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Giulio Cavalli al Teatro dl Popolo di Gallarate: un successo annunciato.

Gallarate, 15 marzo 2010- “Che la ‘ndrangheta stesse colonizzando Milano lo dicevo negli anni ’80. L’ho confermato due anni fa e i fatti mi danno ragione. Ora c’è l’Expo e non so più come dirlo”.

“A Mafiopoli le storie si cominciano a raccontare dalla fine. Bruno Caccia doveva finire il 26 giugno, che, dico, per uno scherzo del destino il 26 giugno io ci sono pure nato. Oggi c’è un cortile, un cortile scippato ai Belfiore, un cortile che è stato rapinato al rapinatore, un cortile che vuole diventare da grande un giardino e una memoria che con le unghie sta rompendo il guscio. E il magistrato severo, sono sicuro, non riuscirebbe a trattenere un sorriso”.

Inizia con la frase del sostituto procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia Vincenzo Macrì proiettata su un grande schermo al centro del palco, già acceso durante l’ingresso degli spettatori in sala, e termina con il testo che Giulio Cavalli ha scritto per l’iniziativa “Libera quanto basta per “ a Cascina Caccia di San Sebastiano Po nel maggio 2009 lo spettacolo “A cento passi dal Duomo” che l’attore lodigiano che vive sotto scorta da due anni ha portato al teatro del Popolo di Gallarate nella stagione della Fondazione Culturale l’altra sera.

In mezzo, il testo che Cavalli ha scritto con il giornalista Gianni Barbacetto, accompagnato dalle musiche eseguite dal vivo da Gaetano Liguori. Un’ora e mezzo di parole, nomi, sentenze, inchieste. E facce. Quelle dalle foto segnaletiche dei “boss della ‘ndrangheta”, come appare ancora sullo schermo prima che Cavalli inizi a recitare il testo in memoria del magistrato Bruno Caccia, ucciso il 26 giugno 1983 con 14 colpi, da killer su una 128, mentre di sera faceva una passeggiata con il suo cane, a Torino, dopo aver deciso di mandare a casa gli uomini della sua scorta.

È un’ora e mezzo che parla di quelle “storie che non vengono raccontate”, di quelle che restano “nel cassetto” in un negozio, perché “la vetrina deve essere rassicurante”, perché “il silenzio è calma, è rosa”.

Ed è un’ora e mezzo che rende ancora più assordante quel “silenzio” che Giulio Cavalli accusa, nel parlare della ‘ndrangheta, delle infiltrazioni della criminalità organizzata al Nord, in Lombardia.

Parte da una data, quella del 17 luglio 1979, quando nella Chiesa di San Vittore a Milano si celebrò il funerale “oscenamente privato” di Giulio Ambrosoli, commissario liquidatore della “banca di Sindona”, ucciso con tre colpi 357 Magnum da un killer di Cosa Nostra mentre rientrava a casa, e al quale “non c’erano politici, non c’era l’alta borghesia milanese”. Perché “Milano non se ne accorse”.

E prosegue con Calvi, Sindona,  la Notte di San Valentino con tutti i suoi arresti nel 1983, con i  maxiprocessi per mafia degli Anni Novanta con “più di cento condanne”, per arrivare più verso i giorni nostri, agli omicidi riconducibili alla criminalità organizzata fin sotto casa, a Lonate Pozzolo, a Ferno, a San Vittore Olona,…

E a contraltare di politici e non solo che commentano e commentavano che a Milano e in Lombardia la mafia non esiste, riappare una frase di Macrì: “Milano è oggi la vera capitale della ‘ndrangheta”.

Ma, aggiunge Cavalli, “anche Cosa Nostra e la Camorra si stanno dando da fare in Lombardia”

E davanti a tutti questi fatti, alle inchieste che vedono la vicinanza della criminalità organizzata a grandi opere (“prima la ‘ndrangheta si dedicava ai sequestri di persona – dice ancora Cavalli nello spettacolo -, poi è passata alla cocaina, poi all’eroina. Oggi ce l’hanno fatta: sono imprenditori, soprattutto nel campo dell’edilizia, nella movimentazione della terra. Oggi si sono dischiuse le uova, ci sono i rampolli, giovani che frequentano i vostri salotti, le scuole dei vostri figli. E che vivono a 100 passi da dove si sta organizzando l’Expo”), lo spettacolo si chiede se ciò sia solo cronaca nera. “No – risponde Cavalli – Gomorra è già qua”.

Lungi dall’essere un reportage che fa di ogni erba un fascio o che nel Nord veda solo terra criminale, il testo è piuttosto un grido contro il silenzio, contro la negazione di ciò che comunque esiste, ed esiste anche in Lombardia. “Il silenzio è complice”, ammonisce Cavalli alla fine di “A cento passi dal Duomo”.

E “non si tratta di decidere di chi è la colpa”, ma piuttosto “di non permettere di restare impuniti”. E perché questo avvenga occorre la “memoria”. E “non permettersi di dire che la mafia non esiste”.

spettacoli@varese7press.it

http://www.varese7press.it/?p=12587

No eliporto al Parco Nord

Aderisco convinto assumendomi l’impegno alla petizione NO ELIPORTO AL PARCO NORD.

Regione Lombardia, insieme ad ENAC ed ENAV, sulla base di una ricerca commissionata allo Studio Ambrosetti dalla Agusta (azienda costruttrice di elicotteri militari/civili), sta progettando un sistema di eliporti regionale per rendere facilmente accessibile l’aeroporto varesino di Malpensa, in vista dell’Expo 2015.

Costo della corsa: 120 euro. Di certo non per tutte le tasche.

SECONDO IL PROGETTO, IL PARCO NORD OSPITERA’ L’HUB DEDICATO ALLA MANUTENZIONE E RIFORNIMENTO DEGLI ELICOTTERI.

Ciò comporterà, come chiunque può intuire, un impatto devastante sul parco e sull’abitato circostante.

Ci opponiamo a quest’opera con la quale la giunta Formigoni inevitabilmente deturperà il nostro parco, causando inoltre gravissimi disagi ai residenti che abitano nei suoi pressi.

Il Parco Nord non si tocca!

Articolo di Giulio Cavalli su ALTRECONOMIA di marzo

Forse arriverà un giorno che non ci sarà più bisogno di aggiungere nessuna specifica geografica. Dunque niente “mafia al nord” o “mafie in Lombardia” o peggio “qui la mafia non esiste”, dove il qui è una città qualunque. Sarà forse che il recente piglio localizzatore è così simile ad una eco di scaricabarile, ma il medioevo della responsabilità è tutto nel volere disegnare giardini vergini ognuno a casa sua mentre le mafie dovrebbero pascolare pelose ma comunque lontane.

Oggi il cartello mafioso (con Camorra, Cosa Nostra e ‘Ndrangheta a tirarne le fila) trova in settentrione un alleato assolutamente insperato: l’indifferenza nella sua accezione più insalubre. Dopo avere superato il negazionismo (da Pillitteri in poi), l’ignoranza più o meno intenzionale (nelle visioni superficialmente ottimistiche del sindaco Moratti) ci ritroviamo oggi di fronte ad un “federalismo di responsabilità” che delimita il problema alle regioni meridionali. Ci ritroviamo così seduti a raccontarci e rimasticare la letteratura criminale della Sicilia o della Calabria mentre le seconde e le terze generazioni delle famiglie storiche impiantate al nord si ripuliscono per reinventarsi imprenditori dell’ultima ora.

Eppure oggi in Lombardia possiamo affermare di avere tutti i segnali di una criminalità organizzata in ottima salute: beni confiscati (nei primi posti a livello nazionale), riciclaggio, contatti bipartisan con esponenti politici (è di oggi, mentre scrivo, la notizia degli arresti dell’ex sindaco Pd di Trezzano sul Naviglio Tiziano Butturin e l’ex assessore al lavori Pubblici dello stesso Comune, oggi consigliere comunale Pdl), e addirittura morti ammazzati (l’ultimo a Milano è Giovanni Di Muro, il 41enne salernitano freddato a colpi di pistola il 5 novembre scorso in via dei Rospigliosi).

In una società responsabile e dignitosa superare il problema facendosene carico e non semplicemente scavalcandolo sarebbe un obbligo morale. Oggi, in Lombardia ma più generale giù al “nord”, parlare di mafia è diventato un gioco delle parti tra presunti allarmisti e mediatori per convenienza, tra analisi strumentali e mistificazioni coprenti. E tutto intorno non si alza nemmeno la polvere.

Tutto intorno una regione sonnacchiosa mentre apparecchiano il banchetto dell’Expo. Una regione che controlla la carta d’identità di un mojito e cammina su fiumi di cocaina. Una regione che s’abbuffa alle conferenze stampa delle grandi opere e che inciampa al primo gradino del primo subappalto. Una regione che convoca gli stati generali dell’antimafia per ribadire di stare tranquilli. Una regione che ci convince di aver risolto tutto spostando i soldatini del Risiko con la scioltezza di un tiro di dadi. Una regione che se il fenomeno criminale non emerge allora non esiste. Una regione che mette i moniti dei procuratori antimafia nei faldoni di “costume e società”. E intanto ride. Sonnacchiosa. Impermeabile.

Ora la società civile è chiamata ad essere civile. Civile nel senso di responsabile. Attiva nel senso di mai ferma. Solidale nel non sopportare il silenzio. Oggettiva, a guardarsi dall’alto. Tutta intera. Tutta.

http://www.altreconomia.it

Media italiani censurano intervento Alto Commissario Onu per i Diritti Umani

Riporto e condivido il comunicato del Gruppo EveryOne sulle politiche intolleranti di questo Governo denunciate dalla comunità internazionale e prevedibilmente oscurate.

La visita dell’Alto Commissario in Italia aveva in realtà un significato di primissimo piano per la società italiana, il suo sviluppo civile e la sua presenza nella realtà internazionale. Navi Pillay, infatti, ha incontrato a Roma il Ministro della Giustizia Angelino Alfano, il Ministro degli Interni Roberto Maroni, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Gianni Letta, il Ministro degli Affari Esteri Franco Frattini e il Presidente della Camera dei Deputati Gianfranco Fini. Ha tenuto discorsi al Senato e alla Pontificia Università Lateranense. Ha visitato due campi nomadi e il Cie di Ponte Galeria. Ha, infine, incontrato i rappresentanti di oltre 40 ong.

Roma, 12 marzo 2010. L’Europa e il mondo si chiedono (basta leggere i giornali esteri per rendersene conto) come sia possibile che in Italia proseguano da anni – in totale spregio degli accordi internazionali sui Diritti Umani – le politiche intolleranti contro i migranti, i Rom e le minoranze sgradite alle Istituzioni e alle autorità. La risposta è facile. Politici e media, senza distinzione fra le loro “correnti” di appartenenza, conducono da molto tempo una propaganda xenofoba, connotata da discriminazioni forti riguardo alla provenienza, al colore della pelle, alle tradizioni culturali e religiose dei gruppi sociali colpiti. Le ideologie dei partiti anti-stranieri non hanno, in Italia, un contraddittorio, perché i mezzi di comunicazione e informazione sono strumenti politici, mentre gli attivisti e i promotori di una cultura di pace sociale e uguaglianza sono imbavagliati e perseguitati. Le leggi chiaramente discriminatorie, come la Bossi-Fini, il pacchetto sicurezza, le centinaia di provvedimenti comunali, hanno contaminato anche la cultura giuridica e l’operato dei magistrati, come dimostrano le innumerevoli condanne di Rom e migranti senza prove o per reati coniati a loro misura (occupazione di suolo pubblico, oltraggio, resistenza, accattonaggio molesto ecc.) e le sentenze-choc, come quella di ieri della Cassazione che ha giudicato lecito deportare un padre di famiglia clandestino, anche se i suoi bambini vanno a scuola in Italia. Questa cultura deviante che criminalizza lo straniero facilità anche la sottrazione di minori non italiani da parte dei servizi sociali e le adozioni di bambini – che sono amati dai loro genitori, ma sono considerati “adottabili” a causa del loro status di “irregolari” o “senzatetto” – da parte di famiglie italiane. Come scritto sopra, i media hanno un ruolo fondamentale e sono sostanzialmente uniti nella guerra allo straniero. Ne è un’ulteriore dimostrazione la censura attuata nei confronti dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite, signora Navi Pillay, il cui invito a sospendere le politiche persecutorie nei confronti di Rom e migranti durante importanti incontri istituzionali è stato completamente ignorato o relegato in spazi piccoli e marginali sia sui quotidiani che nei radiogiornali e telegiornali.

Nelle foto: le copertine odierne del Giornale, del Messaggero, della Repubblica e del Corriere della Sera. Il giorno successivo alla visita della signora Pillay, nessun riferimento ai suoi incontri e discorsi alle Istituzioni italiane

Giulio Cavalli: ora siete tutti collusi

GALLARATE – Il Teatro del Popolo di Gallarate sembra una bomboniera, tutto panna e azzurro. Ma ieri sera, 11 marzo, la bomboniera si è riempita di echi di sangue e di affari sporchi: sul palco c’era Giulio Cavalli, classe 1977, una delle ultime rivelazioni del “Teatro Civile”, con il suo ultimo spettacolo “A cento passi dal Duomo”. L’argomento era la mafia in Lombardia. NON BASTA VEDERE “I CENTO PASSI” “La mafia in Lombardia non esiste”, dicono tutti. Cavalli cita Paolo Pillitteri e Letizia Moratti, ma loro sono solo i più evidenti portavoce di questo ritornello. “I lombardi guardano i film su Peppino Impastato, – dice Cavalli – e pensano di avere pagato così il proprio conto all’antimafia. E non si accorgono che la mafia ce l’hanno in casa”. E non da poco tempo, come dimostra il fatto che Luciano Liggio, predecessore di Totò Riina, fu assassinato negli anni ’70 nella sua casa di Milano. NOMI, COGNOMI E FOTO Giulio Cavalli fa nomi e cognomi, ed è per questo che da qualche anno lui, lodigiano, vive sotto scorta. Nomi, cognomi, e fotografie: lo spettacolo si conclude con la proiezione di alcune foto segnaletiche corredate dal nome del boss raffigurato. Boss che non vivono solo lontano, al Sud, ma qui vicino, anche nella nostra provincia. Non è un caso che il boss più potente, Vincenzo Rispoli, venga nominato nel momento dello spettacolo dedicato a Malpensa. La provincia di Varese ha un ampio spazio nello spettacolo di Cavalli: mafia, camorra e ‘ndrangheta sono arrivate anche qui, silenziose e con la facciata pulita da normali imprenditori, ma ancora uccidono e minacciano. Lo dimostrano, secondo l’attore lodigiano, alcuni omicidi commessi tra Lonate Pozzolo e Ferno, e l’accoltellamento del capo dell’ufficio tecnico del comune di Besnate nel 2008. E allora non sorprende più che perfino il procuratore di Varese, Maurizio Grigo, abbia una scorta. Non per difendersi dai teppisti varesini, ma dalla ‘Ndrangheta. UN PASSO INDIETRO Qualche passo indietro, però, Cavalli l’ha dovuto fare: un uomo politico di Somma Lombardo, qualche giorno fa, ha mandato una diffida sia all’attore che al teatro, perché all’interno di “A cento passi dal Duomo” si fa il suo nome come partecipante a una cena con alcuni boss della zona. Cavalli ha preferito quindi eliminare, per una sera, alcuni passaggi dello spettacolo: “non era fondamentale citarlo – ha detto a fine serata l’attore – anche perché lui ha partecipato a quella cena pare senza sapere con chi fosse al tavolo. Ma ho preferito evitare di creare ulteriori problemi a me e al Teatro”. CANDIDATO CON IDV Perché di problemi, Cavalli, ne ha fin troppi. E non smette di crearsene, visto che ha perfino deciso di candidarsi alle elezioni regionali con l’Italia dei Valori nelle provincie di Milano, Monza e Varese. “Anche da candidato, non fingo di avere un manifesto politico. – aveva dichiarato qualche settimana fa a VareseNotizie – Il mio lavoro, i miei spettacoli, lo sono di per sé. La politica deve tornare ad essere quello che è per me, cioè un impegno vero per il proprio Paese. Tutti i partiti devono dimostrare di essere contro la mafia con i fatti: questa sarà la nuova onestà della politica”. “ORA SAPETE”Ora sapete – chiosa l’attore a fine spettacolo – quindi da oggi dovete agire, altrimenti siete tutti collusi. E anticostituzionali, perché l’articolo 4 della Costituzione dice che “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.

Chiara Frangi

http://www.varesenotizie.it/cultura/cultura-e-spettacoli/50148-giulio-cavalli-ora-siete-tutti-collusi.html

Sabato 13/03: Giulio Cavalli per “Fa’ la cosa giusta”

Mafia Nord/Sud Lavoro e legalità, buone pratiche di resistenza Luogo e orario: Teatro Off Bollate Sabato 13 marzo, 11 – 13 Padiglione 2 superiore (in fondo) FieraMilanoCity, ingresso Porta Scarampo14 Metro Lotto – www.falacosagiusta.terre.it/ accredito all’ingresso Intervengono – Don Luigi Ciotti, presidente di Libera nazionale – Pino Màsciari, imprenditore edile calabrese, testimone di giustizia – Umberto Di Maggio, coordinatore di Libera Sicilia – Maurizio Carbonera, già sindaco di Buccinasco ha denunciato insieme alla sua Giunta le infiltrazioni mafiose nel territorio comunale – Giulio Cavalli, autore teatrale, tra i suoi spettacoli ricordiamo “A cento passi dal Duomo” sulla mafia nel nord Italia – Piero Colaprico, giornalista de la repubblica da sempre impegnato sul fronte della cronaca della malavita milanes. autore tra gli altri di “Mala storie. Il giallo e il nero della vita metropolitana (il Saggiatore). Modera: Elena Parasiliti, direttore di Terre di mezzo

Giulio Cavalli e i nomi della mafia nel basso Varesotto

In scena al Teatro del Popolo “A cento passi dal duomo”: l’attore lodigiano ha parlato anche della ‘ndrangheta di Lonate Pozzolo e Legnano. Nel buio qualcuno registrava le sue parole

Quando la voce di Giulio Cavalli dice quelle due parole, c’è qualcuno che si irrigidisce, qualcuno tende le orecchie, per sentire meglio. Perché un conto è sentire che la mafia c’è nella grande Milano, che c’è a Buccinasco, a Corsico, che per molti sono solo nomi su un cartello stradale o un supermercato di mobili. E un conto è sentire i nomi degli arrestati e dei morti ammazzati qui, a due passi da casa. A Lonate Pozzolo.

Giulio Cavalli ha portato al Teatro del Popolo di Gallarate il suo “A cento passi dal Duomo”, la storia silenziosa della mafia a Milano, scritta insieme al giornalista Gianni Barbacetto. Uno spettacolo in continuo divenire, come è in continuo divenire la mafia nel Nord, passata dalle piccole estorsioni a benzinai e commercianti ai sequestri di persona, agli affari nell’edilizia, alle operazioni immobiliari. E nel testo in divenire c’è anche la storia dei clan di Lonate Pozzolo, trapiantati da Cirò Marina: sono stati minati da due inchieste e dagli arresti, ma fanno ancora paura. Il silenzio «è il concime dei delitti», che anche oggi impedisce di ricordare nomi e fatti, che chiede di non parlare delle indagini. E invece l’attore lodigiano fa i nomi: quelli di Vincenzo Rispoli, indicato dagli inquirenti come capo del “locale” di Legnano e Lonate, e quello di Mario Filippelli, il suo braccio operativo. Ricorda gli atti intimidatori che si sono visti a Lonate, ma anche a Besnate, ai danni dei dirigenti all’urbanistica. «E quando un consigliere leghista locale, Modesto Verderio, ha denunciato i fatti, l’hanno trattato come lo scemo del villaggio». Scorrono come grani del rosario i nomi degli ammazzati nei bar e nei boschi, tra Lonate, Ferno, Legnano, San Vittore Olona.

Lo scorso anno, a Varese, lo spettacolo di Giulio Cavalli fu seguito da minacce di querele. E anche questa volta qualcuno deve essersi mosso per tempo: «Saluto gli avvocati presenti in sala, spero che le registrazioni siano venute bene» ha concluso Cavalli. Sotto il palco gli agenti della scorta vegliavano su di lui, che da due anni è minacciato di ritorsioni

http://www3.varesenews.it/gallarate_malpensa/articolo.php?id=167279

Dal diario di MICROMEGA: Io rivendico il diritto di essere allarmista

Io rivendico il diritto di essere un allarmista. Un allarmista e, se serve, anche un professionista dell’antimafia. E perfino giustizialista.

Rivendico il diritto (ma soprattutto il dovere) di essere un portatore allarmato di allarme in un Paese dove oltre a rubare le borse e i motorini si sono messi a rubare le regole. Un gioco senza regole è un gioco truccato. E di fronte ai bari di pancia mi è sempre venuto di rovesciare il tavolo.

Il decreto “interpretativo” del Governo (che, per un gioco curioso di parole, il tribunale amministrativo ha dichiarato poco “interpretabile” e ancora meno applicabile) ha tutto il sapore dell’imbarazzo di un bambino chiuso in bagno che mentre entra la mamma si rialza i pantaloni.

Io rivendico il diritto di essere disgustato e poco contenuto in un paese governato da una pratica onanista che si trastulla sulle regole. Rivendico il diritto di essere incazzato nero. Mica alterato, o nervoso, o sfiduciato, o agguerrito o tutti i buoni sinonimi del vocabolario della buona educazione. Proprio incazzato come una vela arrampicata sull’albero.

Io rivendico il diritto di essere abbarbicato sull’albero maestro in un Paese che guardato dall’alto (ma mica tanto, appena appena in punta di piedi) ha la faccia di un piatto a prezzo fisso in cui ci hanno mangiato con le mani.

Io rivendico il diritto di non farmi disarmare da un decreto d’urgenza come una toppa sul grembiulino che annulla il percorso democratico del diritto di voto. Un diritto che, guardato alle spalle, ha la schiena dritta del dovere: proporsi come rappresentante dei cittadini con le competenze minime per concorrere a rappresentarli. Fogli, firme, carte bollate: minuzie tiratardi che si risolvono in un problema di forma. Come le minuzie per il mutuo della prima casa. Per contestare la cartella esattoriale. Per aprirsi una linea telefonica. Per scegliersi un medico di base. Minuzie di vita quotidiana che, quaggiù, si deve imparare ad usare per guadagnarselo il panino.

Io rivendico il diritto di non essere un moderato. Rivendico il diritto di dichiararmi intollerante ad una “mediazione” che da trent’anni ci viene rifilata come intelligenza politica. Rivendico il diritto di una politica semplice senza essere semplicistica, che sui principi fondamentali se ne frega delle intese e che sia leggibile e partigiana: che coerentemente manifesta da che parte sta.

Io rivendico il diritto di essere un allarmista. Di gridare “al fuoco” anche se non si vede la fiamma per questi ultimi vent’anni di puzza di bruciato.

http://temi.repubblica.it/micromega-online/giulio-cavalli-io-rivendico-il-diritto-di-essere-allarmista/

LIBERTA' intervista a Giulio Cavalli: «La cosa che mi fa più paura? L’indifferenza. L’ignoranza intenzionale come arma di difesa»

Intervista a Giulio Cavalli: «La cosa che mi fa più paura? L’indifferenza. L’ignoranza intenzionale come arma di difesa»

Libertà COPERTINA CULTURA 31 venerdì 5 marzo 2010

“A cento passi dal duomo” cosa c’è? Cosa dobbiamo aspettarci da questo spettacolo? Dati, storie, rivelazioni?

«E’ uno spettacolo molto analitico, nel senso che è una messinscena di nomi e di fatti. E nasce da un’esigenza personale. Negli ultimi tre anni mi sono trovato in questa situazione, in cui oltre alla vita sotto scorta e alle minacce, sono quasi costretto a giustificarmi per quello che mi è capitato. Trovo desolanti soprattutto i riflessi della mia storia sul territorio in cui vivo, più che la vicenda in sé. E’ quasi uno spettacolo di “legittimazione”, in cui provo a dire come mai mi sono ritrovato in questa situazione. In cui parlo di una criminalità organizzata presente in Lombardia ormai da 60 anni. E di come tutto ciò che abbiamo visto accadere in Sicilia, Campania, Calabria, ha sempre avuto le sue teste pensanti qui da noi. Partiamo dal funerale di Ambrosoli e arriviamo a raccontare le famiglie della ‘ndrangheta di oggi».

Di questi argomenti non si parla granché, se non nelle pagine di cronaca nera.

«In effetti sono cose di cui magari i giornali scrivono, ma senza effetti pratici su chi legge. Il problema è la ricezione. E’ l’idea che questa storia non si possa raccontare, perché si è sviluppata una sorta di impermeabilità in chi dovrebbe conoscere i fatti. Rivendico il diritto di essere “allarmista”, se questo può servire a qualcosa».

Come è nata l’idea di occuparsi proprio di mafia?

«In realtà abbiamo affrontato temi anche molto diversi (il G8 di Genova, la strage di Linate del 2001, il turismo sessuale infantile… ndr). E spesso abbiamo avuto dei problemi e delle reazioni pesanti. Quando poi si arriva a parlare di gente che agisce in modo barbaro, è inevitabile che sia barbara anche la reazione. Definire la nostra  attività “teatrale”, è un po’ limitarla. Perché è fondamentale il lavoro di studio, di coordinamento delle notizie e dei fatti».

Da quando vivi sotto scorta, ormai si parla di te come “dell’attore anti-mafia”. Immagino che la definizione ti vada un po’ stretta…

«Vivere sotto scorta non è un merito. Fa paura una società che dà patenti di credibilità a seconda della scorta che hai dietro. In Italia ci sono 670 persone che vivono in questa situazione, alcune delle quali sono davvero in prima linea. Siamo in un Paese in cui chiunque abbia il coraggio di esporsi viene minacciato. Io faccio semplicemente il mio lavoro, la cosa in cui credo. In alcuni ambiti mi considerano un attore, in altri un giornalista. Chi fa teatro pensa che io mi dedichi troppo al giornalismo di inchiesta per essere un attore. E i giornalisti mi ritengono un teatrante. La cosa scomoda è doversi ogni volta definire per evitare le definizioni degli altri. Faccio il mio lavoro con la scrittura, il giornalismo, il teatro, e ora anche la politica, cercando di non lasciare che certe azioni criminali rimangano impunite».

Cos’è che ti fa più paura nell’Italia di oggi?

«L’indifferenza. La disaffezione nel coltivare la propria coscienza. Al di là delle politiche più o meno colluse, la cosa che veramente mi preoccupa è l’ignoranza intenzionale come arma di difesa. Mi piacerebbe vivere in una paese in cui fosse obbligatorio prendere una posizione. Su questa cosa dovremmo essere tutti d’accordo, trasversalmente. Non è possibile che chi prende posizione diventa un eroe. Dovrebbe essere una cosa normale. L’eccezione dipende dalle azioni di chi denuncia o dalla pavidità di tutti gli altri?».

Fabrizio Tassi

 

Sabato 6 marzo: Giulio Cavalli al convegno "Mafia & Antimafia in scena"

Promosso dal Consorzio Cooperativo “O. Romero” nell’ambito del Prog. “Percorsi di Cittadinanza e Legalità”Patrocini: Ass.to Scuola e Formazione Regione E. R/Prov. di R. E./ USP di Reggio Emilia

Con il sostegno di Confcooperative prov.le di R. E.

SABATO 6 MARZO 2010 – ore 10.15/12.45

REGGIO EMILIA Centro Malaguzzi – Via Bligny, 1/R. E.

Mafia & Antimafia… in scena

LEGALITA’, CINEMA E TEATRO. TRA SAPERI E TESTIMONIANZE

Incontro fra punti di vista diversi e “interessati” al ruolo del cinema e del teatro di impegno civile.

Professionalità dedicate all’analisi, alla produzione e alla diffusione della cultura, dialogano e propongono

una modalità diversa di leggere la mafia e la sua penetrazione nei diversi settori della società.

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Ore 10.15: SALUTO DELLE ISTITUZIONI

Mauro Ponzi / Presidente del Consorzio Coop.vo “Oscar Romero” di R. E.

Introduzione: Rosa Frammartino, direzione scientifica del Progetto

INTERVENTI

  • Cinema e Teatro civile in un quadro culturale europeo

Cristofer Gordon, docente alla London City University e Prof. ospite Università di Torino e Bologna

  • Mafia, cinema, streotipi. La mafia nel cinema di Pietro Germi e “Il figlio della prof.ssa Colomba” ovvero: Storia di un film mai nato

Claudio Bondì, docente all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Regista e scrittore

  • I linguaggi di scena: strumenti di costruzione della democrazia

Enrico Bernard, Regista e drammaturgo. Critico e storico del teatro

  • Il palcoscenico: luogo di cittadinanza, di racconto, di denuncia

Giulio Cavalli, regista e attore

Info:

dr.ssa Rosa Frammartino (cell. 338 3873640 / mail: rosa.frammartino@alice.it)

Consorzio Oscar Romero – tel 0522440981 mail: info@consorzioromero.org