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Si impenna la spesa per armi nucleari nel mondo: +13%

La spesa globale per le armi nucleari è aumentata del 13% raggiungendo un record di 91,4 miliardi di dollari nel 2023, secondo i calcoli del gruppo di pressione della Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari (Ican). Questo aumento di 10,7 miliardi di dollari rispetto all’anno precedente è stato principalmente guidato dal considerevole incremento dei bilanci della difesa negli Stati Uniti, in un contesto di incertezza geopolitica dovuta all’invasione russa dell’Ucraina e alla guerra tra Israele e Hamas.

Il rapporto spiega che le nove nazioni armate di armi nucleari hanno aumentato le loro spese, con la Cina al secondo posto con un budget di 11,9 miliardi di dollari, sebbene il totale di Pechino sia nettamente inferiore ai 51,5 miliardi di dollari degli Stati Uniti. La Russia è terza per spesa con 8,3 miliardi di dollari, seguita dal Regno Unito (8,1 miliardi di dollari) e dalla Francia (6,1 miliardi di dollari). Le stime per gli stati autoritari e i tre paesi con programmi nucleari non dichiarati (India, Pakistan e Israele) sono complicate dalla mancanza di trasparenza.

L’impatto geopolitico: aumento storico della spesa per le armi nucleari nel 2023

Susy Snyder, una delle autrici della ricerca, ha avvertito che gli stati nucleari sono “sulla buona strada per spendere 100 miliardi di dollari all’anno in armi nucleari” e ha sostenuto che questi fondi potrebbero invece essere utilizzati per programmi ambientali e sociali. “Questi miliardi avrebbero potuto essere utilizzati per combattere il cambiamento climatico e salvare animali e piante dall’estinzione, oltre a migliorare i servizi sanitari e educativi in tutto il mondo”, ha affermato Snyder.

Negli ultimi cinque anni, da quando Ican ha iniziato la sua ricerca, la spesa per le armi nucleari è aumentata del 34%, pari a 23,2 miliardi di dollari. La spesa degli Stati Uniti è aumentata del 45% durante questo periodo, mentre nel Regno Unito è cresciuta del 43%, e, mantenendo queste tendenze, supererà i 100 miliardi di dollari nel 2024.

Il presidente russo Vladimir Putin ha ripetutamente usato il proprio arsenale nucleare per avvertire l’Occidente nel caso di un intervento militare diretto in Ucraina. La Russia ha anche iniziato una serie di esercitazioni che simulano l’uso di armi nucleari tattiche vicino al confine ucraino a maggio.

Prospettive nere: verso i 100 miliardi di dollari di spesa annuale in armi nucleari

Secondo l‘Istituto Internazionale di Ricerca per la Pace di Stoccolma (Sipri), il numero di testate nucleari attive è leggermente aumentato a 9.585, principalmente a causa dell’incremento dell’arsenale cinese da 410 a 500 testate. Gli Stati Uniti e la Russia rimangono i maggiori possessori di armi nucleari, con circa il 90% di tutte le testate. La Russia ha 4.380 testate nucleari schierate o in deposito, rispetto alle 3.708 degli Stati Uniti.

I ricercatori Sipri stimano che la Russia abbia schierato circa 36 testate in più con forze operative rispetto a gennaio 2023, sebbene non vi siano prove definitive che Mosca abbia dispiegato missili nucleari in Bielorussia, nonostante le dichiarazioni di Putin e del presidente bielorusso Alexander Lukashenko.

L’arsenale nucleare britannico è rimasto invariato a 225 testate, così come quello della Francia a 290. Tuttavia, tre anni fa, il Regno Unito ha annunciato un aumento del limite di testate a 260 Trident per contrastare le minacce percepite da Russia e Cina.

Wilfred Wan, direttore del programma di armi di distruzione di massa di Sipri, ha dichiarato: “Non abbiamo visto armi nucleari giocare un ruolo così importante nelle relazioni internazionali dalla Guerra Fredda”, sottolineando il contrasto con la dichiarazione congiunta del 2022 di Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Cina e Russia che affermava: “Una guerra nucleare non può essere vinta e non deve mai essere combattuta”.

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Tutto si tace, spento, come un corpo in fondo al mare

Il macabro anniversario della strage di Stato a Steccato di Cutro si celebra a 110 miglia dalle coste della Calabria dove una barca a vela partita dalla Turchia rovesciandosi ha vomitato in mare 66 persone che risultano disperse. 26 erano bambini. Arrivavano dall’Iran, dalla Siria e dal Pakistan. Gli 11 sopravvissuti sbarcati a Roccella Jonica raccontano che la nave imbarcava acqua  da giorni. 

Sempre ieri una Ong ha soccorso 64 persone al largo di Lampedusa. 10 sono morte soffocate rinchiuse nel ponte. Le altre sono state liberate a colpi d’ascia. Per questo 2024 siamo a 920 tra morti e dispersi nel Mediterraneo, sono 5 cadaveri al giorno che galleggiano nella rotta più letale del mondo. 

Al sontuoso G7 nella Puglia di cartapesta di qualche giorno fa i “grandi della terra” hanno cianciato di «prevenire e contrastare il traffico di migranti». È la formula vigliacca di chi non ha il coraggio di ammettere la voglia di fortezza. A nessuno di loro – come accade a Bruxelles – viene in mente l’ipotesi di rafforzare i soccorsi in mare. 

Salvare le persone è un tema secondario. Lo sforzo sta tutto nel trovare formule linguistiche nuove per abilitare l’orrore, naturalizzarlo, renderlo inevitabile. E ogni volta che ne muoiono le parole perdono senso, si infragiliscono, accendono meno sdegno, smuovono un lutto slavato. 

È la cosiddetta resilienza che auspicano i poteri: piegarsi narcotizzati di fronte agli eventi, allargando le braccia come massimo gesto di resistenza. Tutto si tace, spento, come un corpo in fondo al mare. 

Buon martedì. 

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Lezione di diritto a destra dalla nipote di Mussolini

Mussolini smentisce la presidente del Consiglio sui diritti. L’ex europarlamentare di FI Alessandra Mussolini ha stroncato le politiche del governo. “Meloni rivendica che, sui diritti, il governo non ha fatto alcun passo indietro? Ma nemmeno in avanti”, dice Mussolini in un’intervista a La stampa.

La nipote di Mussolini che dà lezioni di progressismo al governo Meloni è la foto dell’arretratezza di questo governo

“L’anno scorso l’Italia – spiga Mussolini – ha posto il veto in Consiglio europeo sul regolamento che uniforma le procedure di riconoscimento dei figli in tutti gli Stati dell’Unione, di modo che i bambini nati in famiglie omogenitoriali vengano automaticamente riconosciuti come figli di entrambi i genitori, cosa che avviene in tutta Europa ma non da noi. Da noi, il genitore non biologico deve adottare il bambino”.

“È assurdo almeno quanto il fatto che i single non possano adottare – aggiunge -. Gli italiani non godono di diritti che altrove sono consolidati”. “In campagna elettorale, più che sentire parlare di questo, ho sentito cose invereconde sull’aborto – prosegue -. L’importanza di indurre il ripensamento nelle donne che decidono di abortire”. Per Mussolini le azioni urgenti sarebbero il “riconoscimento dei minori a prescindere da dove e come siano nati” (ovvero il cosiddetto Ius soli”), “pagare le donne più degli uomini” per contrastare il gap salariale e per rendere le donne “indipendenti” e in grado di “denunciare le violenze e quindi arginarle”.

La nipote di Mussolini che dà lezioni di progressismo al governo di Giorgia Meloni è la fotografia dell’arretratezza di una propaganda di governo completamente sconnessa dalla realtà. Alla fine, come è sempre accaduto nella storia, i diritti irrompono, con buona pace dei reazionari di turno.

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I grandi centri di accoglienza non li vuole gestire nessuno: nell’ultimo triennio il 18% dei bandi è andato deserto

Il primo passo è stato quello di distruggere l’accoglienza diffusa. Ora sono in affanno anche i grandi centri di accoglienza. L’analisi dei contratti per la gestione dei centri rivela un ritorno ai grandi centri collettivi e difficoltà significative per le prefetture nell’assegnazione dei bandi. Secondo un rapporto di Openpolis, tra il 2020 e l’agosto 2023, su oltre 7mila bandi emessi dalle prefetture italiane, 3.195 riguardavano la gestione dei centri di accoglienza.

Dal 2020 al 2022, gli importi destinati agli accordi quadro per l’accoglienza diffusa sono diminuiti dal 52,2% al 31,7%, registrando un calo di 20 punti percentuali. Con budget e servizi ridotti al minimo, molti operatori hanno evitato di partecipare alle gare, con il 18% dei bandi che sono andati deserti. Quando i bandi vanno deserti, le prefetture possono provare a ripeterli; tra il 2020 e il 2023, ne sono stati ripetuti 184.

Il declino dell’accoglienza diffusa: il sistema italiano torna ai grandi centri

Il sistema di accoglienza per richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale è gestito principalmente attraverso i Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS), sebbene fossero stati concepiti come un’eccezione rispetto al Sistema di Accoglienza e Integrazione (SAI), che rappresenta il modello ordinario gestito dai comuni e focalizzato sui servizi di integrazione. Tuttavia, i CAS coprono attualmente il 59,7% dei posti disponibili nel sistema di accoglienza. L’emergenza è diventata la regola. 

All’interno dei CAS, esistono due principali modalità di gestione: i piccoli centri in rete e i grandi centri collettivi. I piccoli centri distribuiti sono generalmente considerati una soluzione preferibile per il benessere delle persone accolte e per il rapporto con il territorio. Tuttavia, le modalità di gestione e i capitolati d’appalto hanno storicamente favorito le grandi strutture collettive, a discapito dei piccoli centri.

L’analisi di Openpolis sui dati della Banca Dati dei Contratti Pubblici (BDNCP) dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) mostra un trend crescente verso le grandi strutture. Questo balzo è avvenuto nonostante nel 2020 gli importi messi a bando per accordi quadro relativi a centri in rete rappresentassero ancora il 52,2% del totale. Tuttavia, con l’aumento delle presenze di richiedenti asilo, il sistema si è spostato sempre più verso i grandi centri, nonostante un lieve aumento dei bandi per l’accoglienza diffusa nel 2023.

Bandi deserti e gare ripetute: le sfide delle prefetture nella gestione dei migranti

L’analisi di Openpolis rivela che tra il 2020 e il 2022, il 18,7% degli accordi quadro è andato deserto, con il 44% di questi contratti relativi ai centri in rete. Le ragioni dietro questa tendenza includono gli importi meno attrattivi per la gestione in rete e la riduzione dei servizi per gli ospiti, portando molti operatori a evitare questi bandi.

Ovviamente il fatto che molte gare vadano deserte rappresenta un problema significativo per le prefetture, che spesso si vedono costrette a ripeterle. Tra il 2020 e il 2023, sono stati identificati 184 bandi ripetuti, con una prevalenza per i centri in rete. Nel 2022, più della metà dei principali accordi quadro per l’assegnazione di questi contratti è stata ripetuta, evidenziando ulteriori difficoltà.

Nessuna riforma del sistema quindi. Solo demolizione dell’esistente.Sarebbe essenziale rafforzare il sistema ordinario (SAI), aumentare i posti disponibili e consentire l’accesso ai richiedenti asilo. Tuttavia, le recenti misure adottate dal governo non sembrano indirizzate verso questa direzione. Al contrario, si sono complicati i lavori delle ONG che si occupano di salvataggi in mare, è stata ristretta la protezione speciale e i richiedenti asilo sono stati esclusi dal SAI.

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L’accusa di Politico.eu: pressioni di von der Leyen per ritardare il report sulla libertà di stampa. E ottenere l’ok dell’Italia al bis

Ursula von der Leyen ha cercato di rallentare un rapporto ufficiale dell’Unione Europea che critica l’Italia per l’erosione della libertà dei media, nel tentativo di ottenere il sostegno di Roma per un secondo mandato come presidente della Commissione Europea. Secondo quattro funzionari sentiti da Politico, un’indagine della Commissione evidenzia un giro di vite sulla libertà dei media in Italia da quando Giorgia Meloni è diventata presidente del Consiglio nel 2022. Il rapporto annuale sullo stato di diritto nei paesi dell’Ue, previsto per il 3 luglio, sarà invece ritardato fino alla nomina del nuovo presidente della Commissione, che potrebbe avvenire tra luglio e settembre.

Il ritardo del rapporto è insolito ma rischia di sembrare politicamente motivato: von der Leyen sta cercando il sostegno dei leader dell’Ue, Meloni inclusa, per assicurarsi un secondo mandato di cinque anni alla guida dell’esecutivo europeo. Le interferenze governative nei media e le cause legali contro i giornalisti sono aumentate negli ultimi due anni, come avvertono le associazioni internazionali della stampa. I giornalisti della Rai hanno scioperato a maggio per protestare contro il tentativo di “trasformare la Rai in un portavoce del governo”. La Commissione europea aveva già criticato l’Italia lo scorso anno nel suo rapporto sullo stato di diritto per l’uso crescente della legge sulla diffamazione contro i giornalisti.

L’accusa di Politico a von der Leyen

Secondo un funzionario della Commissione, scrive Politico, “c’è visibilmente una volontà di mettere il freno alle questioni relative all’Italia e allo stato di diritto”, e ha indicato gli sforzi di rielezione di von der Leyen come ragione del ritardo del rapporto. Il gabinetto della presidente avrebbe chiesto al segretariato generale dell’esecutivo dell’Ue di posticipare la pubblicazione del rapporto. Almeno due altri funzionari della Commissione hanno chiesto ai giornalisti nelle ultime tre settimane di non fare domande sulla posizione dell’esecutivo dell’Ue riguardo alla “situazione in Italia”, riferendosi alle misure che minacciano la libertà dei media e agli scioperi dei giornalisti.

Von der Leyen ha tenuto aperta la porta al partito di destra Fratelli d’Italia di Meloni e al suo gruppo del Parlamento europeo, i Conservatori e Riformisti Europei (ECR), discutendo su come garantire il sostegno alla sua candidatura. Durante un dibattito elettorale a maggio, ha definito Meloni “pro-stato di diritto”. I capi di stato e di governo si incontreranno per una cena informale lunedì (stasera) e nel Consiglio Europeo formale il 27-28 giugno. Il Parlamento Ue ha segnato il 18 luglio come il giorno in cui i parlamentari potrebbero votare per eleggere il prossimo presidente della Commissione Europea, ma potrebbe anche essere spostato a settembre, se necessario.

Un funzionario parlando con Politico ha invece giustificato il ritardo del rapporto sullo stato di diritto, affermando che l’obiettivo è di evitare la sensazione che sia collegato alle discussioni politiche in corso sulla rielezione di von der Leyen. “Stiamo limitando la nostra azione per non essere accusati di politicizzare troppo”, ha detto il funzionario. “Qualunque cosa facciamo ora, per qualunque ragione, sarà accusata di essere politica”. 

I diritti in Italia

L’Italia non ha visto aumentare solo la pressione sulla libertà dei media: anche i  diritti LGBTQ+ e delle donne sono sotto attacco. Partner dell’Ue e internazionali, incluso il Primo Ministro canadese Justin Trudeau, hanno criticato le iniziative del governo per cambiare le regole sulla tutela legale per i genitori dello stesso sesso. Il recente summit del G7 di quest’anno ha acceso una nuova controversia intorno alla vicenda del riferimento agli “aborti sicuri e legali” rimosso dalla dichiarazione finale.

Da tempo le associazioni della stampa hanno aumentato i loro avvertimenti sulle interferenze governative e sulle cause legali contro i giornalisti. L’Italia è scesa di cinque posizioni al 46º posto nell’ultimo Indice Mondiale della Libertà di Stampa di Reporters Without Borders (RSF). Il capo dello stato di diritto dell’Unione Europea, Věra Jourová, ha dichiarato questo mese che la Commissione Europea sta seguendo da vicino le “tendenze negative” sulla libertà dei media in Italia, insieme ad altri paesi come la Slovacchia.

L’interferenza di von der Leyen per evitare critiche aperte all’Italia sulla libertà dei media avrebbe irritato il personale all’interno della Commissione. L’interferenza viene considerata dannosa, poiché molti ritengono che von der Leyen, nel suo ruolo di presidente della Commissione, e tutti i servizi della Commissione non dovrebbero interferire nel processo per eleggerla per un secondo mandato. 

L’Europa che avrebbe voluto essere “patria dei diritti” evidentemente è pronta a sacrificarli sul tavolo delle trattative politiche. Così la “ritrovata autorevolezza internazionale dell’Italia” sventolata dai partiti di governo rischia di diventare una merce di scambio sul tavolo di Bruxelles.

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Latina, anzi Littoria

In tutto sono otto milioni di euro ma è solo l’inizio. Il disegno di legge prevede la creazione di un “comitato nazionale presieduto dal presidente del Consiglio” con la presenza del ministro alla Cultura, il ministro al Turismo, il ministro all’Istruzione e il ministro all’Università oltre alla presidente del Consiglio e il presidente della Regione Lazio nonché il sindaco. Cosa c’è di così importante da smuovere soldi e personalità? Sono i 100 anni della fondazione della città di Latina. 

Per cogliere il senso dell’iniziativa bastano le parole di Cesare Bruni, capogruppo di Fratelli d’Italia nel consiglio comunale cittadino: “Oggi è una giornata storica per la città di Latina” che fu “inaugurata con il nome di Littoria”. Come racconta Marco Pasciuti sul Fatto quotidiano Bruni è l’organizzatore del “Mercatino della memoria” che ogni prima domenica del mese riempie piazza del Popolo dove i cimeli storici esposti passano in rassegna il periodo del Ventennio e che nel 2015 pubblicò un libro dal titolo “Littoria, la prediletta del Duce”. 

Diamo per scontati i commentatori che ci diranno che no, non si può non festeggiare i 100 anni di Latina. Sono gli stessi che fingono di non vedere e poi fingono di stupirsi. Sono gli stessi che in questi giorni ci spiegano che il fascismo non torna perché il fascismo non c’è più.

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44 morti

Sabato se ne sono uccisi due. Sono quattro in due giorni. Sono nove negli ultimi dieci giorni. Sono 44 dall’inizio dell’anno. I suicidi in carcere devono essere considerati “naturali”, come se fossero gli effetti collaterali previsti nella gestione di una discarica sociale. 

Il giornalismo fatica a raccontarli. Non meritano due righe, indipendentemente dal suicida di turno, che sia un detenuto modello, uno che stava per uscire poche settimane dopo oppure chi aveva già dato tutti i segnali possibili di una tragedia in arrivo. 

Il 15 giugno un documento del Consiglio d’Europa definisce la situazione carceraria italiana “allarmante” ma su quel tema ogni allarme è muto, circondato da un generale disinteresse. Nei casi peggiori siamo nel campo del “se lo meritano” perché le carceri dalle nostre parti sono intese come fase terminale di un percorso di espulsione dalla società, con buona pace dell’auspicata riabilitazione scritta su carta. 

Strasburgo “constata con grande preoccupazione” che le misure adottate finora dalle autorità non sono riuscite ad arrestare il fenomeno. L’Ue invita l’Italia “ad adottare rapidamente ulteriori misure e a garantire adeguate risorse finanziarie aggiuntive per rafforzare la capacità di prevenire queste morti”. Dolersi non vale come soluzione. 

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella lo scorso 18 marzo ha chiesto “interventi urgenti e immediati”. La politica dovrebbe prendersi la responsabilità di chiarire, perfino insegnare, che no, che il carcere non è una vendetta ma la politica del “buttare via le chiavi” non se lo può permettere e non ne sarebbe all’altezza. Rimaniamo quindi così. 

Buon lunedì. 

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Il Bestiario della settimana – Moviolone di Iezzi alla Camera. Biden, Scholz, Sunak & C.: i leader G7 con i giorni contati

Questione di falli

Per comprendere quanto prendano sul serio il proprio ruolo parlamentare alcuni eletti del popolo si può ripescare il post del deputato leghista Igor Iezzi pubblicato poco dopo l’aggressione subita dal collega del Movimento 5 stelle Leonardo Donno. “E pensare che il parlamentare grillino non era neanche in area”, ha scritto il leghista condividendo un video dal titolo “Le simulazioni più assurde e epiche nel calcio”. A ruota anche il suo collega leghista, il senatore Claudio Borghi, che su X ha scritto: “Capite perché preferivo la Camera al Senato? Aria sempre frizzantina ci fosse stato anche Fiano…”. È la terza Camera: l’asilo.

Vannacci con stelle

Il giornalista di Dagospia Giuseppe Candela a proposito del generale Vannacci che sulla televisione pubblica inneggia alla X Mas, simbolo di torture e rappresaglie, tira fuori dal cilindro ciò che successe a Enrico Montesano. Durante le prove di un balletto per la trasmissione “Ballando con le stelle” Montesano indossava una maglietta con il logo della Decima. Venne (giustamente) squalificato. Avrebbe dovuto candidarsi in Europa. Dieci pesi e dieci misure.

Ciao Silvio

Il sito EscortAdvisor è una sorta di catalogo delle sex worker che ricevono a domicilio, con tanto di pagelle degli utenti. Il 12 giugno, anniversario della morte di Silvio Berlusconi, l’home page del sito si apriva con una scritta bianca su sfondo nero di sole due parole: “Ciao Silvio”.

La hit di Fedez

A Fedez è riuscito un mezzo miracolo: farci dare ragione al ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Matteo Salvini. Immerso nella sua adolescenza di ritorno il rapper in diretta con alcuni amici su Twitch ha deciso di fare uno scherzo telefonico al ministro. Con risatine isteriche da discolo ha chiamato Salvini, è scoppiato a ridere, poi ha interrotto la telefonata per richiamare di nuovo. Salvini giustamente ha fatto notare che perfino uno come lui ha smesso a 13 anni di fare certi scherzi. E ci tocca dargli ragione. Rimane un dubbio, come giustamente si chiede Luca Bizzarri, “perché ha il numero di Salvini?”. Strani gradi di separazione.

Morti che camminano

A proposito del G7 che si tiene in Puglia il Guardian decide di andarci leggero: “La Meloni in rosa mentre consola il corteo di morti che camminano. Il Primo Ministro italiano era tutto sorridente all’inizio del vertice del G7 mentre incontrava la sfilata di statisti dall’aspetto tormentato, la maggior parte di loro ha il potere con i giorni contati”. Bene, dai.

Tracollo climatico

Luca Mercalli, climatologo e comunicatore scientifico, volto noto della tv grazie alle sue apparizioni alla trasmissione Che Tempo Che Fa, si candida a sindaco di Usseaux (in Piemonte, 180 abitanti) e ottiene zero voti. Tracollo climatico.

Il politologo Bocchino

“Chi non va a votare ha scelto di non andare a votare e l’ha fatto o perché non si sente rappresentato o perché sa che è ininfluente visto che la democrazia è solida”. Queste le parole di Italo Bocchino, ospite dell’ultima puntata di stagione di Accordi&Disaccordi (Nove). In effetti non è male l’idea di scrollarsi di dosso il problema dell’astensionismo convincendosi che i cittadini non votino perché sono tutti d’accordo con te. Interviene l’ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari. “Hai mai provato a parlare con qualcuno per strada chiedendogli perché non va a votare?”. “Tutti i giorni”, ha risposto il direttore editoriale del Secolo d’Italia appellando il professore come “Maestro Cacciari”. “E qualcuno ti ha risposto che non va a votare perché la democrazia è forte? Ma cosa dici?”, ha domandato ancora il filosofo prima di lasciarsi andare in un “ma vaff….”, togliersi il microfono e abbandonare lo studio. Cacciari vero punto di riferimento dei progressisti.

Sindaco per caso

Sandro Gerardi, ex bancario, è stato eletto primo cittadino di Cibiana di Cadore (Belluno). La sua era una lista civetta per abbassare il quorum e favorire l’amministratore uscente, ma il voto ha riservato una sorpresa a entrambi. Poi si dice che la politica è noiosa.

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Gender Gap, l’Italia sprofonda nella classifica mondiale: siamo messi peggio di Turchia, Kazakistan e Vietnam

Un nuovo schiaffo all’Italia che affonda nelle retrovie del panorama europeo in materia di parità di genere. Il Global Gender Gap Report 2024 del World Economic Forum dipinge un quadro desolante, confermando la nostra Nazione come fanalino di coda tra i Paesi del Vecchio Continente. Un declino preoccupante che evidenzia la necessità di un cambio di rotta radicale per colmare il divario abissale che separa le donne dagli uomini nel nostro Paese.

L’Italia scivola al 63esimo posto su 146 nazioni, perdendo ben 5 posizioni rispetto all’anno precedente. Un passo indietro inaspettato e inaccettabile, che ci colloca dietro a Paesi come la Turchia, il Kazakistan e persino il Vietnam. Un sorpasso umiliante che riflette le profonde disuguaglianze che ancora persistono nella nostra società, a dispetto delle promesse e degli impegni assunti.

Il Gender Gap italiano: un fallimento nazionale annunciato

Il report del Wef evidenzia un divario preoccupante in tutti gli ambiti analizzati: partecipazione economica, istruzione, salute e potere politico. Nel campo della partecipazione economica, l’Italia si posiziona al 70esimo posto. Le donne italiane sono ancora fortemente penalizzate nel mercato del lavoro, con tassi di occupazione e retribuzioni inferiori rispetto agli uomini. A ciò si aggiunge la scarsa rappresentanza femminile nei ruoli dirigenziali, sia nel settore pubblico che privato.

Anche in materia di istruzione, l’Italia non brilla. Le donne italiane raggiungono livelli di istruzione più alti rispetto agli uomini, ma questo non si traduce in migliori opportunità lavorative. Un paradosso che evidenzia la necessità di superare gli stereotipi di genere e di valorizzare le competenze femminili in tutti i campi.

Non va meglio neanche per quanto riguarda la salute. Le donne italiane hanno un’aspettativa di vita più alta rispetto agli uomini, ma sono più soggette a malattie croniche e a problemi di salute mentale. A ciò si aggiunge la carenza di servizi sanitari adeguati alle loro esigenze specifiche, come la salute materna e infantile.

Infine, il potere politico rimane una roccaforte maschile. Le donne italiane sono ancora sottorappresentate nei parlamenti e nei governi, con una quota di seggi che si attesta al 34%, ben al di sotto della media europea. Un dato che riflette la scarsa partecipazione delle donne alla vita politica e la difficoltà a scalare i vertici del potere.

Una donna presidente del Consiglio non basta a colmare il Gender Gap

Oltre all’analisi della situazione italiana, il report del WEF offre anche un quadro completo delle performance degli altri Paesi. Tra le nazioni europee, l’Islanda si conferma in testa alla classifica per la parità di genere per il 15° anno consecutivo grazie alle sue politiche avanzate in materia di congedo parentale e uguaglianza salariale seguita da Finlandia, Norvegia e Svezia. Fanalino di coda in Europa, dopo l’Italia, troviamo la Turchia al 120esimo posto, seguita da Ucraina (123esimo) e Azerbaigian (125esimo). Le ultime posizioni della classifica sono occupate da Yemen, Pakistan, Iraq e Afghanistan.

I dati del Global Gender Gap Report 2024 smantellano la propaganda di Giorgia Meloni. “Uno dei famosi soffitti di cristallo è stato rotto proprio con questo Governo ed è un fondamentale soffitto di cristallo rotto con il primo Governo a guida femminile nella storia d’Italia. È un’altra fotografia di Giorgia Meloni che possiamo aggiungere al corridoio delle fotografie delle presenze femminili nelle istituzioni”, aveva detto l’8 marzo in Parlamento la ministra Roccella. Le cose non stanno esattamente così. Per rompere il tetto di cristallo non serve una presidente donna (che si fa chiamare con l’articolo maschile): servono opportunità per tutte. Il gender gap non è una questione personale. 

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La vicenda dei tre poliziotti che smaschera la propaganda di Salvini sui migranti – Lettera43

Gli agenti che accusarono le Ong di collusioni con gli scafisti parlottavano con esponenti della Lega e con il futuro ministro all’Interno. Informavano di eventuali illeciti (mai provati) cercando, secondo la procura, favori politici. Solo che poi su quelle operazioni di soccorso sono cadute tutte le illazioni. Mentre il Capitano ha sguazzato per anni su una proiezione mendace della realtà.

La vicenda dei tre poliziotti che smaschera la propaganda di Salvini sui migranti

Tecnicamente si potrebbe definire un presunto golpe umanitario. I tre agenti di polizia che accusarono le Ong Medici senza frontiere, Jugend Rettet e Save the children di collusioni con gli scafisti parlottavano con esponenti della Lega e con il futuro ministro all’Interno Matteo Salvini. Parliamo di due persone cacciate dalla polizia di Stato e di uno in pensione. I tre ufficialmente lavoravano come security privata per conto della Imi security service. La polizia e i pubblici ministeri siciliani hanno intercettato i telefoni di almeno 40 persone come parte delle loro indagini, compresi i dipendenti di Jugend Rettet, Msf e Save the children, nonché gli appaltatori di sicurezza a bordo della nave Vos Hestia, la maggior parte dei quali non è mai stata ufficialmente sotto inchiesta o sospettata di aver commesso alcun crimine.

Intercettati anche avvocati per i diritti umani e giornalisti

Un ufficio di Msf in Sicilia è stato intercettato, e microfoni nascosti sono stati collocati a bordo di tre navi: appunto la già citata Vos Hestia, la Vos Prudence di Msf e la Iuventa. La polizia ha anche intercettato avvocati per i diritti umani e giornalisti che lavorano su questioni migratorie: conversazioni con clienti e fonti che dovrebbero essere protette dal controllo della polizia, secondo la legge italiana. Secondo i documenti del tribunale, la polizia di Trapani ha anche assunto una società di Milano, Rcs Lab, per hackerare a distanza i telefoni cellulari di due dipendenti di Msf, utilizzando tecniche di phishing per installare software in grado di estrarre dati dai loro dispositivi e monitorarli in tempo reale tramite i microfoni dei loro telefoni.

La vicenda dei tre poliziotti che smaschera la propaganda di Salvini sui migranti
Sbarchi di migranti a Lampedusa (Getty).

La presunta complicità delle Ong con i trafficanti di uomini? Tutto finito con il proscioglimento

Il 13 giugno 2024 i pm della procura di Palermo hanno chiesto di sentire come testimoni nel processo a carico di Salvini i tre ex poliziotti Floriana Balestra, Pietro Gallo e Lucio Montanino perché riferiscano del procedimento aperto a Trapani e conclusosi con il proscioglimento di tutti gli imputati relativo a presunte complicità con i trafficanti di uomini delle ong Save the children, Msf e Jugend Rettet. I tre, assoldati dalla security privata, in realtà sarebbero stati degli infiltrati: «Dalla sentenza di proscioglimento del gup di Trapani», ha spiegato la procuratrice aggiunta Marzia Sabella, «si evince chiaramente che registravano quanto accadeva a bordo per riferire e che in cambio delle informazioni chiedevano posti di lavoro». Insomma secondo la procuratrice «invece di informare degli eventuali illeciti (mai provati) chi di dovere, contattarono la Lega e direttamente Salvini a cui fornivano documenti, filmati e registrazioni per avere vantaggi. Tutti questi elementi risultano dalle intercettazioni».

Le telefonate in cui si piegava la realtà per convenienza politica

«Eh, noi abbiamo alzato ‘sto polverone, qualcosa in cambio ci deve dare, perché insomma…», diceva Floriana Balestra non sapendo di essere intercettata. «Cioè, tutte ‘ste informazioni, e la campagna elettorale piena, può fare un bordello che non finisce mai», rispondeva Gallo. E ancora. «Sono stato bravo, vero?», diceva Pietro Gallo. «Beh, hai fermato tutti i migranti», ha risposto suo fratello. «Ora non vengono più». «L’Unione europea non ci è riuscita, il governo italiano non ci è riuscito», ha risposto Gallo, «poi alcuni idioti sono venuti e hanno fermato tutto». Piegare la realtà alla convenienza politica.

La vicenda dei tre poliziotti che smaschera la propaganda di Salvini sui migranti
Manifesti elettorali di Salvini sull’immigrazione (Getty).

Una narrazione elettorale che ha fatto fare il boom a Salvini negli anni d’oro del consenso

Alcune persone tra le forze dell’ordine per ottenere favori dalla politica avrebbero dunque brigato per costruire una tesi crollata di fronte alla verità. Ma qual è il punto politico? Proviamo a riavvolgere il nastro. L’esplosione di Matteo Salvini che l’ha portato al governo e al boom delle elezioni europee 2019 si basava su una proiezione mendace della realtà. Una narrazione elettorale apparecchiata anche con l’aiuto di quegli agenti, secondo quanto emerge dalle indagini. La sentenza del Tribunale di Trapani dopo sette anni di accuse infamanti ha confermato che le operazioni di soccorso delle Ong nel Mediterraneo sono sempre state lecite e coordinate con le autorità. I fatti oggetto di quell’accusa non esistono. Salvini (e quella propaganda) sì.

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