Carceri, dall’Onu una doccia fredda per l’Italia: razzismo endemico dietro le sbarre
Un nuovo rapporto dell’Onu conferma le discriminazioni nel sistema carcerario italiano, evidenziando una realtà che molti fingono di ignorare: il persistente razzismo sistemico contro gli africani e le persone di origine africana. Il documento, presentato al Consiglio per i diritti umani a Ginevra, è il risultato di un’indagine condotta da tre esperti indipendenti che hanno visitato l’Italia tra il 2 e il 10 maggio, toccando le città di Roma, Milano, Catania e Napoli.
Il quadro che emerge è tutt’altro che lusinghiero per il nostro Paese. Nonostante l’esistenza di un contesto normativo che sulla carta prevede protezioni contro la discriminazione razziale la realtà dietro le sbarre racconta una storia diversa. Gli esperti dell’Onu hanno rilevato abusi delle forze dell’ordine contro gli africani e le persone di discendenza africana, frutto di un razzismo radicato e sistemico che permea non solo le carceri, ma l’intero sistema di giustizia penale.
Il volto oscuro della giustizia: discriminazione, razzismo e abusi dietro le sbarre
Il rapporto dice testualmente: “In Italia persiste in maniera significativa il razzismo sistemico contro gli africani e le persone di origine africana da parte della polizia e dei sistemi di giustizia penale”. Il “razzismo sistemico” si manifesta in molteplici forme: dalla profilazione razziale nelle forze dell’ordine, alla difficoltà per le donne di origine africana di ottenere aiuto e protezione, fino alla separazione delle donne migranti dal resto della famiglia. Un aspetto particolarmente allarmante è la mancanza di dati disaggregati su base etnica che impedisce di valutare appieno il livello di discriminazione e di sviluppare politiche adeguate per contrastarla.
Il rapporto non si limita a denunciare, ma punta il dito anche sulle condizioni di detenzione. Nei Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR), come quello di Milano, sono stati segnalati maltrattamenti allarmanti: “Privazione di cibo e acqua per lunghi periodi, oltre a preoccupazioni per la qualità del cibo”. A Roma, nel CPR di Ponte Galeria, gli esperti hanno notato una “visibile angoscia nei detenuti maschi”, sintomo di un sistema che sembra aver perso di vista il concetto di dignità umana.
Ma il problema non si limita ai CPR. Il rapporto cita casi eclatanti come quello di Santa Maria Capua Vetere, dove “105 agenti di polizia e funzionari del carcere sono imputati per presunte torture e altri abusi, tra cui la morte di un detenuto algerino nel 2020”. Non mancano menzioni ad altri episodi simili in diversi penitenziari italiani, da San Gimignano a Reggio Emilia, fino all’IPM “Cesare Beccaria” di Milano.
Particolarmente critica appare la situazione dei minori stranieri non accompagnati, vittime di “pratiche illegali di detenzione e refoulement che violano i loro diritti umani”. A Milano, molti di questi minori finiscono per strada, in condizioni di povertà estrema e facile preda di dinamiche di sfruttamento.
Il rapporto non risparmia critiche nemmeno al recente decreto Caivano, esprimendo preoccupazione per gli effetti negativi che potrebbe avere sui minori in conflitto con la legge, in particolare quelli di origine africana. Il timore è che queste misure possano “contribuire alla discriminazione e alla marginalizzazione sociale dei minori stranieri, favorendo l’applicazione di misure più restrittive rispetto ai loro coetanei italiani, senza considerare adeguatamente il principio del miglior interesse del minore”.
Verso il cambiamento: le raccomandazioni dell’Onu per un sistema più equo
Di fronte a queste accuse, cosa può e deve fare l’Italia Il rapporto suggerisce diverse strade: dalla raccolta sistematica di dati disaggregati per comprendere meglio l’impatto della discriminazione, all’adozione di un approccio basato sui diritti umani nell’attività di polizia. Si raccomanda inoltre la creazione di un organo di controllo indipendente per indagare sulle denunce contro le forze dell’ordine e l’adozione di misure concrete per combattere il razzismo sistemico.
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