Il ciclone Trump e l’assenza di soldi: che brutta aria sulla Cop29 di Baku – Lettera43
Donald non ci sarà alla conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici in Azerbaigian, un Paese che vive di gas e petrolio. Ma il negazionismo del tycoon sul riscaldamento globale e l’amore che ha per le trivelle sono un pessimo segnale per il Pianeta. Mancano i fondi per finanziare la transizione verde e la lobby dei combustibili fossili è ancora troppo forte.
A Baku, capitale dell’Azerbaigian dove dall’11 al 22 novembre 2024 è in programma la 29esima conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, l’aria è pesante. Non è colpa solo della recente vittoria di Donald Trump alle Presidenziali Usa, che riporta al potere il negazionismo climatico: il Paese sul Mar Caspio è puntellato dalle raffinerie e dai pozzi di petrolio. È stato costruito su questo business dalla metà del XIX secolo e i combustibili fossili sono il 90 per cento delle sue esportazioni. Ironia della sorte: il simbolo nazionale è una fiamma di gas.
Trivelle, incendi, eolico: le inquietanti sparate di Trump
Trump ovviamente non ci sarà. Se volessimo stilare un compendio del vento che spira dal nuovo governo americano potremmo riprendere il motto di Donald, «drill, baby, drill», cioè «trivella, baby, trivella», accompagnato dal sardonico sorriso con cui nel 2019 si era spinto a dire che le turbine eoliche causano il cancro. Trump non ci sarà perché pensa che «il concetto di riscaldamento globale è stato creato dalla Cina e per la Cina, al fine di rendere non competitive le manifatture statunitensi» (tweet del 2012) e perché durante una visita in California nel settembre 2020, in risposta a un funzionario che parlava degli incendi e del cambiamento climatico, disse: «Inizierà a fare più fresco. Aspetta e vedrai».
Pressante attività di lobbying e campagne di disinformazione
In verità non è che il suo predecessore Joe Biden abbia brillato sull’argomento. Molti faranno notare che nessun Paese ha mai prodotto tanto petrolio e gas come gli Stati Uniti ora, con il 20 per cento in più di licenze emesse durante l’amministrazione Biden rispetto al primo mandato di Trump. A Baku l’aria sarà pesante perché la quasi annuale riunione di una quindicina di giorni iniziata nel 1992 sembra avere ottenuto ben poco rispetto alle attese. La Cop29 arriva dopo il 2023 che è stato l’anno più caldo mai registrato e in coda al 2024 che segnerà sicuramente un nuovo record. È vero che 15 anni fa il mondo si avviava a 6° di riscaldamento globale al di sopra dei livelli pre-industriali e ora ci stiamo attestando intorno ai 3°, ma l’obiettivo di 1,5° richiederebbe di raggiungere zero emissioni nette nei prossimi due decenni. Troppo ambizioso per i signori dei combustibili fossili che hanno alzato il fronte con una pressante attività di lobbying e con una virale campagna di disinformazione.
Il problema della finanza climatica, cioè la mancanza di denaro
Ma la questione centrale, a Baku, non è solo la parata di leader che si alternano al podio per declamare impegni solenni. Non è neppure solo il ritorno di Trump. Il problema più grande, quello che aleggia pesante nelle sale della conferenza e si insinua tra le delegazioni, è il denaro. Di finanza climatica si parla da decenni, ma troppo spesso senza uscire dai limiti della retorica. La Cop29 ha l’odore acre del petrolio e il suono delle monete che tintinnano in mani esitanti, mentre i fondi che dovevano arrivare ai Paesi in via di sviluppo restano promesse di carta.
Il ministro dell’ecologia azero faceva (fa?) affari col petrolio
I numeri parlano chiaro: la strada verso il contenimento del riscaldamento globale entro gli 1,5° gradi richiede investimenti massicci e immediati. Eppure gli impegni economici spesso svaniscono come fumo tra i corridoi delle conferenze. La presidenza della Cop29 affidata a Mukhtar Babayev, ministro dell’ecologia dell’Azerbaigian ed ex vicepresidente della compagnia petrolifera statale Socar, non aiuta a dissipare i dubbi. L’Azerbaigian è un Paese in cui l’economia, la politica e la vita stessa sono indissolubilmente legate al petrolio. Parlare di una transizione verde in un contesto del genere non è solo una sfida: è una provocazione. E la provocazione più grande è quella economica: chi finanzierà la transizione? Chi garantirà che gli sforzi non siano vani e che i Paesi più vulnerabili non vengano lasciati indietro? Chi dirà all’Azerbaigian che il suo attuale paradigma economico e sociale non dovrà esistere più?
Fondo verde per il clima lontano dall’essere operativo
Il Fondo verde per il clima, istituito per sostenere gli Stati in via di sviluppo, è lontano dall’essere pienamente operativo. Le promesse di contributi si sono spesso infrante contro l’inerzia politica e la mancanza di volontà concreta. L’Europa, spinta dai suoi interessi e dalle sue crisi, cerca di mantenere una posizione credibile, ma anche i suoi fondi sono limitati e soggetti a tensioni interne. L’Africa, l’Asia meridionale e le isole del Pacifico, già sotto la morsa delle calamità naturali, chiedono risposte concrete. Il clima di Baku, caldo e saturo di aspettative, è anche il termometro di una sfida globale: il denaro si muove, ma troppo spesso nella direzione sbagliata. La lobby dei combustibili fossili, forte di una presenza che permea sia i governi sia le economie, ha affinato le sue tecniche di influenza. Gli investimenti nelle energie rinnovabili avanzano, però non abbastanza rapidamente da colmare il divario.
La Cop29 e i piani a lungo termine sempre più vuoti
La scelta per la Cop29 è semplice: continuare con le promesse e i piani a lungo termine, che suonano sempre più vuoti, o affrontare la realtà con decisioni che risuonino oltre le sale della conferenza. I Paesi più ricchi saranno disposti a mettere finalmente sul tavolo le risorse necessarie per una transizione equa? O le discussioni si limiteranno ancora una volta a dichiarazioni di principio, mentre le temperature salgono e il tempo scorre? Servono soldi. Quelli veri, quelli necessari, quelli che fanno la differenza tra discorsi accorati e azioni reali. E se nessuno lo farà, l’unico vero vincitore sarà ancora una volta il silenzio assordante del denaro che resta immobile. E della temperatura che sale.
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