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Bugie, bugie, sempre bugie

Il palcoscenico di Cernobbio con la solita esibizione, con Giorgia Meloni nel ruolo di Pinocchio in tailleur, jongleur di numeri e mezze verità. Un’esibizione degna del miglior illusionista, ma che non regge alla prova dei fatti.

La premier ci racconta che “l’Italia è la prima nazione per realizzazione del suo Pnrr”. Falso: abbiamo raggiunto solo il 37% dei nostri obiettivi, con cinque Paesi davanti a noi. La Francia ha ricevuto il 60% delle sue rate, noi il 50%. Ci narra la “vergogna tutta italiana” di musei chiusi nei festivi, dimenticando che Louvre, Prado e Tate Modern fanno lo stesso. Una svista geografica o un’amnesia selettiva

Meloni millanta un “Pil che cresce più della media europea”. Bugia: come spiega Pagella politica cresciamo dello 0,2%, esattamente come la media Ue e la Francia. La Spagna ci surclassa con lo 0,8%. Si vanta che siamo “la quarta nazione esportatrice al mondo”, quando in realtà siamo sesti con una quota del 2,8% sul totale mondiale, percentuale già raggiunta in passato.

La perla “Abbiamo messo altri 3 miliardi sull’assegno unico”. Falso: sono 2,9 miliardi spalmati su tre anni. E quando dice che l’occupazione femminile è al massimo storico con il 53,6%, dimentica di dire che il trend è iniziato prima del suo governo ( e che sono per lo più lavori precari e part time ndr).

Meloni si vanta del “tasso di disoccupazione più basso dal 2008”, con il 6,5% a luglio. Vero, ma omette che il calo è iniziato ben prima del suo insediamento. Stessa storia per i contratti stabili: in aumento, ma la tendenza era già in atto.

Insomma, la presidente del Consiglio sembra aver scambiato Cernobbio per un’agenzia di propaganda nordcoreana, dove i numeri si inventano e la realtà si piega a piacimento.

Buon martedì.

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Renzi a corto di pubblico, manca solo il sipario

Luigi Marattin ha finalmente deciso di abbandonare il Titanic di Italia Viva, portando con sé un centinaio di dirigenti territoriali. Una vera e propria Waterloo per il partito personale di Matteo Renzi, che si vede abbandonato persino da chi, fino a ieri, ne cantava le lodi.

Il motivo? Una svolta a sinistra troppo repentina, imposta dal capitano senza consultare l’equipaggio. “Non condividiamo la decisione di entrare nel campo largo”, tuona Marattin, come se fino a ieri non avesse notato la rotta zigzagante del suo ex leader. E aggiunge, con una punta di amarezza: “Una scelta del genere avrebbe dovuto essere presa in un Congresso”.

Ah, la democrazia interna, concetto sempre alieno in casa Renzi, dove la base e i dirigenti vengono esibiti di solito per amplificare gli applausi. Ma il bello viene dopo. Marattin annuncia la nascita di “Orizzonti liberali”, l’ennesima associazione-non-partito-ma-forse-sì che dovrebbe salvare l’Italia. Perché si sa, nel circo della politica italiana, non c’è nulla di più liberale che cambiare casacca ogni due per tre.

E Renzi? L’eterno Houdini della politica italiana si ritrova ancora una volta a fare i conti con la sua più grande illusione: la lealtà dei suoi seguaci. Mentre gli altri abbandonano la nave lui si affanna a raccattare briciole di consenso alla festa dell’Unità – passando in tre mesi dal “il Pd è finito” al “non massacrate Schlein” con la disinvoltura di un contorsionista.

Eppure, nonostante tutto, il nostro eroe non si arrende. Come un giocoliere che ha perso tutte le palline continua imperterrito il suo show, convinto che prima o poi qualcuno tornerà ad applaudire. Ma la verità, caro Matteo, è che il pubblico se n’è andato da un pezzo. Manca solo il sipario.

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Tutti pazzi per il Signore dell’Agenda

Ma a questo punto a cosa serve la Commissione europea Perché aspettare fino a mercoledì quando basta Mario Draghi per tracciare la rotta dell’Ue, senza questa fastidiosa cerimonia delle elezioni, della conta dei voti, della proclamazione degli eletti, delle alleanze, della nomina dei commissari? Draghi presenta il suo documento sulla competitività dell’Unione e le reazioni parlano quasi più del contenuto. 

Scompare in una nuvola di borotalco Ursula con der Leyen, presidente di una Commissione non ancora formata e già stanca. La più alta carica dell’Unione è già imbrigliata dalle parole di Draghi che dalle parti di Bruxelles    ma non solo – è un’evanescenza vicina all’oracolo. Del resto il terrorismo usato dall’ex banchiere (“o si cambia o si muore”) non ha certo il tono di una consulenza amichevole. Draghi ama essere il capo del governo ombra, von der Leyen pur di non perdere la seggiola accetta di buon grado un poi di buio. 

L’ex banchiere diventato feticcio piace a tutti, al centrodestra e al centrosinistra. I popolari europei applaudono come sempre accade quando si sente profumo di potere. I riformisti del Pd si sciolgono in un brodo di giuggiole. Dalle parti di Italia Viva (dove alla fine resterà solo l’usciere) si spolvera “l’agenda Draghi” per nuove mirabolanti avventure. Calenda promette per oggi un’esegesi del verbo di Draghi, perché le sue tavole non vadano disperse. 

Colui che ha diretto come Direttore generale del tesoro lo smantellamento delle Partecipazioni Statali, poi da Governatore della Banca d’Italia ha auspicato l’anticipazione di un anno del pareggio di bilancio poi imposto come obiettivo di medio termine col Fiscal Compact e che poi alla Bce ha accompagnato la deflazione strutturale ha detto che così non va. Draghi ha bocciato Draghi, come dice Tridico. E tutti a applaudire. 

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La patrimoniale non è più un tabù: dal G20 a Lavoce.info, qualcosa si muove

Alla fine ce l’hanno fatta. I ministri delle Finanze del G20 lo scorso luglio hanno trovato un accordo di massima per tassare i super-ricchi. Una proposta che fa tremare i polsi ai Paperon de’ Paperoni di mezzo mondo, ma che rischia di rimanere lettera morta se non si passerà dalle parole ai fatti. 

La proposta del G20: tassare i super-ricchi

L’idea, lanciata dal Brasile di Lula, è semplice quanto rivoluzionaria: far pagare il 2% ai patrimoni sopra il miliardo di dollari. Un obolo che riguarderebbe appena 3.000 ricchissimi globali, ma che frutterebbe la bellezza di 250 miliardi di dollari all’anno. Briciole per loro, una manna per le casse pubbliche sempre più a secco.

Ma non illudiamoci: la strada per arrivare a una vera patrimoniale globale è ancora lunga e tortuosa. Gli Stati Uniti, patria dei miliardari per antonomasia, già si difendono: “La politica fiscale è difficile da coordinare a livello globale”, frena la segretaria al Tesoro Usa Janet Yellen. Tradotto dal politichese: non toccateci i nostri ricchi. 

Eppure i numeri parlano chiaro. Secondo Oxfam, l’1% più ricco del pianeta ha accumulato negli ultimi dieci anni la bellezza di 42 milioni di milioni di dollari. Avete letto bene: milioni di milioni. Una cifra 34 volte superiore a quella accumulata dal 50% più povero della popolazione mondiale. Come dire, i ricchi nuotano nell’oro, mentre metà del mondo arranca con 335 dollari a testa.

Il dibattito in Italia: un tabù che si sgretola

Ma torniamo all’Italia, dove il dibattito sulla patrimoniale è sempre stato un tabù. Eppure, secondo un sondaggio del Fatto Quotidiano e Oxfam, il 97% degli italiani sarebbe favorevole a un’imposta sui grandi patrimoni. Un plebiscito che fa a pugni con la narrazione dominante secondo cui “le tasse sono un pizzo di Stato”. 

La proposta di Oxfam è chiara: tassare i patrimoni netti sopra i 5,4 milioni di euro. Una soglia che escluderebbe il 99,9% dei contribuenti italiani. Niente paura, quindi, per chi ha la casa al mare o i risparmi sotto il materasso. Si parla di super-ricchi, non del ceto medio tanto caro alla retorica politica.

Patrimoniale: perché finora è stata un tabù?

Ma perché finora la patrimoniale è rimasta un tabù in Italia Per il 65% degli intervistati la colpa è dell’”influenza degli individui molto ricchi su governi e opinione pubblica”. Insomma, il solito giro di lobbies e salotti buoni che tiene in ostaggio la politica. Ora qualcosa si muove. Il 74% dei milionari del G20 si dice favorevole a pagare più tasse. Un’operazione di immagine? Forse. Ma intanto il tabù si sta sgretolando.

E in Europa Il Partito dei socialisti europei, a cui aderisce il Pd, chiede che “le grandi aziende, i grandi inquinatori e i super ricchi paghino la loro giusta quota”. Anche la Sinistra europea spinge per “una tassa sui ricchi per finanziare gli investimenti essenziali per la riduzione della povertà e la transizione ecologica”.

Patrimoniale: cosa si può fare con il gettito

Ma come usare il gettito di una eventuale patrimoniale? Secondo il 60% degli italiani intervistati, i soldi dovrebbero andare alla sanità pubblica. Un’idea non peregrina, visto che mancano 70mila infermieri per l’assistenza domiciliare e le liste d’attesa sono sempre più lunghe.

Forse, la patrimoniale non è più un tabù. Certo, la strada è ancora in salita. Come scrive Tommaso Di Tanno su Lavoce.info, “la distanza fra l’aspirazione a una tassazione più equa e la sua concreta realizzazione è, purtroppo, vista da vicino, lontana anni luce”. Proprio Di Tanno – già professore di Diritto tributario e consigliere economico del Ministro delle Finanze e del Presidente della Commissione Industria del Senato – scrive di “mettere in cantiere ciò che da tante parti si reclama: la riduzione della tassazione del reddito, specie se basso, con l’introduzione della tassazione del patrimonio, specie se alto”. Parlarne non è più un tabù. 

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Commissione Ue, giochi di potere a Bruxelles: le pedine di von der Leyen per l’Europa del futuro

Bruxelles si prepara per l’annuncio della nuova Commissione europea, previsto per mercoledì. Mentre Ursula von der Leyen si appresta a distribuire i ruoli chiave del suo prossimo mandato, l’attesa cresce e le speculazioni si moltiplicano.

Secondo le anticipazioni di Politico, basate su numerose conversazioni con funzionari delle istituzioni europee e delle capitali nazionali, si delinea un quadro interessante delle possibili nomine. Al centro dell’attenzione ci sono i ruoli di vicepresidenti esecutivi, che potrebbero vedere Thierry Breton alla guida dell’industria e dell’autonomia strategica. L’ex ministro francese dell’Economia, nonostante i rapporti non sempre facili con von der Leyen, è considerato un esecutore efficace e rappresenterebbe il peso della Francia nell’UE.

L’Italia potrebbe ottenere un ruolo di rilievo con Raffaele Fitto, indicato come possibile vicepresidente esecutivo per la coesione, l’economia e la ripresa post-pandemica. Questa mossa potrebbe essere vista come un tentativo di von der Leyen di trovare un compromesso con il governo italiano guidato da Giorgia Meloni.

Per l’allargamento e la ricostruzione dell’Ucraina, il nome che circola è quello di Valdis Dombrovskis. L’attuale commissario lettone, con la sua vasta esperienza economica e competenza politica, potrebbe essere prezioso in questo delicato settore. Nel frattempo, la spagnola Teresa Ribera è indicata come potenziale vicepresidente esecutiva per la transizione verde e digitale, un ruolo che rispecchia l’importanza crescente di queste tematiche nell’agenda europea.

I pesi massimi: chi guiderà le politiche chiave dell’Ue

Già decisa sembra essere la nomina di Kaja Kallas come Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza. L’ex premier estone, nota per la sua posizione ferma nei confronti della Russia, potrebbe portare una prospettiva baltica alla politica estera dell’Ue.

Tra gli altri nomi che emergono dalle anticipazioni, spicca quello di Andrius Kubilius per il portafoglio della sicurezza, industria della difesa e spazio. L’ex primo ministro lituano, noto per la sua posizione ferma sul sostegno all’Ucraina, potrebbe portare la sua esperienza in questo settore cruciale.

Per il mercato interno, si fa il nome di Jessika Roswall, attuale ministro degli affari europei svedese. La sua nomina potrebbe segnalare un focus sulla competitività e l’innovazione, temi cari alla Svezia.

Il portafoglio dell’energia potrebbe andare a Jozef Síkela, ministro ceco dell’industria e del commercio. Síkela si è fatto notare durante la presidenza ceca del Consiglio dell’UE nel 2022, gestendo le discussioni sulla crisi energetica con una famosa felpa bianca che recitava: “Convocheremo tutti i consigli energetici necessari.”

Per quanto riguarda la tecnologia, il nome di Henna Virkkunen emerge come possibile candidata. L’ex ministra finlandese dell’istruzione ha lavorato su numerosi dossier tech e innovazione come eurodeputata, un’esperienza che potrebbe rivelarsi preziosa in questo ruolo.

Le new entry: volti nuovi per le sfide future dell’Europa

Il delicato portafoglio del bilancio potrebbe essere affidato a Piotr Serafin. L’ex braccio destro di Donald Tusk potrebbe portare la sua esperienza nelle negoziazioni con le varie capitali europee, un asset cruciale per gestire il prossimo piano di spesa settennale dell’UE.

Per i servizi finanziari, si parla di Magnus Brunner, l’attuale ministro delle finanze austriaco. La sua solida esperienza economica lo rende un candidato credibile per gestire i delicati dossier finanziari, inclusi gli sforzi per potenziare l’unione dei mercati dei capitali.

Hadja Lahbib, ex giornalista televisiva diventata ministro degli esteri belga, potrebbe assumere il ruolo di commissaria per gli affari interni. La sua esperienza in politica estera potrebbe essere utile per rappresentare l’UE nei paesi non membri e gestire il complesso dossier della migrazione.

Per l’agricoltura, settore sempre cruciale nelle dinamiche europee, si fa il nome di Christophe Hansen. Il lussemburghese, che proviene da una famiglia di agricoltori, ha guidato i negoziati sulle nuove regole UE sulla deforestazione e lavorato sui piani nazionali per la politica agricola dell’UE.

Infine, per il portafoglio del commercio e della sicurezza economica, potrebbe essere in pole position Wopke Hoekstra. L’ex ministro delle finanze e degli affari esteri olandese porterebbe la sua esperienza manageriale in un settore che si preannuncia cruciale per il futuro economico dell’Ue.

Mentre Bruxelles attende l’annuncio ufficiale, le anticipazioni offrono uno sguardo su quella che potrebbe essere la squadra chiamata a guidare l’Unione Europea attraverso le sfide dei prossimi cinque anni. La composizione finale, tuttavia, rimane nelle mani di von der Leyen, che dovrà bilanciare competenze, rappresentanza geografica e equilibri politici per formare la Commissione. 

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Cultura cercasi: l’imbarazzante caccia al tesoro del centrodestra italiano

Per sostituire il neo ministro alla Cultura Alessandro Giuli che ha sostituito il dimissionario ex ministro Gennaro Sangiuliano il Maxxi di Roma, una della massimi istituzioni culturali della Capitale, è automaticamente scattata la consigliera più anziana. Solo che Raffaella Docimo, 65 anni, dal 2023 membro del Consiglio di amministrazione su indicazione proprio di Sangiuliano è professoressa ordinaria di Odontoiatria pediatrica a Tor Vergata che scrive nel suo curriculum di essere specializzata in “igiene dentale, prevenzione odontoiatrica sul territorio, problematiche odontoiatriche clinico-terapeutiche in età evolutiva” mentre l’istituzione che presiede si occupa di architettura, il design e fotografia. 

Raffaella Docimo tra le altre cose è molto amica di Sangiuliano (sarebbe stata lei a presentare il ministro a Maria Rosa Boccia), si dice sia amica della sorella d’Italia Arianna Meloni ed era candidata per Fratelli d’Italia alle scorse elezioni europee. Così a Palazzo Chigi hanno pensato che in effetti è troppo perfino per il governo più familistico d’Italia e così a breve verrà rimpiazzata dalla giornalista Emanuela Bruni. 

Tutto a posto, sembrerebbe, se non fosse per un paio di considerazioni inevitabili. L’odontoiatra stona comunque anche nel consiglio di amministrazione, a pensarci bene. In più appare evidente che la classe dirigente che secondo Meloni dovrebbe imporre una nuova egemonia culturale ha un serio problema nelle prime linee ma ancor di più nelle seconde. 

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Vangelo secondo Mussolini: quando la parrocchia “dimentica” l’antifascismo

“Purtroppo si è venuti a sapere troppo tardi chi fossero i richiedenti, i quali avevano inizialmente chiesto gli spazi, parlando di una semplice festa”, spazi che per “prassi consolidata” sono concessi “per feste di compleanno o per iniziative di natura benefica e, comunque, mai per iniziative politiche di qualsiasi orientamento”. Ha risposto così la parrocchia di San Giuseppe Lavoratore, a Pontenuovo di Magenta quando si è saputo che nel fine settimana i neo fascisti del gruppo Lealtà e azione hanno organizzato una bella adunata all’interno delle stanze di un oratorio. 

C’è voluta l’Anpi per ricordare che il gruppo “è una formazione politica che si ispira ad un passato che la storia, la lotta partigiana e antifascista ha sconfitto e condannato con la Liberazione avvenuta il 25 aprile 1945. A questo giudizio politico – ha aggiunto l’Anpi milanese – si aggiunge il fatto che sono guidati da pluricondannati per pestaggi e violenze di vario genere avvenute nel mondo degli ultras di calcio”. 

Quando il caso ha cominciato a fare rumore il parroco e l’ex parroco si sono affrettati a dire che “non erano a conoscenza della reale natura dell’evento”. Non male come scusa per chi  si propone come “guida spirituale” di una comunità. Non hanno avuto sospetti nemmeno quando hanno letto che il programma prevedeva un incontro su “arte e fascismo” con Vittorio Sgarbi e il vicedirettore de La Verità Francesco Borgonovo.

La Comunità pastorale con molto imbarazzo ha dovuto vergare un comunicato con cui si dissocia dagli eventi. Quindi si dissociano da sé stessi. “Abbiamo la consapevolezza che sia stata una leggerezza imperdonabile”, dicono. C’è da sperare che sia solo una leggerezza. 

Buon lunedì. 

Nella foto: frame del video della conferenza di Vittorio Sgarbi su arte e fascismo all’incontro di Lealtà e azione

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Sangiuliano, le sorelle Meloni e l’inganno della famiglia tradizionale – Lettera43

Da sempre la politica sa che infilare il naso nelle mutande e nel privato dei cittadini è un gioco pericoloso e destinato a fallire. Fratelli d’Italia non fa eccezione. E così sono finiti strozzati dalla loro stessa propaganda.

Sangiuliano, le sorelle Meloni e l’inganno della famiglia tradizionale

Un fallimento innegabile è quello dell’egemonia culturale, chiodo fisso di Giorgia Meloni e dei suoi. Arrivare al governo per la prima volta guidando la compagine più di destra fin dai tempi dell’Assemblea costituente per i tipi di Fratelli d’Italia significava poter giocare alla luce sole. Gli obiettivi erano chiari, dichiarati fin dai primi giorni di insediamento: dimostrare la destra da sempre demonizzata è culla di una cultura che merita credibilità nazionale e internazionale.

Sangiuliano, le sorelle Meloni e l'inganno della famiglia tradizionale
Giorgia Meloni, Gennaro Sangiuliano e Arianna Meloni.

Con il governo Meloni la famiglia tradizionale è diventata la lente con cui giudicare il mondo

Certo, si tratta di una cultura iper conservatrice, perfino reazionaria, disposta all’illiberalità pur di difendere le tradizioni. Così la famiglia tradizionale ripetutamente evocata da Meloni e dai suoi adepti è stata posta al centro di un manifesto sociale collettivo: c’è l’uomo e la donna, c’è il marito e la moglie, ci sono i figli come responsabilità nei confronti della patria, c’è il mantenimento degli equilibri come fine ultimo di ogni azione di ogni buon cittadino servitore della nazione. La famiglia tradizionale era la lente per osservare e giudicare il mondo, dividere i buoni dai cattivi, individuare più facilmente i pericolosi. Con quella lente diventavano pericolosi gli omosessuali perché sovvertitori dell’ordine naturale,  sospettati i non tradizionali perché invocavano il progresso solo per legittimare i propri vizi, diventavano inaffidabili i cultori dei diritti perché volevano semplicemente perseguire nuovi malcostumi. L’egemonia culturale di questa destra bisbigliava all’orecchio degli italiani: «State tranquilli, ci siamo noi, il futuro sarà quello di una volta». Peccato che “la volta” a cui fanno riferimento i tradizionalisti per convenienza in fondo non ci sia mai stata. Non è mai esistita. Da secoli la politica sa che infilare il naso nelle mutande e nel privato dei cittadini è un gioco pericoloso destinato a fallire. Lo sanno anche i meloniani, semplicemente non l’hanno imparato.

Sangiuliano, le sorelle Meloni e lo sbriciolamento della famiglia tradizionale
Arianna Meloni con Francesco Lollobrigida (Imagoeconomica).

Alla fine i Fratelli d’Italia sono finiti strozzati dalla loro stessa propaganda

Giorgia “donna, mamma, cristiana” Meloni ha una famiglia infelice come tutte le altre. Non è protetta dalla sua affezione alla tradizione. Aveva al suo fianco un maschio che si lasciava andare a battute grevi in pubblico e per cui le donne sono prede. Quella famiglia tradizionale propugnata sui manifesti, la premier non è riuscita a costruirsela in casa. Il partito che aveva votato contro il divorzio breve perché «contrario ai matrimoni usa e getta» ha visto la sua leader separarsi con un post su Facebook, senza nemmeno essere passata dal matrimonio. Non erano sposati nemmeno Arianna Meloni e il ministro Francesco Lollobrigida quando la sorella della premier ha ufficializzato la fine della loro relazione perché «l’amore è un’altra cosa». E qui di nuovo a imporre una definizione di cosa sia o cosa sia l’amore. Lollobrigida attacca i giornalisti: «Ridicolo chi gioisce dei problemi altrui», dice, senza accorgersi che non sono i problemi al centro dell’attenzione ma la mancanza di coerenza. La famiglia inamovibile e tradizionale come fondamento della società è un loro comandamento ripetuto allo sfinimento. Giudicare le famiglie degli altri con una clava politica inevitabilmente rende politico il privato. Così sono finiti strozzati dalla loro stessa propaganda.

Sangiuliano, le sorelle Meloni e lo sbriciolamento della famiglia tradizionale
Gennaro Sangiuliano e la moglie a Venezia, il 28 agosto 2024 (Imagoeconomica).

La caduta di Sangiuliano, il Cesare messo a difesa dell’egemonia culturale di destra

Il ministro alla Cultura di un governo che vorrebbe imporre un’egemonia culturale è il perno della narrazione. Lo capisce anche uno scemo. Non interessa qui l’ardore sentimentale privato di Sangiuliano, che venerdì ha presentato le «dimissioni irrevocabili» no, non è questo il punto. Interessa che il Cesare messo a difesa della nazione, dell’onorabilità delle istituzioni, del “dio, patria e famiglia” si sia mostrato permeabilissimo, fragile, debole. L’inamovibilità delle relazioni e dei sentimenti rivenduta come culto si è sbriciolata di fronte al primo brindisi al tramonto. Così alla fine ai meloniani, invischiati in umanissime turbolenze, non resta che confidare nella comprensione di chi crede che la modernità stia anche nell’astenersi dal giudizio continuo della sfera personale. Peccato che siano quelli che avrebbero voluto cancellare.

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La sorella d’Italia di Orbán

“Giorgia Meloni è la mia sorella cristiana”. Ha parlato così ieri il presidente ungherese Viktor Orbán al Workshop Thea di Cernobbio. “All’inizio – spiega – questo rapporto non ha avuto un ruolo importante nella politica europea, ora però insieme possiamo aprire una nuova era”. Secondo Orbán “avere le stesse basi culturali gioca un ruolo più importante rispetto al passato” e Meloni “non è solo una collega politica ma una ‘sorella cristiana’…”.

“Questo concetto – ha concluso – ha un senso politico fondamentale per l’Ungheria ma credo anche per l’Italia e questo aspetto culturale della politica tornerà in Europa come è giusto che sia”. La presidente del Consiglio Meloni sogna – lo ha sempre sognato – di essere autorevole. L’autorevolezza è il suo chiodo fisso, quasi tradendo una sorta di complesso di inferiorità.

Nessuna autorevolezza però si è vista contro la pur risicata lobby dei balneari. Lì il pugno di ferro della premier si è trasformato in una pavida carezza, preoccupata di non irritare l’Unione europea. Così alla fine l’autorevole Meloni ha deciso di non decidere fino alle prossime elezioni. Nessuna autorevolezza si è vista in occasioni delle elezioni Ue, quelle che avrebbero dovuto rivoluzionare l’Unione europea, secondo la propaganda di Fratelli d’Italia. Il voto di astensione di Meloni alla presidenza von der Leyen è il marchio doc di chi avrebbe voluto essere maestra di equilibrio e invece si è sciolta nell’evanescenza politica.

Poca autorevolezza si è vista nell’atteggiamento della premier verso i suoi ministri, da Sangiuliano, del quale ha respinto le dimissioni (le prime) per poi trovarsi costretta ad accogliere le seconde (quelle di ieri), e Santnachè, scaduti in comportamenti fuori luogo soprattutto per un governo di autorevoli. Meloni è autorevole per Orbán.

Autorevole e cristiana, qualsiasi cosa significhi l’esser cristiani per un governo che predica bene e razzola male persino sulla tanto sbandierata famiglia tradizionale. E che si volta dall’altra parte di fronte alla morte a Gaza e nel Mediterraneo. Sorella italiana d’Orbán.

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La “corruzione a norma di legge”

Ecco la nuova frontiera della corruzione italiana magistralmente delineata dal professor Alberto Vannucci in un suo recente articolo per LaVoce.info. L’evoluzione è notevole: dalla volgare tangente in contanti siamo giunti all’elegante “corruzione a norma di legge”.

I casi di Liguria e Venezia ci offrono un prezioso spaccato di questa raffinata pratica. I nostri politici d’affari, creature ibride tra l’imprenditoria e la politica, hanno finalmente compreso che la legge non va infranta, ma semplicemente interpretata con creatività. Perché violare apertamente le norme quando si possono piegare con tanta grazia

Le decisioni, ci assicurano, vengono prese “nel rispetto della legge”. Un sollievo per tutti noi cittadini, indubbiamente. I favori si concedono con discrezione, attraverso un intricato sistema di finanziamenti, consulenze e cortesie reciproche. Un vero capolavoro di ingegneria sociale.

È particolarmente edificante notare come i ruoli si siano invertiti: non sono più i partiti a dettare le regole del gioco, ma gli imprenditori stessi. I “mini-partiti personali” sono diventati strumenti flessibili, perfettamente adattabili alle esigenze del mercato politico-affaristico.

Le contropartite? Nulla di così volgare come una mazzetta. Si parla di contributi alle campagne elettorali, finanziamenti a nobili iniziative politiche. Tutto perfettamente tracciabile, fiscalmente ineccepibile.

Certo, potremmo soffermarci su dettagli insignificanti come terreni inquinati bonificati a metà o spiagge pubbliche miracolosamente privatizzate. Ma sarebbe di cattivo gusto, quando tutto avviene nel pieno rispetto delle procedure amministrative.

Il professor Vannucci ci mette in guardia: questa nuova forma di corruzione è più sottile, più difficile da individuare e da contrastare. Finalmente la corruzione si è fatta civile, quasi impercettibile.

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