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Renzi fa sempre il Renzi. E c’è chi si stupisce ancora

Come nella favola della rana e dello scorpione Matteo Renzi torna a fare il Renzi e ieri ha cambiato idea seguendo la sua natura. Partendo dalla foto della partita del cuore che lo ha immortalato abbracciato alla segretaria del Partito democratico Elly Schlein il padrone di Italia viva a proposito di un’alleanza con i dem e con il Movimento 5 Stelle spiega in un’intervista al Corriere della Sera che “non solo è possibile, ma è anche l’unica alternativa per evitare che ci teniamo per lustri Giorgia Meloni con sorelle, cognati e compagnia cantante. La maggioranza – spiega Renzi –  è divisa su tutto, però sta insieme grazie al potere. L’alternativa è semplice: subire o reagire. Per reagire va costruita l’alternativa, dichiarando chiusa la stagione dei veti”.

Innanzitutto balza all’occhio l’enorme fallacia logica: i veti di cui parla Renzi provengono da una parte del Pd, dal Movimento 5 Stelle oltre a Alleanza verdi sinistra. Non è certo lui quindi che può scioglierli con una scanzonata intervista a un quotidiano. Poi c’è il punto politico. Matteo Renzi ha improntato le sue recenti fallimentari campagne elettorali sull’odio verso Schlein e verso Conte, bistrattati quotidianamente sui social e sulle pagine dei giornali amici. Il cambio di strategia snatura di fatto Italia Viva e la sua azione politica degli ultimi mesi.  Per questo il suo ex amico e compagno di partito Luigi Marattin denuncia “la prospettiva” che “pare essere cambiata” e sottolinea come “a compiere la scelta più importante dalla nascita di IV (cioè quale collocazione politica avere) non saranno gli iscritti ma l’Assemblea Nazionale, i cui membri sono tutti nominati da Matteo”. Ma dai?

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Il potere unico collante delle destre

Poiché le parole sono importanti, ancor di più se pronunciate da una formazione politica, conviene scolpire ciò che ha scritto Forza Italia sui suoi canali social dopo la conferma di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Ue, fortemente sostenuta dal Partito popolare europeo di cui i forzasti fanno parte. “Avevamo chiesto voti per far contare l’Italia in Europa – recita il messaggio dei berlusconiani -.  Abbiamo mantenuto la promessa. Con l’elezione di Metsola e von der Leyen ogni voto dato a Forza Italia è un voto utile a Bruxelles. Grazie a noi l’Italia conta in Europa”.

Senza troppo sforzo di interpretazione il partito guidato dal ministro e vice premier Antonio Tajani ritiene quindi che il voto contrario del partito della presidente del Consiglio Giorgia Meloni contro von der Leyen vada contro l’Europa ma soprattuto vada contro gli interessi dell’Italia. Delle gesta politiche di Matteo Salvini non serve nemmeno scriverne poiché è risaputo come Tajani ritenga il gruppo dei Patrioti, di cui la Lega fa parte, un vero abominio politico. Volendo arrivare a una sintesi si potrebbe dire senza nessun timore di smentita che Tajani ritiene la presidente del Consiglio che guida il governo di cui fa parte nemica degli interessi degli italiani in Europa. È un giudizio preciso che dovrebbe fare cadere il governo un minuto dopo. Invece si risolve in un rimpiattino di politici che non sono d’accordo su nulla che non sia restare aggrappati al ponte di comando.

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Non bastava la Libia, dall’Italia motovedette pure alla Tunisia

L’Italia ci ricasca. Come se la lezione libica non fosse bastata il governo italiano si appresta a regalare motovedette alla Tunisia, Paese che viola sistematicamente i diritti umani dei migranti. Un déjà-vu che sa di tragica farsa, se non fosse che a farne le spese saranno ancora una volta le vite di migliaia di persone in fuga. Ma andiamo con ordine.

La notizia arriva dall’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi), che denuncia come il governo italiano abbia disposto il trasferimento di sei imbarcazioni per il pattugliamento delle coste alla Garde Nationale tunisina. Un regalo avvelenato che, dietro la retorica della cooperazione internazionale, nasconde la solita logica dell’esternalizzazione delle frontiere. Ma facciamo un passo indietro. Lo scorso dicembre il governo italiano ha dato il via libera alla cessione delle motovedette. Una decisione che ha subito sollevato le proteste delle associazioni per i diritti umani, ben consapevoli di cosa significhi armare le guardie costiere di paesi che non brillano certo per il rispetto dei diritti fondamentali.

Il ricorso contro le motovedette alla Tunisia

A marzo un gruppo di organizzazioni della società civile ha presentato ricorso al tribunale amministrativo, chiedendo di valutare la legittimità degli atti con cui il ministero dell’Interno ha disposto la cessione. Il Consiglio di Stato, dopo un iniziale stop cautelare, ha però dato semaforo verde all’operazione lo scorso 4 luglio. Secondo i giudici, il trasferimento delle motovedette e la formazione del personale tunisino potrebbero addirittura contribuire “all’innalzamento dei livelli di tutela e salvaguardia dei migranti in mare”. Una tesi criticata però dalle associazioni, se si considera la situazione drammatica in cui versano i migranti in Tunisia.

Come riporta l’Asgi, nel 2023 ben il 62% degli arrivi via mare in Italia proveniva dalla Tunisia. Numeri che parlano chiaro: quasi 100mila persone in fuga da un paese che, lungi dall’essere “sicuro”, si sta trasformando in una nuova Libia. Le testimonianze raccolte descrivono un quadro agghiacciante: la Garde Nationale tunisina agirebbe in collusione con i trafficanti, adottando metodi violenti come l’uso di armi per minacciare i migranti o il sabotaggio delle imbarcazioni.Una volta riportati a terra, i migranti subiscono deportazioni di massa verso Libia e Algeria, finendo in un circolo vizioso di violenze e abusi. Gli esperti Onu hanno più volte condannato queste pratiche, chiedendo al governo tunisino di fermare immediatamente le espulsioni. Richieste cadute finora nel vuoto.

Le violazioni

Ma l’Italia fa finta di nulla e procede spedita con il suo piano, ignorando gli allarmi lanciati dalla comunità internazionale. D’altronde la Tunisia è stata inserita nella lista dei “paesi di origine sicuri” dal ministero degli Esteri, nonostante lo stesso dicastero nella sua scheda informativa riporti le preoccupazioni Onu sui trattamenti discriminatori e i decessi di migranti alla frontiera libico-tunisina.

Un cortocircuito kafkiano in cui la realtà viene piegata alle esigenze della Realpolitik. Poco importa se la Tunisia non può essere considerata un “luogo di sbarco sicuro” secondo le convenzioni internazionali. L’importante è fermare i flussi, costi quel che costi.

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Brevi dall’Ue

Breve riepilogo della giornata europea che ieri ha confermato Ursula von der Leyen alla guida della Commissione. 

Il capolavoro politico di Giorgia Meloni si è compiuto. Dopo una campagna elettorale incentrata sul rovesciamento dell’Europa e sull’Italia che avrebbe contato di più la presidente del Consiglio italiana è riuscita nella mirabile impresa di mettersi ai margini in tutto e per tutto. Il suo gruppo dei Conservatori e riformisti europei ha votato in modo sparso, gli eurodeputati di Fratelli d’Italia non hanno votato la candidata dei Popolari. Tutti in ordine sparso, sperando che cada qualche briciola. Ora Meloni è troppo moderata per i suoi amici di destra e troppo di destra per i suoi amici moderati. Sostanzialmente non esiste. 

La maggioranza italiana si sfalda nella strada da Roma a Strasburgo. Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega dalle parti di Bruxelles sono sigle elettorali una contro l’altra. È la fotografia di una maggioranza tenuta insieme solo dall’attaccamento al potere. Tre partiti che votano dissonanti su qualsiasi punto di politica europea e di politica estera. Buona fortuna. 

Il generale Vannacci fa schifo perfino a Bardella e ai Patrioti per l’Europa. La notizia che gli sarebbe stata tolta la vicepresidenza in Europa non era «un’invenzione dei giornalisti di sinistra» come scioccamente ripeteva qualche parlamentare della Lega. La figura di Vannacci esiste solo su certa stampa che lo usa come grimaldello perché nella politica – quella vera – è una macchietta a cui hanno messo una decima sopra. 

Buon venerdì. 

Nella foto: Ursula von der Leyen e Giorgia Meloni, Forlì, 17 gennaio 2024 (governo.it)

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Aeroporto Berlusconi, decollano solo le polemiche

Ricapitoliamo. Come gesto di sfregio agli avversari politici qualcuno dalle parti del governo decide di intitolare l’aeroporto di Malpensa a Silvio Berlusconi, rendendo la tratta Milano-Palermo un salto quantico da chi ha pagato la mafia (Berlusconi) e chi l’ha combattuta (Falcone e Borsellino).
Si scopre poco dopo che la santificazione aeroportuale di Silvio è stata voluta da Matteo Salvini. Il ministro nonché vice premier ha un solo chiodo fisso in testa, quello di disarticolare gli alleati di maggioranza per recuperare il terreno perduto e per non arrivare frantumato al congresso del suo partito per fine anno. In sostanza Salvini ha usato Berlusconi come randello contro Forza Italia.

A questo punto interviene nel dibattito Pier Silvio Berlusconi, di professione amministratore delegato di Mediaset ma soprattutto figlio del fondatore e leader massimo del partito azzurro. Sull’aeroporto già intitolato al padre (uno degli atti amministrativi più veloci nella storia del colloso sistema burocratico italiano) Pier Silvio lascia intendere che la famiglia Berlusconi è piuttosto stizzita per la strumentalizzazione di Salvini. Poi con il leader leghista se la prende perché vorrebbe alzare il tetto pubblicitario della Rai danneggiando quindi Mediaset. Poi sculaccia Giorgia Meloni sui diritti civili millantando il padre come loro paladino e infine se la prende con Antonio Tajani che non sarebbe in grado di “cogliere un’opportunità pazzesca” di marketing politico radunando i moderati.
Ah, dice anche di non essere interessato a scendere in politica nonostante continui a parlare di politica. E infine se la prende con il sindaco di Milano Sala perché “polemizza sulle polemiche”. E lo fa in un’intervista in cui polemizza con tutti.

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Vittimismo a colpi di fiducia

Giorgia Meloni ce l’ha fatta, il suo governo è primo per rapporto tra questioni di fiducia e leggi approvate. È la stessa Meloni che nel 2006 definiva il voto di fiducia “un errore drammatico” e nel 2015 “una scelta oligarchica”. La stessa persona che all’opposizione lo definiva “una vera e propria vergogna” nel 2017 e che solo tre anni fa parlava di “una mortificazione del Parlamento, una deriva democratica“. Come si cambia, per non morire (politicamente). Nelle ultime settimane lo sprint sui voti di fiducia ha interessato lo sport, la scuola, le politiche di coesione e l’agricoltura.

Negli ultimi due casi il governo si è esibito addirittura in una doppietta: voto di fiducia alla Camera e voto di fiducia al Senato. Un doppio passo che ha falciato qualsiasi discussione, qualsiasi timido tentativo di emendamento. Il Parlamento ridotto a passacarte dei desiderata del governo. Come sottolinea Openpolis in termini assoluti, tra i governi delle ultime legislature, infatti solo quello guidato da Matteo Renzi ha fatto un ricorso maggiore allo strumento. Il ricorso alla fiducia evita parecchi problemi. Da un lato evita che deputati e senatori possano modificare in maniera sostanziale un provvedimento ritenuto particolarmente importante dall’esecutivo. Torna utile anche per velocizzare i tempi dell’iter di approvazione. Porre la questione di fiducia in entrambe le Camere è la massima limitazione del Parlamento.

L’attuale esecutivo, scrive Openpolis, si avvia a diventare quello che ha fatto il ricorso più massiccio alla fiducia sotto diversi punti di vista. Il governo Meloni dall’inizio della legislatura ha utilizzato 58 voti di fiducia. Solo la compagine guidata da Matteo Renzi riporta un dato più alto (68). Bisogna però considerare che questo esecutivo è rimasto in carica per quasi tre anni mentre l’attuale si trova a palazzo Chigi da meno di due. Al terzo posto poi troviamo il governo Draghi che ha fatto ricorso alla fiducia in 55 occasioni durante i 20 mesi in cui è rimasto in carica. Il governo Meloni sale invece al primo posto se si considera il rapporto percentuale tra voti di fiducia e disegni di legge approvati.

Durante il mandato dell’attuale esecutivo infatti sono entrate in vigore 129 norme, per un rapporto fiducie/leggi pari al 45% circa. Al secondo posto troviamo in questo caso il governo Monti (42,5%) seguito dagli esecutivi Conte II (39,4%) e Draghi (37,4%).

Sulla fiducia

Tra i provvedimenti più recenti approvati attraverso una doppia fiducia troviamo i Ddl di conversione di 4 decreti legge particolarmente rilevanti. Si tratta del Dl Pnrr quater, del decreto superbonus e dei Dl coesione e agricoltura. Altri provvedimenti particolarmente rilevanti approvati attraverso un doppio ricorso alla fiducia sono la legge di bilancio per il 2023, il decreto aiuti quater, il decreto Caivano, il decreto sud, il Dl immigrazione e sicurezza e il decreto milleproroghe 2024. Per ben 21 disegni di legge il governo ha messo alla fiducia sia alla Camera che al Senato.

Solo il governo Renzi fa registrare un dato lievemente superiore (22) ma questo esecutivo è rimasto in carica molto più dell’attuale. Anche in questo caso quindi è molto probabile che il governo Meloni diventerà presto l’esecutivo con il maggior numero di provvedimenti approvati con doppia fiducia tra quelli degli ultimi anni. L’autoritarsimo dolce ha molte facce. Passa attraverso la compressione del diritto all’informazione, occupando gli spazi del servizio pubblico e intimidendo gli altri con querele spesso temerarie. Passa attraverso la mostrificazione dell’opposizione per poi passare al vittimismo. Infine ha bisogno dello svuotamento del Parlamento per legittimare il comando al posto del governo.

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Decreto Cutro a rischio bocciatura dall’Ue, il governo fa retromarcia sul ricorso

La notizia è stata data martedì in tarda serata dal giornalista di Radio Radicale Sergio Scandura: il Viminale abbandona il ricorso alle Sezioni Unite della Cassazione sui provvedimenti di mancata convalida del Decreto Cutro da parte del Tribunale di Catania.

Il 30 settembre dell’anno scorso, la giudice Iolanda Apostolico aveva ordinato il rilascio di quattro migranti detenuti nel CPR di Pozzallo, affermando che le regole stabilite dal governo nel cosiddetto Decreto Cutro erano illegittime e in aperto contrasto con la normativa europea. Undici giorni dopo, Apostolico decise il rilascio di altri quattro migranti tunisini. L’8 ottobre, il giudice Rosario Cupri non convalidò il trattenimento di sei migranti nel centro di Pozzallo.

La giudice Apostolico e il decreto Cutro: le prime contestazioni

La questione giudiziaria entrò prepotentemente nel dibattito politico. In quei giorni, il ministro Matteo Salvini pubblicò un video in cui Apostolico partecipava a una manifestazione per i diritti dei migranti. Per il leader della Lega, quella era la prova della cattiva fede della giudice. L’Anm parlò di “dossieraggio” e “intrusione nella vita privata”. Il processo si concluse con un’archiviazione, poiché il fatto non costituiva reato, non trattandosi di immagini prelevate da archivi delle forze dell’ordine.

L’Ispettorato del Ministero della Giustizia esaminò i video su segnalazione del senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri e decise di non aprire nessun procedimento disciplinare nei confronti della giudice, poiché non si riscontrava “alcuna espressione visiva o gestuale interpretabile come manifestazione di adesione o di dissenso alla contestazione in atto”.

Il governo evita la doppia pronuncia: la decisione di fermare il ricorso

Sul tavolo rimaneva il ricorso in Cassazione e la conseguente scelta delle Sezioni Unite Civili di rinvio pregiudiziale, poiché la cauzione di 5.000 euro prevista dal Decreto Cutro per evitare i Cpr “attiene a una questione sul sistema europeo comune di asilo, il quale costituisce uno degli elementi fondamentali dell’obiettivo dell’Unione europea”.

A questo punto, l’Avvocatura Generale dello Stato ha deciso di fermarsi. “Il governo tenta così di evitare una doppia pronuncia: quella della Cassazione, alla cui Corte il governo si è rivolto tramite impugnativa avversa al Tribunale di Catania, e quella della Corte di Giustizia, alla cui giurisdizione avevano fatto ricorso proprio le Sezioni Unite della Suprema Corte italiana”, spiega Scandura.

La Corte di Giustizia Ue, oltre alla proporzionalità della cauzione prevista dal Decreto Cutro, rischierebbe infatti di pronunciarsi anche su altri aspetti del decreto in contraddizione con il diritto europeo.

Ma gli avvocati dei migranti al centro della mancata convalida dei provvedimenti di trattenimento e di rimpatrio accelerato non ci stanno e starebbero preparando in queste ore un ‘ricorso incidentale’ alle Sezioni Unite, chiedendo che la Cassazione non abbandoni del tutto la discussione e si pronunci anche sulle altre questioni poste nei provvedimenti del Tribunale di Catania.

All’esame della Corte Ue potrebbe finire il criterio dei cosiddetti “paesi di origine sicuri” che il governo ha recentemente allargato a Bangladesh, Camerun, Colombia, Egitto, Perù e Sri Lanka. Un’eventuale pronuncia della Corte Ue e della Cassazione potrebbe avere anche effetti dirompenti sul protocollo firmato dal governo italiano con l’Albania.

Il Viminale, dopo aver rilasciato dichiarazioni incaute e tonanti contro i giudici di Catania, ora fa retromarcia. Il rischio è che “il caso Apostolico” sia il granello di sabbia che inceppa meccanismi molto più grandi che sono le architravi della propaganda di governo.

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Crisi dei minori migranti nel Regno Unito: un allarme per l’Italia e Meloni

Il Regno Unito si trova ad affrontare una crisi allarmante riguardante i minori richiedenti asilo. Un nuovo rapporto commissionato dall’University College London (UCL) e Ecpat UK pubblicato oggi dal Guardian rivela una situazione preoccupante: 118 minori non accompagnati risultano ancora dispersi, alcuni di soli 12 anni. Questo studio, il primo nel suo genere, giunge a una conclusione scioccante: i bambini collocati negli hotel gestiti dal Ministero dell’Interno britannico erano esposti a un “maggiore rischio di tratta”.

Questa rivelazione contraddice direttamente le precedenti affermazioni del Ministero dell’Interno, che aveva sostenuto l’assenza di sfruttamento dei giovani ospiti. Il rapporto si basa su interviste approfondite con professionisti coinvolti nella cura dei minori, offrendo una visione interna di un sistema che sembra aver fallito nel suo compito di proteggere i più vulnerabili.

Hotel del Ministero dell’Interno e rischio di tratta

Un ex dipendente di un hotel del Ministero dell’Interno ha fornito dettagli inquietanti, riferendo di tre incidenti di tratta nel suo hotel. I trafficanti, secondo quanto riportato, contattavano i giovani attraverso falsi account sui social media, sfruttando la loro vulnerabilità e disperazione. “Non è che siano ingenui”, ha spiegato l’ex dipendente, “ma quando si trovano in una situazione così terribile, pensano: ‘Ok, è un rischio, ma questo posto è altrettanto brutto’”.

Paradossalmente, i tentativi del Ministero dell’Interno di proteggere i minori sembrano aver peggiorato la situazione. Il personale degli hotel aveva ricevuto l’ordine di controllare i minori ogni ora durante la notte, soprattutto quelli considerati ad alto rischio di fuga, come gli albanesi. Questa pratica, secondo l’ex dipendente, si è rivelata controproducente. 

L’impatto delle politiche di accoglienza

Dal 2021 fino al gennaio 2024, sette hotel sono stati utilizzati dal Ministero dell’Interno per ospitare minori arrivati nel Regno Unito dopo aver attraversato la Manica su piccole imbarcazioni. Molti di questi giovani provenivano da paesi africani, in particolare Eritrea e Sudan. Le cifre sono allarmanti: in totale, 440 bambini sono scomparsi da queste strutture. A novembre dello scorso anno, 144 non erano ancora stati ritrovati. L’ultimo aggiornamento di marzo riporta che 118 minori sono ancora dispersi.

La dottoressa Sonja Ayeb-Karlsson dell’UCL, autrice principale dello studio, non usa mezzi termini nel definire la situazione “uno scandalo nazionale che non deve ripetersi”. La ricercatrice solleva anche interrogativi cruciali sugli sforzi fatti per ritrovare i minori dispersi, sottolineando che “non è ancora chiaro quali tentativi siano stati fatti per trovare coloro che risultano ancora dispersi e assicurarsi che siano al sicuro”.

Il rapporto solleva ulteriori preoccupazioni riguardo ai giovani richiedenti asilo erroneamente valutati come maggiorenni e collocati in hotel per adulti. Questa pratica espone i minori a rischi significativi di abusi sessuali e sfruttamento. Diversi esperti di protezione dei minori hanno evidenziato i rischi per la sicurezza derivanti dalla condivisione di stanze tra bambini e adulti traumatizzati.

Reazioni e richieste di riforma

Patricia Durr, CEO di Ecpat UK, ha lanciato un appello al nuovo governo, chiedendo l’abrogazione dell’”Illegal Migration Act”, definito “catastrofico”. Questa legge permette al Ministero dell’Interno di fornire direttamente alloggio ai minori non accompagnati, una pratica che, alla luce dei risultati dello studio, appare quanto meno discutibile.

Il Ministero dell’Interno, in risposta alle rivelazioni del rapporto, ha rilasciato una dichiarazione in cui riconosce la serietà delle accuse: “Le accuse in questo rapporto sono molto serie. I minori non accompagnati nel sistema di asilo possono essere estremamente vulnerabili e il loro benessere e la loro sicurezza dovrebbero essere una preoccupazione centrale. Esamineremo attentamente questi risultati”.

Mentre il dibattito politico sul tema dell’immigrazione continua ad animare il paese, questo rapporto mette in luce le conseguenze umane di politiche mal concepite o mal implementate. La scomparsa di oltre cento minori non può essere ignorata e richiede un’azione immediata e decisa da parte delle autorità competenti.

Il nuovo governo si trova ora di fronte a una sfida cruciale: rivedere e riformare il sistema di accoglienza e protezione dei minori richiedenti asilo per garantire che tragedie simili non si ripetano in futuro. La posta in gioco è alta: si tratta di proteggere le vite e i diritti di bambini e adolescenti che hanno già affrontato traumi e difficoltà inimmaginabili nel loro viaggio verso il Regno Unito. A ottobre dell’anno scorso l’ex premier britannico Rishi Sunak e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni si dicevano “orgogliosi che l’Italia e il Regno Unito stiano lavorando fianco a fianco nella lotta al traffico degli esseri umani”. Chissà se Meloni è ancora convinta dei buoni risultati. 

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Fare finta di niente su Daniela Santanchè

Ieri l’ex compagno della ministra al Turismo Daniela Santanchè è stato condannato a due anni e mezzo oltre a una confisca di oltre 664 mila euro per sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e dichiarazione infedele dei redditi. 

Secondo i giudici avrebbe venduto per finta a poco meno di 400mila euro lo yacht a Biofood Italia, società di Daniela Santanchè. Una singolare vendita in cui non risulta nessun passaggio di denaro. Una ventina di giorni dopo poi, Biofood vende la barca a 393mila euro a Flying Fish Yachting ltd, una società di diritto maltese che secondo il giudice sarebbe uno scudo per mettere al sicuro il bene. 

Per il giudice la ministra non avrebbe «avuto un ruolo attivo nell’acquisto e, quindi, nella successiva vendita dell’imbarcazione». Nel decreto di archiviazione il gip aveva però sottolineato come la ministra, visto il suo ruolo politico, non avrebbe dovuto accettare un ruolo «meramente formale» nella società, in considerazione di «tutti i rischi giuridici connessi». 

Siamo ovviamente solo al primo grado d giudizio di una vicenda che per al di là degli esiti giudiziari getta un’ombra sulla stessa ministra per cui la Procura di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio insieme ad altre 16 persone per falso in bilancio della sua ex società Visibilia. A maggio la Procura ha chiesto per Santanché un altro processo per truffa all’Inps: per i magistrati Santanchè avrebbe lucrato oltre 126 mila euro di risorse covid da maggio 2020 e febbraio 2022 per 13 dipendenti che sarebbero però rimasti sempre al lavoro. 

La strategia di non parlarne non potrà durare ancora a lungo. Meloni lo sa, la ministra lo sa. Poi un giorno aprirete i giornali e sembrerà essere accaduto tutto all’improvviso. 

Buon giovedì. 

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Antiabortista vice di Metsola, l’ultimo paradosso Ue

Oltre a Pina Picierno del Partito democratico l’Europarlamento ha una nuova vicepresidente in rappresentanza di Fratelli d’Italia, il partito della presidente del Consiglio. Arriva da Viterbo dove il partito di Giorgia Meloni ha incassato uno sfavillante 40% e fino a poco tempo fa era assessora viterbese ai servizi sociali. Antonella Sberna fino al 2019 era una berlusconiana doc. Collaboratrice in Senato con Forza Italia, eletta al Consiglio comunale di Viterbo 5 anni fa ha traslocato nel partito di Meloni fiutando bene il clima. Merito – si legge su Repubblica – del marito Daniele Sabatini che oggi è capogruppo dei meloniani nel Consiglio regionale del Lazio. “Il trasformismo di Antonella Sberna è una delle pagine più brutte della politica viterbese”, disse ai tempi il commissario provinciale di Forza Italia Andrea Di Sorte.

Per Repubblica il vero sponsor di Sberna sarebbe Arianna Meloni, sorella d’Italia. Fin qui sembrano esserci tutti gli ingredienti per una gran carriera politica, la miscela perfetta per spiccare nel partito. In piena campagna elettorale per le elezioni europee Sberna ha firmato il manifesto dell’associazione Pro Vita contro il diritto all’interruzione di gravidanza: “Mi batterò per scongiurare il ricorso all’aborto che considero non un diritto ma una sconfitta”, ha promesso la neo eurodeputata. L’Unione europea ripete ovunque che sul diritto all’aborto gli Stati membri debbano fare ancora di più e meglio per le donne. Devono essersene dimenticati quando hanno votato i vicepresidenti a Strasburgo. O forse Sberna è già come la sua leader: oltranzista in patria, mite e ubbidiente in Europa.

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