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Bambini esposti al caldo estremo, l’Unicef: l’Italia tra i Paesi più colpiti

Il cambiamento climatico sta rimodellando la vita di milioni di bambini in tutto il mondo, e i suoi effetti sono particolarmente evidenti anche in Italia. Secondo un’analisi dell’Unicef, ben 466 milioni di bambini vivono oggi in aree dove il numero di giorni estremamente caldi – definiti come giornate con temperature superiori ai 35 gradi Celsius – è almeno raddoppiato rispetto a sessant’anni fa. Questo fenomeno globale, che colpisce in maniera diseguale diverse regioni del pianeta, trova un riscontro significativo anche nel nostro Paese.

Ben 466 milioni di bambini vivono oggi in aree dove il numero di giorni estremamente caldi è almeno raddoppiato

In Italia, gli ultimi sessant’anni hanno visto un incremento allarmante dei giorni di caldo estremo, con una crescita di quasi sei volte rispetto al passato. Negli anni Sessanta, il numero medio di giorni con temperature oltre i 35 gradi era inferiore a uno, mentre oggi si attesta a 4,72 giorni all’anno. Parallelamente, la frequenza delle ondate di calore è quasi triplicata, passando da 4,97 eventi all’anno a 13,49, con un allungamento della loro durata media da 4,44 giorni a 5,90. Questo significa che 7,6 milioni di bambini italiani, pari al 90% della popolazione infantile, vivono in aree dove le ondate di calore sono diventate un fenomeno sempre più comune e preoccupante.

Questi dati italiani si inseriscono in un quadro globale altrettanto preoccupante. In Africa occidentale e centrale, 123 milioni di bambini – il 39% della popolazione infantile della regione – affrontano più di un terzo dell’anno con temperature superiori ai 35 gradi. In paesi come Mali, Niger e Sudan, i giorni estremamente caldi superano i 200 all’anno, rendendo queste aree tra le più colpite al mondo. In Sud Sudan, ad esempio, i bambini vivono in media 165 giorni di caldo estremo ogni anno, rispetto ai 110 giorni degli anni Sessanta. Anche in America Latina e nei Caraibi, quasi 48 milioni di bambini vivono in aree dove il numero di giorni estremamente caldi è raddoppiato.

Le conseguenze di questo aumento delle temperature non si limitano al disagio fisico. Il caldo estremo rappresenta un serio rischio per la salute, specialmente per i bambini e le donne in gravidanza. In Italia, così come altrove, l’esposizione prolungata a temperature elevate è associata a complicanze della gravidanza, malnutrizione e un aumento della vulnerabilità a malattie infettive come la malaria e la dengue. Inoltre, il caldo può influenzare negativamente lo sviluppo neurologico e la salute mentale dei bambini, con effetti a lungo termine che non possono essere ignorati.

Mentre il cambiamento climatico è un fenomeno globale, le sue ripercussioni variano a seconda delle regioni e delle infrastrutture disponibili per affrontarlo. Nei paesi più poveri e nelle aree più vulnerabili, come in alcune parti dell’Africa e dell’America Latina, l’impatto è particolarmente grave perché le risorse per adattarsi sono limitate. Tuttavia, anche in Italia, l’infrastruttura attuale non è sempre adeguata a fronteggiare le nuove sfide poste dal cambiamento climatico, soprattutto nelle città dove l’effetto isola di calore può amplificare ulteriormente le temperature elevate.

Nei prossimi mesi i Paesi aderenti all’Accordo di Parigi dovranno presentare i loro nuovi piani climatici nazionali

L’analisi dell’Unicef sottolinea l’importanza di una risposta coordinata e globale. Nei prossimi mesi, tutti i Paesi aderenti all’Accordo di Parigi, inclusa l’Italia, dovranno presentare i loro nuovi piani climatici nazionali. Questi piani rappresentano un’opportunità cruciale per definire azioni concrete che non solo mirino a ridurre le emissioni di gas serra, ma che proteggano in modo specifico i gruppi più vulnerabili, come i bambini. 

Catherine Russell, direttrice generale dell’Unicef, ha dichiarato: “I bambini sono molto più vulnerabili al caldo estremo. I loro corpi si riscaldano più velocemente e si raffreddano più lentamente. I Governi devono agire ora per tenere sotto controllo l’aumento delle temperature, perché i bambini di oggi e le generazioni future vivranno nel mondo che lasceremo loro.”

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Rimettere ogni giorni i colori a posto

Giornate olimpiche passate ad ascoltare giornalisti, politici e presunti intellettuali della destra che ci spiegavano di non essere razzisti, di voler parlare di integrazioni. Quintali di carta sprecata per intervistare quel pessimo generale (poi diventato personaggetto e infine arrivato all’Europarlamento) su qualsiasi argomento dello scibile umano e doverselo sorbire mentre ci spiegava che “non sono razzista ma”. 

Ore perse in dibattiti che fingevano di occuparsi di integrazione quando semplicemente volevano solleticare gli istinti bassi dei razzisti che votano. Una simulazione di benpensantesimo per coprire l’anima xenofoba di un Paese in cui essere razzisti da vergogna è diventato vanto. 

È durato lo spazio di una giornata il murale dedicato a Paola Egonu, pallavolista della nazionale italiana e neo campionessa olimpica. Ieri è stato vandalizzato il murale ‘Italianità’ dedicato alla campionessa azzurra avanti alla sede del Coni, oscurando il volto della pallavolista e colorando il colore della sua pelle di rosa. “Il razzismo è un cancro brutto da cui l’Italia deve guarire”, ha scritto la street-artist Laika che ha condiviso sul suo account Instagram un’immagine dell’opera deturpata. 

Noi siamo questo Paese qui, in cui perfino un disegno diventa caso da tempi dell’apartheid. Siamo il Paese dove una passante nel pomeriggio ha deciso di prendere un pennarello per ripristinare i colori originali. Un Paese dove ogni giorno ai passanti è richiesto di restaurare le basi di convivenza civile.  

Buon mercoledì. 

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Il Sud muore di sete e i soldi del Pnrr latitano

Il Sud Italia muore di sete, e non è una metafora. Sicilia, Sardegna, Calabria, Puglia, Basilicata: un rosario di regioni arse dal sole e dalla negligenza. In Basilicata, il 90% del raccolto di grano è perduto. In Puglia, i raccolti sono dimezzati. E noi? Ci stupiamo, come se questa apocalisse idrica fosse imprevedibile e non il risultato di decenni di miopia. I cambiamenti climatici sono qui, ora. Dal 1951, la disponibilità idrica è in costante calo.

Il Sud Italia muore di sete, e non è una metafora. Sicilia, Sardegna, Calabria, Puglia, Basilicata: un rosario di regioni arse dal sole e dalla negligenza

Nel 2022, abbiamo toccato il minimo storico: 67 miliardi di metri cubi, il 50% in meno rispetto alla media trentennale. Ma tranquilli, abbiamo il Pnrr! Peccato che dei 4,8 miliardi stanziati per la tutela del territorio e delle risorse idriche, al 19 luglio fossero stati spesi solo 671 mila euro. Il resto? Probabilmente finirà per irrigare i giardini di qualche villa ministeriale. E le infrastrutture? Ah sì, quelle reti idriche che perdono il 42,4% dell’acqua. Un colabrodo nazionale che sperpera abbastanza acqua da dissetare 43,4 milioni di persone per un anno.

Ma chissà, forse è una strategia: se l’acqua si perde, almeno non dobbiamo preoccuparci di gestirla, no? Quattro miliardi di euro bruciati nell’agricoltura del Sud, 33.000 posti di lavoro evaporati nel primo trimestre 2024. E mentre la Sicilia boccheggia, dei 31 progetti presentati per l’agro-sistema irriguo, tutti sono stati considerati inammissibili dal Mipaaf. Il vero dramma è che sappiamo cosa fare. Gli esperti indicano soluzioni che richiedono una visione, coraggio e la volontà di guardare oltre il prossimo sondaggio elettorale. La politica agisce con la velocità di chi non può tradire la sua propaganda. E mentre loro discutono, il Sud soffoca, l’agricoltura muore e il futuro si fa sempre più arido.

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Stupisce lo stupore

Lo stupore di alcuni commentatori italiani per i piani nucleari russi in Europa è rivelatore. Rivela l’illusione di una guerra confinata a Est, lontana da noi, da poter gestire per procura e da poter controllare come spinta innocua del fatturato bellico. I fatti raccontano altro. Il Financial Times svela documenti della marina russa: 32 obiettivi in Europa da colpire con testate nucleari. Francia, Gran Bretagna, Germania, Norvegia. Un piano di guerra totale, non circoscritta.

La realtà è questa: la Russia si prepara a colpire l’Europa. La Nato ammette di avere “meno del 5% delle capacità di difesa aerea necessarie” sul fronte est. E la nostra reazione è lo stupore. Questo stupore è pericoloso. Manifesta l’illusione che la guerra non ci riguardi. Ma una guerra nucleare non fa distinzioni. Non risparmia nessuno. I piani russi esistono dal 2008. Quindici anni di preparativi, mentre guardavamo altrove. E ora, di fronte all’evidenza, ci sorprendiamo. È tempo di svegliarsi. La guerra non è un film da mettere in pausa. È una minaccia concreta alle porte dell’Europa. Lo stupore non è più un’opzione.

Serve consapevolezza, preparazione, azione. La prossima volta che sentiremo “la guerra è lontana”, ricordiamo questi 32 obiettivi. Sono più vicini di quanto pensiamo. Il lusso dell’ignoranza è finito. Il gioco alla guerra non è questione di tifo da esercitare da lontano. Ora serve lucidità per affrontare una realtà che non possiamo più fingere di non vedere: appoggiare la guerra significa esserci dentro. Come per la la pace.

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Guerra di potere tra Lega e Forza Italia. La sfida decisiva è la presidenza Rai

Dietro le quinte della Rai, al di là delle controversie legate a TeleMeloni, si sta consumando una guerra intestina alla maggioranza che riflette chiaramente il momento convulso all’interno del governo. Lega e Forza Italia sono impegnate in un acceso confronto per trovare un accordo sul nome del prossimo presidente, mentre Giorgia Meloni osserva preoccupata questa battaglia tutta interna alla coalizione che fa fibrillare il Centrodestra.

Non c’è intesa sul nome di Agnes proposto da Fi. Sulla nuova governance Rai è stallo totale

Fino a poco tempo fa nei piani alti della Rai circolava una sola voce: il direttore generale Giampaolo Rossi sarebbe diventato il nuovo amministratore delegato mentre l’attuale Ad Roberto Sergio avrebbe assunto il ruolo di direttore generale. Uno scambio di ruoli apparentemente semplice. Recentemente, Sergio ha anche assunto temporaneamente la carica di presidente, in seguito alle dimissioni di Marinella Soldi, in qualità di membro più anziano del Consiglio di amministrazione.

Ma il nodo cruciale resta la futura presidenza. È su questo punto Matteo Salvini e Antonio Tajani sono arrivati allo scontro. I berlusconiani propendono per Simona Agnes, figlia dello storico direttore generale di Viale Mazzini. Agnes però non piace alla Lega e qui si crea la situazione di stallo. Fratelli d’Italia, che ha sostenuto la promozione di Rossi, chiede agli alleati di trovare un accordo su un nome da proporre alle opposizioni, dato che sulla presidenza è richiesto il gradimento a maggioranza qualificata (4 in più rispetto a quelli in possesso del centrodestra) in Commissione di Vigilanza. Contrariamente a quanto sostiene la narrazione governativa, non sono le opposizioni a bloccare il processo. Fonti del Partito democratico e del Movimento 5 stelle confermano che ad oggi non è iniziato alcun dialogo con la maggioranza riguardo al rinnovo della governance Rai. In sostanza Lega e Forza Italia non riescono a trovare un’intesa e non hanno ancora una proposta concreta da presentare al Parlamento e ai colleghi delle opposizioni.

Per Forza Italia le nomine rappresentano una partita delicata

Per Forza Italia le nomine Rai rappresentano una partita delicata. Antonio Tajani è stato pubblicamente criticato dalla famiglia Berlusconi, principale creditore del partito. Se il vice premier dovesse apparire ininfluente anche sulle sorti della governance delle reti pubbliche la sua posizione potrebbe essere messa in discussione. Per questo motivo la nomina di Agnes alla presidenza assume un’importanza strategica. La maggioranza avrebbe finora avuto un’interlocuzione solo con Italia Viva, ma i soli due voti a disposizione dei renziani in Vigilanza non bastano comunque a garantire il via libera al prossimo presidente della Rai.

Gli altri partiti di opposizione osservano le tensioni nella maggioranza e rilanciano una proposta: sfruttare questa impasse per organizzare gli Stati generali del servizio pubblico e pensare a una riforma che soddisfi le richieste dell’Unione Europea, come suggerito da Barbara Floridia, presidente della commissione di Vigilanza Rai in quota Cinque Stelle. Il Senato ha fissato per il 12 settembre la votazione dei 2 membri del CdA di sua competenza, mentre la Camera, a guida leghista, non ha ancora provveduto ad ulteriore dimostrazione dell’impasse in atto. Così nella partita della Rai all’opposizione non resta che osservare le difficoltà della maggioranza.

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Italia bloccata sui binari, un’estate nera anche per l’Alta velocità

L’estate 2024 verrà ricordata come quella in cui l’Italia ha vissuto un paradosso ferroviario: la “metropolitana d’Italia”, quell’alta velocità che doveva unire il Paese da Nord a Sud, si è rivelata un colabrodo di inefficienze, disservizi e cantieri infiniti. I viaggiatori, spesso lasciati in balia di ritardi e guasti, si trovano sempre più spesso a vivere vere e proprie odissee tra treni soppressi, soste interminabili e coincidenze mancate. Eppure, di fronte a questa debacle, il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, sembra non trovare né il tempo né la voglia di rispondere ai disagi che stanno affliggendo milioni di italiani.

Italia bloccata: il calvario dei trasporti a rotaia

Da Milano a Roma, il viaggio si è trasformato in una roulette russa: a ogni biglietto staccato, il passeggero si domanda se arriverà a destinazione nei tempi previsti o se dovrà armarsi di pazienza e rassegnazione. I cantieri programmati, certamente necessari per rimettere in sesto una rete logora, hanno allungato i tempi di percorrenza di 80-120 minuti, quando va bene. Ma non sono solo i lavori a creare problemi: incendi, guasti e allarmi bomba hanno reso il viaggio ferroviario un vero calvario.

In Puglia, per esempio, tra marzo e luglio, i ritardi hanno raggiunto punte di 400 minuti, un lasso di tempo che suona come una beffa, una presa in giro per chi aveva pianificato una vacanza o un impegno lavorativo. Il segretario generale della Uiltrasporti, Marco Verzari, ha lanciato l’allarme sulle aggressioni al personale ferroviario, causate dall’esasperazione dei viaggiatori. Una tensione sociale che, però, sembra non destare l’attenzione del ministro Salvini, che preferisce concentrarsi su temi di facciata, trascurando il malcontento crescente tra la popolazione.

Italia bloccata: non si salva nemmeno il Nord

La situazione al Nord non è migliore. A Torino, la frana del Frejus ha bloccato la linea per Parigi fino a marzo 2025. A Milano, lo scorso giugno, un guasto ha portato alla cancellazione di 200 treni in un solo giorno. E ora, tra il 17 e il 30 agosto, ci sarà da fare i conti con la chiusura della linea Torino-Genova, che costringerà i passeggeri a sopportare due ore di viaggio in più. La Liguria e il Veneto, come molte altre regioni italiane, sono diventati veri e propri campi di battaglia, dove i treni si muovono a passo di lumaca tra un cantiere e l’altro.

Negli ultimi mesi, sono stati attivati 1.400 cantieri lungo 165 chilometri di linee ferroviarie in tutto il Paese, un numero record che testimonia l’urgenza di interventi su una rete ormai obsoleta. Tuttavia, questi lavori, pur necessari, hanno finito per aggravare una situazione già critica, con conseguenze pesanti per i passeggeri. Le cronache degli ultimi mesi parlano di un continuo aumento dei disservizi: i ritardi e le cancellazioni si moltiplicano, e le soluzioni alternative, come i bus sostitutivi, si rivelano spesso inadeguate e fonte di ulteriori disagi.

Italia bloccata: il purgatorio dei passeggeri

Nel frattempo, i passeggeri si trovano a fare i conti con una realtà sempre più difficile da accettare. Il viaggio in treno, che un tempo era sinonimo di comodità e velocità, è diventato un’incognita, con un numero crescente di persone costrette a rivedere i propri piani a causa di ritardi e cancellazioni. Eppure, mentre i problemi si accumulano e i cantieri continuano a crescere, il ministro Salvini non ha ancora fornito risposte concrete ai milioni di italiani che ogni giorno si trovano a fare i conti con un servizio sempre più inefficiente.

Il leader della Lega negli ultimi giorni ha parlato di sesso dei pugili, del razzismo degli antirazzisti, della Vespa che va salvata dal Green deal, di un aereo caduto in Brasile. Di ritardi ne ha parlato solo in un’occasione, a proposito del traghetto per la Calabria per dirci che serve il Ponte sullo Stretto. 

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Musk e Trump si incontrano: il trionfo del nulla nell’intervista su X

Elon Musk e Donald Trump: due ego smisurati a confronto in un’intervista che passerà alla storia come il trionfo del nulla. Poteva essere il momento della verità, invece è stato solo un lungo monologo trumpiano condito da qualche timido tentativo di Musk di sembrare un intervistatore.

Il ritardo tecnico: un presagio del vuoto a venire

Partiamo dall’inizio, o meglio, dal non-inizio. Quaranta minuti di ritardo per problemi tecnici. Il magnate della tecnologia che non riesce a far funzionare un collegamento video. Già questo la dice lunga sul livello dell’incontro. Ma il bello doveva ancora venire.

Trump, sopravvissuto miracolosamente a un tentativo di assassinio il mese scorso, parte subito in quarta con un fiume di parole su tutto ma soprattuto sul niente. Immigrazione, inflazione, ordine pubblico, agricoltura, dittatori vari ed eventuali, minaccia nucleare. Un potpourri di argomenti trattati con la profondità di un cucchiaino da caffè.

Musk prova timidamente a portare l’attenzione su temi scottanti come la censura, citando la lettera aperta di Thierry Breton, il “poliziotto digitale” dell’Ue. Ma Trump non abbocca. Preferisce lanciarsi in una tirata sul deficit commerciale con l’Europa. “Ci sfruttano”, tuona l’ex presidente, “non sono duri come la Cina, ma sono cattivi”. Insomma, la solita solfa.

E sull’Ucraina? Qui Trump si supera. Parte con il suo cavallo di battaglia sugli aiuti sproporzionati degli USA rispetto all’Europa. Ma invece di minacciare tagli, sembra quasi chiedere all’UE di aumentare il proprio contributo.

Ma il colpo di scena arriva quando Trump, dopo aver flirtato con l’idea di tagliare gli aiuti a Kiev, si lancia in un elogio di Zelensky. Lo stesso Zelensky che Trump aveva cercato di ricattare nel famigerato caso “Ucrainagate”. Ora è diventato “molto onorevole”. 

E Putin? Trump ci tiene a far sapere che lo aveva avvertito di non invadere l’Ucraina. “Gli ho detto: non puoi farlo, Vladimir. Sarà una brutta giornata”. Peccato che Putin non l’abbia ascoltato. Ma Trump è convinto che con lui alla Casa Bianca, l’invasione non sarebbe mai avvenuta. Impossibile sapere perché. 

Il monologo di Trump: parole senza sostanza

Il gran finale è degno di un film di serie B. Trump, in un impeto di galanteria fuori tempo massimo, paragona Kamala Harris a Melania Trump, definendola “bellissima come la più grande attrice di sempre”. Un complimento che sa di paternalismo e sessismo ma che nell’universo trumpiano passa per un gesto di magnanimità.

In tutto questo, Musk dov’era Seduto di fronte a Trump, in un ruolo che oscillava tra lo spettatore passivo e il timido suggeritore. Il magnate di X, autoproclamatosi paladino della libertà di espressione, si è dimostrato incapace di porre domande incisive o di mettere in difficoltà il suo interlocutore.

Un confronto tra titani? No, un monologo autocelebrativo

Quello che doveva essere un confronto tra due titani dell’ego si è rivelato un monologo autocelebrativo di Trump, con Musk relegato al ruolo di comparsa. Un’occasione mancata per fare vera informazione, per mettere alle strette un candidato presidenziale su temi cruciali come la democrazia, i diritti civili, il cambiamento climatico. Invece abbiamo assistito a due ore di autopromozione, di retorica vuota, di affermazioni non verificate. Un trionfo della post-verità, dove i fatti sono optional e le sensazioni contano più della realtà.

E Musk? Ha dimostrato ancora una volta di essere più interessato al clamore che alla sostanza. La sua piattaforma, X, si conferma un megafono per voci estremiste e disinformazione, mascherato da baluardo della libertà di espressione. Trump e Musk, due giganti con i piedi d’argilla, hanno offerto uno spettacolo deprimente. Ma forse, in fondo, è proprio questo che volevano: far parlare di loro, a qualsiasi costo. In questo, almeno, sono riusciti perfettamente.

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Morti sul lavoro, un paese che non impara: vittime in aumento, ma nessuna reazione

I numeri non mentono e hanno la virtù di non poter essere piegati. Il 9 agosto il presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte ha commentato su X i due incidenti sul lavoro che il giorno prima hanno causato la morte di due operai, una in provincia di Nuoro e l’altra in provincia di Salerno. “Siamo a quasi tre morti al giorno sul lavoro nei primi sei mesi del 2024, in aumento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno”, ha scritto Conte, che ha criticato le misure adottate finora dal governo Meloni per contrastare il fenomeno.

L’allarme lanciato da Giuseppe Conte

Secondo i recenti dati dell’Inail, analizzati da Pagella Politica, nei primi sei mesi del 2024 si è registrato un aumento delle morti sul lavoro in Italia. Dal 1° gennaio al 30 giugno 2024 sono state presentate all’Inail 469 denunce di infortunio sul lavoro con esito mortale, con una media di 2,6 morti al giorno.

Questo dato rappresenta un incremento rispetto allo stesso periodo del 2023, quando le morti sul lavoro registrate erano state 450. Si tratta di un aumento del 4%, con 19 morti in più rispetto all’anno precedente. Il numero di morti nella prima metà del 2024 è anche leggermente superiore a quello registrato nello stesso periodo del 2022 (463 morti), ma rimane inferiore al dato del 2019 (482 morti).

L’Inail sottolinea che questi dati sono provvisori e che il confronto con i numeri del passato richiede cautela, in particolare per quanto riguarda gli infortuni mortali. Questi ultimi possono essere soggetti a variazioni dovute a picchi occasionali e ai tempi di trattazione delle pratiche.

Un’analisi più approfondita rivela che alla fine di giugno 2024 risultavano cinque denunce di incidenti plurimi sul lavoro, per un totale di 21 morti, di cui solo quattro avvenute per incidente stradale. Nello stesso periodo del 2023, le denunce per incidenti plurimi erano state sei, ma con un numero totale di morti inferiore, pari a 12, di cui la metà in incidenti stradali.

Analisi dei dati: un aumento preoccupante

Per avere un quadro più preciso del fenomeno, che includa anche i casi accertati positivamente dall’istituto, sarà necessario attendere il consolidamento dei dati dell’intero 2024, al termine dell’iter amministrativo e sanitario relativo a ogni denuncia.

Un altro aspetto importante da considerare è il rapporto tra il numero di morti e il numero di occupati. Anche in questo caso, i dati provvisori dell’Inail mostrano un leggero aumento. Nei primi sei mesi del 2024 sono stati denunciati 1,96 decessi di lavoratori ogni centomila occupati, contro l’1,91 dello stesso periodo del 2023, con un incremento del 2,6%.

Nonostante questo recente aumento, è importante notare che rispetto ai decenni passati si è registrato un forte calo dei morti sul lavoro in Italia. Nel 1963, l’anno con il valore più alto, si contarono oltre 4.600 morti sul lavoro, mentre nel 2022 (ultimo anno con dati consolidati) il numero è sceso a poco più di 1.200.

Per quanto riguarda il confronto con l’Unione Europea, l’Italia si posiziona all’ottavo posto per numero di morti sul lavoro tra i Paesi UE. Secondo i dati Eurostat del 2021 (i più recenti disponibili), l’Italia ha registrato un tasso standardizzato di incidenza pari a 3,17 morti ogni centomila lavoratori, contro una media europea di 2,23. Tra i grandi Paesi UE, la Francia ha un dato più alto (4,45), mentre Germania (1,08) e Spagna (2,49) presentano numeri più bassi.

Il tasso standardizzato di incidenza calcolato da Eurostat tiene conto non solo del numero di morti in rapporto ai lavoratori, ma anche delle dimensioni dei singoli settori economici e della loro pericolosità, permettendo così un confronto più omogeneo tra i diversi Paesi.

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Meglio che non siano andati a Sant’Anna di Stazzema

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ieri ha detto che le radici della Repubblica sono piantati a Sant’Anna di Stazzema, dove ottant’anni fa furono trucidati dalle SS 560 civili, quasi tutti donne, anziani e anche molti bambini. I nazisti, con l’aiuto di membri delle Rsi, voluto sterminare una comunità.

Sarà per questo che nessuno del governo, Giorgia Meloni in testa, ha ritenuto di dover essere presente alla celebrazione, nonostante gli inviti formali del sindaco, nonostante il dovere della memoria in questi tempi di guerra come risoluzioni delle controversie. Anche questo l’ha ricordato Mattarella.

Per l’anniversario dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema dobbiamo accontentarci dello stringato comunicato stampa del presidente del Senato Ignazio Mario Benito La Russa che si riferisce a una “ferita indelebile” senza nessun cenno alle responsabilità e alle parole del presidente della Camera Lorenzo Fontana che invece fa riferimento ai “uno dei crimini più brutali commessi dai nazifascisti in Italia”. 

Forse è meglio che i membri del governo non ci siano andati. Almeno la presidente del Consiglio ci ha evitato di polemizzare con i parenti delle vittime come accaduto per i famigliari mai risarciti della Strage di Bologna. Almeno Salvini ci ha evitato le sue invocazioni al Signore per coprire la sua ignoranza sulla storia della Repubblica. Almeno Tajani ci ha evitato la scenetta logora del poliziotto buono in mezzo ai cattivi. Meglio così. 

Questa maggioranza non ha nulla a che vedere con “le radici della nostra Repubblica” evocate da Mattarella, oppure hanno a che vedere con la parte sbagliata. 

Buon martedì. 

Foto del corteo del 12 luglio a Sant’Anna di Stazzema scattata dalla Cgil Toscana.presente con il segretario Rossano Rossi

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Gasparri contro Vannacci, è iniziata la guerra a Salvini

“Ci vuole l’innegabile talento di Vannacci per criticare Paola Egonu nel giorno del trionfo olimpico delle nostre atlete di pallavolo. L’ex, per fortuna, generale, si atteggia a De Gobineau ‘de noantri’ (se lo ignora può consultare Wikipedia, fonte di apprendimento alla sua portata) parlando di ‘tratti somatici. Lessi su un giornale che si vantava di fingere di perdere l’equilibrio in metropolitana per toccare le mani, cito, ‘di persone di colore per capire al tatto se la loro pelle fosse più rugosa della nostra. lo invece ho incontrato un signore che si è qualificato come barbiere di Vannacci, meno noto di quello di Siviglia reso celebre da Rossini (rinvio Vannacci a fonti Internet anche in questo caso), dal quale ho appreso che al momento dello shampoo, con l’inevitabile contatto delle mani con il celebre cranio, ‘a tatto’ il barbiere ebbe il sospetto di un vuoto all’interno della ‘scatola’ Ma come dicono nella celebre opera ‘la calunnia è un venticello’ e il barbiere avrà mentito. Per Vannacci vale il noto detto: Tanto nomini nullum par elogium. O no?”.

Vi stupirà sapere che il forbito commento qui sopra è firmato dal senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri, folgorato sulla via di Damasco da una luce di rispetto e di integrazione. La stessa sospetta conversione del ministro Lollobrigida qualche giorno prima, quando ha scritto che non esistono colori tra gli atleti ma sono “tutti azzurri”. Quella che potrebbe essere un’angosciante buona notizia (essere d’accordo per una volta con Gasparri) in realtà nasconde la vera notizia: nella destra è cominciata la guerra contro Salvini e compari. Dipingerli come estremisti è il primo passo.

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