzare l’eccellenza universitaria milanese salvando lo studio e la ricerca dai tagli del Governo, disegni dove e come vuole mettere il verde che serve per fare respirare questa città e come rivitalizzare i quartieri prima che appassiscano in ghetti. E, senza risentimenti di nessuno, ci racconti tutto (ma proprio tutto) delle “compatibilità” con la Giunta Moratti sull’idea architettonica di Expo, delle “pieghe di collaborazione” con il padre padrone dell’edilizia milanese Salvatore Ligresti (in una Milano sempre meno credibile nell’housing sociale) e renda sgombro il campo del suo ruolo nel G8 a La Maddalena da ombre. Senza pregiudizi o processi intentati ma per il dovere di spazzare le nuvole che da troppi anni stanno sopra Milano.

Come dice Fabio Pizzul (consigliere regionale del Pd, quindi al di sopra di ogni sospetto): “Per lui un atto di coraggio non da poco e Milano ha bisogno di persone che si mettano in gioco rischiando in prima persona […] Le primarie per la scelta del candidato della coalizione di centro sinistra non possono allora limitarsi ad essere una competizione tra “faccioni”, devono diventare l’occasione per mettere a confronto idee e progetti che il vincitore potrà poi assumere in una sintesi arricchita dalla sana competizione. Bando allora alle appartenenze e via alla gara sulle idee”.

Facciamo posare questa fastidiosa polvere di entusiasmo fatto di gridolini e reggiseni e ascoltiamo le idee. Le idee, appunto.

P.S.

Tra le altre cose molti mi segnalano che avremmo dato un aut aut alla coalizione su UDC del tipo: o noi o loro. Falso. Più semplicemente noi non correremo con loro.

In ultimo qualcuno avrebbe detto che Italia Dei Valori stia candidando Cavalli. Falso. Più semplicemente Italia Dei Valori a Milano ha deciso le proprie priorità di programma, ha espresso posizioni dai laboratori politici, ha accolto e sposato alcune istanze di movimenti e comitati cittadini e ci metteremo intorno al tavolo con le idee chiare. Mica per parlare di Cavalli. Delle idee, appunto.

Schieriamoci per la difesa della scuola pubblica

A causa della nefasta azione sulla scuola pubblica di questi ultimi anni, l’istruzione pubblica sembra destinata a consumarsi e a morire con assoluta indifferenza nei confronti dei precetti costituzionali. I continui tagli della spesa e la scarsa considerazione da parte del Governo dei lavoratori della scuola pubblica obbligano a una protesta comune. In Lombardia, del resto, anche a livello regionale si continua ad alimentare la scuola privata a danno di quella pubblica. E’ il momento di affermare l’importanza e la valenza costituzionale dell’istruzione pubblica. Non possiamo permettere che sottraggano a tutti i cittadini, anche i meno abbienti, la possibilità di avere un’istruzione degna e gratuita! Per questo ho deciso di aderire al presidio che si terrà mercoledì 1 settembre davanti all’USR di Milano.

Di seguito il comunicato stampa degli organizzatori:

APPELLO IN DIFESA SCUOLA PUBBLICA

Sottoscrivilo!

assembleascuolaprecaria@gmail.com

PREPARIAMO INSIEME UNO SCIOPERO UNITARIO ALL’INIZIO DELL’ANNO SCOLASTICO !

IL 1 SETTEMBRE TUTTI DAVANTI ALL’USR DI MILANO !

ore 10.30

BREVE CONFERENZA STAMPA

ore 15.00

PRESIDIO E PERFORMANCE PRECARIA – recinzione simbolica della “scena del crimine”

INCONTRO PUBBLICO CON LE RAPPRESENTANZE SINDACALI UNITARIE, CON I GENITORI E CON GLI STUDENTI – per organizzare momenti di informazione e protesta già con il primo giorno di scuola, in ogni istituto

Dal prossimo settembre il Governo italiano vorrebbe tagliare 40.000 lavoratori della scuola, tra assistenti, maestre e maestri, professoresse e professori.

E, mentre aumentano i finanziamenti alle scuole private, i debiti del Ministero nei confronti degli istituti statali raggiungono in totale quasi 1 miliardo di euro!

Licenziamenti, crescente precarietà del personale e progressiva dequalificazione delle strutture e della didattica rendono instabile tutta la scuola pubblica, a danno degli alunni e del futuro del nostro Paese.

Occorre quindi ricucire tutte le componenti impegnate nella battaglia in difesa della scuola pubblica ed avviare fin d’ora un percorso che porti ad un’ampia mobilitazione unitaria a settembre.

Per questo:

▪ ci diamo appuntamento il primo settembre davanti al provveditorato: docenti precari e di ruolo, ATA, studenti e genitori

▪ ci impegniamo, ad indire in ogni scuola, con l’avvio delle attività , assemblee aperte di insegnanti, ATA, studenti e genitori

▪ chiediamo e ci impegniamo a costruire dal basso uno sciopero unitario all’inizio dell’anno scolastico, per saldare insieme, in una forte mobilitazione in difesa della scuola pubblica, la protesta dei precari che perderanno il posto di lavoro e la denuncia delle gravi conseguenze (sovraffollamento, impoverimento della didattica…) che i tagli stanno determinando per gli alunni e le alunne delle nostre scuole

La vera minaccia per la Catturandi di Palermo è la solitudine

Le minacce mafiose ai quattro agenti della Squadra Catturandi della Questura di Palermo (come raccontato da Repubblica Palermo) sono un simbolo. Bavoso, selvaggio e infernale come solo la depravazione criminale di Cosa Nostra mentre mostra le unghie riesce a raggiungere, ma comunque un simbolo. Un seme che cade come una ferita sulla moglie di uno degli agenti ma che sa benissimo che coltiverà erba amara in tutto il gruppo. Un gruppo che da sempre ha fatto della propria compattezza (che nei momenti più caldi delle indagini sfiora consapevolmente l’isolamento dal resto del mondo) l’arma migliore sia per l’attacco che per la propria difesa. Cosa Nostra teme lo spigolo più appuntito delle forze dell’ordine siciliane perché, inevitabilmente, ne riconosce la schiena dritta, la testa alta e (il dato potrebbe essere preoccupante) l’autonomia.

Eppure quelle foto dei quattro colleghi fatte scorrere come un album di oscuri presagi al suono sinistro della frase “”Che bei mariti avete, che belle famiglie” sono un attacco agli uomini e agli affetti. E questo angolo delle forze dell’ordine impegnate in prima linea forse ce lo stiamo dimenticando.

Ce lo siamo perso sotto l’offuscamento dei proclami altisonanti dei nostri governanti sempre pronti a sfilare in telegenica solitudine durante i festeggiamenti dopo gli arresti, ce lo siamo perso nelle rivendicazioni sindacali e negli appelli finiti sempre in un trafiletto dei giornali, ce lo perdiamo tutti i giorni nelle macchine lucidate e lavate per il servizio del telegiornale mentre sullo sfondo si cerca di fare camminare l’ultima “carretta buona” per le indagini, ce lo lasciamo sfilare dalle mani da un’attenzione maniacale per l’immagine e per la forma e mai per la sostanza. Il cuore buono della Catturandi ce lo siamo mangiati nei soldi che mancano per le fotocopie, nella benzina che deve essere anticipata di tasca propria e negli straordinari per la cattura di Provenzano pagati anni dopo; solo dopo che si era posata l’ultima briciola dell’euforia di quell’arresto.

Allora sarebbe da chiedersi perché Matteo Messina Denaro abbia deciso proprio ora di rilassarsi dalla sua villeggiatura da “boss” per scomodarsi a fare circolare dentro il carcere dell’Ucciardone di Palermo le foto dei quattro agenti, perché proprio ora abbia deciso attaccare la punta di diamante della polizia palermitana. Sarebbe da chiedersi perché rischiare di rendere quel pugno di uomini ancora più serrato e duro. E sarebbe da chiederci quanto abbiamo potuto (consapevolmente e inconsapevolmente) lasciare che sugli uomini delle forze dell’ordine sia caduto un velo di solitudine. Pronti ad applaudirli o a condannarli mai più che per un battito di secondo, dimenticando quanto sia gravosa la “resistenza” nella quotidianità che si costruisce in mesi per sciogliersi in qualche minuto dentro un comunicato stampa dopo l’arresto.

Se Cosa Nostra alza la voce così vicino alla Catturandi è perché ne ha una paura fottuta o non ne ha paura per niente. In entrambi i casi tutto intorno la politica, le istituzioni, i cittadini, noi, stiamo lasciando che alla fine sia una cosa loro, un affare tra guardie e ladri, una battaglia da giocarsi muso a muso in un confine non più grande dei duellanti, delle loro mogli e dei loro figli. In qualsiasi caso abbiamo lasciato soli i cattivi (e soprattutto) i buoni: in quella solitudine che concimiamo “per delega” per una Cosa che non è mica Cosa Nostra ma rimane Cosa Loro.

Ho diviso serate giù a Palermo con i ragazzi della Catturandi mentre si sorrideva di una battaglia che è lunga ma fatta sempre con fierezza. Abbiamo parlato di mafia e di vita, ci siamo incrociati negli incontri nelle scuole, abbiamo fatto serate con la gente. E proprio adesso mi accorgo (io che tutto il giorno tutti i giorni annuso uomini in divisa che con me dedicano tempo, forze e professionalità per una vita sicura e “normale”) che non gli ho mai detto: grazie. Grazie con quella gratitudine che più delle cerimonie sfratta la solitudine.

Mondadori: mi sono giocato un sogno per un po’ di coerenza

Lo ammetto. Ho sempre sognato di scrivere un libro per Einaudi. Per due motivi: il primo, per nulla di spessore, è che sono rimasto appiccicato con la faccia per anni a quella magnifica copertina vuota del Giovane Holden di Salinger e alla fine mi è rimasta una voglia matta di avere il mio nome su quella grafica profumata così essenziale e un buon cappello a becco d’anatra da cacciatore vecchio stile, il secondo per amore di quello struzzo che Picasso regalò a Giulio Einaudi nel 1951 durante una visita dell’editore ad Antibes.

Sono stato contattato da una gentilissima lavoratrice di Einaudi (Gruppo Mondadori) che mi ha illustrato e proposto un nuovo progetto editoriale. Fin qui, dico, ha tutti i lustrini per essere l’inizio di una favola stellata. Anche perché bisogna dire che in quei mesi rispondevo perfettamente al prodotto editoriale perfetto: le minacce, la scorta, l’intimido perfetto per l’antimafia da souvenir. Quella tutta suppellettili e scaffali che ti soffia in viso e ti trasforma in icona. Eppure scrivere un libro e lavorare con le parole è sempre una presa di posizione, la costruzione inevitabile di un credito e di un debito: con sé stessi, con i lettori e con gli editori. Un manifesto in cui dichiari di riconoscerti il più pienamente possibile. Così come la buona politica che, mica per niente, Plutarco definiva la più alta delle arti. Ho declinato gentilmente l’offerta. Non mi vedevo negli scaffali con la matricola di un editore che “strozzerebbe” chi parla di mafia, non mi vedevo nemmeno a criticare in giro per le piazze un fascismo morbido mentre mi allattavo alla mammella del re e cagliavo nelle sue stalle. Per una questione di igiene e di bellezza.

Ammetto pure che non mi sono nemmeno sentito nemmeno per un secondo né eroico né resistente. Ma coerente sì. E la coerenza costa (e mi costa), ma è una coperta comoda la sera. Qualcuno mi dice che iniziare una carriera di scrittore con una testata sulla porta del re è il modo peggiore per costruirsi una carriera eppure, dopo l’ultima legge “ad aziendam”, ripenso con un sorriso al “filo sottile del compromesso” che riuscivano a cavalcare così bene i giullari che rifiutavano di abitare la corte del Re e preferivano le piazze. Anche se talvolta ci potevano rimettere la testa.

Ho grande ammirazione per molte delle firme del Gruppo Mondadori (penso a Corrado Augias, Pietro Citati, Federico Rampini, Roberto Saviano, Nadia Fusini, Piergiorgio Odifreddi, Michela Marzano e altri) e ho molta ammirazione per centinaia di professionisti seri e preparati che lavorano nel gruppo ma non amo gli arzigogolati professionisti della giustificazione. Quelli no. Ogni scelta è un’azione.

Ad ottobre uscirà il mio libro. Il mio editore (che non me ne vorrà ma di cui mi sembra inelegante fare il nome) è a capo di una piccola casa editrice che lavora e sogna di fare qualcosa di buono. E’ spettinato, dice troppe parolacce e non è per niente telegenico. Non ha l’amicizia o il parente giusto per evitarsi nemmeno un mese di spese condominiali eppure per me è stato il migliore editore possibile. Quando Corrado Stajano l’8 giugno del 2003 si dimise dal Corriere della Sera nella sua lettera d’addio scrisse “Mi dimetto per protesta. Contro l’arroganza del governo e dei suoi ministri, contro una Proprietà subalterna, contro le interferenze, difficili da negare, piovute dall’alto ai danni di un possibile libero giornalismo. In un momento grave per la Repubblica in cui non è certo il caso di fare gli struzzi”. Gli struzzi, appunto.