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L’Apocalisse rimandata inaugura Scompagina 3

Monte San Vito Il primo appuntamento del 2010 di Scompagina 3. Libri in scena con dedica a Valeria Moriconi – rassegna tematica a cura del Centro Valeria Moriconi promossa dalla Fondazione Pergolesi Spontini, dal Comune di Jesi, dall’Amat, dalla Regione e dalla Provincia di Ancona – è il 9 gennaio al teatro La Fortuna di Monte San Vito con L’apocalisse rimandata ovvero benvenuta catastrofe con Giulio Cavalli. L’Apocalisse rimandata – spettacolo che inaugura anche il cartellone del Teatro La Fortuna – è un testo teatrale di Dario Fo e Franca Rame ispirato all’omonimo romanzo pubblicato nel 2008 in cui dedicano al rapporto con l’ambiente una nuova tappa del loro singolare percorso biografico e professionale che ha saputo intrecciare, in più di cinquant’anni di lavoro, le più attuali critiche socio-politiche alle forme di narrazione popolare. Siamo dinanzi all’apocalisse più grave di ogni tempo, il disastro ambientale del quale noi stessi siamo responsabili e l’unica via d’uscita sembra essere paradossalmente una catastrofe…

http://sfoglia.corriereadriatico.it/Articolo?aId=936994

Giulio Cavalli: pensieri tra anno che muore e anno che nasce

Un regista e attore sotto scorta perché le risate non piacciono ai boss. In Italia è successo anche questo.
Giulio Cavalli: pensieri tra anno che muore e anno che nasce
A sentire la sua voce dimostra più anni dei 32 che ha compiuto a giugno. Sì, ha solo 32 anni ed è un altro concittadino italiano sotto scorta perché minacciato dalla mafia. Non è meridionale ma vive in Lombardia. Non è un giornalista (nel senso classico del termine) o un magistrato; Giulio Cavalli è un regista teatrale, uno scrittore e un attore.

Quando risponde alle domande dimostra una grande umiltà e quasi inconsapevolezza di ciò che rappresenta agli occhi di molti giovani di oggi. Quando gli si ricorda che è stato ribattezzato il Saviano del nord non si capisce se sia più divertito o arrabbiato. Credo arrabbiato.

Ha messo in scena coi suoi spettacoli pezzi della nostra storia recente e più scomoda, come l’assurda morte di Carlo Giuliani al G8 di Genova, in (Re) Carlo (non) torna dalla battaglia di Poitiers, o l’incidente di Linate in Linate 8 ottobre 2001: la strage, un monologo sul disastro aereo in cui persero la vita 118 persone.

E in Bambini a dondolo mostra al pubblico quel dramma sociale che attraversa le frontiere che è il turismo sessuale infantile. Ma è con il suo spettacolo Do ut Des – Riti e conviti mafiosi, che il suo lavoro va a toccare quei fili da cui in Italia è sempre bene tenersi lontani se vuoi vivere tranquillo. Attraverso la storia di Totò Nessuno, si viaggia appunto tra riti e cerimoniali mafiosi, che vengono dissacrati e resi ridicoli agli occhi dello spettatore divertito e amareggiato.

Penso che le parole più adatte per parlare di Do ut Des siano proprio le sue: “Tutte le mafie del mondo vivono, proliferano e crescono sulla base del proprio onore che cresce sulla paura. Quell’onore si incancrenisce e diventa credibilità fino a sommergersi e travestirsi di cultura. Ridere di mafia significa ribellarsi ad un racket culturale”.

Alla fine di questo lungo anno, abbiamo voluto chiedergli di tirare le somme di questi 12 mesi e delle speranze che nutre per il 2010 alle porte. Con qualche risposta che ha preferito non dare e un premio da ritirare ai primi di gennaio.

Il 2009 è stato per lei un anno importante. Ci può raccontare come è cambiata la sua vita e come ripensa oggi a quest’anno che se n’è andato?
Se penso al 2009 non penso all’aspetto televisivo e vouyeuristico della scorta. Il 2009 è stato un anno importante perché ho fatto delle scelte importanti, augurandomi di avere lucidità e onestà intellettuale per riuscire a farle anche nel 2010. Poi ad ogni disposizione e presa di posizione seguono purtroppo delle reazioni che sono più o meno civili. Però siccome ho sempre preferito dedicarmi alle cause e non agli effetti, allora questo 2009, che è stato un anno di cause, è importante.

Ora che vive sotto scorta, e viene definito il Saviano del nord, rifarebbe tutto quello che ha fatto?
Non definitemi il Saviano del nord, per piacere. Non usate questa espressione, vi prego. Ci sono 675 persone in Italia sotto scorta.

Ma rifarebbe tutto quello che ha fatto?
Ma certo. Io non faccio qualcosa in base alle conseguenze. Cioè, se trovo che qualcosa sia giusto, l’ultimo mio pensiero è quali conseguenze potrebbe comportare. Io mi dedico alla pars construens delle mie decisioni, quindi mi auguro di non arrivare mai a essere compromettibile, a essere piegato su me stesso e piegato sugli effetti. Quindi assolutamente rifarei tutto quello, e continuerò a farlo.

Secondo lei perché è così difficile pensare che la mafia non sia solo un problema del sud Italia?
Perché il nord, e soprattutto la Lombardia è sempre stata la regione regina nel prostituire la politica ai linguaggi della pubblicità, e allora, se ci pensi, l’effetto tranquillizzante, l’effetto più importante in politica è che sia sotto forma di spot, e la mafia è un fenomeno che è vissuto, per chi ha una conoscenza superficiale o ignorante, come qualcosa di molto sporco e peloso; per chi invece ha avuto appena appena il gusto e la voglia di approfondire un po’, si scopre che è figlia della debolezza morale di una classe politica. E’ come fare lo spot di un panettone e dire che però poteva succedere che qualche candito non sia buono.

Lei utilizza il grammelot per fare un teatro che è di denuncia sociale. Da che cosa deriva questa scelta?
Il grammelot è il cordone ombelicale coi giullari e con gli arlecchini, e i giullari sono stati i più grandi attori di teatro civile, molto di più di noi che ci siamo imborghesiti cinquecento anni dopo. Quindi recuperare un po’ di pancia per essere il più possibili trasparenti anche in scena mi sembrava fondamentale. Poi, siccome il federalismo esiste solamente nelle teste di qualche ebete ma in realtà lo stesso federalismo, il purismo linguistico, soprattutto in Lombardia è un’utopia, tra l’altro criminale, allora il grammelot è quella lingua che ti permette di non essere identificabile con una zona, soprattutto in questo momento in cui l’identificazione con i quartieri sembra quasi che diventi un elemento di pregio.

Il grammelot è stato utilizzato anche da Dario Fo. Pensa che questo sia uno degli aspetti che ha portato al vostro incontro?
Beh, sicuramente come formazione teatrale sono molto vicino a Fo, per cui era una grande speranza lavorare con lui. E tra l’altro Fo è stato, penso, uno degli esempi negli anni ’70, proprio dell’uso politico, nel senso alto del termine politica, della risata. E quindi rimane sicuramente un maestro irraggiungibile, per chiunque.

Cosa le ha lasciato, insomma, quest’esperienza col premio Nobel?
Ogni volta che ti capita di fare un incontro importante ci sono due aspetti. Uno che se vuoi è egoistico ed è la soddisfazione di aver potuto ottenere della stima di persone che hanno fatto la storia del nostro lavoro. E poi cercare di assorbire il più possibile quello che queste persone ti possono dare. Io credo che ormai la persona Fo è schiava, nel senso bello, del teatrante che è geneticamente in tutto quello che fa e in tutto quello che dice.

Spera che vi siano altre vostre collaborazioni in futuro?
Sì, mi auguro che le collaborazioni continuino. Spero che gli incontri siano sempre l’inizio di qualcosa, non l’apice.

Il 2010 inizierà per lei con il premio Fava, per cui lei ha detto che reagirà col tremolio emozionato di un bambino davanti ad un regalo inaspettato… Ci può dire qualcosa di più su questo premio, lei che si è definito un giornalista mancato?
Guarda, siccome i critici teatrali sono i sacerdoti al ballo delle banalità, vivono paragonando sempre noi a qualcun altro. Io sono stato il nuovo Fo, il nuovo Paolini – il nuovo Paolini con, tra l’altro, Marco in buona salute e che continua a lavorare – il nuovo Celestini, semplicemente perché usavo un linguaggio, un ritmo molto alto durante gli spettacoli. Poi sono diventato il nuovo Impastato perché semplicemente mi son permesso di credere, come lo credeva lui, che la risata sia una delle armi più soddisfacenti per smerdare la vacuità morale dei boss mafiosi e per disonorarli. Allora in tutto questo io, fondamentalmente, pur contento di essere accostato a queste persone, anche a livello professionale, però, non c’entro nulla; io non sono un attore, per cui non arriverò mai ai livelli attoriali di Fo; non sono una persona a cui interessa fare memoria, ma più inchiesta, quindi sono molto lontano da Paolini, e se c’è una persona a cui mi sono sempre sentito vicino è inevitabile che fosse invece Pippo Fava, che tra l’altro paga, con questa carenza di memoria, proprio questa non specificità, il fat
to che lui non si sia riuscito a dare un ruolo. E quindi ricevere il premio Fava così inaspettatamente vuol dire che allora esiste una giustizia delle consonanze. E poi vado a ritirare un premio giornalistico di una persona che non era solamente un giornalista; è sempre molto riduttivo, secondo me, marchiare le persone. E’ allora per questo che forse è uno tra i premi che ho ricevuto che più mi sorprende, perché l’avrei sempre sperato. Ecco, per questo.

Speranze per il 2010?
Di continuare a essere onesto, con me stesso.

Ultima domanda. Si parla di lei come candidato dell’Idv alla regione. Accetterà?
No, non rispondo a questa domanda.

Devia?
Devio.

di  Laura Meloni

DA AGORAVOX.IT

L’ARTICOLO QUI

Il Premio Fava all'attore Giulio Cavalli Per l'impegno civile nel suo teatro-verità

Siracusa – Con il suo teatro di inchiesta scuote le coscienze, o almeno ci prova. Di certo scuote gli animi in certi ambienti criminali, tanto che dallo scorso anno, dopo la rappresentazione di Do ut Des, spettacolo teatrale su riti e conviti mafiosi, coprodotto dal comune di Lodi e dal comune di Gela, vive sotto scorta. Giulio Cavalli, 32 anni, attore, regista e autore teatrale di estrema caratura civile è il vincitore del Premio Pippo Fava 2010, sezione giovani.
L’annuncio è stato fatto questa mattina nella sala degli Stemmi, della provincia regionale di Siracusa, dove è stato presentato il programma della manifestazione, dedicata al giornalista ucciso dalla mafia, che si terrà dal 2 al 4 gennaio prossimi a Palazzolo Acreide, città natale di Fava. All’incontro con i giornalisti hanno partecipato la vice presidente della fondazione Fava, Maria Teresa Ciancio, Nuccio Gibilisco del coordinamento Fava di Palazzolo, Gabriella Galizia (coordinamento Fava), Giusy Aprile, responsabile provinciale di “Libera”, Damiano Chiaramonte, segretario provinciale dell’Associazione Siciliana della Stampa e il vice sindaco di Palazzolo, Paolo Sandalo.
Il premio sarà consegnato lunedì 4 gennaio alle 17.30 nella sala consiliare del palazzo di città di Palazzolo Acreide. Gli organizzatori hanno svelato anche il nome del vincitore del tradizionale premio Fava: si tratta di Sigfrido Ranucci, giornalista della trasmissione Report. Questa consegna avverrà a Catania, alle 18,30, presso il centro culturale Zo.
Un po’ tutti i presenti hanno ricordato questa mattina la figura di Giuseppe Fava, sottolineando l’impegno soprattutto dei giovani che credono nel giornalismo d’inchiesta.
Per la Provincia ha portato il saluto ai presenti il presidente del consiglio provinciale, Michele Mangiafico. “Il Consiglio provinciale è stato molto motivato nel suo impegno civile – ha detto -. Nei confronti di Fava abbiamo un debito di memoria, bisogna trasmettere ai giovani il messaggio positivo della sua esperienza di vita”.

DA IL GIORNALE DI SIRACUSA

L’ARTICOLO QUI

Giulio Cavalli premiato con il IV° Premio G. Fava Giovani: “Scritture e immagini contro le mafie”

In questi anni, per vicende diverse, sono stato avvicinato per troppa bontà di molti e superficialità di pochi ad una miriade frastornante di “grandi nomi”; ho sempre vissuto con disagio gli accostamenti a persone che rimangono per me modelli soprattutto della loro unicità (come Fo o Impastato), opponendomi con ostinazione a questo gioco delle somiglianze che credo non giovi alla sana pratica della memoria ma piuttosto all’agiografia. Sono sostanzialmente un teatrante stonato, forse un giornalista mancato, certo un appassionato di memoria e di racconto che coltiva un pensiero con mezzi diversi per uno stesso fine. E allora se proprio mi sforzo di pensare a chi mi senta “vicino” per modi e sapori penso a Giuseppe Fava, al suo giornalismo con la schiena dritta, al suo teatro mai scontato e con il forte senso del dovere e alla sua quotidiana e genetica voglia di lottare per sentirsi vivo. Scriveva Fava: “Un giornalista incapace – per vigliaccheria o calcolo – della  verità si porta sulla coscienza tutti i dolori umani che avrebbe potuto evitare, e le sofferenze. le sopraffazioni. le corruzioni, le violenze che non è stato capace di combattere. Il suo stesso fallimento!” Per questo ritiro il premio con il tremolìo emozionato di un bambino davanti ad un regalo inaspettato e con il sorriso per un “nome” poco nominato che speravo prestissimo di incrociare.

Giulio Cavalli

 


 

Programma Premio G. Fava 2-3-4 Gennaio 2010

 

02-01-2010

PALAZZOLO ACREIDE (Sala ex Biblioteca Comunale):

ore 15.30 – Step by step LAB, laboratorio dell’informazione a cura di:

– Fabio Chisari – Impaginazione e testi giornalistici

– Maurizio Parisi – Fotografia e immagini

– Sonia Giardina – Realizzare un cortometraggio

– Gabriele Zaverio – Realizzare una radio streaming in casa con l’open source

ore 18.00 – Giornali, informazione e opinione pubblica, dibattito con la presenza di:

– Fabio Chisari, docente di Storia sociale dei media presso l’Università di Catania

– Pino Maniaci, direttore di “Telejato”

– Gaetano Liardo, giornalista di “Libera Informazione – Osservatorio delle Legalità contro le mafie”

– Pippo Guerrieri, responsabile del mensile “Sicilia Libertaria”, La Fiaccola e Sicilia Punto L

– Marco Benanti, direttore di “Catania Possibile” e “Magma”

– Fabio D’Urso, giornalista de “Ucuntu – I Siciliani Giovani”

– Massimiliano Perna, “Il Megafono”

Coordina: Gianluca Floridia e Gabriella Galizia

PALAZZOLO ACREIDE (Sala ex Biblioteca Comunale):

ore 21:30 Spettacolo teatrale “La mafia è un’idea” di Massimo Tuccitto a cura dell’Associazione Culturale Siracusa in Movimento

03-01-2010

PALAZZOLO ACREIDE (Sala Consiliare Comunale)

ore 16:30 – Intervento a cura:

Damiano Chiaramonte, segretario provinciale “Asso Stampa Siracusa”

Franco Oddo, direttore “La civetta di Minerva”

Paolo Caligiore, presidente “Associazione Palazzolese Antiracket – Pippo Fava”

ore 17:30 Il rapporto tra mafie, potere ed informazione, dibattito con la presenza di:

– On. Benedetto Fabio Granata, vicepresidente Commissione Parlamentare Antimafia

– Sen. Giuseppe Lumia, componente Commissione Parlamentare Antimafia

– Rosa Maria Di Natale, giornalista e docente a contratto di “Comunicazione, giornalismo e nuovi media”
– Antonella Mascali, cronista giudiziaria a “Radio Popolare di Milano” e giornalista collaboratrice del “Il Fatto Quotidiano”

Coordina Pino Finocchiaro, giornalista di “Rai News 24”

PALAZZOLO ACREIDE (Sala ex Biblioteca Comunale):

ore 21.30 – Giulio Cavalli in  Monologando: Giuseppe Fava, un uomo.  500 euro, tutto a posto. A 100 passi dal Duomo

04-01-2010

PALAZZOLO ACREIDE (Sala Consiliare Comunale)

ore 16:30 – “Scritture e immagini contro le mafie”, parliamone con gli autori:

– Francesco Di Martino e Sebastiano Adernò – “U stissu Sangu. Storie più a sud di Tunisi.”

– Antonello Mangano – “Gli africani salveranno Rosarno e, probabilmente, anche l’Italia.”

– Gigi Ermetto, giornalista di canale 9 e collaboratore di La7

– Lorenzo Tondo, giornalista collaboratore Gruppo Espresso

Coordina Nuccio Gibilisco

Ore 17.30 – IV° Premio G. Fava Giovani 2010: “Il Teatro della Verità, dibattito con la presenza di:

– Giulio Cavalli, attore, scrittore e regista

– Mario Gelardi, direttore artistico festival di teatro civile “Presente indicativo” e della rassegna “Teatri della legalità”

– Luigi Marsano, direttore organizzativo festival di teatro civile “Presente indicativo” e della rassegna “Teatri della legalità”

– Claudio Fava, scrittore e giornalista

– Dott. Carmelo Petralia, Procuratore Capo di Ragusa

Coordina Elena Fava

Premiazione dei vincitori del I° Concorso Scuole G. Fava: La verità in immagini e scritti

Consegna del IV° Premio G. Fava Giovani: “Scritture e immagini contro le mafie


Programma Premio G. Fava 2010

 

05-01-2010

CATANIA – Via Giuseppe Fava

ore 17:00 – Appuntamento alla lapide

CATANIA – Centro di culture contemporanee ZO

ore 18:30 Consegna IV° Premio Nazionale G. Fava: “Scritture e immagini contro le mafie, dibattito con la presenza di:

– Sigfrido Ranucci, giornalista per la redazione di “Report”

– Giulio Cavalli, attore, scrittore e regista

– Armando Spadaro, Procuratore aggiunto di Milano

– Peter Gomez, scrittore e giornalista collaboratore con “Micromega” e “Il Fatto Quotidiano”

– Antonella Mascali, cronista giudiziaria a “Radio Popolare di Milano” e giornalista collaboratrice del “Il Fatto Quotidiano”

Coordina Claudio Fava, scrittore e giornalista

Campagne d'odio

“E’ in atto una campagna d’odio contro di me, il fascismo e l’Italia.” Benito Mussolini, 1932

“Gli ebrei alimentano una campagna d’odio internazionale contro il governo. Gli ebrei di tutto il mondo sappiano: questo governo non è sospeso nel vuoto, ma rappresenta il popolo tedesco.” Adolf Hitler, 1933

Una delle più orribili caratteristiche della guerra è che la propaganda bellica, tutte le vociferazioni, le menzogne, l’odio provengono inevitabilmente da coloro che non combattono.”  George Orwell


Buone feste

Ho smesso di credere a Babbo Natale quando avevo sei anni. Mamma mi portò a vederlo ai grandi magazzini e lui mi chiese l’autografo.
(Shirley Temple)

La direzione ed il personale di Bottega dei Mestieri Teatrali e Teatro Nebiolo Vi augurano buone feste.
Gli uffici resteranno chiusi da Giovedì 24 dicembre a Giovedì 7 gennaio.

Incontro con Giancarlo Caselli, Raffaele Cantone, Giulio Cavalli, venerdì 8/01

Il ciclo di incontri del centro di Documentazione per un teatro Civile, riprende a gennaio con un importante appuntamento: venerdì 8 gennaio alle ore 21:00 i magistrati Raffaele Cantone e Giancarlo Caselli, coordinati nell’incontro da Giulio Cavalli, partendo dalla presentazione dei loro ultimi libri racconteranno del proprio lavoro.

‘Solo per giustizia’ di Raffaele Cantone è una lettura obbligatoria per chiunque voglia capire lo sconcertante potere delle mafie, ma anche apprezzare meglio l’impegno dei molti uomini che, per senso di dovere e con grandi sacrifici, continuano a far funzionare nel nostro difficile paese lo stato di diritto.

‘Le due guerre’ Perché l’Italia ha sconfitto il terrorismo e non la mafia

Di Gian Carlo Caselli

Due guerre e una sola trincea, la scrivania di un magistrato. Dalla Torino degli anni Settanta alla Palermo dei Novanta, trentacinque anni di storia italiana attraverso lo sguardo di un protagonista della lotta contro il terrorismo di sinistra e contro la mafia.

L’ingresso è libero fino esaurimento posti – previa prenotazione valida la poltrona in abbonamento prosa/prosa in coppia/ adotta una poltrona.

Eroi

Non si vedono in TV, i giornali ne parlano raramente. Tuttavia non sono degli sconosciuti, anzi, c’è tutta una serie di persone che di questi ficcanaso ne sa moltissimo e ne vorrebbe sapere ancora di più. Per fermarli. Sì, perchè quando si comincia a pensare, a parlare e, soprattutto, a far pensare gli altri, è difficile non farsi dei nemici.  Nemici che ti rendono la vita impossibile, ma contro i quali ci sono tante persone che hanno deciso di lottare a carte scoperte, perchè, come diceva Paolo Borsellino, “chi ha paura muore ogni giorno. Chi non ha paura muore una volta sola”.

C’è Gianni Lannes, direttore di un giornale on line. Da tempo segue la vicenda delle navi dei veleni e degli inceneritori del Sud Italia, per i quali ha aperto un’inchiesta. Il primo avvertimento a Luglio: l’automobile in fiamme. Pochi giorni fa, la replica: a Orta Nuova, circa 23 km da Foggia, un esplosione distrugge la sua macchina.

C’è Rosario Crocetta, ex sindaco di Gela. Quando parla delle intimidazioni subite dalla mafia, dice che “non sono minacce, sono condanne a morte”. Crocetta ha creato, durante la sua magistratura, un’associazione antiracket a cui hanno aderito più di 120 imprenditori e commercianti, che hanno iniziato a denunciare le estorsioni, contribuendo all’arresto di oltre 950 mafiosi. Non sa nepppure cosa significhi vivere normalmente, o forse lo sa meglio di tutti: “Non è facile vivere con questo pensiero” – ammette – “Non puoi avere una vita normale, non puoi andare a mangiare un gelato, io vivo a 300 metri dal mare e non posso più andare a farmi il bagno. Non posso nemmeno affacciarmi sul balcone. E’ un pensiero talmente costante, che mi sono quasi abituato all’idea”.

C’è Giulio Cavalli, 32 anni, attore e regista. Migliaia di pagine di intercettazioni lette, raccontate nelle piazze di Gela, Alcamo e Corleone, mettendo alla berlina Bernardo Provenzano, Totò Riina e i loro picciotti. Cavalli non ha paura. Si chiede, semmai, “se è giusto far pesare questa vicenda su quanti mi stanno intorno”. Da mesi vive nella consapevolezza che ogni suo spostamento è vigilato da persone incaricate di osservarlo: gli “avvertimenti” non si contano più. Bare disegnate sulla porta, gomme dell’auto squarciate. A Ottobre è tornato sul palcoscenico, ma a Milano, con un monologo (Cento passi dal Duomo) dove racconta trent’anni di ‘ndrangheta in Lombardia, partendo da Calvi e Sindona ed elencando nomi di ciò che oggi c’è, più che mai, nel Nord Italia.

C’è Lia Beltrami, assessore della provincia di Trento, rea di impegnarsi per la convivenza, l’integrazione e l’accoglienza dell’altro (come gli stranieri, richiamati anche in Trentino dalle esigenze dell’economia e del lavoro). Queste cose non piaccioni a tutta una schiera di fanatici razzisti: minacce, buste con proiettili e pedinamenti. Impossibile continuare a vivere se non sotto scorta.

C’è Don Luigi Ciotti, che è anche scrittore ed editorialista. Da anni non è libero di muoversi da solo perchè non esita a farsi dei nemici: trafficanti di droga, mafiosi, sfruttatori di prostitute. “Sono solo un cittadino che sente prepotente dentro di sé il bisogno di giustizia”, minimizza. Nel ‘95 nasce Libera – Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, un network che oggi coordina nell’impegno antimafia oltre 700 associazioni.

Cinque piccole storie. Di persone che oggi vivono sotto scorta in Italia ce ne sono 570. Molte di esse occupano le alte istituzioni della politica, ma altrettante sono giornalisti, scrittori, sindaci, panettieri, educatori. Uomini e donne che tengono entrambi gli occhi bene aperti e che, per invogliare le altre a fare lo stesso, hanno rinunciato a una vita normale. Pur sapendo che a molti di loro non piacerà, è difficile esimersi dal definire queste persone eroi.

Pietro Crippa

fonti: www.europarl.europa.eu

da IL FARO MAGAZINE L’ARTICOLO QUI

http://www.ilfaromag.com/prospettive/?p=5702

LA NORMALITÀ BLINDATA

QUANDO A FINIRE SOTTO SCORTA È LA GENTE COMUNE.
Il più noto è Roberto Saviano, l’autore di Gomorra. Che vive sotto scorta lo sa un numero d’italiani maggiore rispetto a quello di quanti hanno letto il suo libro, sebbene l’abbiano fatto in più di un milione. Molti cittadini, attenti alla cronaca, conoscono anche la vita “blindata” di don Luigi Ciotti, un uomo di Dio che da molti anni non è libero di muoversi da solo perché non esita a farsi dei nemici: trafficanti di droga, mafiosi, sfruttatori di prostitute. Secondo i dati ufficiali del ministero degli Interni, sono 570 le persone che, oggi, nel nostro Paese vivono scortate. Meno dell’anno scorso, quando erano 622, ma molto diversificate per professione. Non sono solo, infatti, i magistrati e i massimi vertici delle istituzioni, ma giornalisti come Lino Abbate o Rosalia Capacchione, sacerdoti, politici, amministratori locali e gente comune. Tutte persone che prendono sul serio il proprio lavoro e che vivono fino infondo i doveri del cittadino onesto, finendo così per pestare i piedi a chi approfitta del complice silenzio altrui per combinare affari sporchi. Si può finire sotto scorta perché non si cede a un’estorsione, ma anche perché, come è successo a una dirigente delllnps di Rossano, si denuncia una truffa ai danni della previdenza nazionale. Può succedere a uno come l’attore di teatro Giulio Cavalli, la cui intervista viene pubblicata qui di seguito, che ha il torto di mettere alla berlina i cosiddetti “uomini d’onore”, elencando a voce alta, dal palcoscenico, nomi e fatti di una criminalità organizzata che ha ormai intaccato anche il Nord. Oppure può capitare quel che è accaduto a Lia Beltrami, assessore della Provincia di Trento. C’è chi ne segue i passi perché, con la sua politica di solidarietà, ha urtato il razzismo viscerale di alcuni fanatici, incapaci di vivere in pace con gli immigrati. Capita che il coraggio delle idee debba essere difeso
dallo Stato. Noi abbiamo il dovere civico di non dimenticare, nutrendo stima verso chi, questo coraggio, lo pratica. E verso chi lo protegge.

È BERSAGLIO DI AVVERTIMENTI E MINACCE. CON LA SUA OPERA A CENTO PASSI DAL DUOMO, L’ATTORE GIULIO CAVALLI RACCONTA TRENT’ANNI FILATI DI ‘NDRANGHETA A MILANO, CON TANTO DI NOMI: «VOGLIO FAR APRIRE GLI OCCHI», SPIEGA.

Quest’intervista con Giulio Cavalli, in occasione del suo spettacolo teatrale A cento passi dal Duomo, era già stata realizzata, quando l’operazione “Parco Sud” ha spedito in cella la “terza generazione” della ‘ndrangheta nel Milanese. Risultato: 17 ordinanze di cattura, 48 indagati, 5 milioni di beni sequestrati e un velo squarciato su affari e intimidazioni che si sviluppavano in comuni a sud di Milano, come Corsico, Buccinasco e Trezzano sul Naviglio; ma con una delle imprese “sporche” che aveva la sede sociale in via Montenapoleone, a Milano. A cento passi dal Duomo, appunto.
Giulio Cavalli è un attore e regista di Lodi. Vive sotto scorta. Ha solo 32 anni, ha iniziato a calcare le scene nel 2006 e già in quell’anno è entrato in un programma di protezione che nel 2009 si è fatto più serrato. Sarà che lui, che si definisce un “giullare”, un “teatrante” e tende allo sberleffo più che al ghigno tragico, è incapace di tacere sulle tragedie reali trascurate. Ha messo in scena l’incidente aereo di Linate che nel 2001 costò la vita a 118 persone, ha rappresentato con Bambini a dondolo la vergogna del turismo sessuale, e già in quelle occasioni aveva causato “mal di pancia”. Il botto è arrivato con “Do ut des”, in cui metteva alla berlina Bernardo Provenzano, Totò Riina e i loro picciotti, andando per di più a rappresentarlo in piena Sicilia. Le intimidazioni e gli avvertimenti non si sono più contati, compreso il disegno di una bara sulla porta di casa sua e le gomme dell’auto tagliate. E Cavalli cosa fa? Quest’anno allestisce A cento passi dal Duomo, scritto con il giornalista Gianni Barbacetto. Un monologo nel quale racconta trent’anni di mafia in Lombardia partendo da Calvi e Sindona e arrivando a elencare nomi, fatti e foto della ‘ndrangheta d’oggi nella regione in cui lui vive e lavora. La regione più ricca d’Italia e la città più europea che tengono ancora gli occhi semichiusi su un cancro, la criminalità organizzata, che non le ha in pugno ma ci ha affondato saldamente le grinfie. La sfida di Giulio Cavalli è questa: far aprire gli occhi.
– Perché questo spettacolo?
«Perché penso che sia necessario. Si stava facendo un gran parlare dell’Expo 2015 a Milano, e preciso che io sono molto garantista sull’Expo, perché si rischia di demonizzare un evento che comunque è un’occasione eccezionale per il nostro Paese. Ma c’è una grossa bugia, ed è quella di una politica che assicura che per quell’occasione non entreranno le criminalità organizzate in Lombardia. È una bugia perché ci sono già, e quindi mi piacerebbe sentir dire che le faranno uscire, cioè avere una risposta che dimostra una certa conoscenza del fenomeno. La Lombardia ha l’opportunità di cominciare una lotta contro un’infiltrazione che non è nei centri nevralgici del potere, non è comunque nei vertici economici. Il mio spettacolo è ottimista perché vuole contribuire a un’osservazione il più possibile precisa di ciò che succede».
– Che cosa da fastidio del suo teatro?
«Un grande fastidio lo ha dato Do ut des. Dopo aver letto migliaia di pagine di intercettazioni, dopo aver letto le caratteristiche umane o subumane di gente come Riina o Provenzano, pensi “Beh, ma qui la parte comica è già scritta, bisogna semplicemente portarla in scena”. Effettivamente il portarla in piazza a Gela, ad Alcamo, a Corleone, raccontando che Riina non ha mai usato un congiuntivo, che Provenzano era un povero vecchietto con la musicassetta dei Puffi nel suo covo, ha creato una catarsi molto violenta. Nel momento in cui sveli che il loro onore non esiste, che è solo una metastasi della paura e basta un sorriso per smontarlo, gli hai già tolto un’arma di controllo. Noi eravamo certi che non avessero un buon senso dell’umorismo, e infatti…».
– Lei ha paura?
«Paura no. Ho avuto momenti in cui mi chiedevo, e mi chiedo ancora, se è giusto far pesare questa mia vicenda su quanti mi stanno intorno (Cavalli ha due figli, ndr). Dal 2006 c’è stata un’escalation: dalle minacce dei fan di Riina (c’è un mondo di decerebrati che sono paramafiosi pur non essendo affiliati) ad avvertimenti più importanti, avvenuti quest’anno, che hanno fatto capire che esistono persone incaricate d’osservarmi. Conoscono i miei spostamenti, vengono nei miei luoghi». «A Milano», continua Cavalli, «a un mio spettacolo c’era un parente di una delle più importanti “famiglie” della ‘ndrangheta milanese. E anche questi sono gesti che una società civile compatta non può permettere. Però, il bicchiere mezzo pieno di questa storia è l’appoggio e la stima delle istituzioni: parliamo di uno Stato che si prende la responsabilità di tutelare la parola. E io sono ottimista. Non ho mai perso il sorriso». «Tra l’altro non sopporto il voyeurismo che c’è in Italia su chi vive sotto scorta», conclude Cavalli. «Non ci sto a fare il “Saviano del Nord”, pur essendo amico di Roberto Saviano; mi sento più simile a un panettiere di Palermo che ho conosciuto, il quale alle 4 di mattina va a impastare il pane con due carabinieri, perché si è rifiutato di pagare il pizzo e ha sporto denuncia. Credo di essere una piccolissima parte di un processo che in Italia è avviato. Non vedo uno sfacelo nazionale, sinceramente. Altrimenti non lo farei, perché non ruberei mai la tranquillità alla mia famiglia, per quanto non l’abbia deciso io, se non fossi sicuro che saranno i miei figli a poterne godere il frutto».
R. B.

DA FAMIGLIA CRISTIANA L’ARTICOLO QUI