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Il Bestiario della settimana – Vannacci si abbassa i pantaloni, Mentana blastato e Salvini parla di tutto tranne quello che serve

Mentana blastato

Enrico Mentana è celebre, tra le altre cose, per il pugnace spirito con cui risponde arguto a certi suoi commentatori sui social (tecnicamente: blastare). Durante queste Olimpiadi tiene traccia delle vittorie degli sportivi italiani e fieramente riposta il medagliere. Solo che qualcuno non l’ha presa bene. “Puoi smetterla di rubare il nostro lavoro e di non ritagliare il nostro logo? Sarebbe bello”, è comparso tra i suoi commenti. E così il blastatore finì blastato. 

Ha stato il social media manager

Della figuraccia del ministro alla Cultura Gennaro Sangiuliano sui social dove ha convertito in due secoli e mezzo i 2.500 anni di Napoli se n’è parlato molto questa settimana. Il ministro ha “accettato le dimissioni” del suo collaboratore e ritiene la questione chiusa. Solo che poco dopo  Ivana Jelinic, l’amministratrice delegata dell’Agenzia Nazionale del Turismo e grande amica della ministra Santanché ha pubblicato una sua foto sofferente in ufficio scrivendo: “Ancora in ufficio… almeno ce l aria condizionata”. Viene il dubbio che abbia assunto il smm di Sangiuliano. 

Quando c’era LVI

Giovedì il giornalista de Il Foglio Pietro Salvatori ci informava che i treni tra Roma e Napoli avevano 180 minuti di ritardo e in quegli stessi minuti il ministro dei Trasporti Matteo Salvini stava in Versilia a parlare di “puntualità dei treni all’83% (giuro), Repubblicani Usa che ci regaleranno la pace nel mondo, Toti sequestrato dai magistrati, quanto è un problema il potere giudiziario, flat tax per le partite Iva, Vannacci e il suo partito, quanto è brutta e cattiva Ursula von der Leyen, pace fiscale”. Un ministro leggendario. 

Nuovi intellettuali di destra

L’ex velina Maddalena Corvaglia contro Imane Khelif, il video shock: “Se un uomo si identifica in una donna”. Un reel postato su Instagram con paragoni assurdi e associazioni tematiche senza alcun senso: “In che direzione stiamo andando?”, interroga la showgirl, “te lo sei chiesto? Se una bambina si identifica in un Labrador, ha il diritto di andare al parchetto dei cani e non a scuola Se un uomo si identifica in una coccinella e ha il diritto di essere identificato come coccinella, può venire a vivere nel tuo giardino?”. Ora è pronta per un programma in Rai.

Avanti così

L’insostituibile Nonleggerlo riporta uno scambio avvenuto su X a proposito della polemica della pugile Imane Khelif. Simone Pillon, ex parlamentare della Lega: “Scienza facilitata per sinistrati”, “Ci sono solo 2 generi: LUI va dall’UROLOGO. LEI va dal GINECOLOGO. TUTTI GLI ALTRI VANNO DALLO PSICHIATRA”
Replica @Cartabellotta, presidente Gimbe: “Lasci perdere la scienza @SimoPillon. Se non conosce la differenza tra urologo e andrologo, pensa davvero di avventurarsi nella complessa distinzione tra sesso biologico e identità di genere?”. Avanti così. 

Guerra e pace

Matteo Salvini: ”Spero che in Usa vincano i repubblicani perché avere i repubblicani vuol dire avere pace nel mondo. Ovviamente chiunque vincerà avrà l’amicizia dell’Italia”. Infatti è proprio il repubblicano Graham che ha presentato una risoluzione per attaccare l’Iran.

Errare è umano

Scarpa (PD): “Errare è umano, perseverare è Sangiuliano”. Non servono commenti. 

Giù i pantaloni

L’eurodeputato della Lega nonché generale Vannacci ospite di Zona bianca su Rete4: “Mi slaccerei i pantaloni senza problemi per dimostrare che sono uomo, e la signora in studio potrebbe rimanere stupita”. Come all’asilo, che vinceva chi aveva il coraggio di mostrare il pistolino. 

Ambientalisti brutta razza

Il sindaco di Gallarate Andrea Cassani passando in auto ha mostrato il dito medio a un gruppo di ambientalisti che protestavano contro l’abbattimento di alcuni alberi. Sono i politici che dicono che bisogna protestare “educatamente”. 

Comunisti!

Scontro per la guida della Federazione Italiana Nuoto, il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli (FdI) escluso dalla corsa alla presidenza attacca l’attuale presidente Barelli (Forza Italia): “Elezioni come in Corea del Nord”. Fanno tutto da soli. 

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Le bugie ai balneari costano

Va sempre a finire così quando si cercano voti in cambio di promesse irrealizzabili. La destra “anti Bolkestein” che prometteva ai balneari di poter agire al di fuori dalle regole si schianta contro la realtà. 

L’Unione europea ha perso la pazienza e dopo la melina del ministro Fitto ha deciso che è arrivata l’ora che l’Italia si allinei all’Europa ma che soprattutto i gestori di lidi non sono una casta a disposizione del partito di turno. 

Così stamattina sulle spiagge italiane va in scena lo “sciopero degli ombrelloni” che fa molto sorridere se si tiene conto che quelli ombrelloni stizziti e chiusi sono illegali da mesi, quando le concessioni sono scadute. Gli abusivi in sciopero sono il risultato politico dell’inettitudine. 

Giorgia Meloni aveva chiesto al ministro Fitto un risultato anche piccolo, quel poco che bastava per fingere di non avere perso, qualcosa per mascherare il dietrofront. Missione fallita. 

Il governo Meloni sarà il primo governo che bandirà le gare come stabilito dalle regole. Il ministro Salvini s’arrabatta per promettere prelazioni, risarcimenti e “buonsenso”. Tutto inutile. Il suo caro ex amico del Papeete che il leghista aveva portato in Europa nella scorsa legislatura stamattina chiude le sdraio e i ben informati dicono che non risponda al telefono da mesi al suo ex segretario. 

Il negoziato con l’Ue si è arenato per un motivo semplice: le regole. E le regole si rispettano nonostante le bugie dette in campagna elettorale. Nella maggioranza cannoneggiano contro “i burocrati dell’Ue”. E anche questa non è una mossa furba per riattivare qualsiasi trattativa. 

Buon venerdì. 

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Da Capitano a mozzo. Effetto Vannacci su Salvini

Poco fa, alla fine di maggio, il leader della Lega Matteo Salvini ha espulso il consigliere regionale ed ex assessore a Padova. La sua colpa è stata quella di avere sostenuto a Mestrino, un comune di circa 10 mila anime, il suo ex vice sindaco e non il candidato del partito. A luglio Salvini ha espulso Paolo Grimoldi, storico militante della Lega colpevole di avere criticato la linea del segretario e avere chiesto a gran voce i congressi. Erano tre i consiglieri regionali espulsi in Lombardia a fine 2022. Il consiglio dei saggi della Lega (ai tempi composto da Calderoli, Giorgetti, Bosatra, Centemero) parlò addirittura di “tradimento”.

In questi giorni l’europarlamentare Roberto Vannacci ha annunciato di avere fondato il suo movimento politico

A marzo di quest’anno è stato espulso l’ex segretario regionale della Liga, ex sindaco di Vittorio Veneto e al tempo europarlamentare Gianantonio Da Re. Aveva contestato le scelte di Salvini sulle candidature alle elezioni europee, in primis il generale Roberto Vannacci. A casa. A giugno Salvini ha espulso il consigliere regionale veneto Gabriele Michieletto accusato di “polemiche strumentali, inutili e dannose contro la Lega”. Erano i giorni in cui il fondatore del partito Umberto Bossi aveva annunciato che alle elezioni europee avrebbe votato Forza Italia.

Bossi non è stato espulso, ovviamente. In questi giorni l’europarlamentare Roberto Vannacci ha annunciato di avere fondato il suo movimento politico. I suoi accoliti dicono che potrebbe anche diventare un partito, chissà. Si chiama “noi con Vannacci”, così simile a quel “Noi con Salvini”. Ovviamente tutto accade senza congressi, senza nulla. Vannacci l’ha fatta più grossa degli espulsi ma Salvini tace, è mansueto. Il capitano in certe occasione diventa mozzo.

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Lite sui confini del campo che non c’è

Per motivi misteriosi alcuni quotidiani italiani che si definiscono progressisti ogni mattina hanno l’ossessione di riportare l’opinioni di personaggi minori se non addirittura naïf della politica italiana. Così è stato irrorato il generale Vannacci, figura mitologica atterrata al Parlamento europeo sul soffio di chi per mesi l’ha intervistato su tutto lo scibile umano dall’alto della sua esperienza di militare nell’esercito italiano. Ma il pleonastico più appassionante per certo giornalismo nostrano da anni è l’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi, da giovanotto salito alla ribalta in scia del ben altro spessore di Pippo Civati e poi sempre più su fino alla scrivania di Palazzo Chigi.

Non si sa perché un ex presidente del Consiglio ora consulente di pericolose autocrazie in giro per il mondo debba essere così interessante. Guida, questo è vero, un partito personale – quelli che odiava quando era segretario del Partito democratico – che sul solco della tradizione dei piccoli partiti si è fatto notare per la democristianissima politica dei due forni, concedendosi di volta in volta al migliore offerente del bipolarismo italiano. Matteo Renzi dovrebbe rendere il suo partito Italia Viva un organo democratico come stabilito dalla Costituzione. Alcuni suoi compagni di partito da mesi chiedono che si possa convocare un’assemblea, meglio ancora un congresso, per decidere la linea politica che ora è affidata ai guizzi del capo e alla sua news letter (personale) che arriva agli iscritti.

Luigi Marattin con fermezza e garbo ha fatto notare al suo segretario che non “basta un gol ad una partita di beneficienza e una bella foto per cambiare una linea politica che era stata già concordata con la propria comunità politica”. Renzi da qualche settimana ha deciso che Italia Viva deve (deve!) entrare nel cosiddetto campo largo del centrosinistra. “Pensavo che il cambio repentino di opinioni fosse prerogativa di Calenda”, ha spiegato Marattin in un’intervista a Il Foglio. Sì, perché c’è anche Carlo Calenda, dopo ci arriviamo.

Peccato che i desiderata di Renzi non piacciano non solo a certi suoi influenti compagni di banco ma anche a coloro che dovrebbero accoglierlo. No a Renzi l’hanno detto il Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi Sinistra oltre a una nutrita truppa di dirigenti anche del Partito democratico. “Ci fa perdere più voti di quanti ne porta”, dicono in coro. Lo certificano anche i sondaggi, del resto. Ieri un pezzo del giornalismo nostrano ci ha tenuto a dirci che Renzi è convinto che se gli “sbarreranno la strada” quelli che non lo vogliono “dovranno rendere conto”. L’affermazione apocalittica rende bene la sconnessione del personaggio con la sua reale dimensione.

Nel frattempo mentre Renzi fa gli schizzi in acqua per attirare l’attenzione nell’area liberale italiana c’è chi con molta più coerenza sta faticando per provare a rimettere insieme i cocci. I dissidi tra Renzi e Calenda hanno divertito da morire certi giornalisti ma hanno lasciato macerie al centro. E poiché il centro – come la destra, come la sinistra – non è i suoi leader (soprattutto se fallimentari) ma è i suoi elettori forse sarebbe giornalisticamente più interessante conoscere il loro parere.

Nel frattempo il campo largo è tornato per l’ennesima volta a essere un argomento di costume politico, più che un laboratorio di proposte politiche. Come fu ai tempi della famosa foto di Vasto (ve li ricordate Vendola, Bersani e Di Pietro?) la potenziale coalizione diventa un feticcio utile nelle redazioni quando si hanno pagine da riempire. Il governo Meloni umilia i poveri, impoverisce i lavoratori, sbaglia tutto nella politica estera, arranca e mente sul Pnrr, imbavaglia i giornalisti, balbetta di fronte al disastro carcerario, si svende a qualche lobby, spia nelle mutande delle atlete.

Nel fronte avverso si discute di quali debbano essere i confini del campo largo raccogliendo i bisbiglii e i lamenti degli astiosi ex amici. Non è una buona strategia, se possiamo permetterci, per costruire un’alternativa. Si potrebbe decidere, ad esempio, se sia possibile immaginare una maggioranza che voti senza troppi indugi un salario minimo dignitoso (Renzi non è d’accordo) oppure se sia possibile non allearsi per il dopo Toti con chi appoggia a Genova Bucci (Renzi), oppure se sia possibile dire in coro che lo scudo per i governatori (proposto dal calendiano Costa) sia irricevibile.

Per battere l’attuale maggioranza bisogna dire chiaramente ai poveri come si intende salvarli, bisognerebbe dire ai libici e ai tunisini che sono proprio loro a lucrare sui migranti, bisognerebbe dire a tassisti e balneari di rispettare le regole come gli operai e gli impiegati, bisognerebbe dire a certi garantisti che è incivile l’impunità dei colletti bianchi, bisognerebbe dire a Confindustria che il Pil non è l’unico metro per misurare la felicità di una nazione. Poi magari si potrebbe trovare anche il coraggio di dire, va bene anche sottovoce, che le guerre “giuste” si stanno rivelando tutte sbagliate per risultati sul campo e per il sangue tutto intorno. Coltivarlo il campo, prima di appassionarsi ai confini.

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Il nuovo hobby di Musk: avvelenare i pozzi per piacere a Trump

Elon Musk, il “genio visionario” fondatore di Tesla e Space X ha rivelato il suo passatempo preferito: avvelenare i pozzi a suon di fake news. La sua recente acquisizione di Twitter, ora rinominato X, ha dimostrato come il miliardario non sia solo un imprenditore tecnologico. La sua nuova identità è emersa in modo lampante nelle ultime settimane, durante le quali Musk ha usato la piattaforma per diffondere post incendiari e divisivi, scatenando un dibattito globale sulla libertà di parola e la responsabilità dei social media.

Musk: il “genio visionario” e il lato oscuro della libertà di parola

Da quando ha preso il controllo di Twitter, Musk ha pubblicato una serie di post che hanno alimentato le tensioni politiche in diversi paesi. In Gran Bretagna i suoi commenti hanno esacerbato le peggiori rivolte anti-immigrazione degli ultimi decenni mentre negli Stati Uniti ha diffuso video manipolati e affermazioni infondate contro l’amministrazione Biden-Harris. Ha condiviso, ad esempio, un video falsificato del vicepresidente Kamala Harris e ha affermato senza prove che l’amministrazione stava “importando un gran numero” di immigrati illegali per influenzare le elezioni di novembre.

Le reazioni da parte dei governi non si sono fatte attendere. In Gran Bretagna, alcuni parlamentari hanno chiesto che Musk venga interrogato per i suoi post provocatori durante le rivolte. “Elon sta armando la piattaforma in un modo mai visto prima,” ha detto lo stratega democratico Adam Parkhomenko. Negli Stati Uniti, vari stati hanno avviato indagini sulle attività di un Super PAC creato da Musk, accusato di abusi di dati personali. Cinque funzionari elettorali statali hanno persino inviato una lettera a Musk, esortandolo a correggere lo strumento di intelligenza artificiale su X che nelle risposte diffonde falsità su Kamala Harris.

Le conseguenze globali delle azioni di Musk su X

Gli sforzi però hanno impatto limitato. Come sottolinea da Sarah T. Roberts, ex ricercatrice di Twitter e ora professoressa all’UCLA, la società sembra essere sempre più vulnerabile alla mancanza di responsabilità. Anche se i governi tentano di frenare l’influenza di Musk la portata e l’impatto delle sue azioni rimangono vasti e preoccupanti. Le autorità britanniche hanno mobilitato circa 6.000 ufficiali di polizia in risposta alle rivolte istigate dai post di Musk.

Mentre la situazione evolve Musk continua a difendere il suo approccio come un “assolutista della libertà di parola”. Il miliardario ha persino lanciato una causa federale antitrust contro gli inserzionisti che hanno sospeso le loro campagne su X, accusandoli di minare il “mercato delle idee”. Quanta idea di libertà ci sia nell’obbligare gli inserzionisti a spendere sulla sua piattaforma rimane un mistero.

La destra americana, inclusi figure come Donald Trump e Ron DeSantis, ha abbracciato Musk come un paladino della libertà di parola. La sinergia tra Musk e i repubblicani rappresenta un cambiamento significativo per l’ex donatore democratico,che ora si schiera apertamente con il movimento MAGA. Martedì, l’ex presidente Donald Trump ha annunciato che farà “UN’INTERVISTA IMPORTANTE CON ELON MUSK” la prossima settimana. 

Elon Musk non è più solo un visionario tecnologico ma un potente inquinatore di pozzi. La sua capacità di diffondere disinformazione e di influenzare l’opinione pubblica rappresenta una sfida per i governi di tutto il mondo. Il punto è come i governi riusciranno a bilanciare la libertà di parola con la necessità di proteggere le società dalla disinformazione e dalla divisione. David Becker, direttore esecutivo e fondatore del Centro per l’Innovazione e la Ricerca Elettorale, ha espresso preoccupazione per l’influenza di Musk: “Oggi la sua capacità di diffondere disinformazione come superspreader non ha eguali”. E il problema ha a che fare con la democrazia. 

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“Il social media manager non può avere tutta la colpa”. L’Associazione di categoria contesta Sangiuliano: “Il post sulle dimissioni? Una gogna”

Lui scherzando dice di essere conosciuto solo come “il social media manager di Taffo”, l’azienda di servizi funebri diventata celebre sui social grazie alla sua comunicazione dissacrante, ma Riccardo Pirrone è molte cose, tra cui il presidente dell’Associazione Nazionale Social Media Manager. Proprio in quella veste ieri è intervenuto sulla comunicazione del ministro alla Cultura Sangiuliano che annunciava le dimissioni del suo social media manager per il marchiano errore dei 2.500 anni di Napoli che sono diventati 2 secoli e mezzo.

Pirrone, è ancora arrabbiato con il ministro?

Come presidente dell’Ansmm registra che ogni volta che succede qualcosa dalle parti di un ministro o personaggi pubblici o vip o aziende la colpa finisce sempre sul social media manager che ha pubblicato. Ma quello che molte persone non sanno è che la pubblicazione del post è solo l’ultima azione di una serie di procedure che vengono fatte in concerto con altre persone. Mi auguro che un ministero abbia diversi livelli di approvazione quando vengono pubblicati post sul suo canale ufficiale. Ad esempio il social media manager non è un grafico e quindi ci sarà stato un grafico che ha creato la card, ci sarà un piano editoriale che decide cosa pubblicare, un autore, un copy. Solo alla fine il social media manager pubblica, modera i commenti.

Quindi non è andata come l’ha raccontata il ministro che ha parlato di un errore “evidentemente” del social media manager?

Io dubito che il social media manager abbia un’autonomia tale da pubblicare un post senza che nessuno lo approvi. Funziona così in tutte le aziende. Anzi, ci sono diversi livelli di controllo. Al ministero l’approvazione non può essere solo di una persona.

Quindi non è d’accordo con le dimissioni?

A prescindere da tutto l’errore che è stato fatto è una svista, non può avere come conseguenza un licenziamento o le dimissioni. Le motivazioni spero siano altre: mi sembra strano che si arrivi a tanto. Detto questo aggiungerei una domanda: come è stato selezionato il social media manager? Sicuramente è una persona affine al mondo di questa parte politica. Come è stato selezionato? È un professionista Ha un curriculum con tutte le esperienze e le professionalità che servono? Dico questo perché spesso il social media manager non è considerato un professionista ma come uno che basta che pubblichi. Invece il social media manager studia comunicazione, fa corsi di aggiornamento, verifica le fonti. Se un social media manager ha questa expertise ok. Qual è stata la selezione?

Ora come Ansmm come vi muoverete?

Innanzitutto dobbiamo capire se è un professionista del social media management oppure no. Questo gioco delle parti danneggia il nostro lavoro in generale, questo io voglio difendere. Non voglio sindacare se quello è un bravo ministro oppure no ma la comunicazione che è stata fatta poteva risparmiarsela. Non ho mai visto pubblicare sui social le dimissioni di un dipendente. Non ha senso. Perché metterlo alla gogna

Ricorda un po’ quelle vecchie storie del “mi hanno hackerato l’account”…

Prima dell’avvento dei social era colpa dello stagista. In realtà sono scuse che non reggono. Chi lavora in questo settore sa come funziona. Sicuramente tutte le istituzioni non hanno compreso il potere e la responsabilità dietro un account social, parlo anche di sindaci. Servono una serie di pratiche dettate dalla professionalità e dall’esperienza. Il problema è anche la generazione, sono persone mature e quindi non hanno tutti una dimestichezza veloce. Per questo il social media manager non può farlo il cugino o l’amico, ma persone che hanno studiato per questo.

Eppure abbiamo avuto social media manager ritenuti quasi “magici” come Morisi…

Non è cambiato nulla rispetto alla pubblicità tradizionale. Prima i pubblicitari erano nascosti dietro al brand, qualcuno usciva allo scoperto come Oliviero Toscani perché faceva cose avanguardistiche. La vera star nel mondo politico è il candidato, il partito, che ha le stesse regole di un brand, con loghi, comunicazione e strutture molto similari a quella di un’azienda. Solo che la comunicazione politica non dovrebbe fare profitto, al contrario dell’azienda.

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Pnrr, tra crescita e illusione: l’Ufficio parlamentare di bilancio ridimensiona le previsioni del governo

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza, il famoso Pnrr, continua a essere al centro del dibattito politico ed economico italiano. Ma quanto realmente inciderà sulla crescita del nostro Paese? Le stime del governo contenute nel Documento di economia e finanza (Def) sono state recentemente messe in discussione dall’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), l’organismo indipendente che vigila sui conti pubblici.

Come riporta un’analisi di Pagella Politica, l’Upb ha pubblicato il 1° agosto una nota sulla congiuntura economica contenente una valutazione aggiornata dell’impatto del Pnrr sull’economia italiana. Le cifre presentate dall’Upb dipingono un quadro meno roseo rispetto a quello tracciato dal governo Meloni nel Def dello scorso aprile.

L’analisi dell’Ufficio parlamentare di bilancio: stime più caute

Secondo l’Upb, nei primi tre anni di attuazione del piano (2021-2023) “gli impatti del Pnrr sull’economia italiana sono moderati”, contribuendo per “un paio di decimi di punto percentuale in media sulla crescita annua”. In altre parole, in ciascuno di questi tre anni il Pnrr avrebbe contribuito alla crescita con uno 0,2% in media.

Le cose dovrebbero migliorare nei successivi tre anni (2024-2026), quando “gli impatti medi sulla variazione annuale si rafforzano, tra i sette e gli otto decimi di punto”. L’Upb stima che nel 2026, ultimo anno di attuazione del piano, “l’effetto complessivo sul livello del Pil sarebbe maggiore del 2,9 per cento rispetto allo scenario di base, ossia al livello del Pil che si sarebbe realizzato in assenza del piano”.

Queste stime sono decisamente più caute rispetto a quelle contenute nel Def del governo. Il documento governativo, infatti, prevede che nel 2026 il Pil italiano sarà più alto del 3,4% grazie al Pnrr. Una differenza apparentemente piccola, ma che in termini assoluti si traduce in miliardi di euro.

Ma non è solo questa discrepanza a destare attenzione. Il Def stima un contributo crescente del Pnrr alla crescita del Pil: dallo 0,2% del 2021 si passa allo 0,1% del 2022, per poi salire allo 0,4% nel 2023, allo 0,9% nel 2024, all’1% nel 2025 e allo 0,8% nel 2026.

Particolarmente ottimistica appare la previsione per il 2024: secondo il Def, il 90% della crescita prevista per quest’anno (stimata all’1%) dipenderebbe dalla corretta attuazione del Piano. Un’affermazione che sembra quasi una scommessa, considerando che, come riporta Pagella Politica, “dal 1° gennaio al 17 luglio 2024 sono stati spesi meno di 10 miliardi di euro del Pnrr: entro fine anno ne vanno spesi altri 33 miliardi”.

Le stime del governo non si fermano qui. Nel Def si legge anche che “l’effetto delle riforme possa generare un incremento del Pil del 5,6 per cento al 2030 e di circa il 10 per cento nel lungo termine”. Numeri che hanno fatto alzare più di un sopracciglio tra gli esperti.

Differenze tra le previsioni del governo e dell’Upb

Gli economisti Tito Boeri e Roberto Perotti, nel loro libro “Pnrr: La grande abbuffata”, definiscono questi effetti stimati “semplicemente pazzeschi”. Secondo i due studiosi, l’operazione di stima fatta dal ministero è un’”impresa di per sé eroica, perché non conosciamo metodologie attendibili per stimare gli effetti di tali riforme, e l’incertezza statistica è ancora maggiore che nel caso degli investimenti”.

Boeri e Perotti sottolineano come, seguendo le tabelle del Def, “nel 2026 queste riforme porterebbero a un Pil più alto di 70 miliardi, e nel ‘lungo periodo’ (oltre il 2030) di altri… 200 miliardi all’anno (!)”. Se a questa cifra si aggiungono i benefici generati dagli investimenti del Pnrr, si raggiunge un valore che i due economisti definiscono “poco credibile”.

In questo scenario di stime contrastanti e previsioni ardite, l’analisi dell’Upb sembra offrire un approccio più cauto e realistico. Resta da vedere se il governo sarà in grado di raggiungere anche solo gli obiettivi più modesti delineati dall’Ufficio parlamentare di bilancio, considerando i ritardi e le difficoltà che già si stanno manifestando nell’attuazione del Piano. Continuare a ripetere che tutto va bene non basterà.

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Sangiuliano punitore solo degli altri

Mercoledì, sui social del ministro della cultura (!) Gennaro Sangiuliano, è comparsa una card in cui si comunicava che “il Consiglio dei ministri vara il comitato per celebrare 2 secoli e mezzo di Napoli”. Peccato che Napoli di anni ne abbia almeno 2500.

Fin qui tutto malinconicamente normale. Che i membri di questo Governo siano più propensi a riscrivere la storia più che studiarla è cosa nota. Sangiuliano tra i ministri comunque spicca per l’ossessiva ripetitività dei suoi scivoloni.

A stretto giro di posta il ministro impugna il telefono e scrive sui suoi social: “L’errore sul profilo Instagram relativo alla nascita del Comitato nazionale “Neapolis 2500” evidentemente è del mio social media manager. Per questo ho accettato le sue dimissioni”.

Qualche osservazione. Per Sangiuliano è “evidente” che l’errore non sia suo, come se non fosse uno sconclusionato ministro avvezzo alla gaffe. A pagare è stato Michele Bertocchi, social media manager e autore televisivo in Rai.

Al di là del fatto che il ministro avrebbe dovuto già da tempo costringere alle dimissioni colui che ha sbagliato le date su Cristoforo Colombo, quello che ha confuso l’ubicazione di Time Square e colui che è stato giurato per il Premio Strega senza leggerne i libri (quindi sé stesso), registriamo che il ministro intende il proprio ruolo come quello del “punitore” dei suoi sottoposti.

“Non è possibile che ogni volta che c’è un problema sia sempre e solo colpa dei SMM e questa volta addirittura vengono accettate delle dimissioni dovute ad un errore del genere. IL SOCIAL MEDIA MANAGER È UN PROFESSIONISTA e come tale deve essere trattato”, scrive Riccardo Pirrone, presidente dell’Associazione nazionale SMM.

Buon giovedì.

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Il Piano Mattei affonda insieme ai migranti

Il portavoce dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni Flavio di Giacomo ha rilanciato la testimonianza di un migrante sbarcato sabato scorso a Lampedusa da una barca che l’aveva soccorso in mare. Secondo il racconto del sopravvissuto una barca con 45 persone, tra cui donne e bambini, partita il 30 luglio dalla Tunisia verso l’Italia sarebbe naufragata.

Il Piano Mattei affonda insieme ai migranti. Sull’ultimo naufragio è calato il silenzio

Negli ultimi sette giorni nel mar Mediterraneo sono morti 97 migranti, dice l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). “Si parla molto di sbarchi in calo, ma in realtà l’emergenza non era numerica neanche nel 2023. La vera emergenza, che continua anche adesso, è umanitaria: sono 1.021 le vittime dall’inizio dell’anno”, ha scritto il portavoce di Giacomo. La differenza rispetto agli anni scorsi è nell’abile nascondimento dei morti da parte del governo, che snocciola spesso i numeri che dimostrerebbero la diminuzione degli sbarchi.

Nel cruscotto del ministero continuano a mancare però le vittime, mai conteggiate a meno che non sporchino le spiagge italiane e disturbino la quiete balneare. Del naufragio avvenuto nei giorni scorsi non se ne sa nulla, non si dice nulla, non si domanda nulla. Nessun chiarimento sulla responsabilità, nessuna indagine sulle cause e sulle vittime. La normalizzazione degli annegati è un elemento fondamentale per il buon funzionamento della strategia di respingimenti illegali, come dimostra l’amica Tunisia si sta distinguendo per avere imparato in fretta come essere un buon trampolino di lancio verso il fondo del mare. Così mentre il cosiddetto Piano Mattei vola nella propaganda questi altri affondano.

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Nuovi reati per disperati

“Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una Nazione”. La frase attribuita a Voltaire torna utile, se le carceri sono la cartina di tornasole della politica di un governo allora mettiamoci il naso dentro.

Qualche giorno fa a Biella si è impiccato un detenuto di 55 anni. È il sessantunesimo suicidio nei primi sette mesi del 2024, almeno ventuno casi in più rispetto all’anno scorso. Il Decreto Caivano ha trasformato il carcere in ricettacolo di malessere minorile. Che fa il governo? Nei 28 articoli del ddl Sicurezza prevede 13 nuove fattispecie di reato oltre a nuove aggravanti. Per risolvere le rivolte in carcere non si pensa a detenzioni più dignitose ma ci si inventa il reato di “rivolta in carcere”. Fino a 5 anni, diventa reato anche la “resistenza passiva”.

Gandhi qui da noi sarebbe un criminale. All’articolo 19 il reato di “rivolta” si estende anche ai minori stranieri non accompagnati e ai rifugiati titolari di protezione internazionale. C’è un piccolo particolare: per la legge quelli non sono detenuti, come ha fatto notare la capogruppo M5S in commissione giustizia, D’Orso. Reclusione fino a un mese per il blocco stradale o ferroviario commesso da un singolo e da 6 mesi a 2 anni se il reato viene commesso da più persone riunite (aggravato se consumato nelle stazioni o nelle loro vicinanze).

Reato anche l’occupazione abusiva. Notate il tratto comune: tutti i nuovi reati sono solo per i poveri e i disperati. Per i “politici incensurati” invece “niente misure cautelari per i politici incensurati”. La proposta di Azione piace anche alla maggioranza.

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