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M5S: le accuse degli ex parlamentari pro Grillo a Conte: “Vuole trasformare i 5S in un clone del Pd”. La replica di Todde e Gubitosa

“Il tracollo del Movimento è colpa di Conte”. Mentre in casa Movimento 5 stelle Giuseppe Conte lavora per l’assemblea costituente fissata al 4 ottobre (stessa data della fondazione) undici ex parlamentari pentastellati scrivono una lettera aperta e mettono nel mirino il presidente del partito: “Si prenda le sue responsabilità”. 

La lettera aperta degli ex parlamentari

L’idea di Conte – un appuntamento per riunire e rilanciare il M5s dopo il deludente risultato europeo – aveva già creato frizione con il garante Beppe Grillo che aveva denunciato tra i 5 stelle “anche e soprattutto una crisi di identità”, lamentando il fatto di non essere stato informato della proclamazione di un’assemblea. 

A stretto giro di posta Conte aveva risposto assicurando che il garante sarebbe stato “il benvenuto” ma dicendosi indisponibile a “discutere preventivamente i temi da sottoporre all’assemblea costituente” con il fondatore. “Stiamo andando oltre la democrazia diretta – ha detto Conte ieri sera ai giornalisti -. Stiamo realizzando un percorso che prevede un confronto ampio, partecipato e discussioni approfondite” che si concluderà “con un voto degli iscritti”. 

La lettera di oggi prende invece le parti di Grillo. Firmata dagli storici Nicola Morra, Alessio Villarosa e da Rosa Silvana Abate, Ehm Yana Chiara, Jessica Costanzo, Emanuele Dessì, Elio Lannutti, Michele Sodano, Simona Suriano, Raffaele Trano, Andrea Vallasca accusa Conte di “ingratitudine” che “è una mescolanza di egoismo, orgoglio e stupidità”. 

“Solo per contribuire a ripristinare la verità storica, fattuale e poi anche politica – scrivono -, interveniamo in merito alle evidenti divergenze tra Giuseppe Conte e Beppe Grillo, il fondatore del M5S, assieme a Gianroberto Casaleggio, il visionario mite e determinato, purtroppo scomparso prematuramente, ai quali molti ‘smemorati di Collegno’, senza arte né parte, dovrebbero dimostrare rispetto e gratitudine”.

Per gli undici la “lettera di Conte in risposta a Grillo ha profondamente colpito molti di noi per i modi, oltre che per il contenuto” poiché “l’idea di un’assemblea costituente per rimettere in carreggiata il fu movimento ora partito riecheggia le pratiche dei vecchi partiti che si volevano pensionare”. 

“È questo il destino del M5s?  – scrivono gli ex parlamentari – Trasformarsi in un clone del Pd?”, si legge nella missiva, e ripercorrendo i momenti che portarono al governo Draghi, e le resistenze di molti nel partito, ricordano le parole di Conte nel dare la fiducia a Draghi, e chiedono che “ognuno si prenda le proprie responsabilità”.

Le tensioni interne nel Movimento 5 Stelle

E ancora: “Oggi chi si scusa con gli iscritti, si dimentica di alcuni, gli espulsi, che hanno pagato un conto durissimo per aver mantenuto fede ai principi ed esclusi perché scomodamente eretici. Le scuse tardive non cancellano le responsabilità”. L’attacco a Conte è frontale: “Come può un leader che ha guidato il Movimento dal 32,7% al 9,99% non assumersi minimamente la colpa di questo tracollo?”, si chiedono nella lettera. Infine gli undici riconoscono che Grillo ha “sicuramente commesso errori, ma ha dato l’anima per far nascere l’unica vera innovazione. Scaricare tutta la colpa delle difficoltà del fu movimento su Grillo è assolutamente scorretto”. 

Nessun commento dell’ex premier mentre la presidente della Regione Sardegna Alessandra Todde ha parlato di “dichiarazioni rilasciate da chi non ha più nessun ruolo e nessun peso all’interno del M5s”. Per Todde chi discute Conte “non è più iscritto e i commenti esterni dei soliti nomi lasciano il tempo che trovano”. Poi, la stoccata del vicepresidente Michele Gubitosa: “Fronda interna Piuttosto la definirei fronda esterna, visto che parliamo di tutti ex eletti
del M5s”. Intanto in Senato Antonio Trevisi lascia il Movimento per approdare in Forza Italia.

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Elezioni Usa, il ritorno del Midwest: come Walz può ribaltare le sorti dei democratici

Tim Walz, governatore del Minnesota scelto da Kamala Harris come suo vice nella corsa alla Casa Bianca, incarna una figura politica in grado di far dialogare l’anima progressista del Partito Democratico con l’elettorato moderato e rurale che negli ultimi anni si è allontanato dalla sinistra americana. 

Un progressista con radici rurali

Sessantenne dalla folta chioma bianca, Walz porta in dote un’esperienza variegata: ex insegnante di storia, allenatore di football, veterano della Guardia Nazionale e rappresentante al Congresso di un distretto conservatore del Minnesota rurale. Un curriculum che sembra ritagliato su misura per ricucire lo strappo tra i democratici e quell’America profonda che guarda con diffidenza all’establishment di Washington.

Politiche progressiste in azione

Ma attenzione a liquidarlo come un semplice centrista. Walz si definisce orgogliosamente “progressista” e il suo operato da governatore del Minnesota lo conferma. Ha firmato leggi che garantiscono pasti gratuiti nelle scuole, tutelano il diritto all’aborto, espandono i congedi retribuiti e legalizzano la marijuana per uso ricreativo. Ha ampliato le tutele per la comunità LGBTQ+ e reso gratuito l’accesso all’università per le fasce più povere. Insomma, un’agenda decisamente di sinistra che però Walz ha saputo comunicare con un linguaggio semplice e diretto, lontano dalla retorica spesso astrusa dei liberal dei grandi centri urbani.

Sul fronte economico, Walz si è fatto promotore di politiche fiscali fortemente progressiste. Ha firmato un pacchetto da 3 miliardi di dollari che include un generoso credito d’imposta per i figli, espande i crediti per le spese scolastiche e l’assistenza all’infanzia, e taglia le tasse per i pensionati. Per finanziare questi tagli, ha introdotto una nuova tassa globale sulle multinazionali. Un approccio che ricorda da vicino la “Bidenomics“, con il suo focus sulla classe media e sui lavoratori.

In materia di lavoro, Walz ha mostrato una particolare attenzione ai diritti sindacali. Ha vietato gli accordi di non concorrenza che limitano la mobilità dei lavoratori, ha proibito ai datori di lavoro di penalizzare chi non partecipa a riunioni antisindacali, e ha di fatto aumentato il salario minimo per i dipendenti delle piccole imprese. Non a caso, l’anno scorso si è unito al picchetto del sindacato United Auto Workers durante la vertenza con le case automobilistiche.

Sulla sanità, Walz si è distinto per la difesa strenua del diritto all’aborto, codificandolo nella legge statale nel 2023. Ha anche firmato una legge che vieta ai fornitori di assistenza sanitaria di negare cure necessarie a causa di debiti non pagati e proibisce l’utilizzo dei debiti medici per influenzare il punteggio di credito. Un approccio che si allinea perfettamente con la battaglia di Kamala Harris contro i cosiddetti “junk fees” nel settore sanitario.

In tema di ambiente ed energia, Walz ha firmato una legge che impone il 100% di elettricità pulita nello stato entro il 2040, accompagnata da una riforma complessiva dei permessi energetici e da incentivi per i veicoli elettrici. Ha anche sostenuto il bando delle sostanze chimiche PFAS, note come “inquinanti eterni”. Tuttavia, ha mantenuto una posizione equilibrata sull’industria mineraria, sostenendo l’estrazione di ferro ma mostrandosi cauto su progetti più controversi come l’estrazione di rame vicino ad aree protette.

Sull’istruzione, Walz ha aumentato la spesa per l’educazione K-12 di 2,2 miliardi di dollari e ha introdotto un programma di aiuti finanziari che copre le tasse universitarie per le famiglie con reddito inferiore a 80.000 dollari annui. Un approccio che mira a rendere l’istruzione superiore accessibile a tutti, in linea con le proposte più progressiste del Partito Democratico.

In politica estera, Walz ha sempre votato a favore degli aiuti a Israele, condannando duramente gli attacchi del 7 ottobre. Tuttavia, ha anche mostrato apertura verso le critiche alla gestione del conflitto a Gaza, invitando ad ascoltare le preoccupazioni di chi chiede una riduzione del sostegno americano alle operazioni militari israeliane.

Un candidato per tutti gli americani

Il punto di forza di Walz sembra essere la sua capacità di coniugare posizioni progressiste con un linguaggio e un’immagine che possono risultare familiari anche all’elettorato più moderato e conservatore. La sua esperienza militare, la passione per la caccia e il background rurale gli conferiscono una credibilità che potrebbe rivelarsi preziosa per riconquistare quegli stati del Midwest che nel 2016 furono determinanti per la vittoria di Trump.

Certo, la scelta di Walz non è esente da critiche. I repubblicani lo dipingono già come un pericoloso estremista di sinistra, riesumando la sua gestione controversa delle proteste seguite all’omicidio di George Floyd nel 2020. D’altro canto, alcuni settori della sinistra dem lo considerano troppo moderato su temi come l’immigrazione e il controllo delle armi.

In un’America sempre più polarizzata, la sua figura di progressista pragmatico potrebbe rappresentare la sintesi necessaria per ricompattare l’elettorato democratico e al contempo erodere il consenso repubblicano nelle aree rurali. Una scommessa rischiosa, certo, ma che Kamala Harris ha deciso di giocarsi fino in fondo. “Certo sono un mostro. Bambini con la pancia piena così possono imparare e donne che prendono le loro decisioni sulla propria salute”, ha detto Walz in un confronto televisivo. Di sicuro la sua mostrificazione sarà il prossimo passo di Trump e seguaci. 

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Così gli italiani possono andare in vacanza tranquilli

Tra le proposte che oggi saranno sul tavolo del Consiglio dei ministri guidato da Giorgia Meloni c’è l’innalzamento da 100 mila a 200 mila euro per usufruire dell’imposta sostitutiva sui redditi delle persone fisiche calcolata in via forfettaria per chi trasferisce la propria residenza fiscale in Italia. 

Una flat tax per i ricchi stranieri che rende l’Italia un paradiso fiscale per attrarre soldi nella speranza che investano soldi qui da noi. La norma non è una novità. Fu pensata nel 2016 dal governo Renzi e a oggi ha portato ben pochi risultati. 

In cinque anni sono stati 1.136 i “ricchi” che hanno deciso di trasferirsi in Italia sfruttando i maxi sconti fiscali, con il giocatore Cristiano Ronaldo in testa. Nel 2022, ultimo anno con dati disponibili, gli 818 contribuenti principali con i loro 318 famigliari hanno prodotto la miseria di 89,8 milioni di euro di entrate. 

Il risultato tangibile invece sono i rilievi mossi dall’Eu Tax Observatory che nel suo Rapporto sull’evasione fiscale globale ha definito questo regime fiscale preferenziale il più dannoso tra quelli adottati nell’intera Unione europea. 

A ruota ci sono le critiche della Corte dei conti contro la mancata trasparenza della misura tant’è che l’Agenzia delle entrate “non conosce né l’ammontare dei redditi esteri sui quali agisce l’imposta sostitutiva, né le imposte ordinarie che sarebbero state effettivamente prelevate su tali redditi in assenza del regime sostitutivo”. 

Dalle parti del governo hanno pensato che fosse una buona idea, vista la situazione, innalzare il privilegio. Così gli italiani possono andare in vacanza tranquilli. 

Buon mercoledì. 

foto:Дмитрий

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Difendersi dai processi anziché nei processi

Le cronache romane ci restituiscono il presidente dimissionario della Regione Liguria Giovanni Toti abbronzato e in tour negli uffici politici romani per apparecchiare il suo successore. Le gravi accuse che gli vengono mosse dalla Procura di Genova (corruzione e finanziamento illecito ai partiti) non hanno meritato una sola riga dei dibattiti e delle cronache.

Le cronache romane ci restituiscono il presidente dimissionario della Regione Liguria Giovanni Toti abbronzato e in tour negli uffici politici romani

Toti ha visitato il viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti per valutare una sua eventuale candidatura come successore. “Edoardo Rixi? Lo stimo – dice Toti – bisogna vedere se è disponibile e può fare campagna”. Toti ora è un “semplice cittadino”, dicono i suoi compagni di partito di centrodestra. Il garantismo peloso del resto è esattamente questo: utilizzare la leva della presunzione di innocenza sancita dalla Costituzione per sfuggire alle questioni di responsabilità.

Al di là dell’aspetto giudiziario e del processo che verrà quanto è opportuno che un ex presidente di Regione accusato di essere a capo di un sistema di potere corruttivo vada in cerca di un successore del suo potere? Giovanni Toti ha il diritto di difendersi e la Liguria pure. Toti ieri ha rilanciato anche l’idea dello scudo per gli amministratori. “Uno scudo serve, non solo per parlamentari e ministri, surreale che uno come Matteo Salvini finisca a processo”, ha detto ai giornalisti.

“Uno scudo come Capitan America – ha aggiunto -, bisogna allargare le immunità, più protezione non è necessaria solo per me ma anche per sindaci e amministratori”. La Liguria ha il diritto di difendersi da un politico che ha già cominciato a difendersi dai processi piuttosto che nei processi. Questione di opportunità, non di garantismo.

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Campo largo tra Renzi e Calenda

Una tipica giornata di abboccamenti tra il centrosinistra e il fu cosiddetto Terzo polo. Un riassunto già pronto delle prossime puntate: Renzi sconfessa sé stesso, Calenda attacca Renzi, entrambi insegnano al Partito democratico come dovrebbe fare il Partito democratico e fingono che il Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi sinistra non siano mai esistite. 

La canicola estiva e il Parlamento che allaccia le valigie per le ferie lasciano spazio alla tragicomica marcia di avvicinamento di Italia viva e Azione verso il cosiddetto campo largo quasi sbrindellato. 

La mattinata si apre con un’intervista a Matteo Renzi nientepopodimeno che al Corriere della sera. Dall’alto della sua discutibile rilevanza politica  certificata dai risultati delle ultime elezioni europee il leader di Italia viva consegna le tavole dei suoi comandamenti all’opposizione. “Si può vincere solo con un contratto alla tedesca in cui si scriva prima, argomento per argomento, cosa vogliamo fare e cosa no”, dice Renzi, ansioso di dettare le regole in una coalizione che ancora non gli ha aperto la porta. 

Il senatore fiorentino sente il profumo di una possibile crisi del governo e cambia idea su tutto. L’acerrimo nemico Giuseppe Conte, presidente del M5S, ora diventa un boccino goloso. “”Noi siamo pronti al confronto sul futuro anche con Conte”, dice Renzi, usando il plurale maiestatis su una decisione che al momento in Italia viva è solo una fregola del capo non essendo stata da nessun organo democratico. I dissidi del passato? “Sul passato non cambio idea”, spiega Renzi, ma “è tempo di occuparci di futuro, non di fare le rievocazioni storiche”. 

E le differenti posizioni politiche? Renzi si dice “pronto al confronto” ma “tra Kamala Harris e Donald Trump, tifiamo per la Harris: spero anche Conte” e “su Putin e Venezuela non abbiamo dubbi: spero anche Conte”. È il solito confronto secondo Renzi in cui le possibilità si riducono a una: essere d’accordo. 

Sul Partito democratico “noi parliamo con la segretaria nazionale del Pd, non con le singole correnti interne”, spiega Renzi con il solito plurale da matita blu. Elly Schlein che fino a ieri era una pericolosa bolscevica viziata che non portava rispetto alla “storia del Pd” ora diventa l’unica interlocutrice. Possiamo solo immaginare il dramma che si consuma tra i caminetti dem in cui l’amicizia mai rotta con Renzi è l’unico capitale politico. 

Dall’altro lato del ring sbuca Carlo Calenda. Il profumo delle elezioni in Liguria sprona il leader di Azione alla benedizione di un’alleanza da cercare “ovviamente partendo dalle opposizioni”. Non fa tempo a dirlo e partono subito le condizioni: no a “un’agenda giustizialista”, dice stentoreo Calenda e priorità alla “questione delle infrastrutture, tema centrale della Liguria”. Non male come corteggiamento. 

Anche Calenda non riesce comunque a trattenersi dal tirare stoccate ai partiti da cui vorrebbe essere imbarcato e così ecco il velenoso passaggio a “quel problema del porto” che “ce l’aveva anche il pd prima, ma è stato graziato dalla magistratura, non ci andava solo Toti sulla barca e lo sapete benissimo”. Il riferimento è al vicepresidente Pd del consiglio regionale della Liguria Armando Sanna fotografato con l’ex governatore Claudio Burlando a bordo dell’imbarcazione dell’armatore Spinelli. 

E Renzi con Calenda, come la mettiamo? “Matteo Renzi domani mattina se deve fare un’alleanza con Casa Pound fa un’alleanza con Casa Pound. – dice Calenda –  Il problema non è quello che fa Renzi, il problema non è quello che gli passa per l’anticamera del cervello in quel momento come una cosa utile per lui. Il problema è che non ha un progetto di governo”.

Bello ‘sto campo largo. 

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Allevamenti intensivi, scatta la stretta verde in Europa. Ma l’Italia è pronta ad adeguarsi alla nuova direttiva Ue?

È entrata in vigore il 4 agosto la nuova direttiva dell’Unione europea con l’obiettivo di ridurre le emissioni nocive provenienti dagli allevamenti intensivi. La revisione della Direttiva sulle Emissioni Industriali (IED) mira a migliorare la qualità dell’aria, dell’acqua e del suolo, contribuendo al raggiungimento degli obiettivi del Green Deal europeo.

Questa normativa si concentra sui grandi allevamenti di suini e pollame, escludendo le piccole e medie imprese agricole e quelle biologiche. Gli allevamenti interessati dovranno registrarsi e riportare le loro emissioni, semplificando così il processo di gestione ambientale rispetto alle grandi installazioni industriali. Le nuove regole vengono considerate da molti un passo significativo per affrontare l’inquinamento derivante dagli allevamenti, responsabile di una grande fetta delle emissioni di ammoniaca e metano nell’Unione Europea.

Gli impatti degli allevamenti intensivi in Italia 

In Italia, il problema degli allevamenti intensivi è particolarmente rilevante. Secondo Greenpeace, nel nostro paese ci sono oltre 50 milioni di animali allevati in modo intensivo. Questi allevamenti sono responsabili del 79% delle emissioni di ammoniaca del settore agricolo italiano, contribuendo significativamente all’inquinamento dell’aria. Gli allevamenti intensivi producono grandi quantità di rifiuti e gas serra, che hanno un impatto negativo sull’ambiente e sulla salute umana.

Le emissioni di ammoniaca dagli allevamenti intensivi italiani sono stimate in circa 420.000 tonnellate all’anno e sono una delle principali cause di inquinamento atmosferico, contribuendo alla formazione di particolato fine (PM2.5) nocivo per la salute umana. Inoltre i nitrati provenienti dai rifiuti animali contaminano le riserve idriche, causando problemi come l’eutrofizzazione e la proliferazione di alghe tossiche.

Il settore degli allevamenti intensivi è anche un importante contributore alle emissioni di gas serra. Gli allevamenti emettono grandi quantità di metano (CH4) e protossido di azoto (N2O), gas con un elevato potenziale di riscaldamento globale. In Italia, il settore agricolo rappresenta circa il 7% delle emissioni totali di gas serra, con una quota significativa proveniente dagli allevamenti intensivi.

Nonostante l’alto impatto ambientale, gli allevamenti intensivi in Italia hanno ricevuto ingenti sovvenzioni pubbliche. Le associazioni ambientaliste hanno ripetutamente denunciato che molte di queste aziende beneficiavano di fondi europei destinati all’agricoltura, senza adeguati controlli sull’impatto ambientale delle loro attività.

La nuova direttiva e il futuro 

La nuova direttiva Ue introduce un sistema semplificato per la registrazione e la reportistica delle emissioni, riducendo il carico burocratico per gli allevatori. Le nuove regole saranno definite entro due anni dall’entrata in vigore della direttiva e coinvolgeranno esperti del settore, Stati membri e organizzazioni non governative. Questo processo mira a garantire che le misure adottate siano efficaci e sostenibili.

Gli allevatori avranno un lungo periodo di transizione per adattarsi alle nuove regole, con l’obbligo di conformità che scatterà tra il 2030 e il 2032, a seconda delle dimensioni dell’allevamento. Entro il 2026, la Commissione europea pubblicherà un rapporto con soluzioni per affrontare in modo più completo le emissioni degli allevamenti bovini.

In Italia il ministro Francesco Lollobrigida a maggio di quest’anno aveva pubblicato una sua foto faccia a faccia con una mucca. “Un modo per verificare il benessere animale in una azienda agricola – scriveva il ministro –  è “chiederlo” direttamente a loro. Se si avvicinano all’uomo senza timore significa che lo considerano un loro amico“. A Bruxelles non la pensano così. 

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Una sola ossessione: fare bella figura in Albania

La prima preoccupazione del governo a proposito degli illegali centri di detenzione per migranti che l’Italia sta costruendo in Albania Fare bella figura, l’ossessione della propaganda.
Questa mattina su Repubblica Alessandra Ziniti sfodera il vademecum per gli agenti della polizia penitenziaria che avranno il privilegio di lavorare in trasferta, nell’isola ecologica che il governo Meloni ha voluto impiantare nel Paese di Edi Rama. Scorrere le istruzioni è un safari nel sottovuoto spinto della stagione politica che stiamo vivendo.
Si parte da “evitare di corteggiare le donne albanesi. L’uomo che vede la propria donna corteggiata da un altro uomo può reagire in malo modo”. Gli albanesi come novelli uomini d’onore da non provocare, insomma.
Poi si sottolinea che gli albanesi sono “un popolo pudico” e quindi “nudità o vestiario poco sobrio in pubblico non sono graditi”. Nessuna raccomandazione per il rispetto dei calpestati diritti umani stracciati troppo spesso dall’Italia e dall’Unione europea. Ciò che interessa al nostro governo è che “la consumazione del caffè” non avvenga “al bancone” ma “seduti” e che nei ristoranti ci si attenga a menu per non irritare il personale di cucina e di sala.
I poliziotti penitenziari trattati come scolaretti in gita hanno irritato anche il segretario generale della UIlpa Polizia penitenziaria Gennarino De Fazio, già nervoso per l’opacità con cui sono stati scelti i 45 agenti che dovranno andare in scena per uno degli spot più costosi degli ultimi anni.
E loro, i migranti? Loro niente, loro sono solo le disperate comparse della messinscena.
Buon martedì.

Nella foto: Giorgia Meloni visita la base di Gjadar in Albania, 5 giugno 2024

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Premierato incostituzionale? Basta cambiare i giudici

Sembra che se ne siano accorti in pochi di cosa è accaduto lo scorso martedì durante le audizioni in Commissione Affari costituzionali della Camera a proposito della riforma del premierato e della legge elettorale che inevitabilmente dovrà cambiare.

Premierato incostituzionale? Basta cambiare i giudici della Consulta. Il piano delle destre per aggirare il problema

Nella sfilata di brillanti costituzionalisti favorevoli alla riforma fortemente voluta dal governo che la maggioranza sta facendo sfilare nel tentativo di corroborare le proprie tesi è stato il turno del professore Tommaso Edoardo Frosini, docente di diritto pubblico comparato presso l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, che ha affrontato l’ipotesi di una formula elettorale a turno unico, come già anticipato nei mesi scorsi dalla ministra per le Riforme Maria Elisabetta Casellati.

Frosini ha parlato di un “75% dei seggi assegnati in collegi uninominali con recupero dei migliori perdenti” e un “restante 25% che il Mattarellum prevedeva di distribuire in via proporzionale, può essere assegnato come quota di premio per la maggioranza. Ma una quota mobile, non fissa, fino al 25%”. Si tratterebbe sostanzialmente di un sistema elettorale misto che tiene insieme due maggioritari, con evidenti problemi di incostituzionalità.

E perché questa volta la Consulta non dovrebbe bocciarlo di nuovo? La risposta del professore Frosini è da brividi: “Il collegio che giudicherà, ammesso e non concesso che arrivi alla Corte, sarà completamente diverso da quello che si è già pronunciato”, dice. In pratica ci si affida alla possibilità di avere giudici più accondiscendenti. Non male come risposta se si tiene conto che la Corte costituzionale è incagliata da tempo per una nomina mancante da parte della maggioranza.

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Per cosa si esulta oggi?

Nel meraviglioso mondo di Giorgia Meloni lei ieri 5 agosto ha esultato annunciando una vittoria. Succede dal giorno di insediamento del suo governo: ogni giorno l’Italia primeggia, lei spicca, l’Italia “finalmente” torna sulla cima del mondo, il Paese va a gonfie vele, l’Europa cambia, il mondo ci ama e altre decine di autocelebrazioni farciscono i comunicati stampa, i giornali e le televisioni amiche.

Ieri la presidente del Consiglio ha esultato perché “siamo stati i primi a richiedere il pagamento della quinta rata e siamo i primi ad aver richiesto il pagamento della sesta” del Pnrr e quindi “l’Italia è al primo posto in Europa per numero di obiettivi raggiunti e importo complessivo ricevuto”. Non importa che da mesi i migliori analisti sottolineino come il Pnrr italico sia pagato prima degli altri per una mera questione di calendarizzazione. A Meloni non interessa nemmeno che il Pnrr sia stato modificato dal suo governo giocando al ribasso e sia ancora lontano da una messa a terra credibile.

Figurarsi poi quanto possa preoccuparsi del fatto che manchi la dovuta trasparenza che consentirebbe ai giornalisti di smentire la sua tesi. Ieri per tutto il giorno l’opposizione ha contraddetto la propaganda sorridente della premier con dati e numeri che non entreranno nell’impermeabile propaganda di Stato. Per Meloni essere presidente del Consiglio significa essere quotidianamente testimonial di una vittoria che i suoi cittadini non riscontrano mai nella realtà. Felice e sconnessa confeziona spot mentre la verità le scoppia in faccia. Quindi, per cosa esultiamo oggi?

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Campo largo con Renzi e Calenda: la fusione a freddo che gela gli elettori

Forse non serviva un sondaggio per sapere che gli elettori del Partito democratico, di Alleanza Verdi e Sinistra e del Movimento 5 stelle non impazziscano all’idra di aprire le porte del cosiddetto campo largo anche a Matteo Renzi e Carlo Calenda. I risultati dell’analisi dell’istituto Noto certificano comunque la sensazione. 

Secondo i dati raccolti, infatti, solo il 29% degli elettori del Pd e il 19% dei sostenitori del M5S vedrebbero di buon occhio un’alleanza con Italia Viva, il partito di Matteo Renzi. Generalmente meno aperti a qualsiasi tipo di alleanza, gli elettori del Movimento 5 stelle vedrebbero di buon occhio solo un accordo con il Pd (60%) e Avs (54%). E anche Carlo Calenda non scalda certo gli animi: solo il 43% degli elettori del Pd e il 20% di quelli del M5S sarebbero favorevoli.

Ad aumentare lo scetticismo per un’operazione di fusione a freddo che l’ex presidente del Consiglio leader di Italia viva sembra volere a tutti i costi sono anche le posizioni dei suoi stessi elettori: solo il 16% dei sostenitori di Renzi sarebbero disposti ad accettare un accordo con il partito di Conte. Il calendiano Costa in un’intervista al Corriere della sera ha ricordato, del resto, che il partito Azione sarebbe nato proprio in contrapposizione al Movimento 5 stelle in occasione del secondo governo Conte. 

Allo stesso modo in casa Italia Viva il deputato Marattin ha duramente contestato la decisione di Matteo Renzi di cambiare la linea politica del partito senza consultare gli eletti e la base, con un regolare congresso. “Basta partiti padronali”, dice Marattin insieme alla sua truppa di rivoltosi, risvegliatisi improvvisamente dal lungo sonno. I renziano più accaniti intanto da giorni rimangono appostati sui social per ogni uscita del parlamentare ritenuto “un Giuda”, “un traditore”: “Affondi il coltello nella schiena di Renzi”, gli scrive qualcuno con poco senso del ridicolo. 

Alla tiepida passione per il campo largo con le macerie del Terzo polo si contrappone la truppa riformista del Partito democratico che invece insiste per svoltare al centro, meglio ancora se liberandosi degli odiati grillini. C’è solo un piccolo particolare: la matematica. Aprire a Renzi e soci farebbe perdere più voti di quanti se ne potrebbero guadagnare. La matematica del resto è crudele e se ne frega delle strettissime amicizie personali ormai passate. 

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