Il termometro del pianeta continua inesorabilmente a salire, segnando nuovi allarmanti record. Domenica scorsa potrebbe essere stato il giorno più caldo mai registrato dagli scienziati, con la temperatura media dell’aria superficiale che ha toccato i 17,09°C secondo i dati preliminari del Copernicus Climate Change Service.
Un nuovo picco che supera, seppur di poco, il precedente record di 17,08°C stabilito appena un anno fa, il 6 luglio 2023. Una differenza minima, statisticamente quasi indistinguibile, ma che conferma la drammatica accelerazione del riscaldamento globale a cui stiamo assistendo.
Temperature da capogiro: il termometro globale segna nuovi record di caldo
“Ciò che è veramente sconcertante è quanto sia grande la differenza tra la temperatura degli ultimi 13 mesi e i precedenti record”, ha dichiarato Carlo Buontempo, direttore di Copernicus. “Ora siamo in un territorio davvero inesplorato e mentre il clima continua a riscaldarsi, siamo destinati a vedere nuovi record battuti nei mesi e negli anni futuri”.
Parole che suonano come un sinistro presagio per il futuro del nostro pianeta, sempre più stretto nella morsa di un caldo asfissiante che non accenna a dare tregua. Un caldo alimentato dall’inquinamento da carbonio prodotto dalla combustione di combustibili fossili e dall’allevamento intensivo, che sta trasformando intere regioni del globo in vere e proprie fornaci.
Gli effetti di questa “cottura” accelerata sono già drammaticamente visibili: incendi che divorano case e foreste, ondate di calore mortali che mettono a dura prova ospedali e case di riposo, eventi meteorologici estremi sempre più frequenti e devastanti.
Un futuro incandescente: gli scenari previsti dagli esperti
Zeke Hausfather, scienziato del clima del progetto Earth Data di Berkeley, definisce il nuovo record “certamente un segno preoccupante” e avverte: “Si rende anche ancora più probabile che il 2024 batterà il 2023 come l’anno più caldo mai registrato”.
Una prospettiva che fa tremare, considerando che stiamo già vivendo 13 mesi consecutivi con temperature superiori di 1,5°C rispetto all’era pre-industriale, come rilevato da Copernicus all’inizio di luglio. Un dato che ci avvicina pericolosamente alla soglia critica fissata dagli accordi di Parigi, oltre la quale gli effetti del cambiamento climatico potrebbero diventare irreversibili.
Il professor Peter Thorne dell’Università di Maynooth, coautore di un rapporto IPCC che ha attribuito all’attività umana la responsabilità del riscaldamento globale dal 1850 ad oggi, lancia un monito: il record di domenica potrebbe un giorno essere considerato “anomalamente freddo” se non raggiungeremo rapidamente le emissioni nette zero.
“Solo una rapida occhiata alla gamma di eventi che si stanno verificando in tutto il mondo in questo momento – incendi, inondazioni, ondate di calore – ci dice che non siamo lontanamente preparati per gli estremi che questo mondo più caldo ci ha comprato”, ha affermato Thorne. “Siamo ancora meno preparati per ciò che verrà”.
Le tabelle di marcia dell’IPCC e dell’Agenzia Internazionale per l’Energia indicano chiaramente la necessità di tagli drastici alla domanda di combustibili fossili per raggiungere zero emissioni nette entro il 2050. Uno studio pubblicato lo scorso anno ha stimato che, per centrare gli obiettivi climatici, tra il 2020 e il 2050 l’offerta di carbone dovrebbe ridursi del 99%, quella di petrolio del 70% e quella di gas dell’84%.
Numeri che sembrano fantascienza di fronte all’inerzia dei governi e alle resistenze delle lobby dei combustibili fossili. Eppure, come sottolinea la professoressa Vanesa Castán Broto dell’Università di Sheffield, non possiamo permetterci di arrenderci: “Mantenere i cambiamenti nelle temperature medie globali al di sotto di 1,5°C non è impossibile, ma sembra un’impresa disperata. A volte, è come svegliarsi sepolti sotto terra: puro orrore”.
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